Annali d'Italia, vol. 5 - 33
s'intendesse casso dal papato. Finalmente nel dì 12 di maggio, nella
piazza di San Pietro, Lodovico colla corona in capo propose al numeroso
popolo di Roma di fare un nuovo papa. Fu proposto fra Pietro da
Corvara, nativo d'Abbruzzo, dell'ordine de' Minori, grande ipocrita;
e il popolo, perchè la maggior parte odiava papa Giovanni per la sua
permanenza di là dai monti, l'accettò. Costui prese il nome di _Niccolò
quinto_; fece anche prima della consecrazione la promozion di sette
falsi cardinali, e nel dì 22 di maggio fu consecrato vescovo da uno di
essi, con prendere dipoi la corona dalle mani del medesimo Lodovico, il
quale di nuovo si fece coronar imperadore da questo suo idolo.
Tante bestialità di Lodovico il Bavaro in arrogarsi l'autorità di
deporre un papa, legittimo papa, nè giammai caduto in eresia, come
egli pretese, e di eleggerne un altro contro i riti e canoni della
Chiesa cattolica[1132], stomacarono forte allora chiunque portava
buona coscienza e lume di ragione; e solamente piacquero a molti
eretici e scismatici tanto religiosi che secolari, de' quali era
piena la corte d'esso Bavaro, e coi consigli de' quali soli egli
si regolava. Mostruosità ed empietà enorme non ha bisogno di essere
maggiormente dichiarata e detestata. Questa poi fu quella che finì
di dare il tracollo agl'interessi di lui in Italia. Ma qui convien
interrompere il corso delle azioni di Lodovico per venire in Toscana.
Mentre _Castruccio_ se ne stava in Roma, facendola da grande in
quella corte e città, e molto prima dell'empia tragedia che abbiamo
riferito[1133], Filippo da Sanguineto, vicario del duca di Calabria
in Firenze, cominciò a tessere certo trattato per torgli la città di
Pistoia. Fatti i preparamenti, la mattina innanzi giorno del dì 28 di
gennaio si presentò egli alle fosse di quella città, con ponti, scale
ed altri edifizii, due mila fanti e settecento cavalli. Data alle
mura la scalata, v'entrò, e dopo lunga battaglia colla guarnigion di
Castruccio, s'impadronì della terra, con fuggirsene Arrigo e Valerano,
figliuoli del medesimo Castruccio, e i lor soldati a Serravalle. La
misera città andò tutta a sacco, e durò ben dieci giorni la crudel
ruberia: il che trattenne que' soldati dal far altre conquiste nel
territorio. Per mare e per terra fu spedito a Castruccio il funesto
avviso di questa perdita. Egli, dopo tre dì, avutolo, si congedò
ben tosto dal Bavaro, ed immediatamente nel primo giorno di febbraio
s'avviò alla volta di Pisa colla sua gente. Lasciata poi questa in
cammino, marciò egli innanzi colla maggior sollecitudine possibile, ed
arrivò a Pisa con soli dodici cavalli nel dì 9 del mese suddetto. Da lì
a qualche giorno vi giunse anche la sua milizia. Prese egli nel mese
d'aprile al tutto la signoria di essa città di Pisa, ed impose colte
e gabelle per fornirsi di danaro, risoluto di riacquistare Pistoia,
e ciò senza riguardo alcuno al Bavaro, che ne era padrone, e al conte
d'Ottinghe inviato colà per governar la città. Si volle egli rifare,
perchè dava la colpa al Bavaro della perdita di Pistoia, per averlo
forzato ad andar seco a Roma. Poscia nel dì 15 di maggio col popolo
di Lucca e di Pisa cinse d'assedio essa città di Pistoia[1134]. Per
sua buona ventura era innanzi nata gara tra i Fiorentini e Filippo
da Sanguineto, a chi dovesse toccar la spesa di provvedere Pistoia,
città fornita di viveri appena per due mesi. Nè l'un nè gli altri
volendo cedere, ed informato Castruccio di questo litigio e dello stato
di Pistoia, tanto più s'animò ad assediarla. Di grandi battifolli,
steccati e fosse fece egli fare all'intorno, acciocchè niuno potesse
recarle soccorso, e cominciò a tormentar la città colle macchine e
con frequenti assalti. In questo mentre anche i Fiorentini fecero un
gagliardo apparecchio di gente, colla giunta d'altra che lor venne
dal _cardinal Beltrando_ legato, da Bologna, Siena, Volterra ed altre
terre. Con queste forze, superiori di molto a quelle di Castruccio,
almeno nella cavalleria, l'esercito fiorentino nel dì 20 di luglio andò
a postarsi in faccia dei trinceramenti di Castruccio sotto Pistoia.
Mostrò ben egli di voler battaglia; ma siccome cauto capitano si tenne
forte nel suo campo; e maggiormente afforzandolo con forti ripari,
lasciò che i Fiorentini, non veggendo maniera di snidarlo di là colla
forza, marciassero verso Pisa, credendosi eglino che Castruccio si
moverebbe per timore di perdere quella città. Nulla si mosse egli;
un terribil sacco fu dato al territorio pisano sino alle porte; e
intanto Simone dalla Tosa capitano di Pistoia, perduta la speranza
del soccorso per l'allontanamento de' suoi, e perchè gli era oramai
fallita la vettovaglia, nel dì 3 d'agosto (salve le persone col loro
equipaggio) rendè a Castruccio quella città con grande vergogna
e rabbia de' Fiorentini, i quali, udita la perdita di Pistoia, si
ritirarono tosto a casa. V'ha chi scrive, aver Castruccio, dappoichè
esso ottenne Pistoia, preso Prato, e dato verso Fucecchio una rotta
all'armata fiorentina; ma di ciò non parlando le più vecchie storie,
passerò a dire che egli, per paura del Bavaro, cominciò una tela co'
Fiorentini e col papa; ma per tante fatiche ed affanni cadde da lì a
non molti giorni infermo in Lucca; e, chiamati i suoi tre figliuoli
_Arrigo_, _Giovanni_ e _Valerano_, lasciò gli Stati al maggior di età,
ordinando loro e ai consiglieri di ben fornire le città di Pisa, Lucca
e Pistoia, e di stare uniti insieme. Poscia nel dì 3 di settembre nel
colmo di sua grandezza e fortuna, in età di soli quarantasette anni,
diede fine alla sua vita colla temporal gloria d'essere stato il più
accorto, prode e belicoso principe de' suoi tempi e tale, che, se la
morte non gli troncava il volo, pericolo v'era che Firenze e la Toscana
tutta soccombessero alla di lui somma sagacità e bravura. Leggesi la
di lui vita scritta da Niccolò Tegrimi nobile lucchese[1135], dove i
suoi costumi e le sue massime si trovano pienamente descritte. I suoi
figliuoli corsero Lucca, Pistoia e Pisa, e se n'impossessarono, con
aver tenuta celata sette giorni la di lui morte: per la quale non si
può esprimer quanta festa e tripudio si facesse in Firenze. Pareva a
quel popolo di essere rinato.
Non avea cessato Castruccio, dacchè il Bavaro giunse a Lucca e
Pisa[1136], di far tutti i più premurosi uffizii appresso di lui
per ottenere la libertà a _Galeazzo Visconte_, e ai di lui fratelli
e figliuoli. Lo stesso _Marco_ Visconte, autor principale della lor
rovina, che avea seguitato il Bavaro in Toscana, conoscendo l'eccessivo
error commesso in danno della propria casa, e pentito del fallo,
tuttodì si raccomandava per questo a Castruccio. Stette duro il
Bavaro. Appresso in Roma tanto esso Castruccio, quanto altri principi
ghibellini interposero la loro intercessione per la liberazion loro,
e alle preghiere succederono le minaccie di abbandonarlo, se non
concedeva loro tal grazia. Finalmente si lasciò vincere il Bavaro, e
l'ordine andò che fossero rimessi in libertà. Scrive il Villani[1137]
che Lodovico condannò _Luchino_ ed _Azzo_ a pagare venticinque mila
fiorini d'oro, e che ne pagarono sedici mila. Comunque sia, ci assicura
Buonincontro che li rimise in sua grazia, comandando che venissero in
Toscana. Nel dì 25 di marzo furono liberati dalle carceri di Monza;
quel popolo segretamente diede loro molti regali; ed essi andarono a
Lucca a trovar Castruccio, il quale teneramente abbracciò Galeazzo, ed
il creò suo generale all'assedio di Pistoia. Quivi per li crepacuori
passati e per le fatiche presenti, gravemente s'infermò Galeazzo; e
portato per ordine di Castruccio a Pescia, nel mese d'agosto, prima
della resa di Pistoia, in età di cinquantun anni meschinamente morì,
lasciando un grande esempio della volubilità delle grandezze terrene.
