Annali d'Italia, vol. 5 - 41
gli promisero quanto egli richiedeva. E però si videro fulminate
nuove censure contra del Bavaro, e si ordinò agli elettori di venire
ad una nuova elezione[1411], con avere il re di Francia comperati i
voti di alcuni a caro prezzo. Verso il fine di luglio fu eletto dalla
maggior parte d'essi elettori in re de' Romani il suddetto principe,
che fu poi appellato _Carlo IV_ fra gl'imperadori. E giacchè non gli
fu permesso di ricevere la corona in Aquisgrana, la coronazione sua
seguì nella città di Boemia nel dì 25 di novembre. Fiera discordia
nacque in Germania per questa elezione. I più la tenevano per invalida,
e chiamavano Carlo l'_imperadore de' preti_. E perciocchè in questi
tempi a' dì 24 d'agosto[1412] nella sanguinosissima battaglia accaduta
a Cresci fra le armate di _Filippo re_ di Francia e di _Odoardo re_
d'Inghilterra, colla totale sconfitta della prima, restò trucidato con
altri gran signori _Giovanni re di Boemia_, che era ito in soccorso
del re di Francia suo gran protettore, non mancarono gli aderenti del
Bavaro, secondo l'uso dei ciechi mortali, di attribuire la di lui
morte all'essersi egli ribellato contro il sovrano, cioè contro la
casa di Baviera. Ma nell'anno venturo noi vedremo quetato lo scisma
insorto fra questi due pretendenti alla corona imperiale. Per la morte
da noi sopra narrata di _Andrea_, destinato re di Napoli, seguitò
maggiormente a scompigliarsi quel regno. Chi teneva, siccome dissi,
per innocente, e chi per colpevole la _regina Giovanna_ di sì enorme
assassinio, e chi era per lei, e chi contra di lei. Già si disponeva
_Lodovico re_ di _Ungheria_ a calare in Italia, non tanto per desio di
vendicare la morte obbrobriosa del fratello, quanto per isperanza di
far suo il regno di Napoli. Non dormì già in tanto sconvolgimento di
cose _Lodovico_ giovane _re di Sicilia_, o, per dir meglio, il tutore
suo zio. La città o terra di Milazzo, già occupata in quest'isola
dal _re Roberto_, ubbidiva tuttavia alla regina Giovanna. Andò ad
assediarla l'esercito siciliano; e perchè non correano le paghe, a
cagione dei suddetti disordini, quel presidio con patti onorevoli
rendè la terra. Tentò ancora il re unghero di far lega col siciliano
contra della regina Giovanna; ma perchè l'Aragonese faceva istanza che
restasse affatto libera la Sicilia dalle pretensioni dei re di Napoli,
non seguì per ora accordo alcuno fra essi. Continuando i Veneziani
l'assedio della ribellata Zara con istrage vicendevole di gente[1413],
quel popolo, piuttostochè ricorrere alla misericordia, volle darsi a
Lodovico re d'Ungheria, e gli spedì ambasciatori per questo. Di buon
cuore accettò questi l'offerta, e con un formidabile esercito venne al
loro soccorso nel mese di giugno. Molti furono gli assalti dati alle
bastie de' Veneziani, ma senza frutto. Finalmente in campagna aperta
nel di primo di luglio si venne ad un fatto d'armi, che riuscì glorioso
per l'esercito veneto. Il perchè il re unghero, o perchè scorgesse
l'impossibilità di vincere contro gente così valorosa ed ostinata nel
proposito suo, oppure perchè maggiormente gli stesse a cuore l'impresa
del regno di Napoli, con poco onore ricondusse a casa le immense sue
soldatesche, molto nondimeno scemate. Allora fu che gli Zarattini,
vedendo fallita ogni loro speranza, implorarono il perdono, che dai
saggi Veneziani non fu loro negato; e così tornò quella città alla lor
divozione, dopo avervi (dicono i Cortusi[1414]) impiegata la somma d'un
milione per riacquistarla.
Sul fine del carnovale, essendo spirata la tregua fra i Gonzaghi
signori di Mantova e Reggio, e gli Scaligeri signori di Verona e di
Vicenza, _Alberto dalla Scala_ coll'esercito suo corse depredando sino
alle porte di Mantova[1415]. _Obizzo marchese_ d'Este anche egli fece
vigorosa guerra ad essi Gonzaghi dalla parte di Modena. Ma siccome
egli trasse a ribellione i Manfredi e Roberti nobili di Reggio, così
ancora i Gonzaghi ebbero maniera d'indurre a ribellarsi al marchese
le castella di Gorzano e di San Felice. Presero ancora la terra di
Cuvriago, e fecero gran danno al Parmigiano. Cogli aiuti di Mastino
dalla Scala avea il marchese Obizzo unito un potente esercito di circa
cinque mila cavalli, oltre alla numerosa fanteria, con disegno di
vettovagliare la città di Parma, o di dar battaglia ai nemici, se si
presentava l'occasione; e a questo fine fece marciar la sua gente nel
dì 25 di luglio sul Reggiano. Ma da lì a pochi giorni Mastino dalla
Scala richiamò dodici bandiere di gente d'armi tedesca dallo esercito
del marchese, per mandarle in aiuto di Luchino Visconte. Venne con ciò
a scoprirsi che era seguita una segreta concordia fra gli Scaligeri
e il Visconte, contro ai patti della lega. Questo inaspettato colpo
fece allora prendere altre misure al marchese, il quale, conoscendosi
abbandonato e tradito dagli amici, e scorgendo la troppa difficoltà
di poter sostenere Parma, città con cui non comunicavano i suoi
Stati, ed attorniata da potenti nemici, cioè dal Visconte signore di
Cremona, Borgo San Donnino e Piacenza, oltre ad altre città, e dai
Gonzaghi signori di Mantova e Reggio: cominciò a trattar segretamente
di una onorevol concordia collo stesso _Luchino Visconte_, giacchè
egli era il sostenitor de' Gonzaghi, e facea l'amore a Parma, ma
senza mostrare di farlo. Accadde che in questi tempi _Isabella del
Fiesco_, moglie di esso Luchino, la quale finora niun maschio gli avea
partorito, diede alla luce in un parto due figliuoli con indicibile
allegrezza del marito e dei Milanesi[1416]. Si mosse dunque da Ferrara
il marchese Obizzo, accompagnato da _Ostasio da Polenta_ signore
di Ravenna, e da molta nobiltà, nel dì 7 di settembre[1417], e per
la strada di Verona arrivò alla terra di Novato sul Bresciano, dove
furono ad incontrarlo _Matteo Visconte_ e _Bruzio_ figliuolo naturale
di Luchino, che gli fecero molto onore. Fu ad incontrarlo a Cassano
_Giovanni Visconte arcivescovo_ di Milano, che l'accompagnò fino alla
città, dove, alloggiato nel palazzo d'esso arcivescovo, ricevè da lui
e da Luchino quante finezze e carezze egli seppe desiderare. Fecesi
con gran pompa il battesimo dei due figliuoli di Luchino, al primo
dei quali fu posto il nome di _Luchino Novello_: e li tennero al
sacro fonte esso _marchese Obizzo, Giovanni marchese di Monferrato,
Castellano da Beccheria_ signor di Pavia, ed _Ostasio da Polenta_,
onorevoli doni fecero ai fanciulli e alla madre. Allora fu che il
marchese Obizzo cedette a Luchino Visconte la città di Parma[1418] con
essere rimborsato da lui del danaro speso in acquistarla da Azzo da
Correggio. Ebbero occasion di piagnere i Parmigiani, avendo cambiato un
placido padrone in un asprissimo, che non tardò a spogliar di tutte le
loro fortezze que' nobili. Partissi poi da Milano il marchese Obizzo
nel dì 26 di settembre; e, giunto che fu a Ferrara, tanto si adoperò
presso di lui Mastino dalla Scala assistito da un ambasciatore di
Luchino Visconte, che lo indusse nel dì 27 d'ottobre a pacificarsi coi
Gonzaghi, e la pace fu solennemente stipulata dipoi in Modena nel dì 12
di dicembre.
