Annali d'Italia, vol. 5 - 42

[1427] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1428] Johann. de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Italic.
[1429] Vita di Cola di Rienzo, Antiquit. Ital., tom. 3.
[1430] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Johannes de Bazano, tom. eod.
[1431] Petrarca, Rime.
[1432] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 89. Johan. de Bazano, tom. 15
Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1433] Dominicus de Gravina, Chron., tom. 12 Rer. Ital. Giovanni
Villani, lib. 12, cap. 88.
[1434] Johan. de Bazano, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. eodem.
Giovanni Villani, lib. 12, cap. 106.
[1435] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1436] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 6. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[1437] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[1438] Chron. Estens., tom. 15 Rer. Ital. Giovanni Villani, lib. 12,
cap. 104.
[1439] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1440] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 118.
[1441] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1442] Benvenuto da S. Giorgio, Istor. del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.


Anno di CRISTO MCCCXLVIII. Indizione I.
CLEMENTE VI papa 7.
CARLO IV re de' Romani 3.

Di funestissima memoria fu e sarà sempre l'anno presente a cagion
della furiosa peste che spogliò l'Italia, e a cui altra simile dianzi
non si era veduta, nè si vide dappoi. Portata essa di Levante dalle
galee genovesi nell'anno precedente[1443], fece di molta strage in
Firenze ed altre terre di Toscana, e più in Bologna e nella Romagna,
in Provenza ed in altre parti. Parve che nel novembre cessasse questo
micidial malore; ma siccome i popoli d'allora viveano molto alla
spartana, senza usar diligenza per tenerlo lungi, e venuto ch'era, per
liberarsene: così tornò egli più rigoroso e feroce di prima nell'anno
presente ad assalir il più delle città dell'Italia, e fu inesplicabile
la mortalità della gente dappertutto, fuorchè in Milano e in Piemonte.
Matteo Villani attesta[1444] che in Firenze e nel suo distretto dei
cinque uomini di ogni sesso ed età ne morivano i tre e più. Fra gli
altri vi lasciò la vita _Giovanni Villani_ suo fratello, autore di una
celebre storia, di cui han profittato finora gli Annali presenti. In
Bologna[1445] delle tre parti del popolo due rimasero prive di vita;
ed Agniolo di Tura scrive[1446] che nella città e borghi di Siena vi
perirono ottanta mila persone: il che par troppo. Passò poi questo
flagello in Francia, Alemagna, Inghilterra ed altri paesi, lasciando
dappertutto una non mai più udita desolazione. Non v'ha scrittore che
non ne parli con incredibil orrore: ed allora fu che i popoli rimasti
in vita cominciarono ad usar qualche diligenza per guardarsi da lì
innanzi da questo morbo distruggitore delle città: la qual cautela è
maggiormente dipoi andata crescendo in guisa, che se la pestilenza
è entrata in qualche contrada d'Italia, non ha fatto progresso
nell'altre, come poco fa s'è provato in quella dell'infelice Messina, a
cui si son posti buoni argini che durano tuttavia. Per tali precauzioni
e rigori corrono già circa cento quattordici anni che la Lombardia
non ha provata la terribile sferza di quel malore. Eransi postate al
fiume Volturno verso Capua le milizie della regina Giovanna[1447],
per contrastare il passo al re d'Ungheria, sotto il comando di _Luigi
principe_ di Taranto, e marito d'essa regina, che cogli altri Reali
era accorsa colà. Ma il re unghero, senza voler mettersi a passar
quivi il fiume, per la strada già tenuta dal _re Carlo I_ tirò alla
volta di Benevento, dove arrivò nel dì 11 di gennaio. Quivi, unito il
suo esercito, si trovò avere più di sei mila cavalli e un'infinità di
fanti; e concorsero a fargli riverenza ed omaggio tutti i baroni del
paese e gli ambasciatori di Napoli. A questo avviso i Reali, che erano
a Capoa, abbandonato Luigi principe di Taranto, si ritirarono a Napoli.
