Annali d'Italia, vol. 5 - 30
colle macchine militari per espugnare il castello di Bassignana. Nel
dì 6 di luglio _Marco Visconte_ con due mila cavalli e dieci mila fanti
andò a trovarlo[1039]. Tuttochè Raimondo fosse inferior di gente, pure
temerariamente andò ad assalirlo, e gran sangue si sparse. Ma egli
ne rimase sconfitto, e più di cinquecento cavalieri e circa ducento
balestrieri e pedoni de' suoi furono menati prigioni. Poco nondimeno
servì ai Visconti questo vantaggio, perchè di tanto in tanto venivano
spediti nuovi rinforzi al Cardona da papa Giovanni e dal re Roberto,
ed erano in aria altri nuvoli. E qui convien prima accennare un altro
spediente preso da esso papa e re, per mettere a terra i Ghibellini.
Fecero essi maneggio, acciocchè _Federigo d'Austria_ eletto re de'
Romani venisse colle sue forze in Italia alla distruzion de' Visconti,
dandogli a credere di voler decidere la lite dell'imperio in suo
favore, e mettere a lui in capo la corona[1040]. Non si attentò già
Federigo di venire in persona per timore del Bavaro, ma bensì, dopo
aver ricevuto dal papa un aiuto di cento mila fiorini d'oro, fece
calare in Italia _Arrigo_ suo fratello, il quale con due mila cavalli
arrivò a Brescia[1041], accolto con sommo onore da quel popolo. Quivi
era ancora _Pagano dalla Torre patriarca_ d'Aquileia, che, pubblicata
contra de' Visconti e degli altri Ghibellini, chiamati ribelli della
Chiesa, la terribil bolla delle scomuniche, predicò la crociata,
e mise in armi quattro o cinque mila persone pronte a' suoi cenni.
L'arrivo di Arrigo d'Austria sbalordì i principi de' Ghibellini, che
non si sentivano voglia di cedere a' suoi comandamenti, e resistendo
parea loro d'alzar bandiera contro all'imperio, per essere il di
lui fratello eletto re de' Romani. Fatto un parlamento, spedirono
a lui ambasciatori, rappresentandogli che solenne pazzia sarebbe
quella di procedere contra dei Ghibellini, unici fedeli dell'imperio
in Italia; essere quella una trama del re Roberto per annientare la
fazion ghibellina ed innalzar la guelfa: il che se gli veniva fatto,
restava egli padron dell'Italia, e metteva un buon catenaccio alle
porte di essa, di modo che nè il re Federigo, nè altro principe di
Germania avrebbe più potuto goderne la signoria. Trovò Arrigo co'
suoi consiglieri fondate queste ragioni; e comunicatele al fratello,
gli fece mutar parere; laonde, allorchè era in viaggio per andare a
rimettere in Bergamo i fuorusciti guelfi, che gli aveano promesso venti
mila fiorini, non volle passar oltre, schiettamente dicendo: _Son io
venuto qua per abbattere i fedeli dell'imperio? Signor no. Piuttosto
ad innalzarli_. E fattagli istanza da' Bresciani, perchè li liberasse
dalla molestia de' fuorusciti, disse di farlo, purchè gli dessero le
porte della città in guardia e due mila fiorini. Il danaro, ma non le
porte, vollero dargli i Bresciani, ed egli sdegnato passò con sue genti
a Verona, dove magnificamente ricevuto da Cane Scaligero, gli furono
contati a nome della lega ghibellina sessanta mila fiorini, coi quali
se ne ritornò assai contento in Germania.
Ancorchè passasse questo minaccioso turbine, pure avea esso dianzi
recato gran pregiudizio agli affari di _Matteo Visconte_. Imperciocchè
molti nobili milanesi fin dal mese di febbraio si diedero a macchinare
la di lui depressione; parte per vedere che si preparavano in Italia,
in Francia e fino in Germania tante armi contra di lui e della loro
città; parte per terror delle scomuniche; e parte perchè segretamente
guadagnati dal disinvolto legato del papa, che prometteva i secoli
d'oro ai Milanesi, e particolari ricompense a certe persone, se si
davano al papa e al re Roberto. Secondo alcuni scrittori[1042], pare
che lo stesso Matteo si mostrasse inclinato a cedere; ma, secondo
altri[1043], fra il suo cuore e le sue parole passava poca armonia,
ed egli si trovò in grandi affanni allo scorgere che titubavano nella
fede i primati milanesi. Ne scrisse ai collegati ghibellini; fece
venir di Piacenza Galeazzo suo primogenito, in cui mano rassegnò il
governo; e poi si diede alla visita de' sacri templi, con professar
dappertutto la fede cattolica. Probabilmente questi fieri sconcerti
d'animo, aggiunti all'età d'anni settantadue, quei furono che il fecero
cader malato nel monistero di Crescenzago, dove finì di vivere circa
il dì 27 di giugno dell'anno presente. Dagli scrittori milanesi egli
vien chiamato _Matteo il Magno_ per cagion del suo gran senno che
il condusse a sì alto grado di principato; ma non si sa che alcuno
il piagnesse morto, perchè vivo avea forte aggravati i popoli, nè
era esente da vizii. Lasciò dopo di sè cinque figliuoli, _Galeazzo,
Marco, Luchino, Stefano_, tutti e quattro ammogliati, e _Giovanni_
cherico, già eletto arcivescovo di Milano, ma rifiutato dal papa.
Tennero questi celata la morte del padre per lo spazio di quattordici
dì; e fecero seppellire il di lui corpo in luogo ignoto per cagion
delle scomuniche e dell'interdetto: dopo il qual tempo _Galeazzo_ ebbe
maniera di farsi proclamare signor di Milano. Ma non gli mancarono de'
nemici in casa. Fra gli altri si contò Francesco da Garbagnate, quel
medesimo che avea sotto Arrigo VII aiutato con tanta attenzione Matteo
Visconte a salire, e che poi riempiuto di benefizii e di roba da lui,
era divenuto uno de' più benestanti ed autorevoli di Milano. Del pari
Lodrisio Visconte figliuolo d'un fratello d'esso Matteo, per tacere
degli altri, palesò il suo mal talento contra di Galeazzo. Accadde in
questi tempi la vittoria, che già abbiam detto, riportata da _Marco
Visconte_ in Bassignana, il cui borgo venne ancora alle sue mani;
ma ciò non trattenne punto il pendio della fortuna avversa ad esso
Galeazzo. Aveva egli lasciata in Piacenza Beatrice Estense sua moglie
col giovinetto _Azzo_ suo figliuolo alla custodia della città[1044].