Colla giunta di Parma crebbe non poco la potenza dei due fratelli
Visconti _Luchino_ e _Giovanni_. Ma si dee aggiugnere ch'egli ebbe
in varii tempi anche la signoria d'Asti, città potente ne' secoli
andati[1419]. Perchè la nobil casa dei Soleri, di fazione guelfa,
possedendo ventiquattro castella ed altre fortezze, voleva padroneggiar
troppo in quella città, i Ghibellini, cioè i Gottuari, Isnardi e
Turchi, chiamarono _Giovanni marchese_ di Monferrato, e gli diedero
il dominio della città sotto certi patti. Scacciati di colà i Soleri,
gran guerra cominciarono contra dei cittadini coll'aiuto delle terre
del Piemonte spettanti al _re Roberto_. Però quel popolo invitò a
quella signoria (non so dirne l'anno preciso) _Luchino Visconte_, il
qual poscia distrusse tutte le famiglie de' Soleri, con ridurli a non
possedere un palmo di terreno sull'Astigiano. Nè qui si ristrinse
l'industria e fortuna di Luchino. Acquistò anche Bobbio, Tortona
nell'anno seguente, ed Alessandria, non so quando. Tolse al re Roberto,
oppure alla _regina Giovanna_, nel seguente anno la città d'Alba,
Cherasco, ed altre terre sino a Vinaglio e all'Alpi; e parimente
nell'anno presente gli fu data la signoria, ossia l'alto dominio della
Lunigiana[1420]. Se fosse sopravvivuto più, non restava probabilmente
terra in Piemonte che non venisse alle sue mani. Di questo passo
camminava ad un sì alto ingrandimento la casa dei Visconti, con
far gran paura ad ogni vicino. Eppure andò essa dipoi tanto più
oltre, siccome vedremo. A petizione di _Lodovico re_ d'Ungheria in
quest'anno[1421] _Niccolò Gaetano conte_ di Fondi, nipote del fu papa
_Bonifazio VIII_, cominciò la guerra contro la _regina Giovanna_ nella
Campania, coll'impadronirsi di Terracina e del castello d'Itri presso
Gaeta. La stessa città di Gaeta sollevatasi, non volle più ubbidire
alla regina. Io non so come Giorgio Stella racconti sì diversamente
questa faccenda, con dire[1422] che, giunta a Terracina l'armata
navale dei Genovesi, composta di ventinove galee, comandata da Simone
Vignoso, a forza d'armi fece ritirare da quell'assedio il conte di
Fondi; essersi il popolo di Terracina sottomesso al dominio del comune
di Genova; ed aver essi Genovesi cacciato da Sessa il suddetto conte,
il qual dianzi avea tolta quella città alla regina Giovanna. Scrive
inoltre lo Stella, avere la flotta genovese continuato il suo viaggio
in Levante, ed interrotti i disegni del delfino di Vienna, arrivato coi
crocesignati in quelle parti, giacchè i Genovesi pensavano solamente
al proprio vantaggio, e non a secondare i desiderii del papa e le
mire della crociata. Poscia nel dì 16 di giugno, sbarcati nell'isola
di Scio, impresero l'assedio di quel castello, e lo costrinsero alla
resa nel dì 5 di settembre: con che tutta quell'isola cominciò ad
ubbidire a' Genovesi. Impadronironsi ancora di Foglia vecchia e di
Foglia nuova, e maggiori progressi ancora avrebbero fatto, se la ciurma
delle galere, mossa a sedizione, non avesse fatto svanire altre loro
idee. Fu in questo anno un'estrema carestia per quasi tutta l'Italia,
e maggiormente questa inasprì nell'anno seguente, per essere andati a
male i raccolti a cagion delle dirotte pioggie.
NOTE:
[1411] Albertus Argent., Chron.
[1412] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 66.
[1413] Chron. Estens., tom. 15 Rer. Ital. Johannes de Baiano, Chron.
Mutinens., tom. eod.
[1414] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1415] Chron. Estense.
[1416] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1417] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1418] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1419] Petrus Azarius, Chron., cap. 9, tom. 16 Rer. Italic.
[1420] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1421] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 73.
Anno di CRISTO MCCCXLVII. Indiz. XV.
CLEMENTE VI papa 6.
CARLO IV re de' Romani 2.
Divenuto già re de' Romani e re di Boemia _Carlo_ figliuolo del fu
_re Giovanni_, perchè pretendeva il contado del Tirolo, che gli
era contrastato da _Lodovico il Bavaro_ e da _Lodovico marchese_
di Brandeburgo suo figliuolo, venne in abito di pellegrino a Trento
con isperanza di ridurre alla sua ubbidienza quel paese[1423]. Non
gli mancò d'assistenza papa _Clemente VI_, perciocchè mosse con
premurose lettere _Luchino Visconte, Mastino dalla Scala_, il patriarca
d'Aquileia e i signori di Mantova a prestargli aiuto; ed ognuno in
fatti spedì colà un gagliardo rinforzo di cavalleria e fanteria. Se
gli diede il popolo di Trento, ed egli nel dì 27 di marzo assistè alla
messa in quel duomo in abito imperiale. Impadronissi ancora di Feltro
e di Belluno. Essendo poi passato all'assedio di Marano nel Tirolo,
eccoli sopravvenire il marchese di Brandeburgo con forze superiori di
armati, che gli diede una rotta, e il fece fuggire a Trento. Ma si mutò
in questo anno faccia alle cose; imperciocchè trovandosi _Lodovico
il Bavaro_ alla caccia nel dì 11 di ottobre[1424], sorpreso da un
colpo d'apoplessia e caduto da cavallo, spirò l'anima sua. V'ha chi
dice esser egli morto con segni di penitenza, lo niegano altri; ma è
fuor di dubbio che da niun sacerdote ebbe l'assoluzion de' peccati
e delle censure[1425], portando al mondo di là una pesante soma di
colpe principesche e private. La morte sua fu la vita di _Carlo IV
re_ dei Romani, perchè i suoi affari cominciarono immediatamente
a prosperare, con riconoscerlo per re molti principi e non poche
città della Germania, quantunque non mancassero altri che passarono
all'elezione di _Odoardo re_ d'Inghilterra, poi di _Federigo marchese_
di Misnia, e poi di _Guntero conte_ di Suarzemburgo. Con danari seppe
il re Carlo indurre i due ultimi a non accettare, o a rinunziare
l'esibita corona. Per lo contrario, in Italia si aprì un nuovo teatro
di calamità a cagione di _Lodovico re_ d'Ungheria, ansante di vendicar
la morte ignominiosa del fratello _Andrea_, ma più di conquistare il
regno di Napoli, al qual fine determinò di passare egli in persona in
Italia. Spedì innanzi i suoi ambasciatori, per aver libero il passo
da' principi italiani; e questi, giunti a Ferrara nel dì 24 d'aprile,
ebbero buon accoglimento dal _marchese Obizzo_ d'Este. Continuato
poscia il lor viaggio, arrivarono ai confini del regno, e cominciarono
dei maneggi per muovere a ribellione que' popoli. Certo è che, a
papa _Clemente VI_ non piaceva che un sì potente principe venisse a
piantar il piede nel regno di Napoli. Oltre di che, a cagione del suo
soggiorno in Provenza, terra della _regina Giovanna_, pendeva più a
favorir questa che quello. Intanto essa regina nel dì 20 d'agosto sposò
_Luigi principe_ di Taranto, uno de' Reali[1426]: matrimonio in que'
tempi disapprovato dagli zelanti cristiani. Alcuni credono ch'ella fin
d'allora ne ottenesse la dispensa dal pontefice. Il Rinaldi meritamente
la riferisce all'anno seguente. Accordossi ancora la regina Giovanna
con _Lodovico re di Sicilia_, cedendo ad ogni pretensione sua sopra
quell'isola, con patto che egli, in occasione di guerra, dovesse
mantenere al di lei servigio quindici galee. Mancò ad un tale accordo
l'approvazione del papa, diretto padrone della Sicilia.