La stessa _regina Giovanna_, che s'era ridotta in un de' castelli,
udendo che già l'Unghero s'inviava a quella volta, nascostamente una
notte[1448], con quel poco tesoro che potè raunare, s'imbarcò in una
preparata galea, e fece dirizzar la prora verso Provenza. Arrivò poscia
il principe suo marito, ed anch'egli con Niccolò Acciaiuoli Fiorentino,
suo fidato consigliere, preso un picciolo legno, andò a sbarcare
nella Maremma di Siena. Giunse il re Lodovico nel dì 17 di gennaio ad
Aversa[1449]. Colà tutta la nobiltà di Napoli fu a fargli riverenza.
In un fiero imbroglio si trovarono allora i principi reali, egualmente
apprendendo il fuggire che il presentarsi al re. Furono assicurati con
salvocondotto, purchè non avessero tenuta mano all'assassinio del _duca
Andrea_. Pertanto vennero ad Aversa _Carlo duca_ di Durazzo, _Luigi_
e _Roberto_ fratelli, e _Roberto_ e _Filippo_ principi di Taranto,
fratelli di _Lodovico_ marito della regina Giovanna. Furono accolti con
allegrezza ed onore, e desinarono nella sala, dove era anche la tavola
del re.
Dopo il desinare, messa il re in armi tutta la sua gente, mostrando
di voler cavalcare a Napoli, volle vedere il verone, onde fu gittato
nel giardino il corpo dello strangolalo suo fratello. Quivi rivolto
al _duca di Durazzo_, l'accusò di quel misfatto, e dicono che il
convinse con lettere; e quantunque il duca si scusasse ed implorasse
misericordia[1450], gli Ungheri se gli avventarono addosso, e, feritolo
di più colpi, lo stesero morto a terra, e dipoi nel giardino medesimo
lanciarono il corpo suo. Gli altri Reali furono presi, messi nel
castello d'Aversa, e poscia con buona scorta inviati in Ungheria,
dove gran tempo dimorarono carcerati. Gran dire che vi fu per questa
barbarica giustizia. Molti la biasimarono, perchè fatta senza ordine
giudiciario, e perchè esso Carlo duca di Durazzo, oltre all'essere il
più compiuto e valoroso di quei principi, veniva creduto innocente;
altri poi giudicarono ben dovuta ai peccati di lui e degli altri Reali
la morte e prigionia suddetta. Entrò poscia il re Lodovico in Napoli,
ma senza volere il baldacchino preparatogli, e vestito di tutte armi
colla barbuta in capo, attendendo dipoi a far processi, a mutar gli
uffizii e a riformar la città, come a lui piacque. Avea la regina
Giovanna partorito un figliuolo, per nome _Carlo Martello_, creduto,
secondo le presunzioni, figliuolo del fu suo marito Andrea. Il re,
fattoselo condurre davanti, graziosamente il vide, e creollo duca di
Calabria, ma poi coi Reali prigioni l'inviò in Ungheria, acciocchè
fosse ivi educato. Fece poi istanze alla corte pontificia per ottener
la corona ed investitura di Napoli; ma _papa Clemente VI_ se ne mostrò
ben alieno, adducendo che non era provato per anche alcun reato nella
regina Giovanna; e che in ogni caso il regno era dovuto al fanciullo
Carlo Martello, con altre ragioni pubblicate dal Rinaldi[1451]. Tentò
parimente il re unghero d'impetrare l'investitura della Sicilia, e su
questo ancora riportò una bella negativa dal papa. Non si può negare,
molta fu la felicità del re Lodovico in conquistare un sì bel regno
in sì pochi giorni e senza colpo di spada; ma uguale non fu già la
prudenza di lui. Si pensò egli d'aver fatto tutto, dacchè niuno vi era
in quel regno che ricalcitrasse, e non gli avesse prestato omaggio;
nè si avvisò che più difficile era il conservare che l'acquistare
un paese, dove l'instabilità dei popoli e il desio continuo di cose
nuove sono malattie abituali di quelle contrade. Però licenziò tosto
buona parte dell'esercito suo; e perciocchè la pestilenza entrata in
quel regno vi facea gran macello[1452], non fidandosi egli di stare
in mezzo a sì fatti pericoli, determinò di ritornarsene in Ungheria.