Intanto Verzusio Lando, che era presso il legato pontificio, manipulò
una congiura con alcuni cittadini di Piacenza; ed ottenuto da esso
legato un buon corpo di cavalleria, nella notte precedente al dì 9 di
ottobre arrivò a quella città. Per un'apertura fatta dai traditori
(fra' quali Buonincontro[1045] mette anche Manfredi Lando, benchè
la Cronica di Piacenza[1046] dica il contrario) entrò Verzusio nella
città. Ebbe il giovane Azzo Visconte la sorte di potersi salvare per
senno della marchesa Beatrice sua madre e donna virile, la quale,
gittando dalle finestre gran copia di moneta, fermò i soldati papalini,
e fece attaccar lite fra loro, e in questo mentre diede tempo al
figliuolo di scappare a Fiorenzuola con dodici cavalli. Patì ella
dipoi delle gravi molestie; pure fu onorevolmente accompagnata fuori di
Piacenza. Nel dì 27 di novembre fece la sua entrata in quella città il
legato pontificio, e i Piacentini si diedero al papa, eleggendolo per
loro signor temporale, secondo la Cronica di Piacenza, _toto tempore
vitae suae_. Intorno a questo punto, cioè del dominio allora acquistato
da papa Giovanni nella città di Piacenza, s'è disputato negli anni
addietro fra gli avvocati della Chiesa romana e quei dell'imperadore,
pretendendo i primi che il popolo di Piacenza, dopo alcuni anni, con
pubblico atto riconoscessero che Piacenza col suo distretto _immediate
subjecta sit et fuerit ab antiquo sanctae romanae Ecclesiae_; e
pretendendo gli altri, con addurre pubblico documento, che quella sia
un'impostura, e che la signoria di Piacenza, data a quel pontefice,
fosse chiaramente ristretta al tempo della vacanza dell'imperio, come
fu fatto circa questi tempi da Parma, Modena ed altri simili città non
mai suggette in addietro al temporal dominio de' romani pontefici.
Anche i Rossi co' figliuoli di Giberto da Correggio[1047] nel dì 19
del mese di settembre occuparono la città di Parma, e ne scacciarono
Giamquillico di San-Vitale con tutti i suoi aderenti ghibellini.
Scrivono altri[1048] che fecero prigione il San-Vitale, e il misero
in una gabbia di ferro. Abbiamo negli Annali Ecclesiastici[1049]
l'atto in cui quel popolo si mise anch'esso sotto il dominio del papa,
ma _vacante imperio, sicut nunc vacare dignoscitur._ Certamente può
quest'atto far dubitare d'interpolazione nel troppo diverso spettante
a Piacenza. I Reggiani anch'essi dimandarono ed ebbero dal legato
pontificio un vicario del papa al loro governo. Ma eccoti un'altra
peripezia. Andarono tanto innanzi le mine interne ed esterne in
Milano, che quei primati, avendo guadagnato il presidio tedesco di
quella città[1050], nel dì 8 di novembre mossero a rumore la terra
contro a _Galeazzo Visconte_, il quale, dopo aver sostenuto con gran
vigore più battaglie, finalmente fu costretto a prendere la fuga. Si
ritirò egli a Lodi, dove amorevolmente venne accollo dai Vestarini,
caporali della fazion ghibellina di quella città. Qualche accordo,
ma non so ben dir quale, pare che succedesse, o almen si trattasse,
fra il legato del papa e i reggenti allora di Milano, che tuttavia
si tenevano a parte ghibellina, e fecero lor capitano un tal Giovanni
dalla Torre Borgognone. Ma che? Nella Martesana cominciarono i Guelfi
a muovere delle sedizioni, e s'impadronirono della città di Monza
coll'espulsion de' Ghibellini. Corsero allora a Monza assaissimi
ribaldi di Bergamo e di Crema; ma vi accorsero ancora Lodrisio Visconte
e Francesco da Garbagnate coll'esercito milanese, per gastigar questa
ribellione, benchè fatta da pochi malviventi, e per forza v'entrarono.
Quivi le crudeltà e la lussuria si sfogarono per tre dì, e andò
ogni cosa a sacco, senza distinguere Guelfi da Ghibellini. Poco andò
che, trovandosi in confusione il governo di Milano, nè mantenendosi
dal legato ai Milanesi, nè da' Milanesi alla guarnigion tedesca le
promesse, i Tedeschi, pentiti di aver cacciato _Galeazzo Visconte_,
che li teneva dianzi nella bambagia, spedirono a Lodi ad invitarlo.
Fece egli segretamente trattar con Lodrisio Visconte, e si convenne
con lui[1051]; laonde nel dì 9 di dicembre rientrò, e fu confermato
capitano e signore della città. Se n'andò a spasso il Borgognone,
e per paura di Galeazzo, Francesco da Garbagnate, Simon Crivello ed
altri nobili, già congiurati contra di lui, si ridussero a Piacenza,
dove si diedero a muovere cielo e terra contra de' Visconti. Nel dì
3 di settembre di quest'anno _Cane dalla Scala_ e _Passerino_ signor
di Mantova e Modena[1052], con grosso esercito, a cui intervennero
anche i Modenesi, andarono sotto Reggio in favore de' Sessi e degli
altri fuorusciti ghibellini. Cinque bei borghi avea quella città;
tutti furono dati alle fiamme, parte da' cittadini e parte dagli
assedianti. La nuova della mutazion seguita in Parma li fece tornare
in fretta alle lor case. Nel dì 9 di maggio[1053] Romeo de' Pepoli
con Testa de' Gozzadini e cogli altri usciti di Bologna, rinforzato da
assaissimi Ferraresi e Romagnuoli, avendo intelligenza con alcuni de'
suoi parziali in Bologna, andò colà una notte, sperando di rientrare
nella città. E già aveano rotti i catenacci e le serrature d'una porta;
ma andò loro fallito il colpo, perchè dal popolo mosso all'armi fu
impedito loro l'ingresso. Furono perciò mandati a' confini i Gozzadini
e molti altri nobili di quella città; alcuni ancora finirono la vita
col capestro, e la città restò tutta sossopra. Morì poscia Romeo de'
Pepoli nel dì primo di ottobre in Avignone, dove si era portato per
ottenere il favor del papa.