Gran voglia aveva _Isabella del Fiesco_, moglie di _Luchino Visconte_,
di veder la rara e magnifica città di Venezia. Però pubblicò in
quest'anno un voto da lei fatto, allorchè fu per partorire nell'anno
addietro i due suoi gemelli, di visitare la basilica di San Marco
in quella città. L'addolciato marito non potè negarle il contento
di adempiere così santa divozione, e le formò uno splendidissimo
corteggio della primaria nobiltà delle sue città. Nella Cronica
Estense[1427] si veggono annoverati tutti i nobili scelti da Milano,
Tortona, Alessandria, Cremona, Brescia, Vercelli, Lodi, Novara,
Asti, Como, Bergamo, Piacenza e Parma, ed anche da Pavia, siccome
ancora le nobili donne destinate ad accompagnarla, oltre ai paggi,
staffieri e alla prodigiosa minor famiglia[1428]. Per una regina non
si poteva far di più. Si mosse ella da Milano nel giorno 29 d'aprile,
e grandi onori ricevè in Verona da _Alberto_ e _Mastino dalla Scala_;
grandi in Padova da _Jacopo da Carrara_; maggiori poi in Venezia da
quella splendida repubblica. Soddisfatto che ebbe in Venezia alla sua
divozione, e veduta la celebre funzione dell'Ascensione, se ne tornò
per Padova, Verona e Mantova a Milano. Dove andasse poi a terminare
questo sì divoto pellegrinaggio, non istaremo molto a vederlo. Una
scena curiosa, cominciata nell'anno addietro in Roma, maggiore comparsa
fece nel presente[1429]. Per la lontananza de' papi era divenuta quella
mirabil metropoli un bosco d'ingiustizia; ognun facea a suo modo;
discordi erano i due senatori, l'uno di casa Colonna, e l'altro di casa
Orsina, con due diverse fazioni; le entrate del papa e del pubblico
divorate; le strade piene di ladri, di modo che più non s'attentavano
i pellegrini di portarsi colà alla visita dei santi luoghi. Si alzò
su un giorno, e fece popolo un certo della feccia del volgo, cioè
Niccolò figliuolo di Lorenzo Tavernaro, appellato volgarmente _Cola
di Rienzo_, giunto col suo studio ad essere notaio. Costui era uomo
fantastico; dall'un canto facea la figura di eroe, dall'altro di pazzo.
Soprattutto gli stava bene la lingua in bocca. Tanto declamò contro ai
disordini di Roma e alle prepotenze de' grandi, che indusse di popolo
a consentirgli il titolo e la balìa di tribuno. Ciò gli bastò per
cacciare di Campidoglio i senatori, e per farsi signore di Roma[1430],
con intitolarsi pomposamente: _Nicola, severo e clemente, liberator
di Roma, zelante del bene dell'Italia, amatore del mondo e tribuno
augusto_. Formò poscia de' magistrati, mettendovi degli uomini di
merito; fece giustiziar varii capi di fazione, che mantenevano quantità
di masnadieri, e assassinavano alle strade; intimò il bando ai grandi,
che solevano farla da prepotenti, se non giuravano sommessione al buon
governo, di maniera che, fuggiti i malviventi, in breve mise in quiete
la città, e si potea portar per le strade l'oro in mano. Gli venne in
testa il capriccioso disegno non solamente di riformare Roma, ma di
rimettere anche in libertà l'Italia tutta, con formare una repubblica,
di cui fosse capo Roma, come fu ne' secoli antichi. Scrisse perciò
lettere di gran magniloquenza a tutti i principi e alle città italiane,
e trovò chi prestò fede ai suoi vanti. Spedì loro degli ambasciatori,
e rispose alle lettere dei principi con graziose esibizioni: cotanto
credito s'era egli acquistato col rigore della giustizia. I Perugini,
gli Aretini ed altri si diedero a lui. In somma chi facea plauso
a queste novità, e chi ne rideva. Da Francesco Petrarca, insigne
poeta d'allora, fra gli altri, fu scritta in sua lode una suntuosa
canzone[1431], che tuttavia si legge, credendosi egli che veramente
questo uomo avesse a risuscitar la gloria di Roma e dell'Italia. Ma
altro ci volea a così vasta impresa che un cervello sì irregolare e
mancante di forze. Perchè il popolo di Viterbo gli negava ubbidienza,
si mise Cola in ordine nell'anno presente, per far guerra a quella
città; e l'avrebbe fatta, se Giovanni da Vico prefetto e signor di
Viterbo non si fosse sottomesso con rendergli varie rocche. Andò poi
tanto innanzi la bestialità d'esso tribuno, che con gran solennità si
fece far cavaliere[1432], e si bagnò nella conca di porfido, dove i
secoli barbari s'immaginarono che fosse stato battezzato l'imperador
Costantino il Grande, e si fece coronar con varie corone. Poscia citò
_papa Clemente VI_ e i cardinali che venissero a Roma. Citò anche
_Lodovico il Bavaro_ non per anche defunto, e _Carlo di Boemia_,
e gli elettori a comparire e ad allegar le ragioni, per le quali
pretendevano allo imperio. Finora avea egli rispettato il papa; si
mise in fine sotto i piedi ogni riguardo anche verso di lui e de' suoi
ministri; e però non potè più stare alle mosse il vicario pontificio,
e proruppe in proteste, delle quali niun conto fu fatto, dicendo il
vanaglorioso Cola di far tutto per ordine dello Spirito Santo, del
quale pubblicamente s'intitolava _candidato_. Non potevano digerire i
Colonnesi, gli Orsini, i Savelli ed altri grandi romani tanto sprezzo,
o, per dir meglio, strapazzo che facea di loro il tribuno, giacchè
avea fatto imprigionarne i principali, ed annunziata loro anche la
morte; se non che si placò, e li rimise in libertà. Eglino dunque con
grosse squadre di cavalli e fanti nel dì 20 di quest'anno vennero alla
porta di San Lorenzo con disegno d'entrare in Roma, e d'insegnar le
creanze al tribuno. Ma egli, messo in armi il popolo, con tal empito
il fece uscire contra di loro, che li mise in isconfitta, colla morte
di _Stefano, Giovanni_ e _Pietro dalla Colonna_, e d'altri nobili e
di molti delle loro masnade. Salì per questo in alto la gloria e la
riputazione di Cola.
Era già riuscito ai ministri o partigiani di _Lodovico re_ d'Ungheria
di muovere a ribellione contra della _regina Giovanna_ l'Aquila, città
benchè nata a tempi di Federigo II Augusto, pure pervenuta da lì non
molto ad un'ampia popolazione e potenza[1433]. Erano in discordia i
Reali di Napoli; ma cotante promesse furono fatte a _Carlo duca_ di
Durazzo, che s'indusse a prendere il baston del comando per procedere
contro degli Aquilani. Tenne egli coll'esercito suo assediata per
tre mesi, ma indarno, quella città. Intanto venuto in Italia il
vescovo di Cinque Chiese con ducento nobili ungheri ben in arnese e
con danaro assai, assoldò molta gente nella Romagna e nella Marca;
ebbe non pochi aiuti da _Ugolino de' Trinci_ signor di Foligno e
dai _Malatesti_ signori di Rimini, e con circa mille uomini d'armi e
numerosa fanteria andò ad unirsi con altri mille cavalli e fanti, già
assoldati nell'Abbruzzo per parte del re Lodovico d'Ungheria. Il timore
di quest'armata fece sloggiare di sotto l'Aquila gli assediatori;
e tanto più perchè succeduto nel medesimo tempo il matrimonio della
regina con _Luigi principe_ di Taranto, il duca di Durazzo deluso e mal
soddisfatto non volle più guerreggiar contra degli Ungheri. Seppero ben
prevalersi di tal discordia i capitani del re Lodovico; perchè, posto
l'assedio alla città di Sulmona, senza che alcuno ne tentasse giammai
il soccorso, se ne impadronirono nel mese di ottobre, continuando
poi le lor conquiste sino a Venafro, Tiano e Sarno. Arrivò nel mese
di novembre _Lodovico re_ d'Ungheria nel Friuli ad Udine, senza che
sicuramente si raccolga dagli scrittori ch'egli menasse con seco un
esercito potente. Forse non avea più di mille cavalli. Perchè era in
collera coi Veneziani, non accettò il loro invito[1434]. Onorevolmente
ricevuto a Cittadella da _Jacopo da Carrara_ signore di Padova, sul
principio di dicembre passò a Vicenza e Verona, dove _Alberto_ e
_Mastino dalla Scala_ splendidamente il trattarono, con dargli ancora
trecento de' loro cavalieri, acciocchè lo accompagnassero a Napoli.