Torniamo ora al Bavaro, i cui disegni in Roma erano di assalire il
regno di Napoli; ma l'essersi partito da lui Castruccio con sue genti,
e il non comparir mai, secondo il concerto, la flotta di _Federigo re_
di Sicilia, che s'era collegato con lui ai danni del _re Roberto_,
arenò tutta l'impresa. Fece bensì unito coi Romani a lui qualche
guerra, ma di poco momento, perchè troppo penuriava di moneta, e vi
era discordia nell'esercito suo. All'incontro, il re Roberto[1138]
prese Ostia, Anagni ed altri luoghi. Per questi ed altri motivi il
Bavaro, non veggendosi più sicuro in Roma, se ne partì col suo antipapa
nel dì 4 d'agosto, con fargli le fischiate dietro quel popolo romano
che dianzi tanta festa avea mostrato per lui, e venne a Viterbo.
Nel dì seguente entrarono in Roma Bertoldo Orsino e Stefano dalla
Colonna, prendendone possesso a nome di _papa Giovanni_, e colà ancora
successivamente arrivarono il cardinal legato ed ottocento cavalieri
del re Roberto, con esserne fuggiti Sciarra dalla Colonna, che da lì a
non molto mancò di vita, Jacopo Savello e gli altri Ghibellini. Venuto
il Bavaro a Todi, dalla qual città cavò quattordici mila fiorini,
pensava di passare a dirittura ad Arezzo, istigato dai Ghibellini di
marciare addosso a Firenze, quando gli giunse nuova che _don Pietro_,
figliuolo di Federigo re di Sicilia, con una potente flotta andava in
traccia di lui, e desiderava di seco abboccarsi a Corneto. Andò colà,
e dopo molti contrasti e rimproveri, per essere egli tardato tanto a
venire, si trattò di nuovo di far guerra al re Roberto. Ma troppo era
in collera Lodovico, perchè Castruccio gli avea tolta Pisa, e però
volle prima portarsi colà. Nel viaggio colla sua gente e co' Siciliani
prese Grosseto; e, giuntagli colà la nuova della morte di Castruccio,
affrettò i passi, e nel dì 21 di settembre arrivò a Pisa, ricevuto con
somma allegrezza da quel popolo. Se ne fuggirono a Lucca i figliuoli
di Castruccio, conoscendo d'essere troppo in odio ai Pisani. L'armata
siciliana in tornando a casa, assalita da una fiera tempesta, colla
perdita di quindici galee e con altri danni, arrivò molto sconciata
e scemata in Sicilia. Andò poscia il Bavaro a Lucca ad istanza di
quei cittadini, e tolse la signoria di quella città ai suddetti
figliuoli di Castruccio con giubilo di quel popolo. Ma finì presto la
lor festa, perchè il Bavaro impose loro una colta di cento cinquanta
mila fiorini d'oro; stoccata che arrivò loro al cuore. Parimente per
danari riconfermò il dominio di quella città agli stessi figliuoli
di Castruccio. Anche l'allegrezza dei Pisani si convertì ben tosto in
lutto, avendo essi dovuto pagare altri cento mila fiorini d'oro. Questi
erano i benefizii, co' quali Lodovico il Bavaro si rendeva amabile
ai popoli di Italia. Pure, con tutti questi fieri salassi alle borse
altrui, non correano le paghe ai suoi soldati, e, per tal motivo, fatta
congiura, ottocento dei suoi migliori cavalieri tedeschi nel dì 29
d'ottobre disertarono da Pisa, e corsero a Lucca per impadronirsene;
ma, trovate le porte chiuse per avviso precorso della lor venuta,
diedero il sacco ai borghi di quella città, e poi ridottisi sul
Ceruglio nella montagna di Vivinaia, quivi si fortificarono, con vivere
da lì innanzi di rapine e di tributi di tutti i contorni. E perciocchè
il Bavaro, non avendo attenuta la promessa di pagar loro sessanta
mila fiorini, inviò ad essi Marco Visconte per trattar di concordia,
il ritennero prigione: dal che poi nacquero altre novità che andremo
vedendo.
Già di sopra accennammo che _Cane dalla Scala_, tuttochè ghibellino,
andò poco d'accordo coi Visconti. Era anche disgustato di _Passerino
de' Bonacossi_ signor di Mantova. Perciò diede mano e braccio ad
una congiura formata contra di lui[1139] dai figliuoli di _Luigi da
Gonzaga_, cioè _Guido_, _Filippino_ e _Feltrino_, nobili antichi di
Mantova, che si truovano registrati vassalli della contessa Matilda.
Ebbero essi dallo Scaligero e da Guglielmo di Castelbarco ottocento
fanti e trecento cavalli, co' quali inaspettatamente entrati in
Mantova la mattina del dì 16 d'agosto, correndo quivi la festa di
san Leonardo, s'impadronirono della piazza. Il Platina scrive[1140]
ciò succeduto nel dì 17 di luglio. Accorso Passerino, vi restò
trucidato[1141]. Furono presi Francesco e l'abbate di Sant'Andrea
suoi figliuoli, e Guido e Pinamonte figliuoli di Botirone già suo
fratello, e consegnati a Niccolò Pico ed agli altri nobili della
Mirandola, i quali li condussero al castello del Castellaro della
diocesi di Modena, e, in vendetta della morte di Francesco lor padre,
quivi nelle prigioni barbaricamente li lasciarono morir di fame. In
tal congiuntura si sfogò lo sdegno de' congiurati anche contro molti
de' parziali e soldati di Passerino, che non poterono fuggire, e
massimamente contra de' suoi crudeli uffiziali. Inestimabili ruberie
furono fatte in quella rivoluzion di Stato, e la maggior parte del
bottino toccata a Cane dalla Scala fu creduta da alcuni ascendere
alla somma di cento mila fiorini d'oro. Questo miserabil fine ebbe
Passerino, che pel suo aspro governo di tant'anni si guadagnò da'
Mantovani e Modenesi il titolo di tiranno. Venne appresso dal popolo
di Mantova proclamato lor signore di nome _Luigi da Gonzaga_; ma
l'esercizio del dominio restò nei suoi valorosi figliuoli, i quali coi
lor discendenti renderono poi gloriosa in Italia la famiglia Gonzaga,
e continuarono la signoria in Mantova sino al principio del presente
secolo decimo ottavo di Cristo, in cui io scrivo. In quest'anno
ancora _Carlo duca di Calabria_, unico figliuolo di _Roberto re_ di
Napoli[1142], infermatosi, giunse al fine di sua vita nel dì 9 ovvero
10 di novembre, con dolore inesplicabile del padre e di que' popoli,
perchè era buon principe, amatore della giustizia, pio ed amorevole
verso tutti. Non lasciò dopo di sè alcun maschio, ma bensì due femmine,
_Giovanna_ già nata, e _Maria_, che nacque dopo la morte del padre da
_Maria di Valois_, sorella di _Filippo di Valois_, il quale in questo
anno, venuta meno la figliuolanza di _Filippo il Bello_, diventò re di
Francia. Col tempo il regno di Napoli ebbe da piagnere maggiormente
la perdita di questo principe senza eredi maschi, siccome andremo
vedendo. In Firenze fu gran duolo per la sua morte; ma molti ancora
internamente se ne rallegrarono, perchè finì il suo dominio in quella
città, ed ivi si tornò alla libertà primiera. Erano in questi tempi
signori della città di Lodi _Sozzo_ e _Jacopo de' Vestarini_, ed
aveano esaltato di molto un lor famiglio, già mugnaio, uomo fiero,
nominato Pietro Tremacoldo, per soprannome il Vecchio, con farlo capo
delle lor guardie, e lasciargli in mano le chiavi di una porta della
città[1143]. Molte scelleraggini e crudeltà commise costui in servigio
de' padroni, ma seppe anche guadagnarsi l'amicizia di molti. Perchè
Sozzino giovine della casa dei Vestarini gli stuprò una nipote, e,
fattane doglianza, ebbe in risposta solamente delle minaccie, talmente
s'inviperì, che ne volle far alta vendetta. Però, introdotta una notte
in Lodi una gran masnada di fanti, mise la terra a rumore, e presi i
suddetti due signori, con quattro altri di quella casa (se ne fuggì
Sozzino con altri), rinserrolli in uno scrigno, e quivi di fame li
lasciò perire. Agl'indagatori de' gabinetti celesti dovette allora
sembrar questo un giusto giudizio di Dio; perchè i Vestarini, dacchè
aveano imprigionato alcuni, li dimenticavano nelle carceri, e permisero
che molti d'essi morissero di fame, ridendo allorchè udivano che i
miseri urlavano per non aver che mangiare. Fecesi per forza questo
ribaldo vecchio proclamare signor di Lodi, e spedì subito a Guglielmo
di Monteforte vicario di Milano, assicurandolo che terrebbe la città a
parte ghibellina, e di aver tolto di vita i Vestarini, perchè voleano
dar Lodi al legato del papa.