Appena dunque passati quattro mesi dopo l'arrivo suo andò ad imbarcarsi
a Barletta, con aver deputato per suo vicario Corrado Lupo con altri
uffiziali e gente che governasse e difendesse il regno. Lasciò il re
mal soddisfatti i baroni napoletani colle sue asprezze e coll'aver
tolto a moltissimi i loro lucrosi uffizii. Si aggiunse il duro comando
e procedere dei ministri di lui, giacchè gli Ungheri ne' lor costumi
allora spiravano troppa barbarie, benchè Matteo Villani asserisca[1453]
che facevano buona giustizia, nè recavano danno o villania ad alcuno.
Comunque sia, si risvegliò ben tosto in quella nobiltà e in molti il
desiderio di riavere la _regina Giovanna_, sotto il cui governo, e
colle corti di tanti Reali, l'allegria e l'opulenza mai non mancavano
a quella insigne metropoli. Ne corsero le voci, e ne andarono anche gli
inviti alla regina medesima in Provenza.
Ora è da sapere che questa principessa giunta che fu in Provenza,
perchè insorse sospetto ch'ella era per vendere quella provincia ai
Franzesi, fu detenuta come prigione da que' maggiorenti, e specialmente
dai signori del Balzo. In questo mentre _Lodovico principe_ di Taranto
suo marito, senza che gli fosse permesso di entrare in Firenze,
s'imbarcò a Porto Pisano[1454], e, non osando di metter piede in
Provenza, andò con Niccolò Acciaiuoli per altra via ad Avignone.
Quivi per mezzo del papa tanto si adoperò che fu rimessa in libertà
la regina. Ricevuta questa qual sovrana in quella città, dopo aver
guadagnati in suo favore i voti della corte pontificia, la quale
convalidò colla dispensa il contratto matrimonio, impiegò da lì innanzi
tutti i suoi pensieri per la ricupera del regno di Napoli. Le mancava
il più importante mezzo, cioè il danaro; si trovò in necessità di
vendere al papa e alla Chiesa romana la stessa città d'Avignone col suo
distretto[1455], per cui nondimeno ricavò, se è vero, solamente trenta
mila fiorini d'oro: il che pare piuttosto un prestito o un dono, che
una vendita di sì nobil città con ampio territorio. E perchè quella
città era feudo dell'imperio, siccome parte del regno arelatense, non
durò gran fatica papa _Clemente VI_ ad impetrare da _Carlo IV_ sua
creatura la cession di tutte le ragioni imperiali su quella città, di
modo che essa restò ed è tuttavia della santa Sede apostolica. Leggesi
lo strumento di tal vendita dato alla luce dal Leibnizio[1456], e
fatto non già nell'anno 1358, come per errore è ivi scritto, ma bensì
nell'anno presente 1348. In ricompensa di questo contratto diede il
papa a Luigi marito di Giovanna il titolo di re.
Cotanto ancora esso Luigi e la regina sua moglie andarono limosinando
dagli amici e dai sudditi, che unirono danaro da poter noleggiare dieci
galee genovesi al loro servigio. E perciocchè Niccolò Acciaiuoli,
spedito innanzi da essi, fece lor sapere d'aver ben disposti gli
affari e gli animi de' baroni, e che avea preso al suo soldo il _duca
Guarnieri_ capo di mille e ducento barbute tedesche, cioè cavalieri;
s'imbarcarono senza perdere tempo in Marsilia nelle galee genovesi,
ed arrivati sul fine d'agosto a Napoli, con grande onore vi fecero la
loro entrata. Ma i castelli d'essa città erano tuttavia in mano degli
Ungheri, e convenne farne dipoi l'assedio. Abbiamo parlato all'anno
1342 del poco fa mentovato duca Guarnieri, e della sua compagnia.
