Annali d'Italia, vol. 5 - 31
dai Tedeschi che l'aveano preso, e con essi tratti al suo partito
venne a Monza. Il Morigia, autore che ne prese migliore informazione,
asserisce non essere egli restato prigione, e che fuggendo, per
miracolo di san Giovanni Batista, arrivò salvo a Monza. Il Cardona
dipoi nel mese di novembre, fatto negozio colle guardie a lui poste in
Milano, se ne fuggì, e a Monza anche egli si restituì. Monza, dico, la
qual fu susseguentemente assediata da Galeazzo Visconte e dalle sue
genti. Mandò il legato due mila soldati alla difesa di quella città,
intorno a cui furono fatte varie bastie e battifolli. Nel settembre
fecero una sortita gli assediati, avendo alla testa Verzusio Lando con
ottocento cavalli e mille e cinquecento fanti. Ben li ricevette con
soli cinquecento cavalli Marco Visconte, e li sconfisse, colla morte
di trecento ottanta d'essi, il che mise in somma costernazione quel
presidio di crocesignati, i quali altro mestier non faceano, se non
di rubar le zitelle e mogli altrui, di ammazzar uomini e fanciulli, e
saccheggiare e incendiar le case. Entrarono anche di consenso dello
stesso cardinal legato nella chiesa maggiore di Monza, ne presero
quanti vasi d'oro e d'argento e reliquiarii v'erano; il che non so come
ben s'accordi coll'avere precedentemente scritto il medesimo Morigia
che i canonici, prevedendo le disgrazie che avvennero, aveano nascoso
in segretissimo luogo il ricco tesoro di quella chiesa. Secondo il
suddetto Morigia[1071], la fuga di Raimondo da Cardona fu di consenso
segreto dello stesso Galeazzo Visconte, perchè gli fece egli sperare
di adoperarsi per la restituzion di Monza, e di ottenergli anche buon
accordo col papa. Infatti andò esso Raimondo ad Avignone, ed espose
l'impossibilità di vincere i Visconti, e che Galeazzo intendeva di
conservare per sè il dominio di Milano, e di mantenere a sue spese
cinquecento uomini d'armi al servigio del papa, dovunque egli volesse.
Non dispiacquero al papa i patti; ma siccome egli non ardiva di muovere
un dito, se non gliene dava licenza il re Roberto, così ordinò che se
ne parlasse al medesimo re. Ne parlò Raimondo al re, e ne ebbe per
risposta che accetterebbe così fatta proposizione, purchè Galeazzo
giurasse di adoperar tutte le sue forze in servigio d'esso re contra
l'imperiale potenza. Ed ecco come l'ambizion di Roberto si cavò il
cappuccio; ecco svelati i motivi di tanti processi contra del Bavaro,
de' Visconti e degli altri Ghibellini di Italia, sotto pretesto di
disubbidienze e d'eresie. Tutto tendeva per diritto o per traverso
a distruggere l'imperio, e ad esaltare chi s'abusava dell'autorità
e della penna del pontefice, divenuto suo schiavo, per arrivare
all'intera signoria d'Italia. Ma Galeazzo Visconte protestò di voler
sofferire piuttosto ogni male, che andar contro al giuramento da lui
prestato a chi reggeva l'imperio. Trattò egli dipoi col cardinale
Beltrando legato la restituzione di Monza; e già era accordato tutto,
quando il legato, coll'esibizione di otto mila fiorini d'oro ad alcuni
traditori, si credette di occupar la città di Lodi: il che se veniva
fatto, Monza non si rendeva più. Il tentativo di Lodi andò a voto, e
molti de' traditori furono presi[1072]: il che cagionò che nel dì 10 di
dicembre si rendesse la città di Monza a Galeazzo. Colà egli richiamò
chiunque era fuggito, e mise tra loro la pace; poi nel marzo dell'anno
seguente cominciò a fortificare il castello d'essa città in mirabil
forma, con farvi anche delle orride prigioni. Vi fu chi disse[1073] che
Galeazzo faceva far ivi quelle carceri per sè e per li suoi fratelli,
e che potrebbono esser eglino i primi a provarle. Col tempo il detto si
verificò; ma forse dopo il fatto nacque tal predizione.
Correvano già due anni e più che i Perugini col ministro del papa,
governatore del ducato spoletino, tenevano assediata la città di
Spoleti con bastie e battifolli fabbricati all'intorno[1074]. La fame
finalmente costrinse quel popolo ad arrendersi, salve le persone, nel
dì 9 di aprile. Per buona cautela de' Fiorentini e Sanesi, che v'erano
colla lor taglia ad oste, non seguì maleficio alcuno nell'entrare in
essa città, la quale fu ridotta a parte guelfa, e rimase distrittuale
di Perugia. Fecero dipoi essi Perugini l'assedio della Città di
Castello occupata dal vescovo d'Arezzo coll'aiuto dell'altre città
della lega guelfa. Nel dì 22 d'aprile[1075] il _re Roberto_ colla
regina sua moglie e _Carlo duca_ di Calabria suo figliuolo, e colla
moglie figliuola di _Carlo di Valois_, dalla Provenza incamminati per
mare a Napoli, con quarantacinque vele arrivarono a Genova. Fece ivi
un gran broglio, affinchè il limitato dominio di dieci anni di quella
città, a lui già dato nell'anno 1318, divenisse perpetuo. Ne nacque
discordia fra i cittadini: chi volea tutto, chi meno, chi nulla.
Finalmente si acconciò l'affare con prorogargli la signoria anche
per sei anni avvenire. Fece egli alquante mutazioni in quel governo,
ristringendo la libertà del popolo. Nel suo passaggio ebbe grandi
presenti ed onori dai Pisani, i quali in questi tempi si trovano
in gravi affanni, essendo che _don Alfonso_ figliuolo di _Giacomo
re_ d'Aragona e Catalogna, passato con buona armata in Sardegna,
andava loro togliendo a poco a poco tutti i luoghi posseduti da essi
in quell'isola, e diedero loro anche nel mese di maggio dell'anno
presente una rotta a Castello di Castro. Per concerto fatto nel dì 3 di
marzo[1076] veniva il vicario del re Roberto a ripigliare il possesso
di Pistoia; ma fu forzato a tornarsene vergognosamente indietro,
perchè, assalito per istrada dalle genti di _Filippo de' Tedici_, il
quale in questo anno appunto tolse la signoria di Pistoia nel dì 24
di luglio ad _Ormanno Tedici abbate_ di Pacciana suo zio, e se ne
fece egli signore, e conchiuse una tregua con _Castruccio_ signore
di Lucca, pagandogli ogni anno tre mila fiorini d'oro di tributo.