Sempre più andava peggiorando lo stato di Padova[1144]. Niccolò da
Carrara, con gli altri fuorusciti, nell'anno precedente avea fatta
gran guerra a quella città, maggiore la fece nell'anno presente con
venir sino alle porte, e togliere ai Padovani buona parte de' loro
raccolti. Entro di Padova Ubertino da Carrara con Tartaro da Lendenara
teneva in continua inquietudine i miseri cittadini; nè giustizia si
facea, nè modo si trovava da frenar le di lui insolenze. _Corrado da
Ovestagno_, vicario del _duca di Carintia_ in essa città, ad altro non
attendeva co' suoi Tedeschi che ad ammassar danaro con ispogliar case
e chiese, biasciando intanto de' Pater nostri, e facendo colle spoglie
de' Padovani fabbricar chiese e monisteri nel suo paese. Mostrava
bensì, secondo la sua politica, _Cane dalla Scala_ di voler conservare
le tregue con Padova, ma sotto mano porgeva aiuto ai fuorusciti,
acciocchè facessero quanto di male potessero alla lor patria. Nè per
quanti ricorsi fossero fatti al duca di Carintia, al legato del papa e
a' marchesi estensi, per ottener aiuto, alcuno volea muovere un dito
in lor favore. _Marsilio da Carrara_, uno de' più accorti uomini del
suo tempo, veggendo andar così in malora la città, finalmente si
appigliò al partito di fare il proprio negozio, con dar Padova a Cane
dalla Scala, ed averne egli solo il merito tutto[1145]. Segretamente
adunque spedì Filippo da Peraga a Cane, offerendogli il dominio della
città, purchè _Mastino dalla Scala_ di lui nipote sposasse _Taddea
da Carrara_ (che Alda è chiamata dal Mussato) figliuola di _Jacopo_
già signore di Padova, e Marsilio conseguisse i beni di alcune ricche
famiglie fuoruscite e il vicariato della città, ma solamente di nome,
dovendovi Cane mettere tutti gli uffiziali, con altri patti vantaggiosi
per lui. Altro non cercava che questo Cane, il quale da tanti anni
ansava dietro a sì nobile acquisto, e tante guerre avea fatto e tanto
danaro speso, senza mai poter ottenere il suo intento. Andò Mastino a
Venezia, ed occultamente sposò Taddea da Carrara, che ivi si allevava,
e compiè il matrimonio. Ciò fatto, Marsilio, dopo avere introdotto con
varii pretesti molte centinaia di contadini armati in Padova, nel dì
3 di settembre, per avere più sciolte le mani e più balia ad eseguire
il trattato, fece destramente insinuare al popolo di dare a lui la
signoria della città; e ciò fu fatto. Poscia licenziò i Tedeschi,
che erano ivi di presidio, soddisfatti delle lor paghe. Finalmente
nel maggior consiglio della città spiegò la risoluzione da lui presa
di cedere a Cane dalla Scala il dominio di Padova, giacchè altra
maniera non v'era di salvarsi in mezzo a tante tempeste[1146]. Niuno
osò di contraddire; e però, eletto il sindaco, nel dì 7 di settembre
lo stesso Marsilio da Carrara con esso e con molti de' principali
cittadini cavalcò a Vicenza, e presentò le chiavi della città a Cane,
il quale appena si trattenne dal baciare un dono sì caro. Fece la sua
magnifica entrata Cane in Padova nel dì 10 del suddetto mese, ricevuto
con plauso e benedizioni da quel popolo, oramai convinto che altro
rimedio non v'era a' suoi mali, fuorchè questo. La liberalità del
novello principe si diffuse sopra i suoi più cari, e massimamente sopra
Marsilio da Carrara, alle spese nondimeno de' fuorusciti, appellati
ribelli; di modo che Marsilio divenne, di ricco che era, sommamente
ricchissimo. Toccò ad essi fuorusciti lo starsene in esilio; e perchè
Albertino Mussato, celebre storico, il quale ampiamente racconta
questi fatti, osò di rientrare in Padova senza licenza, fu mandato a'
confini a Chioggia, dove nell'anno seguente finì di vivere e scrivere.
Solennemente ancora fu di nuovo sposata Taddea Carrarese da Mastino
dalla Scala.