Questa si sciolse allora, ma egli colle reliquie di essa passò dipoi
a' servigi del re d'Ungheria. Appena si trovò egli cassato di nuovo
da esso re, che si diede a formare un'altra non men possente compagnia
di quelle genti d'arme che non aveano più servigio. Venuto con questi
masnadieri in Campagna di Roma, cominciò a saccheggiare quelle terre
e castella che non si voleano riscattar col danaro[1457]. Perchè il
popolo di Anagni si animò a difendere la terra, con disegno di non
pagar tributo a quella mala gente, infuriati coloro con un generale
assalto entrarono per forza in quella città, e, messi a filo di spada
gli abitanti di ogni sesso, lasciarono quivi un orrido spettacolo
della crudeltà degli uomini, più fieri talvolta delle fiere stesse.
Siccome già accennai, benchè fosse preceduto qualche esempio di simili
compagnie di assassini, pure questo duca Guarnieri fu considerato in
questi tempi come principal autore e promotor delle medesime.
Abbiamo dalla Cronica Estense che nel mese di aprile l'esercito di
_Luchino Visconte_ andò sul Genovesato ad assediare non so quai luoghi.
Secondo il Corio[1458], s'impadronì di Gavi e di Voltabio; ma Pietro
Azario aggiugne[1459] che Luchino, voglioso di sottomettere la città
di Genova al suo dominio, fece lega coi fuorusciti, cioè coi Doria,
Spinoli, Fieschi e Grimaldi, e spedì un grosso esercito allo assedio
di quella città sotto il comando di _Bruzio_ suo figliuolo bastardo,
e di Rinaldo degli Assandri di Mantova; e che sarebbe passata male
per quella città, se la morte di Luchino, di cui parleremo all'anno
seguente, non avesse interrotta quell'impresa. Giorgio Stella,
storico genovese, sotto questi tempi si fa conoscere mancante di
notizie intorno alla sua patria. Costume fu di Luchino di valersi
dei collegati, finchè servivano ad ingrandirlo; poscia non gli era
difficile il trovar motivi, o pretesti per volgere l'armi anche contra
di loro. _Giovanni marchese_ dì Monferrato gli avea fatto ottenere
Alba, Tortona ed altri luoghi; ma perciocchè anche egli, senza
dimenticare i proprii affari, avea ricuperato quasi tutte le terre del
suo marchesato, perdute per la mala condotta del _marchese Teodoro_ suo
padre, anzi era dietro a stendere più oltre le sue conquiste, Luchino
se ne ingelosì, e cominciò a mostrar del freddo verso di lui. Perciò il
marchese un dì, inaspettatamente si fuggì da Milano a Pavia, lasciando
indietro tutti i suoi famigli ed arnesi; e corse voce che, se tardava a
farlo, correva pericolo di qualche grave disgrazia. Si è veduto[1460]
che ancora i _Gonzaghi_, signori di Mantova e di Reggio, dianzi
erano tutti suoi, e principali autori furono di fargli conseguire il
dominio di Parma. Noi li troviamo nel presente anno non solo caduti
dalla sua grazia, ma eziandio assaliti quai nemici. Per ordine di lui
nel giorno 24 di maggio i sindaci e trombetti delle città di Brescia
e Cremona comparvero nella piazza di Mantova, facendo istanza che i
Gonzaghi restituissero alcune castella, appartenenti in addietro a
quelle comunità, con tutte le rendite percette dal dì dell'occupazione,
altrimenti intimavano loro la guerra. Perchè i Gonzaghi non si
sentirono voglia di restituirle, Luchino mosse l'armi contra di loro,
prese Casal Maggiore, Sabioneta, Piadena, Asolo, Montechiaro ed altre
fortezze, e il suo esercito passò sotto Borgoforte.