Per Ostiglia venuto a Modena, fu incontrato con tutto onore da _Obizzo
marchese_ d'Este, che non fu da meno degli altri in fargli un nobile
trattamento. Fuorchè in Imola e Faenza, dove il conte della Romagna pel
papa nol lasciò entrare, ricevè somme finezze dappertutto dove passò,
in Bologna dai _Pepoli_, in Forlì dagli _Ordelaffi_, in Rimini dai
_Malatesti_, in Foligno dai _Trinci_. Con trecento cavalieri il seguitò
pel viaggio _Francesco degli Ordelaffi_. Ma essendosegli presentato in
Foligno il legato del papa per intimargli sotto pena di scomunica di
non far da padrone nel regno di Napoli senza l'assenso del papa, il re,
che già toccava con mano la pretension del pontefice in favore della
regina Giovanna, gli rispose assai bruscamente che il regno era suo per
successione dei suoi maggiori; che risponderebbe alla Chiesa pel feudo;
e che della scomunica non curava, perchè sarebbe patentemente ingiusta.
Arrivò poscia questo principe all'Aquila nella vigilia di Natale,
e quivi attese ai preparamenti per condurre a fine l'incominciata
impresa.
Nel ritornare nell'anno addietro _Ostasio da Polenta_ signor di Ravenna
da Milano in compagnia di _Obizzo marchese_ d'Este, nella terra di
Trezzo rimase come morto una notte a cagione del fumo di carbone acceso
nella sua camera dai famigli, perchè facea freddo. Portato a Ravenna
così malconcio, terminò i suoi giorni nel dì 14 di novembre[1435], e
gli succederono nel dominio di Ravenna _Bernardino_ suo figliuolo, e
in quello di Cervia _Pandolfo_ altro suo figliuolo. _Lamberto_, terzo
de' figliuoli, nulla possedeva. Di questo partaggio non erano contenti
i due ultimi fratelli, e però pensarono ad un tradimento. Nel dì 5
d'aprile spedirono a Ravenna un messo a Bernardino, notificandogli, che
essendo caduto gravemente infermo Pandolfo, se volea vederlo vivo, non
tardasse a venire. Venne Bernardino, e, preso, fu posto in una dura
prigione. Nella notte cavalcò Pandolfo a Ravenna con molti armati, e
fatto esporre alle guardie della porta da un cortigiano guadagnato di
Bernardino, di essere venuto a prendere de' medicamenti necessarii
al finto infermo, gli fu permessa l'entrata in città. S'impadronì
Pandolfo di essa senza fatica; ma, interpostosi poi _Malatesta_ signor
di Rimini, nel dì 24 di giugno _Bernardino_ fu liberato dalle prigioni
di Cervia, e in Ravenna si conchiuse pace coi fratelli. Ma di questa
si dimenticò ben presto esso Bernardino, e ricordevole solamente
dell'oltraggio patito, sotto pretesto che _Pandolfo_ e _Lamberto_
macchinassero contro la sua vita, nel dì 7 di settembre[1436] fece
loro mettere le mani addosso, e gl'imprigionò, prendendo in sè
tutto il dominio di Ravenna e poi di Cervia. Lasciarono poscia la
vita i suddetti col tempo nelle carceri d'essa Cervia. Nel dì 29 di
settembre _Taddeo de' Pepoli_ signor di Bologna compiè il corso di
sua vita[1437], e concordemente da quel popolo fu data la signoria
della città a _Giovanni_ e _Giacopo_ figliuoli di esso Taddeo. Poco
durò il bizzarro governo di _Cola di Rienzo_ in Roma. Dopo la vittoria
riportata, di cui si è favellato di sopra, gli si erano maggiormente
esaltati i fumi alla testa, e tiranneggiando cominciò a perdere l'amore
del popolo. Contra di lui soffiava forte il legato del papa, e più i
grandi fuorusciti. Mandò ben Cola le sue genti all'assedio del castello
di Marino de' Colonnesi, ma nulla ne profittò[1438]. Ora nel dì 15 di
dicembre di quest'anno (e non già nel marzo del susseguente, come ha il
Gazata[1439]) _Giovanni Pipino_ conte di Altamura e Minerbino, bandito
dal regno di Napoli siccome uomo intrigante e masnadiere, o per suoi
particolari disgusti o disegni, oppure a sommossa del legato apostolico
e de' nobili, fece una sollevazione in Roma contra del tribuno, laonde
si diede campana a martello, e si asserragliarono le strade. Quantunque
non accorressero in aiuto del tribuno gli Orsini e il popolo, come egli
sperava, pure egli era provveduto di tali forze che facilmente avrebbe
potuto sconfiggere chiunque se gli opponeva. Ma appena fu messa in
rotta una delle sue bandiere, che siccome uomo vile e codardo, senza
fare ulterior resistenza, si ritirò in castello Sant'Angelo, e poi
travestito da frate se ne fuggì, allorchè passò il re d'Ungheria alla
volta dell'Aquila. Nel dì 17 entrò in Roma Stefanuccio dalla Colonna,
ed, aboliti gli atti del tribuno, a riserva delle paci fatte, rimise
quella città all'ubbidienza del papa, e furono poi creati tre senatori,
un colonnese, un orsino e il legato pontificio. Cola di Rienzo,
divenuto mendico e screditato, si ridusse poi alla corte di _Carlo IV
re_ de' Romani, e, col racconto di varie rivelazioni e promesse di gran
cose, cominciò la tela di un'altra fortuna; ma informatone il papa,
volle nelle mani questo ciarlatano, e il tenne poi per molto tempo
incarcerato in Avignone. In due fazioni era ne' tempi correnti divisa
la città di Pisa, cioè nei Raspanti e Bergolini[1440]. Nel dì 24 di
dicembre si sollevarono i Bergolini, cioè i Gambacorti, gli Agitati
ed altri contra dei Raspanti, che comandavano allora a bacchetta,
e riuscì loro d'abbattere e scacciare Dino della Rocca, capo d'essa
fazione, co' suoi aderenti, e di prendere il dominio della terra: e
qui cominciò l'ascendente della famiglia Gambacorta. Secondo la Cronica
Estense[1441], in quest'anno _Luchino Visconte_ coll'aiuto di _Giovanni
marchese_ di Monferrato acquistò le città di Tortona e d'Alba. Anche
il marchese guadagnò per sè la terra di Valenza[1442]. E perciocchè
i continuati progressi di Luchino in Piemonte non potevano piacere
al _conte di Savoia Amedeo VI_, nè a _Jacopo di Savoia_ principe
della Morea, questi si collegarono col duca di Borgogna e col conte
di Ginevra contra di Luchino e del marchese di Monferrato. Guerra fu
fatta, e nel mese di luglio si venne ad un crudele combattimento, in
cui perì dall'una parte e dall'altra gran copia d'uomini e di cavalli;
ma in fine se ne andò sconfitto il marchese di Monferrato. Di questo
fatto d'armi non ebbero notizia nè Benvenuto da San Giorgio, nè il
Guichenone nella Storia della real casa di Savoia.
NOTE:
[1422] Georg. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1423] Chron. Estense, tom. 15 Rer Italic. Giovanni Villani, lib. 11,
cap. 84.
[1424] Albert. Argentin., Chron. Rebdorf., Annal.