Tornato Cane a Verona, volle solennizzar questa importante conquista
con una magnifica festa. Tenne dunque corte bandita in quella città
nel dì ultimo di novembre. La Cronica di Verona[1147] dice nell'ultimo
d'ottobre. Forse cominciò allora la festa, ed essendo durata un mese,
terminò nel fine di novembre. Concordano gli autori in dire[1148]
che incredibil ne fu la magnificenza per la varietà dei tornei, delle
giostre, delle illuminazioni e d'altri pubblici suntuosi solazzi; pel
concorso smisurato de' nobili di tutte le circonvicine città, essendovi
stati cinque mila cavalli forestieri, ed intervenuti anche _Obizzo
marchese_ d'Este signor di Ferrara[1149], e _Luigi da Gonzaga_ signore
di Mantova; e finalmente per li gran regali fatti dallo Scaligero,
che tenne sempre tavola aperta a tutta la nobiltà sì del paese che
forestiera. La maggior solennità fu nel giorno in cui egli di sua
mano creò cavalieri trentotto nobili delle prime case di Verona,
Vicenza, Padova, Venezia, Mantova, Bergamo, Como, Reggio di Lombardia
e Vercelli. Simili funzioni in Italia si faceano in que' secoli pieni
di guerre, e chiamati da noi barbari, ma che più non si mirano in
Italia, tanto ingentilita, per essersi perduta la voglia delle corti
bandite, e del giostrare e torneare, dacchè tante armate straniere fan
qui dei torneamenti d'altra fatta. Aggiungasi la descrizione che il
padre del Gazata, storico reggiano di questi tempi[1150], a noi lasciò
del nobilissimo genio d'esso Scaligero. Gran copia teneva egli di
cortigiani; ed, oltre a ciò, non v'era uomo di qualche grido o per le
lettere, o pel mestiere dell'armi, o per singolarità in qualche arte,
il quale, sbattuto dalla fortuna o dalle rivoluzioni della patria, sì
frequenti in questi tempi, ricorresse a lui, che non fosse ben veduto
e provveduto di abitazione e tavola nella sua corte. Venivano essi
con tutta proprietà e lautezza serviti, e, secondo le lor professioni,
erano distribuiti. Quivi i poeti, lì i filosofi, in altre camere gli
artefici, i predicatori e simili. Sopra la porta di quelle camere si
mirava qualche pittura che alludeva alla lor professione. Eranvi musici
di canto e suono, e buffoni per rallegrar di tanto in tanto le cene ed
i pranzi: ben addobbato il palazzo di arazzi e pitture. Talvolta ancora
Cane voleva alla sua tavola or questo or quello di que' valenti uomini;
ed uno fra gli altri fu Dante Alighieri, celebre poeta, che, bandito
da Firenze, provò quanta fosse la generosità di questo principe, degno
perciò di maggior vita e di comandare a più popoli. Funesto riuscì
quest'anno a Venezia, perchè la morte rapì il loro doge, cioè _Giovanni
Soranzo_[1151], a cui nel dì 8 di gennaio succedette in quella dignità
_Francesco Dandolo_. Nè si dee tacere che, all'entrare di luglio[1152],
venendo da Avignone la paga per li soldati del legato di Italia,
consistente in sessanta mila fiorini d'oro, e scortata da cento
cinquanta cavalieri, usciti fuor d'un agguato i Pavesi, ne presero
almeno la metà con assai arnesi, somieri e prigioni. Ed ecco dove
andavano le decime raccolte pel papa dall'aggravato clero. Anche negli
anni addietro _Jacopo re_ d'Aragona occupò da ducento mila fiorini
d'oro, che gli uffiziali di _papa Giovanni XXII_ aveano ricavato dagli
ecclesiastici del suo regno, e se ne servì per torre la Sardegna ai
Genovesi. Furono in quest'anno ancora novità in Reggio di Lombardia
e in Parma. Nel mese di giugno Guiduccio e Giovanni de' Manfredi, e
Giovanni Riccio da Fogliano, nobili reggiani[1153], uccisero Angelo da
San Lupidio governatore di quella città per la Chiesa, ed uomo di molta
pietà ornato, e poi se ne andarono alle lor castella. Era anche in
Parma[1154] governatore pontificio Passerino dalla Torre; ma perchè con
imposte ed altri aggravii opprimeva quel popolo, _Marsilio de' Rossi_
ed _Azzo da Correggio_, nobili di quella città, nel dì primo di agosto
scacciarono lui e il presidio papalino, e si fecero padroni di Parma.
Nel dì seguente unitisi coi Fogliani e Manfredi suddetti, entrarono
parimente in Reggio, e posero in fuga Arnaldo Vachera nuovo governatore
inviatovi dal legato: con che amendue queste città tornarono a parte
ghibellina, e que' nobili fecero lega con Cane dalla Scala, e con gli
altri di sua fazione: avvenimento che atterrì forte il partito de'
Guelfi. Ma il _cardinal Beltrando_ legato tanto fece in Romagna[1155],
che _Alberghettino de' Manfredi_ signor di Faenza s'accordò con lui,
parendo nondimeno che esso Alberghettino non gli lasciasse mettere
il piede in quella città. In quest'anno un orribil tremuoto, oltre
ad altri luoghi, sì fieramente conquassò la città di Norcia, che vi
perirono da quattro mila persone.
NOTE:
[1130] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 47 e 53.
[1131] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 71. Raynald., Annal. Eccl.
Baluz., Vit. Pap.
[1132] Albert. Mussatus, in Lud. Bavar. Bernard. Guid. Cont. Ptolom.
Lucens.
[1133] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 57. Istorie Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
[1134] Chron. Sanense, tom. 15 Rer. Ital.
[1135] Tegrim., Vita Castruccii, tom. 11 Rer. Ital.
[1136] Bonincontr. Morigia, Chronic. Mod., cap. 37, tom. 12 Rer. Ital.
[1137] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 31.
[1138] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 96.
[1139] Johannes de Bazano, Chron. Mutinens., tom. 15 Rer. Ital.
[1140] Platina, Hist. Mantuan., lib. 2, tom. 20 Rer. Italic.
[1141] Moran., Chron. Mutin., tom. 11 Rer. Ital. Chron. Estense, tom.
15 Rer. Ital.
[1142] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 109.
[1143] Bonincontrus Morigia, Chron. Modoet., cap. 38, tom. 12 Rer.
Ital. Corio, Istor. di Milano.
[1144] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital. Albertinus Mussatus, de
Gest. Ital., lib. 12, tom. 8 Rer. Italic.
[1145] Gatari, Ist. Pad., tom. 17 Rer. Ital. Chron. Patav., tom. 8 Rer.
Ital.
[1146] Albertinus Mussatus, tom. 8 Rer. Ital.
[1147] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1148] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Albertinus Mussatus, lib. 12,
tom. 18 Rer. Ital.
[1149] Gazata, Chron. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[1150] Gazata, in Praefat. ad ejus Histor., tom. 18 Rer. Ital.
[1151] Contin. Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[1152] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 90. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[1153] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1154] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 95.
[1155] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 94. Rubeus, Hist. Ravenn., lib.
6.
Anno di CRISTO MCCCXXIX. Indizione XII.
GIOVANNI XXII papa 14.
Imperio vacante.
Stando in Pisa _Lodovico il Bavaro_, si trovava più che mai fallito di
moneta. Erano alla corte di lui _Azzo_ figliuolo e _Giovanni_ fratello
del fu _Galeazzo Visconte_[1156], e forse erano forzati a starvi.
Unitisi questi con _Marco Visconte_, stato sempre in grazia d'esso
Bavaro, seppero così ben trattare i fatti loro, che coll'esibizione di
settanta mila fiorini d'oro (il Villani dice cento venticinque mila),
da pagarsegli parte in Milano e parte dappoi, ottennero quanto vollero:
cioè Azzo impetrò il vicariato di Milano, e Giovanni dall'antipapa,
che era venuto a Pisa, fu creato cardinale, e suo legato generale per
tutta la Lombardia nel dì 18 di gennaio. Di questo danaro assegnò il
Bavaro trenta mila fiorini d'oro ai Tedeschi ribellati che stavano nel
Ceruglio, sperando di riavergli al suo servigio; ma, perchè non corse
la moneta, Marco Visconte, siccome già accennai, fu ritenuto come
ostaggio e mallevadore da essi. Andossene il valoroso giovane _Azzo
Visconte_, accompagnato dal Porcaro (così è nominato dal Villani: io
il credo Burgravio) uffiziale del Bavaro, per entrare in possesso di
Milano, e giunse in Monza con giubilo di quel popolo. Quivi si fermò
tredici dì, perchè Guglielmo conte di Monteforte governatore di Milano
non volea cedere, se non era prima soddisfatto delle sue paghe. Azzo
il soddisfece, e prese il dominio di Milano. Scrive il Villani che
il Porcaro suddetto, a nome del Bavaro, ebbe da Azzo venticinque mila
fiorini d'oro, coi quali marciò alla volta di Lamagna, senza mandare
un soldo ad esso Bavaro, nè a' cavalieri del Ceruglio: del che il
sitibondo Bavaro provò grande affanno. Anche Giovanni zio d'Azzo,
e falso cardinale, dovette tornare in tal congiuntura a Milano; ed
allora avvenne ciò che narra Galvano Fiamma[1157]: cioè che in quella
città insorsero molti falsi religiosi, pubblicamente predicanti che
_papa Giovanni XXII_ era eretico scomunicato, deposto ed omicida,
esaltando poi alle stelle l'antipapa Niccolò. Una gran fazione di
frati minori col loro generale fra Michele da Cesena era allora troppo
inviperita contra del papa per alcune ridicole questioni della lor
povertà. Accadde ancora che nel dì 2 di febbraio il capitano pontificio
del Patrimonio cogli Orvietani[1158] credendosi d'occupare la città
di Viterbo, vi entrò ostilmente; ma vi rimase sconfitto. Oltre a
piazza di San Pietro, Lodovico colla corona in capo propose al numeroso
popolo di Roma di fare un nuovo papa. Fu proposto fra Pietro da
Corvara, nativo d'Abbruzzo, dell'ordine de' Minori, grande ipocrita;
e il popolo, perchè la maggior parte odiava papa Giovanni per la sua
permanenza di là dai monti, l'accettò. Costui prese il nome di _Niccolò
quinto_; fece anche prima della consecrazione la promozion di sette
falsi cardinali, e nel dì 22 di maggio fu consecrato vescovo da uno di
essi, con prendere dipoi la corona dalle mani del medesimo Lodovico, il
quale di nuovo si fece coronar imperadore da questo suo idolo.