Adirati i nobili padovani[1077], spezialmente i Carraresi, contra di
_Cane dalla Scala_, tanto fecero, che trassero in Italia il _duca di
Carintia_, e _Ottone_ fratello del duca d'Austria, per isperanza di
mettere un buon collare al collo d'esso messer Cane. Vennero questi
principi con ismisurato esercito di cavalleria tedesca ed unghera,
che si fece ascendere al numero di quindici mila cavalli. Diedero
costoro il sacco al Friuli per dove passarono. Arrivati nel dì 3 di
giugno a Trivigi, vi consumarono tutto. Prima ancora che arrivassero
sul Padovano, a furia fuggivano i miseri contadini di quel paese,
perchè informati che coloro, dovunque giugnevano, facevano un netto,
bruciavano, nè rispettavano donne, nè monache. Nel dì 21 d'esso mese
con questa diabolica armata arrivò il duca di Carintia a Padova, e
nel dì seguente cavalcò a Monselice. Oh qui sì che c'era bisogno di
senno a Cane dalla Scala. Non gli mancò in effetto. Unì quante genti
potè[1078]. _Obizzo marchese_ d'Este e signor di Ferrara con gran copia
di cavalli e fanti ferraresi corse a Verona in suo aiuto. Milanesi,
Mantovani, Modenesi, anch'essi volarono colà, e tutti si posero a
guardar le fortezze. Ma Cane non ripose già la sua speranza in questi
combattenti. Persuaso egli della verità di quel proverbio: _Miglior
punta ha l'oro che il ferro_, non tardò a spedire Bailardino da
Nogarola ed altri ambasciatori, allorchè il duca fu giunto a Trivigi,
e susseguentemente in altri luoghi, tenendolo a bada con proposizioni
d'accordo e con altri raggiri; e finalmente, esibite grossissime somme
di danaro, ottenne tregua da lui sino al venturo Natale. Si vide allora
quella bella scena, che il duca, dappoichè la sua gente ebbe rovinata
coi saccheggi buona parte del Padovano, in cui sollievo era venuta,
e ricavati trentamila fiorini d'oro da quella città, senza far danno
alcuno alle terre dello Scaligero, contra di cui era stato chiamato,
se ne tornò nel dì 26 di luglio in Carintia: gridando i confusi ed
impoveriti Padovani, essere peggior l'amicizia di quella gente, che la
nemicizia con Cane. Nel dì 23 di novembre morì _Jacopo da Carrara_, già
signore di Padova, lasciando sotto la cura di Marsilio da Carrara le
sue figliuole e i suoi bastardi. Abbiamo dalla Cronica di Cesena[1079]
che nel luglio di quest'anno _Speranza conte di Montefeltro_ coi
figliuoli del già ucciso _conte Federigo_ ritornò in Urbino; dal che
pare restituita quella famiglia nel dominio d'essa città; ma di ciò
non ne so il come. Nel dì 3 di giugno in Rimini _Pandolfo Malatesta_
e _Galeotto_ suo figliuolo, con altri Malatesti e nobili, furono
fatti cavalieri[1080]. Magnifiche feste e giostre per tal occasione
si fecero, col concorso di gran nobiltà di Firenze, Perugia, Siena,
Bologna e di tutta la Toscana, marca d'Ancona, Romagna e Lombardia.
Quivi si contarono più di mille e cinquecento cantambanchi, giocolieri,
commedianti e buffoni: il che ho voluto notare, acciocchè s'intendano
i costumi e il genio di questi secoli. Il conte Speranza e il _conte
Nolfo_, figliuoli del fu _conte Federigo_ di Montefeltro, nel dì 9
d'agosto vennero coll'esercito di Urbino contro alcune castella di
Ferrantino Malatesta, dove s'erano rifugiati gli uccisori del suddetto
conte Federigo, e, presi que' luoghi, fecero crudel vendetta di que'
traditori. Anche i marchesi estensi _Rinaldo_ ed _Obizzo_, signori
di Ferrara[1081], nel dì primo di novembre ritolsero all'arcivescovo
di Ravenna la grossa terra, appellata anche città, d'Argenta col
suo castello. Intanto, contuttochè _Lodovico il Bavaro_ deducesse le
sue buone ragioni, pure non potè impedire che in questo anno _papa
Giovanni_, subornato dal re Roberto[1082], non fulminasse contra di
esso Lodovico le censure, e facesse predicar la crociata, secondo
il deplorabil uso di que' tempi, contra di lui, siccome accennammo
all'anno precedente. Però si diede egli con più vigore ad accudire
agli affari d'Italia; e cotanto s'ingegnò in Germania, che frastornò
i disegni di _Carlo re_ di Francia, il quale, prevalendosi anch'egli
del favore del papa, macchinava di farsi eleggere re ed imperador de'
Romani. Di più non dico di queste controversie, lasciandone volentieri
ad altri la discussione.
NOTE:
[1067] Chron. Astens., tom. 11 Rer. Ital.
[1068] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1069] Bonincontrus Morigia, Chron. Modoet., tom. 13 Rer. Ital. Corio,
Istor. di Milano. Giovanni Villani, lib. 9, cap. 138.
[1070] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1071] Morigia, lib. 3, cap. 27, tom. 12 Rer. Ital.
[1072] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 270.
[1073] Bonincontrus Morigia, lib. 3, cap. 31, tom. 11 Rer. Ital.
[1074] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 243.
[1075] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1076] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 239. Istor. Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
[1077] Cortus. Histor., lib. 3, tom. 12 Rer. Ital. Giovanni Villani,
lib. 9. Chronic. Patavin., tom. 8 Rer. Ital.
[1078] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1079] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[1080] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1081] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1082] Raynaldus, Annal. Eccles., num. 6.
Anno di CRISTO MCCCXXV. Indizione VIII.
GIOVANNI XXII papa 10.
Imperio vacante.
Cominciò in quest'anno gara e discordia fra _Galeazzo Visconte_
signor di Milano e _Marco_ suo fratello, che col tempo quasi condusse
a precipizio la casa de' Visconti[1083]. Pretendeva Marco parte nel
dominio; altrettanto Lodrisio Visconte lor cugino, allegando le tante
fatiche da lor sofferte per tenere in piedi la vacillante fortuna
della lor casa. Ma Galeazzo, eletto solo signore dal popolo, non
volea compagni nel governo. Diedersi perciò Marco e Lodrisio a far
delle combricole e congiure con altri nobili contra di Galeazzo; e
perchè scoprirono ch'egli andava maneggiando qualche onorevol accordo
con _papa Giovanni_, cominciarono a scrivere lettere a _Lodovico il
Bavaro_, sollecitandolo a calare in Italia[1084]. Intanto Galeazzo
nel dì 21 di febbraio mosse guerra ai Parmigiani, coll'inviare contra
loro il valoroso giovine _Azzo_ suo figliuolo, il quale s'impadronì
del castello di Castiglione. Ma, assediato il medesimo castello
dai Parmigiani, lo riebbero nel dì 15 di marzo colla libera uscita
de' soldati del Visconte. Nel dì seguente si diede allo stesso Azzo
Borgo San Donnino: perdita che cagionò sommo affanno ai Parmigiani e
Piacentini; tanto più perchè Azzo non tardò a mettere sossopra i loro
contadi con saccheggiar ed incendiar molte terre. Perciò nel dì 14 di
giugno uniti essi Parmigiani coll'esercito spedito loro da Piacenza
dal cardinal legato, impresero l'assedio di Borgo San Donnino. Durante
questo assedio nel mese di luglio i _marchesi estensi_[1085] signori di
Ferrara, _Passerino _ signor di Mantova e Modena, e _Cane dalla Scala_,
con grosso naviglio per Po andarono ai danni del Piacentino. Più gravi
sconcerti seguirono in questi tempi in Toscana[1086]. _Filippo Tedici_
signor di Pistoia, dopo aver fatta un'ingannevol pace e lega co'
Fiorentini, che non gli vollero mai dare un soldo per acquistar essi
quella città, come avrebbono potuto, nel dì cinque di maggio per dieci
mila fiorini d'oro, e per altri vantaggiosi patti avuti da _Castruccio_
signor di Lucca, il lasciò entrare con sue genti in Pistoia, dove prese
e disarmò il picciolo presidio che vi aveano inviato i Fiorentini,
e fece subito dar principio ad un forte castello in essa città.
Incredibile fu il dispetto e rabbia de' Fiorentini, che, più del
diavolo, aveano paura di Castruccio. Gran consolazione nondimeno
e coraggio recò loro il sospirato arrivo di _Raimondo da Cardona_,
richiesto da essi al papa per lor capitano, che nel dì 6 del suddetto
mese entrò in Firenze. Al pontefice, che volea mandarlo in Toscana,
allegò egli[1087] il giuramento fatto a Galeazzo Visconte di non
militar per un anno in Italia contra de' Ghibellini; ma il papa se ne
rise, con dire che per li capitoli della resa di Monza i prigioni tutti
si aveano a rilasciare; e però gli diede l'assoluzione dal giuramento.
Venne egli dunque francamente a prendere il comando dell'armata de'
Fiorentini con assai Borgognoni e Catalani seco condotti.