Tenevano la signoria di Ravenna in questi tempi _Guido_ e _Rinaldo_
fratelli da Polenta[1054]. Dimorava il primo in Bologna, capitano di
quel popolo; l'altro se ne stava in Ravenna, arcidiacono di quella
chiesa, e d'essa già eletto arcivescovo dopo la morte accaduta in
quest'anno di un altro _Rinaldo arcivescovo_ di santa vita. _Ostasio
da Polenta_ signore di Cervia, in cui la smoderata voglia di dominare
avea estinto ogni riflesso di parentela e sentimento d'umanità,
ito a Ravenna come amico, barbaramente tolse di vita esso Rinaldo
arcivescovo eletto, ed occupò il dominio di quella città. Dopo un
lunghissimo assedio i Perugini[1055] riacquistarono nel dì 2 d'aprile
la città d'Assisi, ma con loro infamia, perchè contro i patti corsero
la terra, ed uccisero a furore più di cento di que' cittadini, e
smantellarono dipoi tutte le mura e fortezze di quella città, con altri
aggravii. Pareva in questi tempi _Federigo conte_ di Montefeltro in un
bell'ascendente di fortuna, perchè padrone d'Urbino e d'altre città
ghibelline, che il riguardavano come lor capo in quelle contrade,
bench'egli fosse scomunicato dal papa, e dichiarato, secondo l'uso
d'allora, eretico ed idolatra. Per gl'impegni della guerra aveva egli
caricato di taglie ed imposte gli Urbinati. Quel popolo in furia nel
dì 22 d'aprile (il Villani dice 26) si mosse contra di lui. Rifugiossi
egli nella sua fortezza della Torre. Ma ritrovandosi ivi sprovveduto
di gente e di viveri, col capestro al collo chiedendo misericordia, si
diede nelle mani dell'inferocito popolo. La misericordia che usarono a
lui e ad un suo figliuolo, fu di metterli in pezzi, e di seppellirli
come scomunicati a guisa di cavalli morti. Nel dì primo di gennaio
dell'anno presente i Fiorentini[1056] si liberarono dalla signoria
del _re Roberto_. V'ha chi scrive, averla spontaneamente rinunziata
esso re. Si può crede un'immaginazione. Le città allora avvezze alla
libertà trovavano pesanti i padroni, ancorchè buoni; nè Roberto era
principe da disprezzar così nobil boccone. Tornarono in quest'anno
alle mani degli uffiziali pontificii le città di Recanati, di Fano e
d'Urbino. Anche Osimo loro si diede nel mese di maggio; ma nell'agosto
si tornò a ribellare; ed unito il popolo d'essa città con quei di
Fermo e Fabriano, e coi Ghibellini di quelle parti, fece guerra al
marchese della marca d'Ancona. _Castruccio_ signor di Lucca cotanto
molestò i Pistoiesi, che quel popolo fece, contro la volontà dei
Fiorentini, tregua con lui, obbligandosi di pagargli ogni anno quattro
mila fiorini d'oro. Continuò in quest'anno ancora l'aspra guerra fra i
Genovesi[1057] i e loro usciti ghibellini; e quantunque il _re Roberto_
mandasse in aiuto dei primi una buona flotta, pure non potè impedire
che i fuorusciti non ripigliassero per forza la città d'Albenga. Di
gran sangue fu sparso in quest'anno in Germania; imperocchè i due
eletti re de' Romani, cioè _Federigo duca_ d'Austria e _Lodovico duca_
di Baviera, vennero con due possenti eserciti alle mani, per decidere
le lor contese col ferro nel dì 28 o 29 di settembre[1058]. In quella
terribil giornata, che costò la vita a molte migliaia di persone,
rimase sconfitto e prigioniere del Bavaro il re Federigo con _Arrigo_
suo fratello. Scrittore c'è che sembra attribuire la disavventura di
questi principi a gastigo di Dio, perchè, chiamati dal papa in Italia
contro ai tiranni ed eretici di Lombardia, aveano tradita la causa
pontificia con ritirarsi. Idea strana che vuole far Dio sì interessato
ne' politici disegni e nell'ingrandimento temporale dei papi, come
certamente egli è nella conservazione della sua vera religione e
Chiesa; e quasi fosse peccato grave l'essere desistito un re de'
Romani, futuro imperadore, dall'assassinar sè stesso col procurar la
rovina de' Ghibellini amanti dell'imperio, e l'esaltazione de' Guelfi
nemici d'esso imperio.
NOTE:
[1034] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 133.
[1035] Corio, Istor. di Milano.
[1036] Bonincontrus Morigia, lib. 3, cap. 2, tom. 12 Rer. Ital.
[1037] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom, 17 Rer. Ital.
[1038] Chronic. Astense, tom. 11 Rer. Ital.
[1039] Bonincontr. Morigia, lib. 3, cap. 27, tom. 12 Rer. Ital.
[1040] Corio, Istor. di Milano.
[1041] Malvec., Chronic. Brixian., tom. 14 Rer. Italic.
[1042] Bonincontrus Morigia, Chron. Mod., lib. 3, cap. 2, tom. 12 Rer.
Ital. Chron. Astense, cap. 105, tom. 11 Rer. Ital.
[1043] Corio, Istoria di Milano. Gualvan. Flamma, cap. 361, tom. 11
Rer. Ital.
[1044] Johann. de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Italic. Chron. Astense,
tom. 11 Rer. Italic.
[1045] Boninc. Morigia, lib. 3, cap. 4, tom. 12 Rer. Italic.
[1046] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1047] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1048] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1049] Raynald., in Annal. Eccles. ad hunc annum, num. 13.
[1050] Bonincontrus, Chron. Mod., lib. 3, cap. 7, tom. 12 Rer. Ital.
Chron. Astense, cap. 109, tom. 11 Rer. Ital.
[1051] Boninc. Morigia, lib. 3, cap. 14. Corio, Istoria di Milano.
Gualvaneus Flamma, cap. 361, tom. 11 Rer. Ital.
[1052] Moranus, Chronic., tom. 11 Rer. Ital. Johannes de Bazano, tom.
15 Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1053] Chron. Bononiens., tom. eodem.
[1054] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Rubeus, Histor. Ravenn., lib.
6.
[1055] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital. Giovanni Villani, lib. 9,
cap. 137.
[1056] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 139.
Anno di CRISTO MCCCXXIII. Indiz. VI.
GIOVANNI XXII papa 8.
Imperio vacante.
Piena di guai fu in quest'anno la Lombardia per l'ostinata guerra
continuata da _papa Giovanni_ e dal _re Roberto_ ai Visconti[1059].