Tante bestialità di Lodovico il Bavaro in arrogarsi l'autorità di
deporre un papa, legittimo papa, nè giammai caduto in eresia, come
egli pretese, e di eleggerne un altro contro i riti e canoni della
Chiesa cattolica[1132], stomacarono forte allora chiunque portava
buona coscienza e lume di ragione; e solamente piacquero a molti
eretici e scismatici tanto religiosi che secolari, de' quali era
piena la corte d'esso Bavaro, e coi consigli de' quali soli egli
si regolava. Mostruosità ed empietà enorme non ha bisogno di essere
maggiormente dichiarata e detestata. Questa poi fu quella che finì
di dare il tracollo agl'interessi di lui in Italia. Ma qui convien
interrompere il corso delle azioni di Lodovico per venire in Toscana.
Mentre _Castruccio_ se ne stava in Roma, facendola da grande in
quella corte e città, e molto prima dell'empia tragedia che abbiamo
riferito[1133], Filippo da Sanguineto, vicario del duca di Calabria
in Firenze, cominciò a tessere certo trattato per torgli la città di
Pistoia. Fatti i preparamenti, la mattina innanzi giorno del dì 28 di
gennaio si presentò egli alle fosse di quella città, con ponti, scale
ed altri edifizii, due mila fanti e settecento cavalli. Data alle
mura la scalata, v'entrò, e dopo lunga battaglia colla guarnigion di
Castruccio, s'impadronì della terra, con fuggirsene Arrigo e Valerano,
figliuoli del medesimo Castruccio, e i lor soldati a Serravalle. La
misera città andò tutta a sacco, e durò ben dieci giorni la crudel
ruberia: il che trattenne que' soldati dal far altre conquiste nel
territorio. Per mare e per terra fu spedito a Castruccio il funesto
avviso di questa perdita. Egli, dopo tre dì, avutolo, si congedò
ben tosto dal Bavaro, ed immediatamente nel primo giorno di febbraio
s'avviò alla volta di Pisa colla sua gente. Lasciata poi questa in
cammino, marciò egli innanzi colla maggior sollecitudine possibile, ed
arrivò a Pisa con soli dodici cavalli nel dì 9 del mese suddetto. Da lì
a qualche giorno vi giunse anche la sua milizia. Prese egli nel mese
d'aprile al tutto la signoria di essa città di Pisa, ed impose colte
e gabelle per fornirsi di danaro, risoluto di riacquistare Pistoia,
e ciò senza riguardo alcuno al Bavaro, che ne era padrone, e al conte
d'Ottinghe inviato colà per governar la città. Si volle egli rifare,
perchè dava la colpa al Bavaro della perdita di Pistoia, per averlo
forzato ad andar seco a Roma. Poscia nel dì 15 di maggio col popolo
di Lucca e di Pisa cinse d'assedio essa città di Pistoia[1134]. Per
sua buona ventura era innanzi nata gara tra i Fiorentini e Filippo
da Sanguineto, a chi dovesse toccar la spesa di provvedere Pistoia,
città fornita di viveri appena per due mesi. Nè l'un nè gli altri
volendo cedere, ed informato Castruccio di questo litigio e dello stato
di Pistoia, tanto più s'animò ad assediarla. Di grandi battifolli,
steccati e fosse fece egli fare all'intorno, acciocchè niuno potesse
recarle soccorso, e cominciò a tormentar la città colle macchine e
con frequenti assalti. In questo mentre anche i Fiorentini fecero un
gagliardo apparecchio di gente, colla giunta d'altra che lor venne
dal _cardinal Beltrando_ legato, da Bologna, Siena, Volterra ed altre
terre. Con queste forze, superiori di molto a quelle di Castruccio,
almeno nella cavalleria, l'esercito fiorentino nel dì 20 di luglio andò
a postarsi in faccia dei trinceramenti di Castruccio sotto Pistoia.
Mostrò ben egli di voler battaglia; ma siccome cauto capitano si tenne
forte nel suo campo; e maggiormente afforzandolo con forti ripari,
lasciò che i Fiorentini, non veggendo maniera di snidarlo di là colla
forza, marciassero verso Pisa, credendosi eglino che Castruccio si
moverebbe per timore di perdere quella città. Nulla si mosse egli;
un terribil sacco fu dato al territorio pisano sino alle porte; e
intanto Simone dalla Tosa capitano di Pistoia, perduta la speranza
del soccorso per l'allontanamento de' suoi, e perchè gli era oramai
fallita la vettovaglia, nel dì 3 d'agosto (salve le persone col loro
equipaggio) rendè a Castruccio quella città con grande vergogna
e rabbia de' Fiorentini, i quali, udita la perdita di Pistoia, si
ritirarono tosto a casa. V'ha chi scrive, aver Castruccio, dappoichè
esso ottenne Pistoia, preso Prato, e dato verso Fucecchio una rotta
all'armata fiorentina; ma di ciò non parlando le più vecchie storie,
passerò a dire che egli, per paura del Bavaro, cominciò una tela co'
Fiorentini e col papa; ma per tante fatiche ed affanni cadde da lì a
non molti giorni infermo in Lucca; e, chiamati i suoi tre figliuoli
_Arrigo_, _Giovanni_ e _Valerano_, lasciò gli Stati al maggior di età,
ordinando loro e ai consiglieri di ben fornire le città di Pisa, Lucca
e Pistoia, e di stare uniti insieme. Poscia nel dì 3 di settembre nel
colmo di sua grandezza e fortuna, in età di soli quarantasette anni,
diede fine alla sua vita colla temporal gloria d'essere stato il più
accorto, prode e belicoso principe de' suoi tempi e tale, che, se la
morte non gli troncava il volo, pericolo v'era che Firenze e la Toscana
tutta soccombessero alla di lui somma sagacità e bravura. Leggesi la
di lui vita scritta da Niccolò Tegrimi nobile lucchese[1135], dove i
suoi costumi e le sue massime si trovano pienamente descritte. I suoi
figliuoli corsero Lucca, Pistoia e Pisa, e se n'impossessarono, con
aver tenuta celata sette giorni la di lui morte: per la quale non si
può esprimer quanta festa e tripudio si facesse in Firenze. Pareva a
quel popolo di essere rinato.
Non avea cessato Castruccio, dacchè il Bavaro giunse a Lucca e
Pisa[1136], di far tutti i più premurosi uffizii appresso di lui
per ottenere la libertà a _Galeazzo Visconte_, e ai di lui fratelli
e figliuoli. Lo stesso _Marco_ Visconte, autor principale della lor
rovina, che avea seguitato il Bavaro in Toscana, conoscendo l'eccessivo
error commesso in danno della propria casa, e pentito del fallo,
tuttodì si raccomandava per questo a Castruccio. Stette duro il
Bavaro. Appresso in Roma tanto esso Castruccio, quanto altri principi
ghibellini interposero la loro intercessione per la liberazion loro,
e alle preghiere succederono le minaccie di abbandonarlo, se non
concedeva loro tal grazia. Finalmente si lasciò vincere il Bavaro, e
l'ordine andò che fossero rimessi in libertà. Scrive il Villani[1137]
che Lodovico condannò _Luchino_ ed _Azzo_ a pagare venticinque mila
fiorini d'oro, e che ne pagarono sedici mila. Comunque sia, ci assicura
Buonincontro che li rimise in sua grazia, comandando che venissero in
Toscana. Nel dì 25 di marzo furono liberati dalle carceri di Monza;
quel popolo segretamente diede loro molti regali; ed essi andarono a
Lucca a trovar Castruccio, il quale teneramente abbracciò Galeazzo, ed
il creò suo generale all'assedio di Pistoia. Quivi per li crepacuori
passati e per le fatiche presenti, gravemente s'infermò Galeazzo; e
portato per ordine di Castruccio a Pescia, nel mese d'agosto, prima
della resa di Pistoia, in età di cinquantun anni meschinamente morì,
lasciando un grande esempio della volubilità delle grandezze terrene.