[1425] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1426] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 98.
nuove censure contra del Bavaro, e si ordinò agli elettori di venire
ad una nuova elezione[1411], con avere il re di Francia comperati i
voti di alcuni a caro prezzo. Verso il fine di luglio fu eletto dalla
maggior parte d'essi elettori in re de' Romani il suddetto principe,
che fu poi appellato _Carlo IV_ fra gl'imperadori. E giacchè non gli
fu permesso di ricevere la corona in Aquisgrana, la coronazione sua
seguì nella città di Boemia nel dì 25 di novembre. Fiera discordia
nacque in Germania per questa elezione. I più la tenevano per invalida,
e chiamavano Carlo l'_imperadore de' preti_. E perciocchè in questi
tempi a' dì 24 d'agosto[1412] nella sanguinosissima battaglia accaduta
a Cresci fra le armate di _Filippo re_ di Francia e di _Odoardo re_
d'Inghilterra, colla totale sconfitta della prima, restò trucidato con
altri gran signori _Giovanni re di Boemia_, che era ito in soccorso
del re di Francia suo gran protettore, non mancarono gli aderenti del
Bavaro, secondo l'uso dei ciechi mortali, di attribuire la di lui
morte all'essersi egli ribellato contro il sovrano, cioè contro la
casa di Baviera. Ma nell'anno venturo noi vedremo quetato lo scisma
insorto fra questi due pretendenti alla corona imperiale. Per la morte
da noi sopra narrata di _Andrea_, destinato re di Napoli, seguitò
maggiormente a scompigliarsi quel regno. Chi teneva, siccome dissi,
per innocente, e chi per colpevole la _regina Giovanna_ di sì enorme
assassinio, e chi era per lei, e chi contra di lei. Già si disponeva
_Lodovico re_ di _Ungheria_ a calare in Italia, non tanto per desio di
vendicare la morte obbrobriosa del fratello, quanto per isperanza di
far suo il regno di Napoli. Non dormì già in tanto sconvolgimento di
cose _Lodovico_ giovane _re di Sicilia_, o, per dir meglio, il tutore
suo zio. La città o terra di Milazzo, già occupata in quest'isola
dal _re Roberto_, ubbidiva tuttavia alla regina Giovanna. Andò ad
assediarla l'esercito siciliano; e perchè non correano le paghe, a
cagione dei suddetti disordini, quel presidio con patti onorevoli
rendè la terra. Tentò ancora il re unghero di far lega col siciliano
contra della regina Giovanna; ma perchè l'Aragonese faceva istanza che
restasse affatto libera la Sicilia dalle pretensioni dei re di Napoli,
non seguì per ora accordo alcuno fra essi. Continuando i Veneziani
l'assedio della ribellata Zara con istrage vicendevole di gente[1413],
quel popolo, piuttostochè ricorrere alla misericordia, volle darsi a
Lodovico re d'Ungheria, e gli spedì ambasciatori per questo. Di buon
cuore accettò questi l'offerta, e con un formidabile esercito venne al
loro soccorso nel mese di giugno. Molti furono gli assalti dati alle
bastie de' Veneziani, ma senza frutto. Finalmente in campagna aperta
nel di primo di luglio si venne ad un fatto d'armi, che riuscì glorioso
per l'esercito veneto. Il perchè il re unghero, o perchè scorgesse
l'impossibilità di vincere contro gente così valorosa ed ostinata nel
proposito suo, oppure perchè maggiormente gli stesse a cuore l'impresa
del regno di Napoli, con poco onore ricondusse a casa le immense sue
soldatesche, molto nondimeno scemate. Allora fu che gli Zarattini,
vedendo fallita ogni loro speranza, implorarono il perdono, che dai
saggi Veneziani non fu loro negato; e così tornò quella città alla lor
divozione, dopo avervi (dicono i Cortusi[1414]) impiegata la somma d'un
milione per riacquistarla.
Sul fine del carnovale, essendo spirata la tregua fra i Gonzaghi
signori di Mantova e Reggio, e gli Scaligeri signori di Verona e di
Vicenza, _Alberto dalla Scala_ coll'esercito suo corse depredando sino
alle porte di Mantova[1415]. _Obizzo marchese_ d'Este anche egli fece
vigorosa guerra ad essi Gonzaghi dalla parte di Modena. Ma siccome
egli trasse a ribellione i Manfredi e Roberti nobili di Reggio, così
ancora i Gonzaghi ebbero maniera d'indurre a ribellarsi al marchese
le castella di Gorzano e di San Felice. Presero ancora la terra di
Cuvriago, e fecero gran danno al Parmigiano. Cogli aiuti di Mastino
dalla Scala avea il marchese Obizzo unito un potente esercito di circa
cinque mila cavalli, oltre alla numerosa fanteria, con disegno di
vettovagliare la città di Parma, o di dar battaglia ai nemici, se si
presentava l'occasione; e a questo fine fece marciar la sua gente nel
dì 25 di luglio sul Reggiano. Ma da lì a pochi giorni Mastino dalla
Scala richiamò dodici bandiere di gente d'armi tedesca dallo esercito
del marchese, per mandarle in aiuto di Luchino Visconte. Venne con ciò
a scoprirsi che era seguita una segreta concordia fra gli Scaligeri
e il Visconte, contro ai patti della lega. Questo inaspettato colpo
fece allora prendere altre misure al marchese, il quale, conoscendosi
abbandonato e tradito dagli amici, e scorgendo la troppa difficoltà
di poter sostenere Parma, città con cui non comunicavano i suoi
Stati, ed attorniata da potenti nemici, cioè dal Visconte signore di
Cremona, Borgo San Donnino e Piacenza, oltre ad altre città, e dai
Gonzaghi signori di Mantova e Reggio: cominciò a trattar segretamente
di una onorevol concordia collo stesso _Luchino Visconte_, giacchè
egli era il sostenitor de' Gonzaghi, e facea l'amore a Parma, ma
senza mostrare di farlo. Accadde che in questi tempi _Isabella del
Fiesco_, moglie di esso Luchino, la quale finora niun maschio gli avea
partorito, diede alla luce in un parto due figliuoli con indicibile
allegrezza del marito e dei Milanesi[1416]. Si mosse dunque da Ferrara
il marchese Obizzo, accompagnato da _Ostasio da Polenta_ signore
di Ravenna, e da molta nobiltà, nel dì 7 di settembre[1417], e per
la strada di Verona arrivò alla terra di Novato sul Bresciano, dove
furono ad incontrarlo _Matteo Visconte_ e _Bruzio_ figliuolo naturale
di Luchino, che gli fecero molto onore. Fu ad incontrarlo a Cassano
_Giovanni Visconte arcivescovo_ di Milano, che l'accompagnò fino alla
città, dove, alloggiato nel palazzo d'esso arcivescovo, ricevè da lui
e da Luchino quante finezze e carezze egli seppe desiderare. Fecesi
con gran pompa il battesimo dei due figliuoli di Luchino, al primo
dei quali fu posto il nome di _Luchino Novello_: e li tennero al
sacro fonte esso _marchese Obizzo, Giovanni marchese di Monferrato,
Castellano da Beccheria_ signor di Pavia, ed _Ostasio da Polenta_,
onorevoli doni fecero ai fanciulli e alla madre. Allora fu che il
marchese Obizzo cedette a Luchino Visconte la città di Parma[1418] con
essere rimborsato da lui del danaro speso in acquistarla da Azzo da
Correggio. Ebbero occasion di piagnere i Parmigiani, avendo cambiato un
placido padrone in un asprissimo, che non tardò a spogliar di tutte le
loro fortezze que' nobili. Partissi poi da Milano il marchese Obizzo
nel dì 26 di settembre; e, giunto che fu a Ferrara, tanto si adoperò
presso di lui Mastino dalla Scala assistito da un ambasciatore di
Luchino Visconte, che lo indusse nel dì 27 d'ottobre a pacificarsi coi
Gonzaghi, e la pace fu solennemente stipulata dipoi in Modena nel dì 12
di dicembre.