Nel medesimo tempo _Mastino dalla Scala_ colle sue genti dall'una
parte, ed _Obizzo marchese_ d'Este colle sue dall'altra, marciarono
ai danni de' Mantovani. _Filippino da Gonzaga_[1461], che era ito con
cento barbute e ducento fanti a Napoli in servigio del re d'Ungheria,
tornato che fu a casa, unita quanta milizia potè, nel di 30 di
settembre andò improvvisamente a visitar l'esercito di Luchino ch'era
sotto Borgoforte[1462]; e, trovatolo senz'ordine, lo mise facilmente
in rotta: il che fu cagione che anche le milizie dello Scaligero e
dello Estense con gran fretta si ritirassero, lasciando indietro molti
de' loro arnesi. Se si ha qui da credere al Corio[1463], riuscì ai
maneggi del suddetto Luchino che in questo anno papa _Clemente VI_
dichiarasse _Bernabò_ e _Galeazzo Visconti_, nipoti odiati e banditi
da esso Luchino, sospetti nella fede, spergiuri e detestandi, e che non
potessero contrarre matrimonio, nè godessero morendo dell'ecclesiastica
sepoltura: della qual nefanda dichiarazione appellarono quei due
fratelli all'imperadore. Se ciò è vero, non andò senza vergogna la
corte pontificia, con lasciarsi così travolgere dai privati odii di
Luchino; ma più sicuro è il sospendere la credenza di un tal fatto,
giacchè non se ne truova vestigio negli antichi storici. La fortuna
fu in quest'anno propizia alla casa de' Malatesti[1464]; imperciocchè
nel mese di maggio _Galeotto_, col consentimento dei cittadini, ebbe
il dominio della città d'Ascoli. Ma nelle storie napoletane altrimenti
si parla di questa città. _Malatesta_ anch'egli con esso Galeotto
suo fratello[1465] sconfisse nel dì 14 di novembre in un'imboscata
l'esercito di _Gentile da Mogliano_ signore di Fermo, ed ebbero
prigione lui stesso; e, se volle ricuperar la libertà, gli convenne
accordar loro quel che richiesero. Poscia nel dì 6 di dicembre,
invitato, esso Malatesta da alcuni cittadini d'Ancona, s'impadronì
amichevolmente dell'una parte di quella città, e colla forza
dell'altra. Capo d'Istria si ribellò ai Veneziani[1466], ma accorsi
questi con gagliarde forze, ricuperarono quella città colla prigionia
degli autori della sedizione. Tolta fu a _Carlo IV_ la città di
Trento, e data al _marchese di Brandeburgo_ figliuolo di _Lodovico_ il
_Bavaro_. Ma questo fatto in altre Croniche è raccontato sotto l'anno
seguente.
NOTE:
[1443] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 83.
[1444] Matteo Villani, lib. 1, cap. 2. Cortus. Hist., tom. 12 Rer. Ital.
[1445] Matth. de Griffonibus, tom. 18 Rer. Ital.
[1446] Cronica Sanese, tom. 15 Rer. Ital.
[1447] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 110.
[1448] Domin. de Gravina, Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[1449] Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Italic.
[1450] Johann. de Bazano, Chron. Mutin., tom. 15 Rer. Ital.
[1451] Raynald., Annal. Eccles.
[1452] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1453] Matteo Villani, lib. 1, cap. 16.
[1454] Matth. Palmerius, in Vita Nicolai Acciajoli, tom. 13 Rer. Ital.
Giovanni Villani, lib. 12, cap. 114.
[1455] Vita Clementis VI, P. II, tom. 3 Rer. Ital. Matteo Villani, lib.
1.
[1456] Leibnit., Cod. Jur. Gent., tom. 1, num. 93.
[1457] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1458] Corio, Istoria di Milano.
[1459] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
[1460] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1461] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1462] Platina, Hist. Mant., tom. 12 Rer. Ital.
[1463] Corio, Istoria di Milano.


Anno di CRISTO MCCCXLIX. Indizione II.