Torniamo ora al Bavaro, i cui disegni in Roma erano di assalire il
regno di Napoli; ma l'essersi partito da lui Castruccio con sue genti,
e il non comparir mai, secondo il concerto, la flotta di _Federigo re_
di Sicilia, che s'era collegato con lui ai danni del _re Roberto_,
arenò tutta l'impresa. Fece bensì unito coi Romani a lui qualche
guerra, ma di poco momento, perchè troppo penuriava di moneta, e vi
era discordia nell'esercito suo. All'incontro, il re Roberto[1138]
prese Ostia, Anagni ed altri luoghi. Per questi ed altri motivi il
Bavaro, non veggendosi più sicuro in Roma, se ne partì col suo antipapa
nel dì 4 d'agosto, con fargli le fischiate dietro quel popolo romano
che dianzi tanta festa avea mostrato per lui, e venne a Viterbo.
Nel dì seguente entrarono in Roma Bertoldo Orsino e Stefano dalla
Colonna, prendendone possesso a nome di _papa Giovanni_, e colà ancora
successivamente arrivarono il cardinal legato ed ottocento cavalieri
del re Roberto, con esserne fuggiti Sciarra dalla Colonna, che da lì a
non molto mancò di vita, Jacopo Savello e gli altri Ghibellini. Venuto
il Bavaro a Todi, dalla qual città cavò quattordici mila fiorini,
pensava di passare a dirittura ad Arezzo, istigato dai Ghibellini di
marciare addosso a Firenze, quando gli giunse nuova che _don Pietro_,
figliuolo di Federigo re di Sicilia, con una potente flotta andava in
traccia di lui, e desiderava di seco abboccarsi a Corneto. Andò colà,
e dopo molti contrasti e rimproveri, per essere egli tardato tanto a
venire, si trattò di nuovo di far guerra al re Roberto. Ma troppo era
in collera Lodovico, perchè Castruccio gli avea tolta Pisa, e però
volle prima portarsi colà. Nel viaggio colla sua gente e co' Siciliani
prese Grosseto; e, giuntagli colà la nuova della morte di Castruccio,
affrettò i passi, e nel dì 21 di settembre arrivò a Pisa, ricevuto con
somma allegrezza da quel popolo. Se ne fuggirono a Lucca i figliuoli
di Castruccio, conoscendo d'essere troppo in odio ai Pisani. L'armata
siciliana in tornando a casa, assalita da una fiera tempesta, colla
perdita di quindici galee e con altri danni, arrivò molto sconciata
e scemata in Sicilia. Andò poscia il Bavaro a Lucca ad istanza di
quei cittadini, e tolse la signoria di quella città ai suddetti
figliuoli di Castruccio con giubilo di quel popolo. Ma finì presto la
lor festa, perchè il Bavaro impose loro una colta di cento cinquanta
mila fiorini d'oro; stoccata che arrivò loro al cuore. Parimente per
danari riconfermò il dominio di quella città agli stessi figliuoli
di Castruccio. Anche l'allegrezza dei Pisani si convertì ben tosto in
lutto, avendo essi dovuto pagare altri cento mila fiorini d'oro. Questi
erano i benefizii, co' quali Lodovico il Bavaro si rendeva amabile
ai popoli di Italia. Pure, con tutti questi fieri salassi alle borse
altrui, non correano le paghe ai suoi soldati, e, per tal motivo, fatta
congiura, ottocento dei suoi migliori cavalieri tedeschi nel dì 29
d'ottobre disertarono da Pisa, e corsero a Lucca per impadronirsene;
ma, trovate le porte chiuse per avviso precorso della lor venuta,
diedero il sacco ai borghi di quella città, e poi ridottisi sul
Ceruglio nella montagna di Vivinaia, quivi si fortificarono, con vivere
da lì innanzi di rapine e di tributi di tutti i contorni. E perciocchè
il Bavaro, non avendo attenuta la promessa di pagar loro sessanta
mila fiorini, inviò ad essi Marco Visconte per trattar di concordia,
il ritennero prigione: dal che poi nacquero altre novità che andremo
vedendo.
Già di sopra accennammo che _Cane dalla Scala_, tuttochè ghibellino,
andò poco d'accordo coi Visconti. Era anche disgustato di _Passerino
de' Bonacossi_ signor di Mantova. Perciò diede mano e braccio ad
una congiura formata contra di lui[1139] dai figliuoli di _Luigi da
Gonzaga_, cioè _Guido_, _Filippino_ e _Feltrino_, nobili antichi di
Mantova, che si truovano registrati vassalli della contessa Matilda.
Ebbero essi dallo Scaligero e da Guglielmo di Castelbarco ottocento
fanti e trecento cavalli, co' quali inaspettatamente entrati in
Mantova la mattina del dì 16 d'agosto, correndo quivi la festa di
san Leonardo, s'impadronirono della piazza. Il Platina scrive[1140]
ciò succeduto nel dì 17 di luglio. Accorso Passerino, vi restò
trucidato[1141]. Furono presi Francesco e l'abbate di Sant'Andrea
suoi figliuoli, e Guido e Pinamonte figliuoli di Botirone già suo
fratello, e consegnati a Niccolò Pico ed agli altri nobili della
Mirandola, i quali li condussero al castello del Castellaro della
diocesi di Modena, e, in vendetta della morte di Francesco lor padre,
quivi nelle prigioni barbaricamente li lasciarono morir di fame. In
tal congiuntura si sfogò lo sdegno de' congiurati anche contro molti
de' parziali e soldati di Passerino, che non poterono fuggire, e
massimamente contra de' suoi crudeli uffiziali. Inestimabili ruberie
furono fatte in quella rivoluzion di Stato, e la maggior parte del
bottino toccata a Cane dalla Scala fu creduta da alcuni ascendere
alla somma di cento mila fiorini d'oro. Questo miserabil fine ebbe
Passerino, che pel suo aspro governo di tant'anni si guadagnò da'
Mantovani e Modenesi il titolo di tiranno. Venne appresso dal popolo
di Mantova proclamato lor signore di nome _Luigi da Gonzaga_; ma
l'esercizio del dominio restò nei suoi valorosi figliuoli, i quali coi
lor discendenti renderono poi gloriosa in Italia la famiglia Gonzaga,
e continuarono la signoria in Mantova sino al principio del presente
secolo decimo ottavo di Cristo, in cui io scrivo. In quest'anno
ancora _Carlo duca di Calabria_, unico figliuolo di _Roberto re_ di
Napoli[1142], infermatosi, giunse al fine di sua vita nel dì 9 ovvero
10 di novembre, con dolore inesplicabile del padre e di que' popoli,
perchè era buon principe, amatore della giustizia, pio ed amorevole
verso tutti. Non lasciò dopo di sè alcun maschio, ma bensì due femmine,
_Giovanna_ già nata, e _Maria_, che nacque dopo la morte del padre da
_Maria di Valois_, sorella di _Filippo di Valois_, il quale in questo
anno, venuta meno la figliuolanza di _Filippo il Bello_, diventò re di
Francia. Col tempo il regno di Napoli ebbe da piagnere maggiormente
la perdita di questo principe senza eredi maschi, siccome andremo
vedendo. In Firenze fu gran duolo per la sua morte; ma molti ancora
internamente se ne rallegrarono, perchè finì il suo dominio in quella
città, ed ivi si tornò alla libertà primiera. Erano in questi tempi
signori della città di Lodi _Sozzo_ e _Jacopo de' Vestarini_, ed
aveano esaltato di molto un lor famiglio, già mugnaio, uomo fiero,
nominato Pietro Tremacoldo, per soprannome il Vecchio, con farlo capo
delle lor guardie, e lasciargli in mano le chiavi di una porta della
città[1143]. Molte scelleraggini e crudeltà commise costui in servigio
de' padroni, ma seppe anche guadagnarsi l'amicizia di molti. Perchè
Sozzino giovine della casa dei Vestarini gli stuprò una nipote, e,
fattane doglianza, ebbe in risposta solamente delle minaccie, talmente
s'inviperì, che ne volle far alta vendetta. Però, introdotta una notte
in Lodi una gran masnada di fanti, mise la terra a rumore, e presi i
suddetti due signori, con quattro altri di quella casa (se ne fuggì
Sozzino con altri), rinserrolli in uno scrigno, e quivi di fame li
lasciò perire. Agl'indagatori de' gabinetti celesti dovette allora
sembrar questo un giusto giudizio di Dio; perchè i Vestarini, dacchè
aveano imprigionato alcuni, li dimenticavano nelle carceri, e permisero
che molti d'essi morissero di fame, ridendo allorchè udivano che i
miseri urlavano per non aver che mangiare. Fecesi per forza questo
ribaldo vecchio proclamare signor di Lodi, e spedì subito a Guglielmo
di Monteforte vicario di Milano, assicurandolo che terrebbe la città a
parte ghibellina, e di aver tolto di vita i Vestarini, perchè voleano
dar Lodi al legato del papa.