Presero i Fiorentini per assedio nel dì 22 di maggio il castello
d'Artimino[1088], e poscia nel dì 12 di giugno fecero uscire in
campagna il loro capitano Raimondo con un fiorito esercito di circa
due mila e cinquecento cavalli, la maggior parte Francesi, borgognoni
e Fiamminghi, e di quindici mila fanti, col carroccio, con somieri più
di sei mila, e con mille e trecento trabacche e padiglioni, senza i
rinforzi delle amistà che vennero dipoi, ed accrebbero quella gente
con più di cinquecento cavalieri e cinque mila pedoni. A Pistoia,
Castruccio non si trovava allora che con mille e cinquecento cavalli,
e la metà di fanteria rispetto a' nemici. Fecero i Fiorentini nella
festa di san Giovanni Batista correre il pallio presso alla porta
di Pistoia; presero il passo della Gusciana, e la rocca e il ponte
di Cappiano[1089]; poscia strettamente assediarono Altopascio, e lo
costrinsero alla resa. Vinse nel consiglio il parere di chi volle che
l'armata s'inoltrasse verso Lucca. Al Poggio fra Montechiaro e Porcari
trecento cavalieri de' migliori dello esercito fiorentino furono
alle mani con quei di Castruccio, e n'ebbero la peggio, quantunque
Castruccio vi restasse scavallato e ferito. Era l'armata dei Fiorentini
accampata in sito svantaggioso, e Castruccio ardea di voglia di
assalirla; ma troppo era scarso di gente, ed aspettava soccorsi da
Galeazzo Visconte e da Passerino de' Bonacossi[1090]. Vi mandò il
Visconte Azzo suo figliuolo con ottocento cavalieri tedeschi, il quale,
dopo introdotto un buon soccorso nel Borgo di San Donnino assediato
dalle genti della Chiesa, marciò a quella volta. Anche _Passerino_
v'inviò ducento altri cavalieri. All'avviso di questo grosso rinforzo
giunto a Castruccio, Raimondo da Cardona si ritirò ad Altopascio.
Castruccio, che non dormiva, con dei badalucchi tenne tanto a bada la
loro armata, che nel dì 23 di settembre arrivato Azzo Visconte coi
suoi cavalieri, e formate le schiere, attaccò la battaglia. In poco
d'ora furono rotti e sbaragliati i Fiorentini con vittoria segnalata
e compiuta; perciocchè, nel tempo stesso che si combattea, l'accorto
Castruccio mandò a prendere il ponte a Cappiano, e tagliò il passo
a' fuggitivi. Molti ne furono uccisi, molti più ne restarono presi,
fra' quali lo stesso _Raimondo da Cardona_ generale con assai baroni
franzesi. Tutta la gran salmeria di tende ed arnesi venne alle mani
de' vincitori; e si arrenderono poi a Castruccio le castella di
Cappiano, Montefalcone ed Altopascio, nel qual ultimo luogo fece
prigioni cinquecento soldati. Così in un momento la ridente fortuna de'
Fiorentini si cambiò in sospiri e pianti.
Nel giugno e luglio di quest'anno[1091] Francesco de' Bonacossi,
figliuolo di Passerino signor di Mantova e Modena, fece guerra a
Giovanni ed Azzo signori di Sassuolo; tolse loro Fiorano ed assediò la
terra di Sassuolo, essendosi uniti al suo esercito in persona _Cane
dalla Scala_ e i marchesi d'Este. Ebbe quella terra e Monte Zibbio.
I Bolognesi, oltre alla protezione da lor professata ai signori di
Sassuolo, riceverono anche lettera ed ordine dal papa di procedere
ostilmente contra di Passerino, e che si predicasse la crociata contra
di lui, siccome dichiarato eretico per l'eresia del ghibellinismo, a
fine di frastornar gli aiuti ch'esso Passerino e Cane potessero dare
a Castruccio e a Borgo San Donnino assediato. Perciò i Bolognesi con
tutte le lor forze nel luglio e ne' seguenti mesi altro mestier non
fecero che di saccheggiar le ville di Albareto, Sorbara, Roncaglia,
Solara, Camurana, ed assaissime altre, con danno inestimabile dei
cittadini e distrittuali di Modena. Nel dì 29 di settembre riuscì a
Passerino di avere per tradimento Monte Veglio, castello de' Bolognesi.
Corse tosto il popolo di Bologna all'assedio di quel castello, e
vi stette sotto un mese e mezzo. Attese intanto Passerino a raunar
gente per rimuoverli di là. Venne con assai fanteria e cavalleria
_Rinaldo marchese_ d'Este e signor di Ferrara. _Cane dalla Scala_
con molte forze vi giunse anch'egli; ma inteso che Passerino volea
aspettare _Azzo Visconte_, il quale, dopo la vittoria di Castruccio
ad Altopascio, dovea restituirsi in Lombardia, se ne tornò a Verona,
perchè fra lui e _Galeazzo_, padre d'esso Azzo, erano nate delle
amarezze. Rinaldo Estense fu dichiarato capitan generale dell'armata,
ed, arrivate le squadre di Azzo Visconte, passarono tutti il Panaro,
la Muzza e la Samoggia, e presentarono la battaglia ai Bolognesi nel
luogo di Zappolino, nel dì 15 di novembre. Al primo assalto furono
rovesciati i Bolognesi; e però essi attesero a menar non le mani, ma i
piedi. Fanno le storie modenesi[1092] l'esercito di Bologna consistente
in trenta mila fanti e mille e cinquecento cavalli, e quello de'
Modenesi in otto mila pedoni e due mila cavalli[1093]. Dicono uccisi
più di due mila Bolognesi, e presi più di mille e cinquecento, fra
i quali Angelo da San Lupidio podestà di Bologna, Malatestino de'
Malatesti, Sassuolo da Sassuolo, Jacopino e Gherardo Rangoni fuorusciti
di Modena, Filippo de' Pepoli ed altri nobili. Oltre a mille cavalli,
acquistarono i vincitori immensa copia d'armi, tende e bagaglio, che si
calcolò ducento mila fiorini d'oro. Nel giorno seguente marciò innanzi
il vittorioso esercito; ebbe e saccheggiò il castello di Crespellano;
poscia nel dì 17 continuò il viaggio sino al borgo di Panigale e alle
porte di Bologna, dove, per far onta a quel popolo, furono corsi tre
pallii, uno in onore di _Azzo Visconte_ signor di Cremona; un altro
per li _marchesi estensi_, ed uno per _Passerino_ signor di Mantova e
Modena. Fu dato il sacco e il fuoco ai palazzi e contorni di Bologna,
alle ville di Unzola, Rastellino, Argelata, San Giovanni in Persiceto,
Castelfranco ed altre. Nel dì 24 si rendè a Passerino il castello di
Bazzano; ed in tal maniera terminò in queste parti la campagna. Cosa
dicessero i facili interpreti de' giudizii di Dio, al vedere cotanti
sinistri avvenimenti delle crociate di papa Giovanni XXII, io nol so
dire.
Sul principio di quest'anno, essendo finite le tregue co'
Padovani[1094], _Cane dalla Scala_ non tardò a vendicarsi degli
affanni a lui dati da quel popolo nell'anno precedente; prese varii
luoghi del Padovano, e portò gl'incendii e saccheggi fino alle porte
di Padova. S'interpose _Lodovico il Bavaro_, e fece rinnovar la
tregua fino alla festa di san Martino; e compromesso fu fatto in lui
di quelle differenze. Ma Padova, oltre alla guerra esterna, ne ebbe
in quest'anno anche un'interna. Ubertino da Carrara e Tartaro da
Lendenara, perchè insolentivano nella città, ed uccisero Guglielmo
Dente, furono banditi e ricorsero a Cane Scaligero. Paolo fratello di
esso Guglielmo rivolse i pensieri della vendetta contra degli altri
Carraresi innocenti, e nel dì 22 di settembre, assistito copertamente
dal podestà e dal presidio tedesco, mosse a rumore il popolo contra
di essi. Per un'ora si fece aspro combattimento nelle piazze, e così
nobilmente si sostennero i valorosi Carraresi, che Paolo Dente fu
forzato alla fuga, ma con riportarne essi di molte ferite. Per cagione
d'esse Marsilio maggiore picchiò alla porta della morte; Niccolò,
Obizzo e Marsilio minore n'ebbero anch'essi la lor parte. Tornarono
poscia in Padova Ubertino da Carrara e Tartaro da Lendenara, amendue
giovinastri scapestrati. Numero non c'è delle loro insolenze; giustizia
più non si faceva in Padova; tutto andava alla peggio. Ne dovea ben
ridere Cane, che facea continuamente l'amore a quella nobil città. Dopo
la vittoria di Altopascio stette poco in riposo il prode _Castruccio_
signor di Lucca e di Pistoia. Prese Segna, ed ivi si afforzò nel dì 30
di settembre[1095], e poscia cominciò le sue scorrerie fino alle porte
di Firenze, saccheggiando, bruciando e guastando tutto quel paese.