CLEMENTE VI papa 8.
CARLO IV re de' Romani 4.

Andò sossopra in quest'anno il regno di Napoli per la guerra insorta
in quelle parti[1467]. Molto paese occupavano tuttavia gli Ungheri.
Il re Luigi colla _regina Giovanna_ sua moglie, ben assistito dai
Napoletani, mentre si facea l'assedio de' castelli di quella città,
uscì in campagna coll'esercito suo, ed intraprese l'assedio di Nocera,
dove trovò de' bravi difensori. Domenico da Gravina, scrittore parziale
del re d'Ungheria, descrive[1468] i varii avvenimenti di quella guerra.
Dopo lunga difesa le fortezze di Napoli vennero in potere della regina;
e intanto la maggior parte delle terre del regno inalberarono le
bandiere della medesima, di modo che gli Ungheri non aveano più che
Manfredonia, il Monte di Santo Angelo, Ortona, Guiglionese ed alcune
castella in Calabria. La città di Nocera si arrendè al re Luigi, marito
della regina, ma non già il castello che era fortissimo. Gli Ungheri,
comandati da Corrado Lupo vicario del re Lodovico d'Ungheria, a forza
d'armi presero e saccheggiarono la città di Foggia. Obbligarono inoltre
il re Luigi ad abbandonar l'assedio d'esso castello di Nocera, per
colpa specialmente del _duca Guarnieri_, uomo di niuna fede, il quale,
nello stesso tempo che militava ai servigi di esso re Luigi, teneva
intelligenza con Corrado Lupo, e guastava tutti i disegni: il che fece
calar non poco di riputazione il medesimo re Luigi. Andò tanto innanzi
la malvagità di costui, che stando egli a Corneto con quattrocento
cavalieri alla guardia di quella terra, una notte si lasciò sorprender
ivi con tutta la sua gente da Corrado, e fu ritenuto prigione.
Comunemente fu creduto che fosse concertato fra loro il fatto. Misesi
egli una taglia di trenta mila fiorini d'oro; e perchè il re Luigi
negò di volerlo riscattare a sì alto prezzo, si servì egli di questo
pretesto per prendere servigio nella armata degli Ungheri, e trasse a
sè quanti Tedeschi potè; perlochè peggiorarono di molto gli affari del
re Luigi, che si ritirò malconcio a Napoli. Crebbe ancora l'esercito
degli Ungheri per la venuta di _Stefano vaivoda_ di Transilvania con
più di trecento nobili ungheri: laonde alla loro ubbidienza tornarono
Baroli, Trani, Bitonto, Giovenazzo, Molfetta ed altri luoghi. Ma
sopprattutto in lor vantaggio tornò l'acquisto della città d'Aversa,
i cui abitanti volontariamente loro si sottomisero. S'inoltrò poi
l'esercito ungarico del re Lodovico verso Napoli, e fatto correr
voce falsa che fra i soldati ungheri e tedeschi fosse insorta gran
discordia, s'invogliarono i Napoletani di venir con loro a battaglia.
Adunque nel dì 6 di giugno, benchè il re Luigi contraddicesse[1469],
i baroni napoletani con gran baldanza e pompa uscirono ed ordinarono
le loro schiere contra gli Ungheri; ma furono così ben ricevuti, che
presto andarono in rotta, e vi restarono prigionieri _Roberto di San
Severino, Raimondo del Balzo_, il _conte d'Armignacca_ e buona parte
de' principali nobili della città di Napoli. Per tal vittoria scorrendo
gli Ungheri sino alle porte della città, obbligarono que' cittadini a
ricomperar la loro vendemmia collo sborso di venti mila fiorini d'oro.
In questo piede erano gli affari di Napoli, mentre anche in altri
luoghi del regno continuava la guerra, ora prospera per gli uni ed ora
per gli altri.