Sempre più andava peggiorando lo stato di Padova[1144]. Niccolò da
Carrara, con gli altri fuorusciti, nell'anno precedente avea fatta
gran guerra a quella città, maggiore la fece nell'anno presente con
venir sino alle porte, e togliere ai Padovani buona parte de' loro
raccolti. Entro di Padova Ubertino da Carrara con Tartaro da Lendenara
teneva in continua inquietudine i miseri cittadini; nè giustizia si
facea, nè modo si trovava da frenar le di lui insolenze. _Corrado da
Ovestagno_, vicario del _duca di Carintia_ in essa città, ad altro non
attendeva co' suoi Tedeschi che ad ammassar danaro con ispogliar case
e chiese, biasciando intanto de' Pater nostri, e facendo colle spoglie
de' Padovani fabbricar chiese e monisteri nel suo paese. Mostrava
bensì, secondo la sua politica, _Cane dalla Scala_ di voler conservare
le tregue con Padova, ma sotto mano porgeva aiuto ai fuorusciti,
acciocchè facessero quanto di male potessero alla lor patria. Nè per
quanti ricorsi fossero fatti al duca di Carintia, al legato del papa e
a' marchesi estensi, per ottener aiuto, alcuno volea muovere un dito
in lor favore. _Marsilio da Carrara_, uno de' più accorti uomini del
suo tempo, veggendo andar così in malora la città, finalmente si
appigliò al partito di fare il proprio negozio, con dar Padova a Cane
dalla Scala, ed averne egli solo il merito tutto[1145]. Segretamente
adunque spedì Filippo da Peraga a Cane, offerendogli il dominio della
città, purchè _Mastino dalla Scala_ di lui nipote sposasse _Taddea
da Carrara_ (che Alda è chiamata dal Mussato) figliuola di _Jacopo_
già signore di Padova, e Marsilio conseguisse i beni di alcune ricche
famiglie fuoruscite e il vicariato della città, ma solamente di nome,
dovendovi Cane mettere tutti gli uffiziali, con altri patti vantaggiosi
per lui. Altro non cercava che questo Cane, il quale da tanti anni
ansava dietro a sì nobile acquisto, e tante guerre avea fatto e tanto
danaro speso, senza mai poter ottenere il suo intento. Andò Mastino a
Venezia, ed occultamente sposò Taddea da Carrara, che ivi si allevava,
e compiè il matrimonio. Ciò fatto, Marsilio, dopo avere introdotto con
varii pretesti molte centinaia di contadini armati in Padova, nel dì
3 di settembre, per avere più sciolte le mani e più balia ad eseguire
il trattato, fece destramente insinuare al popolo di dare a lui la
signoria della città; e ciò fu fatto. Poscia licenziò i Tedeschi,
che erano ivi di presidio, soddisfatti delle lor paghe. Finalmente
nel maggior consiglio della città spiegò la risoluzione da lui presa
di cedere a Cane dalla Scala il dominio di Padova, giacchè altra
maniera non v'era di salvarsi in mezzo a tante tempeste[1146]. Niuno
osò di contraddire; e però, eletto il sindaco, nel dì 7 di settembre
lo stesso Marsilio da Carrara con esso e con molti de' principali
cittadini cavalcò a Vicenza, e presentò le chiavi della città a Cane,
il quale appena si trattenne dal baciare un dono sì caro. Fece la sua
magnifica entrata Cane in Padova nel dì 10 del suddetto mese, ricevuto
con plauso e benedizioni da quel popolo, oramai convinto che altro
rimedio non v'era a' suoi mali, fuorchè questo. La liberalità del
novello principe si diffuse sopra i suoi più cari, e massimamente sopra
Marsilio da Carrara, alle spese nondimeno de' fuorusciti, appellati
ribelli; di modo che Marsilio divenne, di ricco che era, sommamente
ricchissimo. Toccò ad essi fuorusciti lo starsene in esilio; e perchè
Albertino Mussato, celebre storico, il quale ampiamente racconta
questi fatti, osò di rientrare in Padova senza licenza, fu mandato a'
confini a Chioggia, dove nell'anno seguente finì di vivere e scrivere.
Solennemente ancora fu di nuovo sposata Taddea Carrarese da Mastino
dalla Scala.