Colla giunta di Parma crebbe non poco la potenza dei due fratelli
Visconti _Luchino_ e _Giovanni_. Ma si dee aggiugnere ch'egli ebbe
in varii tempi anche la signoria d'Asti, città potente ne' secoli
andati[1419]. Perchè la nobil casa dei Soleri, di fazione guelfa,
possedendo ventiquattro castella ed altre fortezze, voleva padroneggiar
troppo in quella città, i Ghibellini, cioè i Gottuari, Isnardi e
Turchi, chiamarono _Giovanni marchese_ di Monferrato, e gli diedero
il dominio della città sotto certi patti. Scacciati di colà i Soleri,
gran guerra cominciarono contra dei cittadini coll'aiuto delle terre
del Piemonte spettanti al _re Roberto_. Però quel popolo invitò a
quella signoria (non so dirne l'anno preciso) _Luchino Visconte_, il
qual poscia distrusse tutte le famiglie de' Soleri, con ridurli a non
possedere un palmo di terreno sull'Astigiano. Nè qui si ristrinse
l'industria e fortuna di Luchino. Acquistò anche Bobbio, Tortona
nell'anno seguente, ed Alessandria, non so quando. Tolse al re Roberto,
oppure alla _regina Giovanna_, nel seguente anno la città d'Alba,
Cherasco, ed altre terre sino a Vinaglio e all'Alpi; e parimente
nell'anno presente gli fu data la signoria, ossia l'alto dominio della
Lunigiana[1420]. Se fosse sopravvivuto più, non restava probabilmente
terra in Piemonte che non venisse alle sue mani. Di questo passo
camminava ad un sì alto ingrandimento la casa dei Visconti, con
far gran paura ad ogni vicino. Eppure andò essa dipoi tanto più
oltre, siccome vedremo. A petizione di _Lodovico re_ d'Ungheria in
quest'anno[1421] _Niccolò Gaetano conte_ di Fondi, nipote del fu papa
_Bonifazio VIII_, cominciò la guerra contro la _regina Giovanna_ nella
Campania, coll'impadronirsi di Terracina e del castello d'Itri presso
Gaeta. La stessa città di Gaeta sollevatasi, non volle più ubbidire
alla regina. Io non so come Giorgio Stella racconti sì diversamente
questa faccenda, con dire[1422] che, giunta a Terracina l'armata
navale dei Genovesi, composta di ventinove galee, comandata da Simone
Vignoso, a forza d'armi fece ritirare da quell'assedio il conte di
Fondi; essersi il popolo di Terracina sottomesso al dominio del comune
di Genova; ed aver essi Genovesi cacciato da Sessa il suddetto conte,
il qual dianzi avea tolta quella città alla regina Giovanna. Scrive
inoltre lo Stella, avere la flotta genovese continuato il suo viaggio
in Levante, ed interrotti i disegni del delfino di Vienna, arrivato coi
crocesignati in quelle parti, giacchè i Genovesi pensavano solamente
al proprio vantaggio, e non a secondare i desiderii del papa e le
mire della crociata. Poscia nel dì 16 di giugno, sbarcati nell'isola
di Scio, impresero l'assedio di quel castello, e lo costrinsero alla
resa nel dì 5 di settembre: con che tutta quell'isola cominciò ad
ubbidire a' Genovesi. Impadronironsi ancora di Foglia vecchia e di
Foglia nuova, e maggiori progressi ancora avrebbero fatto, se la ciurma
delle galere, mossa a sedizione, non avesse fatto svanire altre loro
idee. Fu in questo anno un'estrema carestia per quasi tutta l'Italia,
e maggiormente questa inasprì nell'anno seguente, per essere andati a
male i raccolti a cagion delle dirotte pioggie.
NOTE:
[1411] Albertus Argent., Chron.
[1412] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 66.
[1413] Chron. Estens., tom. 15 Rer. Ital. Johannes de Baiano, Chron.
Mutinens., tom. eod.
[1414] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1415] Chron. Estense.
[1416] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1417] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1418] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1419] Petrus Azarius, Chron., cap. 9, tom. 16 Rer. Italic.
[1420] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1421] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 73.
Anno di CRISTO MCCCXLVII. Indiz. XV.
CLEMENTE VI papa 6.
CARLO IV re de' Romani 2.
Divenuto già re de' Romani e re di Boemia _Carlo_ figliuolo del fu
_re Giovanni_, perchè pretendeva il contado del Tirolo, che gli
era contrastato da _Lodovico il Bavaro_ e da _Lodovico marchese_
di Brandeburgo suo figliuolo, venne in abito di pellegrino a Trento
con isperanza di ridurre alla sua ubbidienza quel paese[1423]. Non
gli mancò d'assistenza papa _Clemente VI_, perciocchè mosse con
premurose lettere _Luchino Visconte, Mastino dalla Scala_, il patriarca
d'Aquileia e i signori di Mantova a prestargli aiuto; ed ognuno in
fatti spedì colà un gagliardo rinforzo di cavalleria e fanteria. Se
gli diede il popolo di Trento, ed egli nel dì 27 di marzo assistè alla
messa in quel duomo in abito imperiale. Impadronissi ancora di Feltro
e di Belluno. Essendo poi passato all'assedio di Marano nel Tirolo,
eccoli sopravvenire il marchese di Brandeburgo con forze superiori di
armati, che gli diede una rotta, e il fece fuggire a Trento. Ma si mutò
in questo anno faccia alle cose; imperciocchè trovandosi _Lodovico
il Bavaro_ alla caccia nel dì 11 di ottobre[1424], sorpreso da un
colpo d'apoplessia e caduto da cavallo, spirò l'anima sua. V'ha chi
dice esser egli morto con segni di penitenza, lo niegano altri; ma è
fuor di dubbio che da niun sacerdote ebbe l'assoluzion de' peccati
e delle censure[1425], portando al mondo di là una pesante soma di
colpe principesche e private. La morte sua fu la vita di _Carlo IV
re_ dei Romani, perchè i suoi affari cominciarono immediatamente
a prosperare, con riconoscerlo per re molti principi e non poche
città della Germania, quantunque non mancassero altri che passarono
all'elezione di _Odoardo re_ d'Inghilterra, poi di _Federigo marchese_
di Misnia, e poi di _Guntero conte_ di Suarzemburgo. Con danari seppe
il re Carlo indurre i due ultimi a non accettare, o a rinunziare
l'esibita corona. Per lo contrario, in Italia si aprì un nuovo teatro
di calamità a cagione di _Lodovico re_ d'Ungheria, ansante di vendicar
la morte ignominiosa del fratello _Andrea_, ma più di conquistare il
regno di Napoli, al qual fine determinò di passare egli in persona in
Italia. Spedì innanzi i suoi ambasciatori, per aver libero il passo
da' principi italiani; e questi, giunti a Ferrara nel dì 24 d'aprile,
ebbero buon accoglimento dal _marchese Obizzo_ d'Este. Continuato
poscia il lor viaggio, arrivarono ai confini del regno, e cominciarono
dei maneggi per muovere a ribellione que' popoli. Certo è che, a
papa _Clemente VI_ non piaceva che un sì potente principe venisse a
piantar il piede nel regno di Napoli. Oltre di che, a cagione del suo
soggiorno in Provenza, terra della _regina Giovanna_, pendeva più a
favorir questa che quello. Intanto essa regina nel dì 20 d'agosto sposò
_Luigi principe_ di Taranto, uno de' Reali[1426]: matrimonio in que'
tempi disapprovato dagli zelanti cristiani. Alcuni credono ch'ella fin
d'allora ne ottenesse la dispensa dal pontefice. Il Rinaldi meritamente
la riferisce all'anno seguente. Accordossi ancora la regina Giovanna
con _Lodovico re di Sicilia_, cedendo ad ogni pretensione sua sopra
quell'isola, con patto che egli, in occasione di guerra, dovesse
mantenere al di lei servigio quindici galee. Mancò ad un tale accordo
l'approvazione del papa, diretto padrone della Sicilia.