Nel dì 24 di gennaio di quest'anno la morte troncò il corso alla vita
e all'ingrandimento, che tutto dì si facea maggiore, di _Luchino
Visconte_[1470]. La città di Milano gli era sommamente obbligata,
perchè magnificata oltre modo da lui in potenza, ricchezze ed impieghi
lucrosi, conservata in pace, e regolata non men essa che tutte l'altre
città a lui soggette con incorrotta giustizia. Se vogliamo stare
all'opinione di Giovanni da Bazzano[1471], egli morì di peste; ma
da altra cagione credettero altri proceduta la sua morte. Siccome
dicemmo all'anno 1347, _Isabella del Fiesco_ sua moglie, donna di
molta avvenenza, andò per cagion di voto, vero o finto, a San Marco
di Venezia. Questa libertà le diede campo di soddisfare alle sue
illecite voglie contra la fede maritale. Benvenuto Aliprando[1472] e
dopo lui Bartolomeo Platina nelle Storie di Mantova[1473], chiaramente
scrivono che essa invaghita di _Ugolino Gonzaga_, seco il condusse
a Venezia con familiarità detestabile; e perchè le dame e donne di
confidenza avrebbono potuto rivelare il segreto, ad esse ancora fu
dato agio di procacciarsi quella pastura che vollero. I malanni di
casa d'ordinario son gli ultimi a saperli i padroni e mariti, e Luchino
finalmente scoprì i proprii. Fanno i suddetti storici mantovani autore
dello scoprimento _Mastino dalla Scala_, il quale in questa maniera
attizzò lo sdegno di Luchino contra dei Gonzaghi. E certo s'egli vivea
più lungo tempo ne avrebbe procurato lo sterminio, come attesta il
Gazata[1474]. Ma non sussiste già che Luchino facesse imprigionar la
moglie, come asserisce il Platina. Secondo altri, accortasi ella essere
venuto il marito in cognizione de' suoi falli, s'affrettò a dargli il
veleno, per cui terminò i suoi giorni[1475]. Sembra nondimeno alquanto
inverisimile che la cagion della guerra contro ai Gonzaghi procedesse
da questo, perchè tanto tempo prima l'abbiam veduta incominciata,
nè intanto si scorge che Luchino facesse risentimento alcuno contra
della moglie. Pietro Azario[1476], scrittore contemporaneo, e ben
informato di quegli affari, confessa gli scandali accaduti nel divoto
pellegrinaggio d'Isabella del Fiesco e delle sue dame; ma perciocchè
l'amore e la tosse non si possono occultare, n'ebbe in fine contezza
il tradito Luchino. Gli scappò detto un dì di voler fare in breve
la maggior giustizia che mai avesse fatto in Milano. Rapportata alla
moglie questa parola, sospettò o s'accorse che la festa era preparata
per lei. L'Azario non volle dire di più, e terminò il racconto con quel
verso attribuito a Catone:
_Nam nulli tacuisse nocet. Nocet esse locutum._
Secondo lo stesso Azario, l'_arcivescovo Giovanni_ fece giurar fedeltà
a _Luchino Novello_ figliuolo del defunto suo fratello Luchino: il
che par difficile a credersi. _Bruzio_, figliuolo bastardo di Luchino,
che in addietro era stato il primo nobile della corte paterna, e come
secondo padrone di Milano, avea tiranneggiato massimamente Lodi,
della qual città era governatore (siccome persona, che dopo aver
molto applicato alle lettere, d'esse unicamente s'era poi servito
per commettere delle iniquità), se ne fuggì, e andò ramingo un pezzo,
finchè in una città de' Veneziani meschinamente morì. Succedette, se
pure non vogliam dire che continuò _Giovanni Visconte_ arcivescovo di
Milano nel dominio di Milano, Lodi, Piacenza, Borgo San Donnino, Parma,
Crema, Brescia, Bergamo, Novara, Como, Vercelli, Alba, Alessandria,
Tortona, Pontremoli ed altri luoghi in Piemonte. E benchè gli Astigiani
si fossero dati a Luchino solamente durante la di lui vita, pur volle
anch'egli la signoria di quella città. Una delle prime sue azioni
quella fu di richiamar dall'esilio i due suoi nipoti _Bernabò_ e
_Galeazzo_, figliuoli di Stefano suo fratello, che Luchino avea banditi
_propter opera ipsorum non bona_, siccome scrive il Gazata[1477].