Nella festa di san Francesco, a dì 4 d'ottobre, fece sotto quella
città correre tre pallii, uno da uomini a cavallo, un altro da fanti
a piè, ed il terzo da meretrici: il tutto in dispetto e vergogna de'
Fiorentini, i quali, quantunque avessero dentro gran cavalleria e gente
a piè innumerabile, pure non osarono mai d'uscire a fargli contrasto.
Tornò Castruccio nel dì 26 d'ottobre a dar loro un altro rinfresco; ed
Azzo Visconte, che tuttavia era con lui, volendo rendere la pariglia
a' Fiorentini, i quali aveano fatto correre il pallio sotto Milano, ne
fece correre anche egli uno alla lor vista, e poi s'inviò verso Modena,
siccome abbiam detto. Prese Castruccio la Rocca di Carmignano, il
castello degli Strozzi ed altri luoghi, e con sua oste andò scorrendo
infino a Prato. Gran costernazione era in Firenze per tali disastri, a'
quali ancora s'aggiunse un'epidemia per la tanta gente rifuggita nella
città. Ben cento mila fiorini d'oro ricavò Castruccio dal riscatto
de' prigioni fatti in quest'anno, col qual rinforzo gagliardamente
sostenne la guerra. Per altro era anch'egli scomunicato e condannato
dal papa qual nemico della Chiesa ed eretico. Per essere diffamato per
tale, niente più vi voleva che l'essere ghibellino. Fu nell'ottobre di
quest'anno[1096] che _Lodovico il Bavaro_ rimise in libertà _Federigo
duca_ d'Austria, il quale, vinto dagli affanni della prigionia, fece a
lui una cessione di tutti i suoi diritti sopra la corona. Ma, secondo
alcuni scrittori, non è ben chiaro in che consistesse l'accordo seguito
fra loro. I documenti portati dal Rinaldi[1097] abbastanza confermano
che Federigo fece quella rinunzia, benchè forse se ne pentisse dipoi, e
che il papa la dichiarò nulla; e che _Leopoldo_ suo fratello, il quale
non vi acconsentì, nell'anno seguente terminò colla morte tutte le sue
contese. Spedì nel maggio di quest'anno il _re Roberto_ ai danni della
Sicilia _Carlo duca_ di Calabria suo figliuolo con una formidabile
flotta di galee e di legni grossi da trasporto, fra' quali si contarono
venti galee di Genovesi[1098]. Oltre alla gran fanteria, menò egli
circa due mila e cinquecento cavalli. Sbarcata presso a Palermo questa
potente armata, imprese l'assedio di quella città, e vi stette sotto
più di cinque mesi, con guastare intanto ed incendiar molte parti di
quell'isola, e poi se ne tornò con Dio. Non altra gloria che questa
riportò egli nel suo ritorno a Napoli. Leggesi questa guerra descritta
da Niccolò Speciale[1099]. Erano gli Aragonesi e Catalani all'assedio
di Cagliari in Sardegna, città che forse sola restava ai Pisani in
quell'isola. Nel dicembre fecero essi Pisani armare venti galee ai
fuorusciti genovesi, padroni di Savona, e con queste ed altre loro navi
fecero vela per soccorrere quella città. Ma i Catalani, con prendere
otto di quelle galee, obbligarono l'altre a ritornarsene indietro con
poco loro piacere. Nell'anno 1297 s'era data la città di Comacchio ad
_Azzo marchese_ d'Este, signor di Ferrara, Modena e Reggio[1100]. Le
disgrazie poi sopravvenute alla casa d'Este nel 1308 la fecero passare
in altre mani. Nel dì 6 di febbraio dell'anno presente tornò essa
spontaneamente sotto la dolce signoria de' marchesi d'Este Rinaldo ed
Obizzo, dominanti in Ferrara.
NOTE:
[1083] Bonincon., Chron., lib. 3, cap. 35, tom. 12 Rer. Ital.
[1084] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1085] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1086] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 294. Istorie Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
[1087] Bonincontrus, lib. 3, cap. 32, tom. 12 Rer. Italic.
[1088] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 300 e seg.
[1089] Istorie Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital. Chron. Senens., tom. 15
Rer. Ital.
[1090] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1091] Chron. Bonon., tom. 18 Rer. Ital. Moranus, Chron. Mutinens.,
tom. 11 Rer. Ital.
[1092] Johan. de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Ital.
[1093] Istorie Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital. Giovanni Villani, lib. 9,
cap. 321.
[1094] Cortus. Chron., tom. 12 Rer. Ital. Chron. Patavin., tom. 8 Rer.
Ital.
[1095] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 315.
[1096] Henric., Rebdorf. Cortus. Hist., tom. 12 Rer. Ital. Giovanni
Villani, et alii.
[1097] Raynal., in Annal. Eccles.
Anno di CRISTO MCCCXXVI. Indizione IX.
GIOVANNI XXII papa 11.
Imperio vacante.
Non si sa che _Galeazzo Visconte_ in questi tempi cosa alcuna di
rilievo operasse, forse perchè trattava qualche aggiustamento col papa,
o perchè non si fidava de' suoi parenti e de' nobili di Milano. Perciò
_Passerino_, restato quasi solo in ballo, nel dì 28 di gennaio[1101]
fece una pace svantaggiosa coi Bolognesi, come se avesse ricevuta
egli, e non data una rotta nell'anno antecedente; imperocchè restituì
loro Bazzano e Monteveglio, con tutti i prigioni[1102], a riserva di
Sassuolo da Sassuolo, che condusse a Mantova, e di cui poscia si sbrigò
col veleno. A lui restituirono i Bolognesi Nonantola e la torre di
Canoli. Ma nulla giovò a Passerino questa pace. Venne in questi tempi
il _cardinal Beltrando_ a Parma, e quel popolo nel dì 27 di settembre
si diede a lui, _vacante imperio_. Altrettanto fece nel dì 4 di ottobre
la città di Reggio[1103]. Avea già esso legato mosse le sue armi contra
del medesimo Passerino dominante in Mantova e Modena. Verzusio Lando
capitano della Chiesa, colla armata pontificia venuto nel marzo sul
Modenese, pose l'assedio a Sassuolo, ed in pochi dì s'impadronì del
borgo e della rocca. Prese dipoi Gorzano, Spezzano e Marano. Per forza
ebbe Castelvetro, con mettere a filo di spada quel presidio, eccettochè
i due podestà. Nel dì 3 di luglio lo stesso Verzusio, coi fuorusciti
di Modena, cioè Rangoni, Pichi dalla Mirandola, Sassuoli, Savignani,
Guidoni, Grassoni, Boschetti, ed altri, venne sotto Modena, mettendo
a ferro e fuoco tutti i contorni. Bruciò due borghi della città, cioè
quei di Bazovara e Cittanuova; e i cittadini stessi diedero poscia alle
fiamme gli altri due di Ganaceto e d'Albareto. Si sottopose a Verzusio
il castello di Formigine, e così a poco a poco venne in suo potere
tutto il contado, se si eccettuano Campo Galliano, il Finale, San
Felice e Spilamberto. Passò egli dipoi a' danni di Carpi, e bruciò in
quelle parti più di secento case. Anche i Bolognesi[1104], dimentichi
venne a Monza. Il Morigia, autore che ne prese migliore informazione,
asserisce non essere egli restato prigione, e che fuggendo, per
miracolo di san Giovanni Batista, arrivò salvo a Monza. Il Cardona
dipoi nel mese di novembre, fatto negozio colle guardie a lui poste in
Milano, se ne fuggì, e a Monza anche egli si restituì. Monza, dico, la
qual fu susseguentemente assediata da Galeazzo Visconte e dalle sue
genti. Mandò il legato due mila soldati alla difesa di quella città,
intorno a cui furono fatte varie bastie e battifolli. Nel settembre
fecero una sortita gli assediati, avendo alla testa Verzusio Lando con
ottocento cavalli e mille e cinquecento fanti. Ben li ricevette con
soli cinquecento cavalli Marco Visconte, e li sconfisse, colla morte
di trecento ottanta d'essi, il che mise in somma costernazione quel
presidio di crocesignati, i quali altro mestier non faceano, se non
di rubar le zitelle e mogli altrui, di ammazzar uomini e fanciulli, e
saccheggiare e incendiar le case. Entrarono anche di consenso dello
stesso cardinal legato nella chiesa maggiore di Monza, ne presero
quanti vasi d'oro e d'argento e reliquiarii v'erano; il che non so come
ben s'accordi coll'avere precedentemente scritto il medesimo Morigia
che i canonici, prevedendo le disgrazie che avvennero, aveano nascoso
in segretissimo luogo il ricco tesoro di quella chiesa. Secondo il
suddetto Morigia[1071], la fuga di Raimondo da Cardona fu di consenso
segreto dello stesso Galeazzo Visconte, perchè gli fece egli sperare
di adoperarsi per la restituzion di Monza, e di ottenergli anche buon
accordo col papa. Infatti andò esso Raimondo ad Avignone, ed espose
l'impossibilità di vincere i Visconti, e che Galeazzo intendeva di
conservare per sè il dominio di Milano, e di mantenere a sue spese
cinquecento uomini d'armi al servigio del papa, dovunque egli volesse.