Fece il legato pontificio _Beltrando_ massa grande di gente. N'ebbe
da' Bolognesi, Fiorentini, Reggiani, Parmigiani, Piacentini ed altri
Lombardi. Venne _Arrigo di Fiandra_ con un corpo d'armati a trovarlo
per desiderio di riaver Lodi, di cui il fu imperadore _Arrigo VII_ lo
avea investito. Accorse _Pagano dalla Torre_ patriarca con Francesco,
Simone, Moschino ed altri Torriani, conducendo seco molte schiere
di combattenti furlani. In somma si contarono alla mostra del suo
esercito otto mila cavalli e trenta mila pedoni. _Galeazzo_ coi
fratelli Visconti procurò anch'egli quanti aiuti potè da Como, Novara,
Vercelli, Pavia, Lodi, Bergamo, e da altri amici suoi; e, benchè di
troppo gli fossero superiori di forze i nemici, pure si preparò ad una
gagliarda difesa. Già era succeduto un conflitto nel dì 25 di febbraio
al fiume Adda[1060]. Avea Galeazzo inviati i suoi due fratelli _Marco_
e _Luchino_ con sei mila fanti e mille cavalli a guardare il passo
di quel fiume. Nel dì suddetto in vicinanza di Trezzo lo passarono
Simone Crivello e Francesco da Garbagnate nemici fieri de' Visconti,
con assaissime squadre d'armati. Marco Visconte, che si trovava a quel
passo con cinquecento soli cavalli, gli assalì, e fece strage di molti,
fra' quali essendo stati presi i suddetti due capi de' fuorusciti
milanesi, non potè contenersi dall'ucciderli di sua mano. Crescendo
poi la piena de' nemici, perchè ne passò un altro gran corpo, Marco con
perdita di pochi de' suoi si ritirò a Milano. Entrò poi il formidabil
esercito del legato nel territorio di Milano sotto il comando di
_Raimondo da Cardona_, di Arrigo di Fiandra, di Castrone nipote del
legato, e d'altri tenenti generali[1061]. Dopo l'acquisto di Monza,
di Caravaggio e di Vimercato, un altro fatto d'armi succedette nel
dì 19 d'aprile al luogo della Trezella (Garazzuola vien chiamato dal
Villani) fra i suddetti due fratelli Visconti e parte dell'esercito
pontificio, in cui restò indecisa la vittoria. Maggiore nondimeno,
secondo alcuni, fu la perdita dal canto di quei della Chiesa. Secondo
il Villani, n'ebbero la peggio i Visconti. Passò dipoi nel dì 13 di
giugno tutta la armata papale sotto Milano, ed accampossi ne' borghi
di Porta Comasina, di Porta Tosa, Ticinese e Vercellina. Quasi due
mesi durò quell'assedio, ma con poco frutto. Molti erano i Tedeschi
che militavano in questi tempi in Italia, al soldo specialmente
de' principi ghibellini: gente di gran valore, ma di niuna fede e
venale. Si lasciarono corrompere dal danaro quei ch'erano in Milano al
servigio di Galeazzo Visconte; e un dì presero l'armi contra di lui
per ucciderlo od imprigionarlo. Si salvò egli nel suo palazzo, dove
l'assediarono; ma _Giovanni Visconte_ suo fratello, allora cherico,
mosse all'armi tutte le soldatesche italiane, obbligò quei ribaldi a
chiedere pace e misericordia, che loro fu conceduta, perchè il tempo
così esigeva[1062]. Anzi i medesimi fecero che dieci bandiere d'altri
Tedeschi, che erano al soldo della Chiesa nel campo, si partirono
di là ed entrarono in Milano. L'essere andato fallito questo colpo
agli uffiziali del papa, e il venire ogni dì scemando la loro gente
per le sortite de' nemici e per le grandi malattie che condussero al
sepolcro anche lo stesso Castrone generale dell'armata, e l'essere
giunti ottocento uomini d'armi spediti da _Lodovico il Bavaro_ in aiuto
di Galeazzo Visconte: questi motivi, congiunti colla mancanza delle
vettovaglie, furono cagione che una notte tutte quelle gran brigate
levarono precipitosamente il campo, e si ritirarono a Monza sul fine
di luglio, con separarsi dipoi la loro armata. Nel mese susseguente i
Milanesi andarono all'assedio di Monza, e vi stettero sotto quasi due
mesi; ma, avendo il legato inviata gran quantità di cavalli e fanti
in aiuto di quella terra, se ne tornarono gli assedianti a guisa di
sconfitti a Milano. Molti altri fatti di guerra succederono, prima che
terminasse l'anno che io per brevità tralascio[1063]. Ma non si dee
tacere che in quest'anno _Raimondo da Cardona_ nel dì 19 di febbraio
ebbe a buoni patti la città di Tortona, e da lì a pochi giorni dalla
guarnigione a forza di oro ebbe anche il castello. E nel dì 2 di aprile
parimente la città d'Alessandria, per paura di assedio, venne in suo
potere.
Nel dì 17 di febbraio dell'anno presente, riuscì ai Genovesi[1064],
dopo tanti affanni e dopo un sì lungo e sanguinoso assedio, di cacciar
dai borghi della loro città i fuorusciti, con farne prigioni molti,
e guadagnare un grosso bottino. _Castruccio_ signor di Lucca, sempre
indefesso, riacquistò molte terre nella Garfagnana, e mise l'assedio
a Prato, perchè quel popolo non gli volea pagar tributo, come faceano
i Pistoiesi. Ma, accorsi con grande oste i Fiorentini, il fecero
ritirare in fretta, senza operare di più, perchè la discordia, febbre
ordinaria di quella città, scompigliò il parere di chi avea più senno.