Gran voglia aveva _Isabella del Fiesco_, moglie di _Luchino Visconte_,
di veder la rara e magnifica città di Venezia. Però pubblicò in
quest'anno un voto da lei fatto, allorchè fu per partorire nell'anno
addietro i due suoi gemelli, di visitare la basilica di San Marco
in quella città. L'addolciato marito non potè negarle il contento
di adempiere così santa divozione, e le formò uno splendidissimo
corteggio della primaria nobiltà delle sue città. Nella Cronica
Estense[1427] si veggono annoverati tutti i nobili scelti da Milano,
Tortona, Alessandria, Cremona, Brescia, Vercelli, Lodi, Novara,
Asti, Como, Bergamo, Piacenza e Parma, ed anche da Pavia, siccome
ancora le nobili donne destinate ad accompagnarla, oltre ai paggi,
staffieri e alla prodigiosa minor famiglia[1428]. Per una regina non
si poteva far di più. Si mosse ella da Milano nel giorno 29 d'aprile,
e grandi onori ricevè in Verona da _Alberto_ e _Mastino dalla Scala_;
grandi in Padova da _Jacopo da Carrara_; maggiori poi in Venezia da
quella splendida repubblica. Soddisfatto che ebbe in Venezia alla sua
divozione, e veduta la celebre funzione dell'Ascensione, se ne tornò
per Padova, Verona e Mantova a Milano. Dove andasse poi a terminare
questo sì divoto pellegrinaggio, non istaremo molto a vederlo. Una
scena curiosa, cominciata nell'anno addietro in Roma, maggiore comparsa
fece nel presente[1429]. Per la lontananza de' papi era divenuta quella
mirabil metropoli un bosco d'ingiustizia; ognun facea a suo modo;
discordi erano i due senatori, l'uno di casa Colonna, e l'altro di casa
Orsina, con due diverse fazioni; le entrate del papa e del pubblico
divorate; le strade piene di ladri, di modo che più non s'attentavano
i pellegrini di portarsi colà alla visita dei santi luoghi. Si alzò
su un giorno, e fece popolo un certo della feccia del volgo, cioè
Niccolò figliuolo di Lorenzo Tavernaro, appellato volgarmente _Cola
di Rienzo_, giunto col suo studio ad essere notaio. Costui era uomo
fantastico; dall'un canto facea la figura di eroe, dall'altro di pazzo.
Soprattutto gli stava bene la lingua in bocca. Tanto declamò contro ai
disordini di Roma e alle prepotenze de' grandi, che indusse di popolo
a consentirgli il titolo e la balìa di tribuno. Ciò gli bastò per
cacciare di Campidoglio i senatori, e per farsi signore di Roma[1430],
con intitolarsi pomposamente: _Nicola, severo e clemente, liberator
di Roma, zelante del bene dell'Italia, amatore del mondo e tribuno
augusto_. Formò poscia de' magistrati, mettendovi degli uomini di
merito; fece giustiziar varii capi di fazione, che mantenevano quantità
di masnadieri, e assassinavano alle strade; intimò il bando ai grandi,
che solevano farla da prepotenti, se non giuravano sommessione al buon
governo, di maniera che, fuggiti i malviventi, in breve mise in quiete
la città, e si potea portar per le strade l'oro in mano. Gli venne in
testa il capriccioso disegno non solamente di riformare Roma, ma di
rimettere anche in libertà l'Italia tutta, con formare una repubblica,
di cui fosse capo Roma, come fu ne' secoli antichi. Scrisse perciò
lettere di gran magniloquenza a tutti i principi e alle città italiane,
e trovò chi prestò fede ai suoi vanti. Spedì loro degli ambasciatori,
e rispose alle lettere dei principi con graziose esibizioni: cotanto
credito s'era egli acquistato col rigore della giustizia. I Perugini,
gli Aretini ed altri si diedero a lui. In somma chi facea plauso
a queste novità, e chi ne rideva. Da Francesco Petrarca, insigne
poeta d'allora, fra gli altri, fu scritta in sua lode una suntuosa
canzone[1431], che tuttavia si legge, credendosi egli che veramente
questo uomo avesse a risuscitar la gloria di Roma e dell'Italia. Ma
altro ci volea a così vasta impresa che un cervello sì irregolare e
mancante di forze. Perchè il popolo di Viterbo gli negava ubbidienza,
si mise Cola in ordine nell'anno presente, per far guerra a quella
città; e l'avrebbe fatta, se Giovanni da Vico prefetto e signor di
Viterbo non si fosse sottomesso con rendergli varie rocche. Andò poi
tanto innanzi la bestialità d'esso tribuno, che con gran solennità si
fece far cavaliere[1432], e si bagnò nella conca di porfido, dove i
secoli barbari s'immaginarono che fosse stato battezzato l'imperador
Costantino il Grande, e si fece coronar con varie corone. Poscia citò
_papa Clemente VI_ e i cardinali che venissero a Roma. Citò anche
_Lodovico il Bavaro_ non per anche defunto, e _Carlo di Boemia_,
e gli elettori a comparire e ad allegar le ragioni, per le quali
pretendevano allo imperio. Finora avea egli rispettato il papa; si
mise in fine sotto i piedi ogni riguardo anche verso di lui e de' suoi
ministri; e però non potè più stare alle mosse il vicario pontificio,
e proruppe in proteste, delle quali niun conto fu fatto, dicendo il
vanaglorioso Cola di far tutto per ordine dello Spirito Santo, del
quale pubblicamente s'intitolava _candidato_. Non potevano digerire i
Colonnesi, gli Orsini, i Savelli ed altri grandi romani tanto sprezzo,
o, per dir meglio, strapazzo che facea di loro il tribuno, giacchè
avea fatto imprigionarne i principali, ed annunziata loro anche la
morte; se non che si placò, e li rimise in libertà. Eglino dunque con
grosse squadre di cavalli e fanti nel dì 20 di quest'anno vennero alla
porta di San Lorenzo con disegno d'entrare in Roma, e d'insegnar le
creanze al tribuno. Ma egli, messo in armi il popolo, con tal empito
il fece uscire contra di loro, che li mise in isconfitta, colla morte
di _Stefano, Giovanni_ e _Pietro dalla Colonna_, e d'altri nobili e
di molti delle loro masnade. Salì per questo in alto la gloria e la
riputazione di Cola.
Era già riuscito ai ministri o partigiani di _Lodovico re_ d'Ungheria
di muovere a ribellione contra della _regina Giovanna_ l'Aquila, città
benchè nata a tempi di Federigo II Augusto, pure pervenuta da lì non
molto ad un'ampia popolazione e potenza[1433]. Erano in discordia i
Reali di Napoli; ma cotante promesse furono fatte a _Carlo duca_ di
Durazzo, che s'indusse a prendere il baston del comando per procedere
contro degli Aquilani. Tenne egli coll'esercito suo assediata per
tre mesi, ma indarno, quella città. Intanto venuto in Italia il
vescovo di Cinque Chiese con ducento nobili ungheri ben in arnese e
con danaro assai, assoldò molta gente nella Romagna e nella Marca;
ebbe non pochi aiuti da _Ugolino de' Trinci_ signor di Foligno e
dai _Malatesti_ signori di Rimini, e con circa mille uomini d'armi e
numerosa fanteria andò ad unirsi con altri mille cavalli e fanti, già
assoldati nell'Abbruzzo per parte del re Lodovico d'Ungheria. Il timore
di quest'armata fece sloggiare di sotto l'Aquila gli assediatori;
e tanto più perchè succeduto nel medesimo tempo il matrimonio della
regina con _Luigi principe_ di Taranto, il duca di Durazzo deluso e mal
soddisfatto non volle più guerreggiar contra degli Ungheri. Seppero ben
prevalersi di tal discordia i capitani del re Lodovico; perchè, posto
l'assedio alla città di Sulmona, senza che alcuno ne tentasse giammai
il soccorso, se ne impadronirono nel mese di ottobre, continuando
poi le lor conquiste sino a Venafro, Tiano e Sarno. Arrivò nel mese
di novembre _Lodovico re_ d'Ungheria nel Friuli ad Udine, senza che
sicuramente si raccolga dagli scrittori ch'egli menasse con seco un
esercito potente. Forse non avea più di mille cavalli. Perchè era in
collera coi Veneziani, non accettò il loro invito[1434]. Onorevolmente
ricevuto a Cittadella da _Jacopo da Carrara_ signore di Padova, sul
principio di dicembre passò a Vicenza e Verona, dove _Alberto_ e
_Mastino dalla Scala_ splendidamente il trattarono, con dargli ancora
trecento de' loro cavalieri, acciocchè lo accompagnassero a Napoli.