Liberò ancora esso arcivescovo dalle carceri _Lodrisio Visconte_ suo
cugino[1478], imprigionato, allorchè fu sconfitto a Parabiago da _Azzo
Visconte_. Fece inoltre Giovanni arcivescovo sul fine d'aprile pace
coi _Gonzaghi_; ma fra essi Gonzaghi e _Mastino dalla Scala_ non cessò
la guerra. Ne' mesi di aprile e giugno l'esercito veronese, condotto
da _Cane Scaligero_ figliuolo di _Mastino_, venne a dare il guasto al
Mantovano, con lasciar dappertutto funesti segni dell'odio suo. Ed
essendosi poi quelle genti ritirate nel dì 3 d'agosto, l'armata de'
Mantovani, consistente in mille cavalli e gran quantità di fanteria,
passò sul Veronese per rendere la pariglia agli Scaligeri. Per
tradimento s'impadronirono del castello di Valezzo; ma sopraggiunto
_Alberto dalla Scala_ col suo sforzo, loro diede addosso, e li
sconfisse. Per un trattato che era con alcuni cittadini di Jesi[1479],
_Malatesta Unghero_, figliuolo di _Malatesta de' Malatesti_ signore di
Rimini, entrò con copia d'armati in quella città nel dì 10 di gennaio.
Allora messer _Uomo di santa Maria_, che n'era signore, colle milizie
sue e degli amici fece quanta difesa mai potè, e lungo fu il contrasto
dell'armi fra loro; ma in fine prevalse il Malatesta, e rimase
padrone della città. Nel dì primo di settembre[1480] (Matteo Villani
scrive[1481] nel dì 4 d'esso mese) un fierissimo tremuoto si fece udire
per la maggior parte d'Italia, e massimamente nella Puglia, dove le
città dell'Aquila e d'Ascoli ed altre terre patirono immenso danno.
Anche in Perugia precipitarono molte torri e case. E la terza parte del
tetto della basilica di S. Paolo fuori di Roma cadde con assai altre
chiese e fabbriche in Roma stessa. Dei danni patiti in Napoli, Aversa,
Monte Casino, San Germano, Sora ed altri luoghi parla Matteo Villani.
In questi tempi fiorivano _Bartolo da Sassoferrato_ e _Francesco
Petrarca_ Fiorentino, l'uno gran legista, e l'altro poeta celebre; e
cominciò anche a farsi conoscere _Giovanni Boccaccio_ da Certaldo. La
Sicilia era tutta sconvolta per due potenti fazioni insorte in quel
regno, giacchè il re era tuttavia di poca età ed incapace di governo,
e la morte gli avea rapito il valoroso suo zio, che col suo senno
avea tenuto in addietro que' popoli in freno; laonde infelicissima
divenne quell'isola, verificando il detto del Savio, che per lo più una
pensione della minorità de' regnanti sono i disordini.
NOTE:
[1464] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1465] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1466] Rafain., Chron. Venet., tom. 12 Rer. Ital.
[1467] Matteo Villani, lib. 12, cap. 35.
[1468] Dominicus de Gravina, tom. 12 Rer. Ital.
[1469] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1470] Petrus Azarius, Chron. Regiens., tom. 16 Rer. Ital.
[1471] Johann. de Bazano, Chron. Mutin., tom. 15 Rer. Ital.
[1472] Benven. Aliprando, Cronica di Mantova, tom. 5 Antiquit. Ital.
[1473] Platin., Hist. Mant., tom. 20 Rer. Ital.
[1474] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1475] Corio, Istoria di Milano.
[1476] Petrus Azarius, Chron. Regiens., tom. 16 Rer. Ital.
[1477] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.