Era signore di Città di Castello in questi tempi _Branca Guelfucci_,
che tiranneggiava forte quel popolo. Fecero trattato segreto alcuni
di que' cittadini con _Guido de' Tarlati_ da Pietramala, vescovo
d'Arezzo, il quale spedì loro Tarlatino suo nipote con trecento
cavalli. Entrati nel dì 2 d'ottobre costoro in tempo di notte, e corsa
la terra, per forza ne cacciarono Branca e tutti i Guelfi, riducendo
quella città a parte ghibellina: avvenimento sì sensibile alle città
guelfe, che Firenze, Siena, Perugia, Orvieto, Gubbio e Bologna fecero
dipoi grossa taglia insieme per far mutare stato a quella città. Fu
poscia scomunicato per questo dal papa il vescovo d'Arezzo. Anche il
popolo d'Urbino nel mese di aprile, a cagion de' soverchi aggravii,
si ribellò ai ministri della Chiesa[1065]. Cominciò in quest'anno la
rottura grande fra _papa Giovanni XXII_ e _Lodovico il Bavaro_. Era
Lodovico rimasto senza chi gli contrastasse la corona dell'imperio,
perchè teneva nelle sue prigioni l'emulo _Federigo duca_ d'Austria,
con aggiugnere alcuno scrittore ch'esso Federigo infin l'anno presente
rinunziò in favore di lui le sue ragioni: il che non so se sia vero. Il
papa e il _re Roberto_, a' quali premeva che durasse in quelle parti la
discordia, nè l'Italia avesse imperadore, o alcuno imperador tedesco,
per arrivar intanto al fine de' lor disegni, non solo animarono
_Leopoldo_, valoroso fratello di Federigo, a sostener la guerra contra
del Bavaro, ma indussero anche il re di Francia a somministrargli
de' gagliardi aiuti. Intanto _Galeazzo Visconte_ e gli altri principi
ghibellini, al vedersi venire addosso un sì fiero temporale dell'armi
del papa, caldamente si raccomandarono con lettere e messi a Lodovico
per ottener soccorso, rappresentandogli, che se riusciva al pontefice
e a Roberto di aggiugnere a tante altre conquiste quella di Milano,
era sbrigata pel regno d'Italia; perciocchè da che fosse giunta a
trionfare la fazion guelfa nemica dell'imperio, poco o nulla sarebbe
mancato a Roberto per mutare il titolo di vicario in quello di re
d'Italia e d'imperadore; giacchè il papa mostrava abbastanza di non
voler più Tedeschi a comandar le feste in queste contrade, e ognun
sapeva ch'egli era lo zimbello delle voglie d'esso Roberto. Perciò
Lodovico nell'aprile di questo anno inviò i suoi ambasciatori al
legato cardinale, dimorante in Piacenza, con pregarlo di astenersi
dal molestar Milano, ch'era dello imperio[1066]. Rispose l'accorto
cardinale, non pretendere il papa di levare allo imperio alcuno de'
suoi diritti, ma bensì di conservarli tutti; e ch'egli si maravigliava
come il loro signore volesse prender la protezione degli eretici. Fece
anche istanza d'una copia del loro mandato, ch'essi cautamente negarono
di avere su questo. Lodovico, informato che a nulla avea servito
l'ambasciata, e che Milano era stretto d'assedio, mandò colà, come
abbiam detto, ottocento (se pur furono tanti) uomini d'armi, che furono
l'opportuno preservativo della caduta di quella città, inevitabile
senza di questo soccorso. Dio vi dica l'ira di papa Giovanni, attizzata
specialmente dal re Roberto[1067]. Nel dì 9 d'ottobre pubblicò egli un
monitorio contra del Bavaro, accusandolo d'aver preso il titolo di re
de' Romani senza venir prima approvato dal papa; e d'essersi mischiato
nel governo degli Stati dell'imperio, spettante ai romani pontefici,
durante la vacanza di esso; e di aver dato aiuto ai Visconti, benchè
condannati come nemici della Chiesa romana ed eretici. Poscia nel
luglio del seguente anno lo scomunicò[1068]. Lodovico di Baviera,
intesa questa sinfonia, in un parlamento tenuto nell'anno seguente in
Norimberga, fece un'autentica protesta, allegando che il papa faceva
delle novità, ed era dietro ad usurpare i diritti dell'imperio, con
toccar altre corde ch'io tralascio; ed appellò al concilio generale.
Ecco dunque aperto il teatro della guerra fra esso Lodovico e il papa:
guerra che si tirò dietro de' gravissimi scandali, per quanto vedremo.
NOTE:
[1057] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 18 Rer. Ital. Giovanni
Villani.
[1058] Rebdorf. Cortus. Histor, tom. 12 Rer. Ital. Giovanni Villani,
lib. 9. Continuat. Albert. Argentin., et alii.
[1059] Bonincontrus Morigia, Chron. Mod., lib. 3, cap. 19, tom. 12 Rer.
Ital. Johannes de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Ital. Corio, Istor. di
Milano, et alii.
[1060] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 189.
[1061] Gualvan. Flamma, cap. 362, tom. 11 Rer. Italic.
[1062] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 211.
[1063] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital. Georgius Stella, Annales
Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1064] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 186.
[1065] Raynaldus, Annal. Eccl.
[1066] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 194.
Anno di CRISTO MCCCXXIV. Indizione VII.
GIOVANNI XXII papa 9.
Imperio vacante.
Continuando la guerra della Chiesa contra de' Visconti, _Raimondo da
Cardona_ generale del papa, con _Arrigo di Fiandra_ e Simone dalla
Torre[1069], condusse lo esercito suo verso Vavrio, borgo da lui
posseduto, per isloggiare i nemici venuti per infestare il ponte
ch'egli avea sopra l'Adda. _Galeazzo_ e _Marco Visconti_ colà accorsero
anch'essi. Secondo il costume degli scrittori parziali al loro partito,
Bonincontro Morigia scrive che i Milanesi erano molto inferiori di
gente agli altri; il Villani dice il contrario. Certo è che nel dì 16
di febbraio si venne ad un fatto d'armi. Il Villani lo fa succeduto
nel dì ultimo di quel mese. Probabilmente fu nel penultimo d'esso mese
allora bissestile, scrivendo l'autore degli Annali Milanesi[1070]
_in die Carnisprivii_ (cioè del carnovale) _die Martis penultimo
februarii_. Avea dato ordine Galeazzo ad alcuni dei suoi più arditi
soldati che, all'udire attaccata la zuffa, entrassero in Vavrio, e
mettessero fuoco dappertutto. Diedesi fiato alle trombe, e un duro
ed ostinato combattimento si fece. Tra per la forza de' Milanesi, e
per la funesta scena del borgo che era tutto in fiamme, l'esercito
pontificio si mise in rotta. Moltissimi ne furono uccisi, fra' quali
Simone Torriano; più ancora se ne annegarono nel fiume, e alle mani de'
vincitori fra gli altri assaissimi prigioni vennero Raimondo da Cardona
ed Arrigo di Fiandra. Questo ultimo, secondo il Villani, si riscattò
dì 6 di luglio _Marco Visconte_ con due mila cavalli e dieci mila fanti
andò a trovarlo[1039]. Tuttochè Raimondo fosse inferior di gente, pure
temerariamente andò ad assalirlo, e gran sangue si sparse. Ma egli
ne rimase sconfitto, e più di cinquecento cavalieri e circa ducento
balestrieri e pedoni de' suoi furono menati prigioni. Poco nondimeno
servì ai Visconti questo vantaggio, perchè di tanto in tanto venivano
spediti nuovi rinforzi al Cardona da papa Giovanni e dal re Roberto,
ed erano in aria altri nuvoli. E qui convien prima accennare un altro
spediente preso da esso papa e re, per mettere a terra i Ghibellini.