Non dispiacquero al papa i patti; ma siccome egli non ardiva di muovere
un dito, se non gliene dava licenza il re Roberto, così ordinò che se
ne parlasse al medesimo re. Ne parlò Raimondo al re, e ne ebbe per
risposta che accetterebbe così fatta proposizione, purchè Galeazzo
giurasse di adoperar tutte le sue forze in servigio d'esso re contra
l'imperiale potenza. Ed ecco come l'ambizion di Roberto si cavò il
cappuccio; ecco svelati i motivi di tanti processi contra del Bavaro,
de' Visconti e degli altri Ghibellini di Italia, sotto pretesto di
disubbidienze e d'eresie. Tutto tendeva per diritto o per traverso
a distruggere l'imperio, e ad esaltare chi s'abusava dell'autorità
e della penna del pontefice, divenuto suo schiavo, per arrivare
all'intera signoria d'Italia. Ma Galeazzo Visconte protestò di voler
sofferire piuttosto ogni male, che andar contro al giuramento da lui
prestato a chi reggeva l'imperio. Trattò egli dipoi col cardinale
Beltrando legato la restituzione di Monza; e già era accordato tutto,
quando il legato, coll'esibizione di otto mila fiorini d'oro ad alcuni
traditori, si credette di occupar la città di Lodi: il che se veniva
fatto, Monza non si rendeva più. Il tentativo di Lodi andò a voto, e
molti de' traditori furono presi[1072]: il che cagionò che nel dì 10 di
dicembre si rendesse la città di Monza a Galeazzo. Colà egli richiamò
chiunque era fuggito, e mise tra loro la pace; poi nel marzo dell'anno
seguente cominciò a fortificare il castello d'essa città in mirabil
forma, con farvi anche delle orride prigioni. Vi fu chi disse[1073] che
Galeazzo faceva far ivi quelle carceri per sè e per li suoi fratelli,
e che potrebbono esser eglino i primi a provarle. Col tempo il detto si
verificò; ma forse dopo il fatto nacque tal predizione.
Correvano già due anni e più che i Perugini col ministro del papa,
governatore del ducato spoletino, tenevano assediata la città di
Spoleti con bastie e battifolli fabbricati all'intorno[1074]. La fame
finalmente costrinse quel popolo ad arrendersi, salve le persone, nel
dì 9 di aprile. Per buona cautela de' Fiorentini e Sanesi, che v'erano
colla lor taglia ad oste, non seguì maleficio alcuno nell'entrare in
essa città, la quale fu ridotta a parte guelfa, e rimase distrittuale
di Perugia. Fecero dipoi essi Perugini l'assedio della Città di
Castello occupata dal vescovo d'Arezzo coll'aiuto dell'altre città
della lega guelfa. Nel dì 22 d'aprile[1075] il _re Roberto_ colla
regina sua moglie e _Carlo duca_ di Calabria suo figliuolo, e colla
moglie figliuola di _Carlo di Valois_, dalla Provenza incamminati per
mare a Napoli, con quarantacinque vele arrivarono a Genova. Fece ivi
un gran broglio, affinchè il limitato dominio di dieci anni di quella
città, a lui già dato nell'anno 1318, divenisse perpetuo. Ne nacque
discordia fra i cittadini: chi volea tutto, chi meno, chi nulla.
Finalmente si acconciò l'affare con prorogargli la signoria anche
per sei anni avvenire. Fece egli alquante mutazioni in quel governo,
ristringendo la libertà del popolo. Nel suo passaggio ebbe grandi
presenti ed onori dai Pisani, i quali in questi tempi si trovano
in gravi affanni, essendo che _don Alfonso_ figliuolo di _Giacomo
re_ d'Aragona e Catalogna, passato con buona armata in Sardegna,
andava loro togliendo a poco a poco tutti i luoghi posseduti da essi
in quell'isola, e diedero loro anche nel mese di maggio dell'anno
presente una rotta a Castello di Castro. Per concerto fatto nel dì 3 di
marzo[1076] veniva il vicario del re Roberto a ripigliare il possesso
di Pistoia; ma fu forzato a tornarsene vergognosamente indietro,
perchè, assalito per istrada dalle genti di _Filippo de' Tedici_, il
quale in questo anno appunto tolse la signoria di Pistoia nel dì 24
di luglio ad _Ormanno Tedici abbate_ di Pacciana suo zio, e se ne
fece egli signore, e conchiuse una tregua con _Castruccio_ signore
di Lucca, pagandogli ogni anno tre mila fiorini d'oro di tributo.