Per Ostiglia venuto a Modena, fu incontrato con tutto onore da _Obizzo
marchese_ d'Este, che non fu da meno degli altri in fargli un nobile
trattamento. Fuorchè in Imola e Faenza, dove il conte della Romagna pel
papa nol lasciò entrare, ricevè somme finezze dappertutto dove passò,
in Bologna dai _Pepoli_, in Forlì dagli _Ordelaffi_, in Rimini dai
_Malatesti_, in Foligno dai _Trinci_. Con trecento cavalieri il seguitò
pel viaggio _Francesco degli Ordelaffi_. Ma essendosegli presentato in
Foligno il legato del papa per intimargli sotto pena di scomunica di
non far da padrone nel regno di Napoli senza l'assenso del papa, il re,
che già toccava con mano la pretension del pontefice in favore della
regina Giovanna, gli rispose assai bruscamente che il regno era suo per
successione dei suoi maggiori; che risponderebbe alla Chiesa pel feudo;
e che della scomunica non curava, perchè sarebbe patentemente ingiusta.
Arrivò poscia questo principe all'Aquila nella vigilia di Natale,
e quivi attese ai preparamenti per condurre a fine l'incominciata
impresa.
Nel ritornare nell'anno addietro _Ostasio da Polenta_ signor di Ravenna
da Milano in compagnia di _Obizzo marchese_ d'Este, nella terra di
Trezzo rimase come morto una notte a cagione del fumo di carbone acceso
nella sua camera dai famigli, perchè facea freddo. Portato a Ravenna
così malconcio, terminò i suoi giorni nel dì 14 di novembre[1435], e
gli succederono nel dominio di Ravenna _Bernardino_ suo figliuolo, e
in quello di Cervia _Pandolfo_ altro suo figliuolo. _Lamberto_, terzo
de' figliuoli, nulla possedeva. Di questo partaggio non erano contenti
i due ultimi fratelli, e però pensarono ad un tradimento. Nel dì 5
d'aprile spedirono a Ravenna un messo a Bernardino, notificandogli, che
essendo caduto gravemente infermo Pandolfo, se volea vederlo vivo, non
tardasse a venire. Venne Bernardino, e, preso, fu posto in una dura
prigione. Nella notte cavalcò Pandolfo a Ravenna con molti armati, e
fatto esporre alle guardie della porta da un cortigiano guadagnato di
Bernardino, di essere venuto a prendere de' medicamenti necessarii
al finto infermo, gli fu permessa l'entrata in città. S'impadronì
Pandolfo di essa senza fatica; ma, interpostosi poi _Malatesta_ signor
di Rimini, nel dì 24 di giugno _Bernardino_ fu liberato dalle prigioni
di Cervia, e in Ravenna si conchiuse pace coi fratelli. Ma di questa
si dimenticò ben presto esso Bernardino, e ricordevole solamente
dell'oltraggio patito, sotto pretesto che _Pandolfo_ e _Lamberto_
macchinassero contro la sua vita, nel dì 7 di settembre[1436] fece
loro mettere le mani addosso, e gl'imprigionò, prendendo in sè
tutto il dominio di Ravenna e poi di Cervia. Lasciarono poscia la
vita i suddetti col tempo nelle carceri d'essa Cervia. Nel dì 29 di
settembre _Taddeo de' Pepoli_ signor di Bologna compiè il corso di
sua vita[1437], e concordemente da quel popolo fu data la signoria
della città a _Giovanni_ e _Giacopo_ figliuoli di esso Taddeo. Poco
durò il bizzarro governo di _Cola di Rienzo_ in Roma. Dopo la vittoria
riportata, di cui si è favellato di sopra, gli si erano maggiormente
esaltati i fumi alla testa, e tiranneggiando cominciò a perdere l'amore
del popolo. Contra di lui soffiava forte il legato del papa, e più i
grandi fuorusciti. Mandò ben Cola le sue genti all'assedio del castello
di Marino de' Colonnesi, ma nulla ne profittò[1438]. Ora nel dì 15 di
dicembre di quest'anno (e non già nel marzo del susseguente, come ha il
Gazata[1439]) _Giovanni Pipino_ conte di Altamura e Minerbino, bandito
dal regno di Napoli siccome uomo intrigante e masnadiere, o per suoi
particolari disgusti o disegni, oppure a sommossa del legato apostolico
e de' nobili, fece una sollevazione in Roma contra del tribuno, laonde
si diede campana a martello, e si asserragliarono le strade. Quantunque
non accorressero in aiuto del tribuno gli Orsini e il popolo, come egli
sperava, pure egli era provveduto di tali forze che facilmente avrebbe
potuto sconfiggere chiunque se gli opponeva. Ma appena fu messa in
rotta una delle sue bandiere, che siccome uomo vile e codardo, senza
fare ulterior resistenza, si ritirò in castello Sant'Angelo, e poi
travestito da frate se ne fuggì, allorchè passò il re d'Ungheria alla
volta dell'Aquila. Nel dì 17 entrò in Roma Stefanuccio dalla Colonna,
ed, aboliti gli atti del tribuno, a riserva delle paci fatte, rimise
quella città all'ubbidienza del papa, e furono poi creati tre senatori,
un colonnese, un orsino e il legato pontificio. Cola di Rienzo,
divenuto mendico e screditato, si ridusse poi alla corte di _Carlo IV
re_ de' Romani, e, col racconto di varie rivelazioni e promesse di gran
cose, cominciò la tela di un'altra fortuna; ma informatone il papa,
volle nelle mani questo ciarlatano, e il tenne poi per molto tempo
incarcerato in Avignone. In due fazioni era ne' tempi correnti divisa
la città di Pisa, cioè nei Raspanti e Bergolini[1440]. Nel dì 24 di
dicembre si sollevarono i Bergolini, cioè i Gambacorti, gli Agitati
ed altri contra dei Raspanti, che comandavano allora a bacchetta,
e riuscì loro d'abbattere e scacciare Dino della Rocca, capo d'essa
fazione, co' suoi aderenti, e di prendere il dominio della terra: e
qui cominciò l'ascendente della famiglia Gambacorta. Secondo la Cronica
Estense[1441], in quest'anno _Luchino Visconte_ coll'aiuto di _Giovanni
marchese_ di Monferrato acquistò le città di Tortona e d'Alba. Anche
il marchese guadagnò per sè la terra di Valenza[1442]. E perciocchè
i continuati progressi di Luchino in Piemonte non potevano piacere
al _conte di Savoia Amedeo VI_, nè a _Jacopo di Savoia_ principe
della Morea, questi si collegarono col duca di Borgogna e col conte
di Ginevra contra di Luchino e del marchese di Monferrato. Guerra fu
fatta, e nel mese di luglio si venne ad un crudele combattimento, in
cui perì dall'una parte e dall'altra gran copia d'uomini e di cavalli;
ma in fine se ne andò sconfitto il marchese di Monferrato. Di questo
fatto d'armi non ebbero notizia nè Benvenuto da San Giorgio, nè il
Guichenone nella Storia della real casa di Savoia.
NOTE:
[1422] Georg. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1423] Chron. Estense, tom. 15 Rer Italic. Giovanni Villani, lib. 11,
cap. 84.
[1424] Albert. Argentin., Chron. Rebdorf., Annal.
[1425] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1426] Giovanni Villani, lib. 12, cap. 98.
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