Fecero essi maneggio, acciocchè _Federigo d'Austria_ eletto re de'
Romani venisse colle sue forze in Italia alla distruzion de' Visconti,
dandogli a credere di voler decidere la lite dell'imperio in suo
favore, e mettere a lui in capo la corona[1040]. Non si attentò già
Federigo di venire in persona per timore del Bavaro, ma bensì, dopo
aver ricevuto dal papa un aiuto di cento mila fiorini d'oro, fece
calare in Italia _Arrigo_ suo fratello, il quale con due mila cavalli
arrivò a Brescia[1041], accolto con sommo onore da quel popolo. Quivi
era ancora _Pagano dalla Torre patriarca_ d'Aquileia, che, pubblicata
contra de' Visconti e degli altri Ghibellini, chiamati ribelli della
Chiesa, la terribil bolla delle scomuniche, predicò la crociata,
e mise in armi quattro o cinque mila persone pronte a' suoi cenni.
L'arrivo di Arrigo d'Austria sbalordì i principi de' Ghibellini, che
non si sentivano voglia di cedere a' suoi comandamenti, e resistendo
parea loro d'alzar bandiera contro all'imperio, per essere il di
lui fratello eletto re de' Romani. Fatto un parlamento, spedirono
a lui ambasciatori, rappresentandogli che solenne pazzia sarebbe
quella di procedere contra dei Ghibellini, unici fedeli dell'imperio
in Italia; essere quella una trama del re Roberto per annientare la
fazion ghibellina ed innalzar la guelfa: il che se gli veniva fatto,
restava egli padron dell'Italia, e metteva un buon catenaccio alle
porte di essa, di modo che nè il re Federigo, nè altro principe di
Germania avrebbe più potuto goderne la signoria. Trovò Arrigo co'
suoi consiglieri fondate queste ragioni; e comunicatele al fratello,
gli fece mutar parere; laonde, allorchè era in viaggio per andare a
rimettere in Bergamo i fuorusciti guelfi, che gli aveano promesso venti
mila fiorini, non volle passar oltre, schiettamente dicendo: _Son io
venuto qua per abbattere i fedeli dell'imperio? Signor no. Piuttosto
ad innalzarli_. E fattagli istanza da' Bresciani, perchè li liberasse
dalla molestia de' fuorusciti, disse di farlo, purchè gli dessero le
porte della città in guardia e due mila fiorini. Il danaro, ma non le
porte, vollero dargli i Bresciani, ed egli sdegnato passò con sue genti
a Verona, dove magnificamente ricevuto da Cane Scaligero, gli furono
contati a nome della lega ghibellina sessanta mila fiorini, coi quali
se ne ritornò assai contento in Germania.
Ancorchè passasse questo minaccioso turbine, pure avea esso dianzi
recato gran pregiudizio agli affari di _Matteo Visconte_. Imperciocchè
molti nobili milanesi fin dal mese di febbraio si diedero a macchinare
la di lui depressione; parte per vedere che si preparavano in Italia,
in Francia e fino in Germania tante armi contra di lui e della loro
città; parte per terror delle scomuniche; e parte perchè segretamente
guadagnati dal disinvolto legato del papa, che prometteva i secoli
d'oro ai Milanesi, e particolari ricompense a certe persone, se si
davano al papa e al re Roberto. Secondo alcuni scrittori[1042], pare
che lo stesso Matteo si mostrasse inclinato a cedere; ma, secondo
altri[1043], fra il suo cuore e le sue parole passava poca armonia,
ed egli si trovò in grandi affanni allo scorgere che titubavano nella
fede i primati milanesi. Ne scrisse ai collegati ghibellini; fece
venir di Piacenza Galeazzo suo primogenito, in cui mano rassegnò il
governo; e poi si diede alla visita de' sacri templi, con professar
dappertutto la fede cattolica. Probabilmente questi fieri sconcerti
d'animo, aggiunti all'età d'anni settantadue, quei furono che il fecero
cader malato nel monistero di Crescenzago, dove finì di vivere circa
il dì 27 di giugno dell'anno presente. Dagli scrittori milanesi egli
vien chiamato _Matteo il Magno_ per cagion del suo gran senno che
il condusse a sì alto grado di principato; ma non si sa che alcuno
il piagnesse morto, perchè vivo avea forte aggravati i popoli, nè
era esente da vizii. Lasciò dopo di sè cinque figliuoli, _Galeazzo,
Marco, Luchino, Stefano_, tutti e quattro ammogliati, e _Giovanni_
cherico, già eletto arcivescovo di Milano, ma rifiutato dal papa.
Tennero questi celata la morte del padre per lo spazio di quattordici
dì; e fecero seppellire il di lui corpo in luogo ignoto per cagion
delle scomuniche e dell'interdetto: dopo il qual tempo _Galeazzo_ ebbe
maniera di farsi proclamare signor di Milano. Ma non gli mancarono de'
nemici in casa. Fra gli altri si contò Francesco da Garbagnate, quel
medesimo che avea sotto Arrigo VII aiutato con tanta attenzione Matteo
Visconte a salire, e che poi riempiuto di benefizii e di roba da lui,
era divenuto uno de' più benestanti ed autorevoli di Milano. Del pari
Lodrisio Visconte figliuolo d'un fratello d'esso Matteo, per tacere
degli altri, palesò il suo mal talento contra di Galeazzo. Accadde in
questi tempi la vittoria, che già abbiam detto, riportata da _Marco
Visconte_ in Bassignana, il cui borgo venne ancora alle sue mani;
ma ciò non trattenne punto il pendio della fortuna avversa ad esso
Galeazzo. Aveva egli lasciata in Piacenza Beatrice Estense sua moglie
col giovinetto _Azzo_ suo figliuolo alla custodia della città[1044].
Intanto Verzusio Lando, che era presso il legato pontificio, manipulò
una congiura con alcuni cittadini di Piacenza; ed ottenuto da esso
legato un buon corpo di cavalleria, nella notte precedente al dì 9 di
ottobre arrivò a quella città. Per un'apertura fatta dai traditori
(fra' quali Buonincontro[1045] mette anche Manfredi Lando, benchè
la Cronica di Piacenza[1046] dica il contrario) entrò Verzusio nella
città. Ebbe il giovane Azzo Visconte la sorte di potersi salvare per
senno della marchesa Beatrice sua madre e donna virile, la quale,
gittando dalle finestre gran copia di moneta, fermò i soldati papalini,
e fece attaccar lite fra loro, e in questo mentre diede tempo al
figliuolo di scappare a Fiorenzuola con dodici cavalli. Patì ella
dipoi delle gravi molestie; pure fu onorevolmente accompagnata fuori di
Piacenza. Nel dì 27 di novembre fece la sua entrata in quella città il
legato pontificio, e i Piacentini si diedero al papa, eleggendolo per
loro signor temporale, secondo la Cronica di Piacenza, _toto tempore
vitae suae_. Intorno a questo punto, cioè del dominio allora acquistato
da papa Giovanni nella città di Piacenza, s'è disputato negli anni
addietro fra gli avvocati della Chiesa romana e quei dell'imperadore,
pretendendo i primi che il popolo di Piacenza, dopo alcuni anni, con
pubblico atto riconoscessero che Piacenza col suo distretto _immediate
subjecta sit et fuerit ab antiquo sanctae romanae Ecclesiae_; e
pretendendo gli altri, con addurre pubblico documento, che quella sia
un'impostura, e che la signoria di Piacenza, data a quel pontefice,
fosse chiaramente ristretta al tempo della vacanza dell'imperio, come
fu fatto circa questi tempi da Parma, Modena ed altri simili città non
mai suggette in addietro al temporal dominio de' romani pontefici.