Adirati i nobili padovani[1077], spezialmente i Carraresi, contra di
_Cane dalla Scala_, tanto fecero, che trassero in Italia il _duca di
Carintia_, e _Ottone_ fratello del duca d'Austria, per isperanza di
mettere un buon collare al collo d'esso messer Cane. Vennero questi
principi con ismisurato esercito di cavalleria tedesca ed unghera,
che si fece ascendere al numero di quindici mila cavalli. Diedero
costoro il sacco al Friuli per dove passarono. Arrivati nel dì 3 di
giugno a Trivigi, vi consumarono tutto. Prima ancora che arrivassero
sul Padovano, a furia fuggivano i miseri contadini di quel paese,
perchè informati che coloro, dovunque giugnevano, facevano un netto,
bruciavano, nè rispettavano donne, nè monache. Nel dì 21 d'esso mese
con questa diabolica armata arrivò il duca di Carintia a Padova, e
nel dì seguente cavalcò a Monselice. Oh qui sì che c'era bisogno di
senno a Cane dalla Scala. Non gli mancò in effetto. Unì quante genti
potè[1078]. _Obizzo marchese_ d'Este e signor di Ferrara con gran copia
di cavalli e fanti ferraresi corse a Verona in suo aiuto. Milanesi,
Mantovani, Modenesi, anch'essi volarono colà, e tutti si posero a
guardar le fortezze. Ma Cane non ripose già la sua speranza in questi
combattenti. Persuaso egli della verità di quel proverbio: _Miglior
punta ha l'oro che il ferro_, non tardò a spedire Bailardino da
Nogarola ed altri ambasciatori, allorchè il duca fu giunto a Trivigi,
e susseguentemente in altri luoghi, tenendolo a bada con proposizioni
d'accordo e con altri raggiri; e finalmente, esibite grossissime somme
di danaro, ottenne tregua da lui sino al venturo Natale. Si vide allora
quella bella scena, che il duca, dappoichè la sua gente ebbe rovinata
coi saccheggi buona parte del Padovano, in cui sollievo era venuta,
e ricavati trentamila fiorini d'oro da quella città, senza far danno
alcuno alle terre dello Scaligero, contra di cui era stato chiamato,
se ne tornò nel dì 26 di luglio in Carintia: gridando i confusi ed
impoveriti Padovani, essere peggior l'amicizia di quella gente, che la
nemicizia con Cane. Nel dì 23 di novembre morì _Jacopo da Carrara_, già
signore di Padova, lasciando sotto la cura di Marsilio da Carrara le
sue figliuole e i suoi bastardi. Abbiamo dalla Cronica di Cesena[1079]
che nel luglio di quest'anno _Speranza conte di Montefeltro_ coi
figliuoli del già ucciso _conte Federigo_ ritornò in Urbino; dal che
pare restituita quella famiglia nel dominio d'essa città; ma di ciò
non ne so il come. Nel dì 3 di giugno in Rimini _Pandolfo Malatesta_
e _Galeotto_ suo figliuolo, con altri Malatesti e nobili, furono
fatti cavalieri[1080]. Magnifiche feste e giostre per tal occasione
si fecero, col concorso di gran nobiltà di Firenze, Perugia, Siena,
Bologna e di tutta la Toscana, marca d'Ancona, Romagna e Lombardia.
Quivi si contarono più di mille e cinquecento cantambanchi, giocolieri,
commedianti e buffoni: il che ho voluto notare, acciocchè s'intendano
i costumi e il genio di questi secoli. Il conte Speranza e il _conte
Nolfo_, figliuoli del fu _conte Federigo_ di Montefeltro, nel dì 9
d'agosto vennero coll'esercito di Urbino contro alcune castella di
Ferrantino Malatesta, dove s'erano rifugiati gli uccisori del suddetto
conte Federigo, e, presi que' luoghi, fecero crudel vendetta di que'
traditori. Anche i marchesi estensi _Rinaldo_ ed _Obizzo_, signori
di Ferrara[1081], nel dì primo di novembre ritolsero all'arcivescovo
di Ravenna la grossa terra, appellata anche città, d'Argenta col
suo castello. Intanto, contuttochè _Lodovico il Bavaro_ deducesse le
sue buone ragioni, pure non potè impedire che in questo anno _papa
Giovanni_, subornato dal re Roberto[1082], non fulminasse contra di
esso Lodovico le censure, e facesse predicar la crociata, secondo
il deplorabil uso di que' tempi, contra di lui, siccome accennammo
all'anno precedente. Però si diede egli con più vigore ad accudire
agli affari d'Italia; e cotanto s'ingegnò in Germania, che frastornò
i disegni di _Carlo re_ di Francia, il quale, prevalendosi anch'egli
del favore del papa, macchinava di farsi eleggere re ed imperador de'
Romani. Di più non dico di queste controversie, lasciandone volentieri
ad altri la discussione.
NOTE:
[1067] Chron. Astens., tom. 11 Rer. Ital.
[1068] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1069] Bonincontrus Morigia, Chron. Modoet., tom. 13 Rer. Ital. Corio,
Istor. di Milano. Giovanni Villani, lib. 9, cap. 138.
[1070] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1071] Morigia, lib. 3, cap. 27, tom. 12 Rer. Ital.
[1072] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 270.
[1073] Bonincontrus Morigia, lib. 3, cap. 31, tom. 11 Rer. Ital.
[1074] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 243.
[1075] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1076] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 239. Istor. Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
[1077] Cortus. Histor., lib. 3, tom. 12 Rer. Ital. Giovanni Villani,
lib. 9. Chronic. Patavin., tom. 8 Rer. Ital.
[1078] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1079] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[1080] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1081] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1082] Raynaldus, Annal. Eccles., num. 6.
Anno di CRISTO MCCCXXV. Indizione VIII.
GIOVANNI XXII papa 10.
Imperio vacante.
Cominciò in quest'anno gara e discordia fra _Galeazzo Visconte_
signor di Milano e _Marco_ suo fratello, che col tempo quasi condusse
a precipizio la casa de' Visconti[1083]. Pretendeva Marco parte nel
dominio; altrettanto Lodrisio Visconte lor cugino, allegando le tante
fatiche da lor sofferte per tenere in piedi la vacillante fortuna
della lor casa. Ma Galeazzo, eletto solo signore dal popolo, non
volea compagni nel governo. Diedersi perciò Marco e Lodrisio a far
delle combricole e congiure con altri nobili contra di Galeazzo; e
perchè scoprirono ch'egli andava maneggiando qualche onorevol accordo
con _papa Giovanni_, cominciarono a scrivere lettere a _Lodovico il
Bavaro_, sollecitandolo a calare in Italia[1084]. Intanto Galeazzo
nel dì 21 di febbraio mosse guerra ai Parmigiani, coll'inviare contra
loro il valoroso giovine _Azzo_ suo figliuolo, il quale s'impadronì
del castello di Castiglione. Ma, assediato il medesimo castello
dai Parmigiani, lo riebbero nel dì 15 di marzo colla libera uscita
de' soldati del Visconte. Nel dì seguente si diede allo stesso Azzo
Borgo San Donnino: perdita che cagionò sommo affanno ai Parmigiani e
Piacentini; tanto più perchè Azzo non tardò a mettere sossopra i loro
contadi con saccheggiar ed incendiar molte terre. Perciò nel dì 14 di
giugno uniti essi Parmigiani coll'esercito spedito loro da Piacenza
dal cardinal legato, impresero l'assedio di Borgo San Donnino. Durante
questo assedio nel mese di luglio i _marchesi estensi_[1085] signori di
Ferrara, _Passerino _ signor di Mantova e Modena, e _Cane dalla Scala_,
con grosso naviglio per Po andarono ai danni del Piacentino. Più gravi
sconcerti seguirono in questi tempi in Toscana[1086]. _Filippo Tedici_
signor di Pistoia, dopo aver fatta un'ingannevol pace e lega co'
Fiorentini, che non gli vollero mai dare un soldo per acquistar essi
quella città, come avrebbono potuto, nel dì cinque di maggio per dieci
mila fiorini d'oro, e per altri vantaggiosi patti avuti da _Castruccio_
signor di Lucca, il lasciò entrare con sue genti in Pistoia, dove prese
e disarmò il picciolo presidio che vi aveano inviato i Fiorentini,
e fece subito dar principio ad un forte castello in essa città.
Incredibile fu il dispetto e rabbia de' Fiorentini, che, più del
diavolo, aveano paura di Castruccio. Gran consolazione nondimeno
e coraggio recò loro il sospirato arrivo di _Raimondo da Cardona_,
richiesto da essi al papa per lor capitano, che nel dì 6 del suddetto
mese entrò in Firenze. Al pontefice, che volea mandarlo in Toscana,
allegò egli[1087] il giuramento fatto a Galeazzo Visconte di non
militar per un anno in Italia contra de' Ghibellini; ma il papa se ne
rise, con dire che per li capitoli della resa di Monza i prigioni tutti
si aveano a rilasciare; e però gli diede l'assoluzione dal giuramento.
Venne egli dunque francamente a prendere il comando dell'armata de'
Fiorentini con assai Borgognoni e Catalani seco condotti.