Tornato Cane a Verona, volle solennizzar questa importante conquista
con una magnifica festa. Tenne dunque corte bandita in quella città
nel dì ultimo di novembre. La Cronica di Verona[1147] dice nell'ultimo
d'ottobre. Forse cominciò allora la festa, ed essendo durata un mese,
terminò nel fine di novembre. Concordano gli autori in dire[1148]
che incredibil ne fu la magnificenza per la varietà dei tornei, delle
giostre, delle illuminazioni e d'altri pubblici suntuosi solazzi; pel
concorso smisurato de' nobili di tutte le circonvicine città, essendovi
stati cinque mila cavalli forestieri, ed intervenuti anche _Obizzo
marchese_ d'Este signor di Ferrara[1149], e _Luigi da Gonzaga_ signore
di Mantova; e finalmente per li gran regali fatti dallo Scaligero,
che tenne sempre tavola aperta a tutta la nobiltà sì del paese che
forestiera. La maggior solennità fu nel giorno in cui egli di sua
mano creò cavalieri trentotto nobili delle prime case di Verona,
Vicenza, Padova, Venezia, Mantova, Bergamo, Como, Reggio di Lombardia
e Vercelli. Simili funzioni in Italia si faceano in que' secoli pieni
di guerre, e chiamati da noi barbari, ma che più non si mirano in
Italia, tanto ingentilita, per essersi perduta la voglia delle corti
bandite, e del giostrare e torneare, dacchè tante armate straniere fan
qui dei torneamenti d'altra fatta. Aggiungasi la descrizione che il
padre del Gazata, storico reggiano di questi tempi[1150], a noi lasciò
del nobilissimo genio d'esso Scaligero. Gran copia teneva egli di
cortigiani; ed, oltre a ciò, non v'era uomo di qualche grido o per le
lettere, o pel mestiere dell'armi, o per singolarità in qualche arte,
il quale, sbattuto dalla fortuna o dalle rivoluzioni della patria, sì
frequenti in questi tempi, ricorresse a lui, che non fosse ben veduto
e provveduto di abitazione e tavola nella sua corte. Venivano essi
con tutta proprietà e lautezza serviti, e, secondo le lor professioni,
erano distribuiti. Quivi i poeti, lì i filosofi, in altre camere gli
artefici, i predicatori e simili. Sopra la porta di quelle camere si
mirava qualche pittura che alludeva alla lor professione. Eranvi musici
di canto e suono, e buffoni per rallegrar di tanto in tanto le cene ed
i pranzi: ben addobbato il palazzo di arazzi e pitture. Talvolta ancora
Cane voleva alla sua tavola or questo or quello di que' valenti uomini;
ed uno fra gli altri fu Dante Alighieri, celebre poeta, che, bandito
da Firenze, provò quanta fosse la generosità di questo principe, degno
perciò di maggior vita e di comandare a più popoli. Funesto riuscì
quest'anno a Venezia, perchè la morte rapì il loro doge, cioè _Giovanni
Soranzo_[1151], a cui nel dì 8 di gennaio succedette in quella dignità
_Francesco Dandolo_. Nè si dee tacere che, all'entrare di luglio[1152],
venendo da Avignone la paga per li soldati del legato di Italia,
consistente in sessanta mila fiorini d'oro, e scortata da cento
cinquanta cavalieri, usciti fuor d'un agguato i Pavesi, ne presero
almeno la metà con assai arnesi, somieri e prigioni. Ed ecco dove
andavano le decime raccolte pel papa dall'aggravato clero. Anche negli
anni addietro _Jacopo re_ d'Aragona occupò da ducento mila fiorini
d'oro, che gli uffiziali di _papa Giovanni XXII_ aveano ricavato dagli
ecclesiastici del suo regno, e se ne servì per torre la Sardegna ai
Genovesi. Furono in quest'anno ancora novità in Reggio di Lombardia
e in Parma. Nel mese di giugno Guiduccio e Giovanni de' Manfredi, e
Giovanni Riccio da Fogliano, nobili reggiani[1153], uccisero Angelo da
San Lupidio governatore di quella città per la Chiesa, ed uomo di molta
pietà ornato, e poi se ne andarono alle lor castella. Era anche in
Parma[1154] governatore pontificio Passerino dalla Torre; ma perchè con
imposte ed altri aggravii opprimeva quel popolo, _Marsilio de' Rossi_
ed _Azzo da Correggio_, nobili di quella città, nel dì primo di agosto
scacciarono lui e il presidio papalino, e si fecero padroni di Parma.
Nel dì seguente unitisi coi Fogliani e Manfredi suddetti, entrarono
parimente in Reggio, e posero in fuga Arnaldo Vachera nuovo governatore
inviatovi dal legato: con che amendue queste città tornarono a parte
ghibellina, e que' nobili fecero lega con Cane dalla Scala, e con gli
altri di sua fazione: avvenimento che atterrì forte il partito de'
Guelfi. Ma il _cardinal Beltrando_ legato tanto fece in Romagna[1155],
che _Alberghettino de' Manfredi_ signor di Faenza s'accordò con lui,
parendo nondimeno che esso Alberghettino non gli lasciasse mettere
il piede in quella città. In quest'anno un orribil tremuoto, oltre
ad altri luoghi, sì fieramente conquassò la città di Norcia, che vi
perirono da quattro mila persone.
NOTE:
[1130] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 47 e 53.
[1131] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 71. Raynald., Annal. Eccl.
Baluz., Vit. Pap.
[1132] Albert. Mussatus, in Lud. Bavar. Bernard. Guid. Cont. Ptolom.
Lucens.
[1133] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 57. Istorie Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
[1134] Chron. Sanense, tom. 15 Rer. Ital.
[1135] Tegrim., Vita Castruccii, tom. 11 Rer. Ital.
[1136] Bonincontr. Morigia, Chronic. Mod., cap. 37, tom. 12 Rer. Ital.
[1137] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 31.
[1138] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 96.
[1139] Johannes de Bazano, Chron. Mutinens., tom. 15 Rer. Ital.
[1140] Platina, Hist. Mantuan., lib. 2, tom. 20 Rer. Italic.
[1141] Moran., Chron. Mutin., tom. 11 Rer. Ital. Chron. Estense, tom.
15 Rer. Ital.
[1142] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 109.
[1143] Bonincontrus Morigia, Chron. Modoet., cap. 38, tom. 12 Rer.
Ital. Corio, Istor. di Milano.
[1144] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital. Albertinus Mussatus, de
Gest. Ital., lib. 12, tom. 8 Rer. Italic.
[1145] Gatari, Ist. Pad., tom. 17 Rer. Ital. Chron. Patav., tom. 8 Rer.
Ital.
[1146] Albertinus Mussatus, tom. 8 Rer. Ital.
[1147] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[1148] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Albertinus Mussatus, lib. 12,
tom. 18 Rer. Ital.
[1149] Gazata, Chron. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[1150] Gazata, in Praefat. ad ejus Histor., tom. 18 Rer. Ital.
[1151] Contin. Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[1152] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 90. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[1153] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1154] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 95.
[1155] Giovanni Villani, lib. 10, cap. 94. Rubeus, Hist. Ravenn., lib.
6.
Anno di CRISTO MCCCXXIX. Indizione XII.
GIOVANNI XXII papa 14.
Imperio vacante.
Stando in Pisa _Lodovico il Bavaro_, si trovava più che mai fallito di
moneta. Erano alla corte di lui _Azzo_ figliuolo e _Giovanni_ fratello
del fu _Galeazzo Visconte_[1156], e forse erano forzati a starvi.
Unitisi questi con _Marco Visconte_, stato sempre in grazia d'esso
Bavaro, seppero così ben trattare i fatti loro, che coll'esibizione di
settanta mila fiorini d'oro (il Villani dice cento venticinque mila),
da pagarsegli parte in Milano e parte dappoi, ottennero quanto vollero:
cioè Azzo impetrò il vicariato di Milano, e Giovanni dall'antipapa,
che era venuto a Pisa, fu creato cardinale, e suo legato generale per
tutta la Lombardia nel dì 18 di gennaio. Di questo danaro assegnò il
Bavaro trenta mila fiorini d'oro ai Tedeschi ribellati che stavano nel
Ceruglio, sperando di riavergli al suo servigio; ma, perchè non corse
la moneta, Marco Visconte, siccome già accennai, fu ritenuto come
ostaggio e mallevadore da essi. Andossene il valoroso giovane _Azzo
Visconte_, accompagnato dal Porcaro (così è nominato dal Villani: io
il credo Burgravio) uffiziale del Bavaro, per entrare in possesso di
Milano, e giunse in Monza con giubilo di quel popolo. Quivi si fermò
tredici dì, perchè Guglielmo conte di Monteforte governatore di Milano
non volea cedere, se non era prima soddisfatto delle sue paghe. Azzo
il soddisfece, e prese il dominio di Milano. Scrive il Villani che
il Porcaro suddetto, a nome del Bavaro, ebbe da Azzo venticinque mila
fiorini d'oro, coi quali marciò alla volta di Lamagna, senza mandare
un soldo ad esso Bavaro, nè a' cavalieri del Ceruglio: del che il
sitibondo Bavaro provò grande affanno. Anche Giovanni zio d'Azzo,
e falso cardinale, dovette tornare in tal congiuntura a Milano; ed
allora avvenne ciò che narra Galvano Fiamma[1157]: cioè che in quella
città insorsero molti falsi religiosi, pubblicamente predicanti che
_papa Giovanni XXII_ era eretico scomunicato, deposto ed omicida,
esaltando poi alle stelle l'antipapa Niccolò. Una gran fazione di
frati minori col loro generale fra Michele da Cesena era allora troppo
inviperita contra del papa per alcune ridicole questioni della lor
povertà. Accadde ancora che nel dì 2 di febbraio il capitano pontificio
del Patrimonio cogli Orvietani[1158] credendosi d'occupare la città
di Viterbo, vi entrò ostilmente; ma vi rimase sconfitto. Oltre a
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