Anche i Rossi co' figliuoli di Giberto da Correggio[1047] nel dì 19
del mese di settembre occuparono la città di Parma, e ne scacciarono
Giamquillico di San-Vitale con tutti i suoi aderenti ghibellini.
Scrivono altri[1048] che fecero prigione il San-Vitale, e il misero
in una gabbia di ferro. Abbiamo negli Annali Ecclesiastici[1049]
l'atto in cui quel popolo si mise anch'esso sotto il dominio del papa,
ma _vacante imperio, sicut nunc vacare dignoscitur._ Certamente può
quest'atto far dubitare d'interpolazione nel troppo diverso spettante
a Piacenza. I Reggiani anch'essi dimandarono ed ebbero dal legato
pontificio un vicario del papa al loro governo. Ma eccoti un'altra
peripezia. Andarono tanto innanzi le mine interne ed esterne in
Milano, che quei primati, avendo guadagnato il presidio tedesco di
quella città[1050], nel dì 8 di novembre mossero a rumore la terra
contro a _Galeazzo Visconte_, il quale, dopo aver sostenuto con gran
vigore più battaglie, finalmente fu costretto a prendere la fuga. Si
ritirò egli a Lodi, dove amorevolmente venne accollo dai Vestarini,
caporali della fazion ghibellina di quella città. Qualche accordo,
ma non so ben dir quale, pare che succedesse, o almen si trattasse,
fra il legato del papa e i reggenti allora di Milano, che tuttavia
si tenevano a parte ghibellina, e fecero lor capitano un tal Giovanni
dalla Torre Borgognone. Ma che? Nella Martesana cominciarono i Guelfi
a muovere delle sedizioni, e s'impadronirono della città di Monza
coll'espulsion de' Ghibellini. Corsero allora a Monza assaissimi
ribaldi di Bergamo e di Crema; ma vi accorsero ancora Lodrisio Visconte
e Francesco da Garbagnate coll'esercito milanese, per gastigar questa
ribellione, benchè fatta da pochi malviventi, e per forza v'entrarono.
Quivi le crudeltà e la lussuria si sfogarono per tre dì, e andò
ogni cosa a sacco, senza distinguere Guelfi da Ghibellini. Poco andò
che, trovandosi in confusione il governo di Milano, nè mantenendosi
dal legato ai Milanesi, nè da' Milanesi alla guarnigion tedesca le
promesse, i Tedeschi, pentiti di aver cacciato _Galeazzo Visconte_,
che li teneva dianzi nella bambagia, spedirono a Lodi ad invitarlo.
Fece egli segretamente trattar con Lodrisio Visconte, e si convenne
con lui[1051]; laonde nel dì 9 di dicembre rientrò, e fu confermato
capitano e signore della città. Se n'andò a spasso il Borgognone,
e per paura di Galeazzo, Francesco da Garbagnate, Simon Crivello ed
altri nobili, già congiurati contra di lui, si ridussero a Piacenza,
dove si diedero a muovere cielo e terra contra de' Visconti. Nel dì
3 di settembre di quest'anno _Cane dalla Scala_ e _Passerino_ signor
di Mantova e Modena[1052], con grosso esercito, a cui intervennero
anche i Modenesi, andarono sotto Reggio in favore de' Sessi e degli
altri fuorusciti ghibellini. Cinque bei borghi avea quella città;
tutti furono dati alle fiamme, parte da' cittadini e parte dagli
assedianti. La nuova della mutazion seguita in Parma li fece tornare
in fretta alle lor case. Nel dì 9 di maggio[1053] Romeo de' Pepoli
con Testa de' Gozzadini e cogli altri usciti di Bologna, rinforzato da
assaissimi Ferraresi e Romagnuoli, avendo intelligenza con alcuni de'
suoi parziali in Bologna, andò colà una notte, sperando di rientrare
nella città. E già aveano rotti i catenacci e le serrature d'una porta;
ma andò loro fallito il colpo, perchè dal popolo mosso all'armi fu
impedito loro l'ingresso. Furono perciò mandati a' confini i Gozzadini
e molti altri nobili di quella città; alcuni ancora finirono la vita
col capestro, e la città restò tutta sossopra. Morì poscia Romeo de'
Pepoli nel dì primo di ottobre in Avignone, dove si era portato per
ottenere il favor del papa.