Presero i Fiorentini per assedio nel dì 22 di maggio il castello
d'Artimino[1088], e poscia nel dì 12 di giugno fecero uscire in
campagna il loro capitano Raimondo con un fiorito esercito di circa
due mila e cinquecento cavalli, la maggior parte Francesi, borgognoni
e Fiamminghi, e di quindici mila fanti, col carroccio, con somieri più
di sei mila, e con mille e trecento trabacche e padiglioni, senza i
rinforzi delle amistà che vennero dipoi, ed accrebbero quella gente
con più di cinquecento cavalieri e cinque mila pedoni. A Pistoia,
Castruccio non si trovava allora che con mille e cinquecento cavalli,
e la metà di fanteria rispetto a' nemici. Fecero i Fiorentini nella
festa di san Giovanni Batista correre il pallio presso alla porta
di Pistoia; presero il passo della Gusciana, e la rocca e il ponte
di Cappiano[1089]; poscia strettamente assediarono Altopascio, e lo
costrinsero alla resa. Vinse nel consiglio il parere di chi volle che
l'armata s'inoltrasse verso Lucca. Al Poggio fra Montechiaro e Porcari
trecento cavalieri de' migliori dello esercito fiorentino furono
alle mani con quei di Castruccio, e n'ebbero la peggio, quantunque
Castruccio vi restasse scavallato e ferito. Era l'armata dei Fiorentini
accampata in sito svantaggioso, e Castruccio ardea di voglia di
assalirla; ma troppo era scarso di gente, ed aspettava soccorsi da
Galeazzo Visconte e da Passerino de' Bonacossi[1090]. Vi mandò il
Visconte Azzo suo figliuolo con ottocento cavalieri tedeschi, il quale,
dopo introdotto un buon soccorso nel Borgo di San Donnino assediato
dalle genti della Chiesa, marciò a quella volta. Anche _Passerino_
v'inviò ducento altri cavalieri. All'avviso di questo grosso rinforzo
giunto a Castruccio, Raimondo da Cardona si ritirò ad Altopascio.
Castruccio, che non dormiva, con dei badalucchi tenne tanto a bada la
loro armata, che nel dì 23 di settembre arrivato Azzo Visconte coi
suoi cavalieri, e formate le schiere, attaccò la battaglia. In poco
d'ora furono rotti e sbaragliati i Fiorentini con vittoria segnalata
e compiuta; perciocchè, nel tempo stesso che si combattea, l'accorto
Castruccio mandò a prendere il ponte a Cappiano, e tagliò il passo
a' fuggitivi. Molti ne furono uccisi, molti più ne restarono presi,
fra' quali lo stesso _Raimondo da Cardona_ generale con assai baroni
franzesi. Tutta la gran salmeria di tende ed arnesi venne alle mani
de' vincitori; e si arrenderono poi a Castruccio le castella di
Cappiano, Montefalcone ed Altopascio, nel qual ultimo luogo fece
prigioni cinquecento soldati. Così in un momento la ridente fortuna de'
Fiorentini si cambiò in sospiri e pianti.
Nel giugno e luglio di quest'anno[1091] Francesco de' Bonacossi,
figliuolo di Passerino signor di Mantova e Modena, fece guerra a
Giovanni ed Azzo signori di Sassuolo; tolse loro Fiorano ed assediò la
terra di Sassuolo, essendosi uniti al suo esercito in persona _Cane
dalla Scala_ e i marchesi d'Este. Ebbe quella terra e Monte Zibbio.
I Bolognesi, oltre alla protezione da lor professata ai signori di
Sassuolo, riceverono anche lettera ed ordine dal papa di procedere
ostilmente contra di Passerino, e che si predicasse la crociata contra
di lui, siccome dichiarato eretico per l'eresia del ghibellinismo, a
fine di frastornar gli aiuti ch'esso Passerino e Cane potessero dare
a Castruccio e a Borgo San Donnino assediato. Perciò i Bolognesi con
tutte le lor forze nel luglio e ne' seguenti mesi altro mestier non
fecero che di saccheggiar le ville di Albareto, Sorbara, Roncaglia,
Solara, Camurana, ed assaissime altre, con danno inestimabile dei
cittadini e distrittuali di Modena. Nel dì 29 di settembre riuscì a
Passerino di avere per tradimento Monte Veglio, castello de' Bolognesi.
Corse tosto il popolo di Bologna all'assedio di quel castello, e
vi stette sotto un mese e mezzo. Attese intanto Passerino a raunar
gente per rimuoverli di là. Venne con assai fanteria e cavalleria
_Rinaldo marchese_ d'Este e signor di Ferrara. _Cane dalla Scala_
con molte forze vi giunse anch'egli; ma inteso che Passerino volea
aspettare _Azzo Visconte_, il quale, dopo la vittoria di Castruccio
ad Altopascio, dovea restituirsi in Lombardia, se ne tornò a Verona,
perchè fra lui e _Galeazzo_, padre d'esso Azzo, erano nate delle
amarezze. Rinaldo Estense fu dichiarato capitan generale dell'armata,
ed, arrivate le squadre di Azzo Visconte, passarono tutti il Panaro,
la Muzza e la Samoggia, e presentarono la battaglia ai Bolognesi nel
luogo di Zappolino, nel dì 15 di novembre. Al primo assalto furono
rovesciati i Bolognesi; e però essi attesero a menar non le mani, ma i
piedi. Fanno le storie modenesi[1092] l'esercito di Bologna consistente
in trenta mila fanti e mille e cinquecento cavalli, e quello de'
Modenesi in otto mila pedoni e due mila cavalli[1093]. Dicono uccisi
più di due mila Bolognesi, e presi più di mille e cinquecento, fra
i quali Angelo da San Lupidio podestà di Bologna, Malatestino de'
Malatesti, Sassuolo da Sassuolo, Jacopino e Gherardo Rangoni fuorusciti
di Modena, Filippo de' Pepoli ed altri nobili. Oltre a mille cavalli,
acquistarono i vincitori immensa copia d'armi, tende e bagaglio, che si
calcolò ducento mila fiorini d'oro. Nel giorno seguente marciò innanzi
il vittorioso esercito; ebbe e saccheggiò il castello di Crespellano;
poscia nel dì 17 continuò il viaggio sino al borgo di Panigale e alle
porte di Bologna, dove, per far onta a quel popolo, furono corsi tre
pallii, uno in onore di _Azzo Visconte_ signor di Cremona; un altro
per li _marchesi estensi_, ed uno per _Passerino_ signor di Mantova e
Modena. Fu dato il sacco e il fuoco ai palazzi e contorni di Bologna,
alle ville di Unzola, Rastellino, Argelata, San Giovanni in Persiceto,
Castelfranco ed altre. Nel dì 24 si rendè a Passerino il castello di
Bazzano; ed in tal maniera terminò in queste parti la campagna. Cosa
dicessero i facili interpreti de' giudizii di Dio, al vedere cotanti
sinistri avvenimenti delle crociate di papa Giovanni XXII, io nol so
dire.
Sul principio di quest'anno, essendo finite le tregue co'
Padovani[1094], _Cane dalla Scala_ non tardò a vendicarsi degli
affanni a lui dati da quel popolo nell'anno precedente; prese varii
luoghi del Padovano, e portò gl'incendii e saccheggi fino alle porte
di Padova. S'interpose _Lodovico il Bavaro_, e fece rinnovar la
tregua fino alla festa di san Martino; e compromesso fu fatto in lui
di quelle differenze. Ma Padova, oltre alla guerra esterna, ne ebbe
in quest'anno anche un'interna. Ubertino da Carrara e Tartaro da
Lendenara, perchè insolentivano nella città, ed uccisero Guglielmo
Dente, furono banditi e ricorsero a Cane Scaligero. Paolo fratello di
esso Guglielmo rivolse i pensieri della vendetta contra degli altri
Carraresi innocenti, e nel dì 22 di settembre, assistito copertamente
dal podestà e dal presidio tedesco, mosse a rumore il popolo contra
di essi. Per un'ora si fece aspro combattimento nelle piazze, e così
nobilmente si sostennero i valorosi Carraresi, che Paolo Dente fu
forzato alla fuga, ma con riportarne essi di molte ferite. Per cagione
d'esse Marsilio maggiore picchiò alla porta della morte; Niccolò,
Obizzo e Marsilio minore n'ebbero anch'essi la lor parte. Tornarono
poscia in Padova Ubertino da Carrara e Tartaro da Lendenara, amendue
giovinastri scapestrati. Numero non c'è delle loro insolenze; giustizia
più non si faceva in Padova; tutto andava alla peggio. Ne dovea ben
ridere Cane, che facea continuamente l'amore a quella nobil città. Dopo
la vittoria di Altopascio stette poco in riposo il prode _Castruccio_
signor di Lucca e di Pistoia. Prese Segna, ed ivi si afforzò nel dì 30
di settembre[1095], e poscia cominciò le sue scorrerie fino alle porte
di Firenze, saccheggiando, bruciando e guastando tutto quel paese.
Nella festa di san Francesco, a dì 4 d'ottobre, fece sotto quella
città correre tre pallii, uno da uomini a cavallo, un altro da fanti
a piè, ed il terzo da meretrici: il tutto in dispetto e vergogna de'
Fiorentini, i quali, quantunque avessero dentro gran cavalleria e gente
a piè innumerabile, pure non osarono mai d'uscire a fargli contrasto.
Tornò Castruccio nel dì 26 d'ottobre a dar loro un altro rinfresco; ed
Azzo Visconte, che tuttavia era con lui, volendo rendere la pariglia
a' Fiorentini, i quali aveano fatto correre il pallio sotto Milano, ne
fece correre anche egli uno alla lor vista, e poi s'inviò verso Modena,
siccome abbiam detto. Prese Castruccio la Rocca di Carmignano, il
castello degli Strozzi ed altri luoghi, e con sua oste andò scorrendo
infino a Prato. Gran costernazione era in Firenze per tali disastri, a'
quali ancora s'aggiunse un'epidemia per la tanta gente rifuggita nella
città. Ben cento mila fiorini d'oro ricavò Castruccio dal riscatto
de' prigioni fatti in quest'anno, col qual rinforzo gagliardamente
sostenne la guerra. Per altro era anch'egli scomunicato e condannato
dal papa qual nemico della Chiesa ed eretico. Per essere diffamato per
tale, niente più vi voleva che l'essere ghibellino. Fu nell'ottobre di
quest'anno[1096] che _Lodovico il Bavaro_ rimise in libertà _Federigo
duca_ d'Austria, il quale, vinto dagli affanni della prigionia, fece a
lui una cessione di tutti i suoi diritti sopra la corona. Ma, secondo
alcuni scrittori, non è ben chiaro in che consistesse l'accordo seguito
fra loro. I documenti portati dal Rinaldi[1097] abbastanza confermano
che Federigo fece quella rinunzia, benchè forse se ne pentisse dipoi, e
che il papa la dichiarò nulla; e che _Leopoldo_ suo fratello, il quale
non vi acconsentì, nell'anno seguente terminò colla morte tutte le sue
contese. Spedì nel maggio di quest'anno il _re Roberto_ ai danni della
Sicilia _Carlo duca_ di Calabria suo figliuolo con una formidabile
flotta di galee e di legni grossi da trasporto, fra' quali si contarono
venti galee di Genovesi[1098]. Oltre alla gran fanteria, menò egli
circa due mila e cinquecento cavalli. Sbarcata presso a Palermo questa
potente armata, imprese l'assedio di quella città, e vi stette sotto
più di cinque mesi, con guastare intanto ed incendiar molte parti di
quell'isola, e poi se ne tornò con Dio. Non altra gloria che questa
riportò egli nel suo ritorno a Napoli. Leggesi questa guerra descritta
da Niccolò Speciale[1099]. Erano gli Aragonesi e Catalani all'assedio
di Cagliari in Sardegna, città che forse sola restava ai Pisani in
quell'isola. Nel dicembre fecero essi Pisani armare venti galee ai
fuorusciti genovesi, padroni di Savona, e con queste ed altre loro navi
fecero vela per soccorrere quella città. Ma i Catalani, con prendere
otto di quelle galee, obbligarono l'altre a ritornarsene indietro con
poco loro piacere. Nell'anno 1297 s'era data la città di Comacchio ad
_Azzo marchese_ d'Este, signor di Ferrara, Modena e Reggio[1100]. Le
disgrazie poi sopravvenute alla casa d'Este nel 1308 la fecero passare
in altre mani. Nel dì 6 di febbraio dell'anno presente tornò essa
spontaneamente sotto la dolce signoria de' marchesi d'Este Rinaldo ed
Obizzo, dominanti in Ferrara.
NOTE:
[1083] Bonincon., Chron., lib. 3, cap. 35, tom. 12 Rer. Ital.
[1084] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1085] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1086] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 294. Istorie Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
[1087] Bonincontrus, lib. 3, cap. 32, tom. 12 Rer. Italic.
[1088] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 300 e seg.
[1089] Istorie Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital. Chron. Senens., tom. 15
Rer. Ital.
[1090] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1091] Chron. Bonon., tom. 18 Rer. Ital. Moranus, Chron. Mutinens.,
tom. 11 Rer. Ital.
[1092] Johan. de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Ital.
[1093] Istorie Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital. Giovanni Villani, lib. 9,
cap. 321.
[1094] Cortus. Chron., tom. 12 Rer. Ital. Chron. Patavin., tom. 8 Rer.
Ital.
[1095] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 315.
[1096] Henric., Rebdorf. Cortus. Hist., tom. 12 Rer. Ital. Giovanni
Villani, et alii.
[1097] Raynal., in Annal. Eccles.
Anno di CRISTO MCCCXXVI. Indizione IX.
GIOVANNI XXII papa 11.
Imperio vacante.
Non si sa che _Galeazzo Visconte_ in questi tempi cosa alcuna di
rilievo operasse, forse perchè trattava qualche aggiustamento col papa,
o perchè non si fidava de' suoi parenti e de' nobili di Milano. Perciò
_Passerino_, restato quasi solo in ballo, nel dì 28 di gennaio[1101]
fece una pace svantaggiosa coi Bolognesi, come se avesse ricevuta
egli, e non data una rotta nell'anno antecedente; imperocchè restituì
loro Bazzano e Monteveglio, con tutti i prigioni[1102], a riserva di
Sassuolo da Sassuolo, che condusse a Mantova, e di cui poscia si sbrigò
col veleno. A lui restituirono i Bolognesi Nonantola e la torre di
Canoli. Ma nulla giovò a Passerino questa pace. Venne in questi tempi
il _cardinal Beltrando_ a Parma, e quel popolo nel dì 27 di settembre
si diede a lui, _vacante imperio_. Altrettanto fece nel dì 4 di ottobre
la città di Reggio[1103]. Avea già esso legato mosse le sue armi contra
del medesimo Passerino dominante in Mantova e Modena. Verzusio Lando
capitano della Chiesa, colla armata pontificia venuto nel marzo sul
Modenese, pose l'assedio a Sassuolo, ed in pochi dì s'impadronì del
borgo e della rocca. Prese dipoi Gorzano, Spezzano e Marano. Per forza
ebbe Castelvetro, con mettere a filo di spada quel presidio, eccettochè
i due podestà. Nel dì 3 di luglio lo stesso Verzusio, coi fuorusciti
di Modena, cioè Rangoni, Pichi dalla Mirandola, Sassuoli, Savignani,
Guidoni, Grassoni, Boschetti, ed altri, venne sotto Modena, mettendo
a ferro e fuoco tutti i contorni. Bruciò due borghi della città, cioè
quei di Bazovara e Cittanuova; e i cittadini stessi diedero poscia alle
fiamme gli altri due di Ganaceto e d'Albareto. Si sottopose a Verzusio
il castello di Formigine, e così a poco a poco venne in suo potere
tutto il contado, se si eccettuano Campo Galliano, il Finale, San
Felice e Spilamberto. Passò egli dipoi a' danni di Carpi, e bruciò in
quelle parti più di secento case. Anche i Bolognesi[1104], dimentichi
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