Tenevano la signoria di Ravenna in questi tempi _Guido_ e _Rinaldo_
fratelli da Polenta[1054]. Dimorava il primo in Bologna, capitano di
quel popolo; l'altro se ne stava in Ravenna, arcidiacono di quella
chiesa, e d'essa già eletto arcivescovo dopo la morte accaduta in
quest'anno di un altro _Rinaldo arcivescovo_ di santa vita. _Ostasio
da Polenta_ signore di Cervia, in cui la smoderata voglia di dominare
avea estinto ogni riflesso di parentela e sentimento d'umanità,
ito a Ravenna come amico, barbaramente tolse di vita esso Rinaldo
arcivescovo eletto, ed occupò il dominio di quella città. Dopo un
lunghissimo assedio i Perugini[1055] riacquistarono nel dì 2 d'aprile
la città d'Assisi, ma con loro infamia, perchè contro i patti corsero
la terra, ed uccisero a furore più di cento di que' cittadini, e
smantellarono dipoi tutte le mura e fortezze di quella città, con altri
aggravii. Pareva in questi tempi _Federigo conte_ di Montefeltro in un
bell'ascendente di fortuna, perchè padrone d'Urbino e d'altre città
ghibelline, che il riguardavano come lor capo in quelle contrade,
bench'egli fosse scomunicato dal papa, e dichiarato, secondo l'uso
d'allora, eretico ed idolatra. Per gl'impegni della guerra aveva egli
caricato di taglie ed imposte gli Urbinati. Quel popolo in furia nel
dì 22 d'aprile (il Villani dice 26) si mosse contra di lui. Rifugiossi
egli nella sua fortezza della Torre. Ma ritrovandosi ivi sprovveduto
di gente e di viveri, col capestro al collo chiedendo misericordia, si
diede nelle mani dell'inferocito popolo. La misericordia che usarono a
lui e ad un suo figliuolo, fu di metterli in pezzi, e di seppellirli
come scomunicati a guisa di cavalli morti. Nel dì primo di gennaio
dell'anno presente i Fiorentini[1056] si liberarono dalla signoria
del _re Roberto_. V'ha chi scrive, averla spontaneamente rinunziata
esso re. Si può crede un'immaginazione. Le città allora avvezze alla
libertà trovavano pesanti i padroni, ancorchè buoni; nè Roberto era
principe da disprezzar così nobil boccone. Tornarono in quest'anno
alle mani degli uffiziali pontificii le città di Recanati, di Fano e
d'Urbino. Anche Osimo loro si diede nel mese di maggio; ma nell'agosto
si tornò a ribellare; ed unito il popolo d'essa città con quei di
Fermo e Fabriano, e coi Ghibellini di quelle parti, fece guerra al
marchese della marca d'Ancona. _Castruccio_ signor di Lucca cotanto
molestò i Pistoiesi, che quel popolo fece, contro la volontà dei
Fiorentini, tregua con lui, obbligandosi di pagargli ogni anno quattro
mila fiorini d'oro. Continuò in quest'anno ancora l'aspra guerra fra i
Genovesi[1057] i e loro usciti ghibellini; e quantunque il _re Roberto_
mandasse in aiuto dei primi una buona flotta, pure non potè impedire
che i fuorusciti non ripigliassero per forza la città d'Albenga. Di
gran sangue fu sparso in quest'anno in Germania; imperocchè i due
eletti re de' Romani, cioè _Federigo duca_ d'Austria e _Lodovico duca_
di Baviera, vennero con due possenti eserciti alle mani, per decidere
le lor contese col ferro nel dì 28 o 29 di settembre[1058]. In quella
terribil giornata, che costò la vita a molte migliaia di persone,
rimase sconfitto e prigioniere del Bavaro il re Federigo con _Arrigo_
suo fratello. Scrittore c'è che sembra attribuire la disavventura di
questi principi a gastigo di Dio, perchè, chiamati dal papa in Italia
contro ai tiranni ed eretici di Lombardia, aveano tradita la causa
pontificia con ritirarsi. Idea strana che vuole far Dio sì interessato
ne' politici disegni e nell'ingrandimento temporale dei papi, come
certamente egli è nella conservazione della sua vera religione e
Chiesa; e quasi fosse peccato grave l'essere desistito un re de'
Romani, futuro imperadore, dall'assassinar sè stesso col procurar la
rovina de' Ghibellini amanti dell'imperio, e l'esaltazione de' Guelfi
nemici d'esso imperio.
NOTE:
[1034] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 133.
[1035] Corio, Istor. di Milano.
[1036] Bonincontrus Morigia, lib. 3, cap. 2, tom. 12 Rer. Ital.
[1037] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom, 17 Rer. Ital.
[1038] Chronic. Astense, tom. 11 Rer. Ital.
[1039] Bonincontr. Morigia, lib. 3, cap. 27, tom. 12 Rer. Ital.
[1040] Corio, Istor. di Milano.
[1041] Malvec., Chronic. Brixian., tom. 14 Rer. Italic.
[1042] Bonincontrus Morigia, Chron. Mod., lib. 3, cap. 2, tom. 12 Rer.
Ital. Chron. Astense, cap. 105, tom. 11 Rer. Ital.
[1043] Corio, Istoria di Milano. Gualvan. Flamma, cap. 361, tom. 11
Rer. Ital.
[1044] Johann. de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Italic. Chron. Astense,
tom. 11 Rer. Italic.
[1045] Boninc. Morigia, lib. 3, cap. 4, tom. 12 Rer. Italic.
[1046] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1047] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[1048] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1049] Raynald., in Annal. Eccles. ad hunc annum, num. 13.
[1050] Bonincontrus, Chron. Mod., lib. 3, cap. 7, tom. 12 Rer. Ital.
Chron. Astense, cap. 109, tom. 11 Rer. Ital.
[1051] Boninc. Morigia, lib. 3, cap. 14. Corio, Istoria di Milano.
Gualvaneus Flamma, cap. 361, tom. 11 Rer. Ital.
[1052] Moranus, Chronic., tom. 11 Rer. Ital. Johannes de Bazano, tom.
15 Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1053] Chron. Bononiens., tom. eodem.
[1054] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Rubeus, Histor. Ravenn., lib.
6.
[1055] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital. Giovanni Villani, lib. 9,
cap. 137.
[1056] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 139.
Anno di CRISTO MCCCXXIII. Indiz. VI.
GIOVANNI XXII papa 8.
Imperio vacante.
Piena di guai fu in quest'anno la Lombardia per l'ostinata guerra
continuata da _papa Giovanni_ e dal _re Roberto_ ai Visconti[1059].
Fece il legato pontificio _Beltrando_ massa grande di gente. N'ebbe
da' Bolognesi, Fiorentini, Reggiani, Parmigiani, Piacentini ed altri
Lombardi. Venne _Arrigo di Fiandra_ con un corpo d'armati a trovarlo
per desiderio di riaver Lodi, di cui il fu imperadore _Arrigo VII_ lo
avea investito. Accorse _Pagano dalla Torre_ patriarca con Francesco,
Simone, Moschino ed altri Torriani, conducendo seco molte schiere
di combattenti furlani. In somma si contarono alla mostra del suo
esercito otto mila cavalli e trenta mila pedoni. _Galeazzo_ coi
fratelli Visconti procurò anch'egli quanti aiuti potè da Como, Novara,
Vercelli, Pavia, Lodi, Bergamo, e da altri amici suoi; e, benchè di
troppo gli fossero superiori di forze i nemici, pure si preparò ad una
gagliarda difesa. Già era succeduto un conflitto nel dì 25 di febbraio
al fiume Adda[1060]. Avea Galeazzo inviati i suoi due fratelli _Marco_
e _Luchino_ con sei mila fanti e mille cavalli a guardare il passo
di quel fiume. Nel dì suddetto in vicinanza di Trezzo lo passarono
Simone Crivello e Francesco da Garbagnate nemici fieri de' Visconti,
con assaissime squadre d'armati. Marco Visconte, che si trovava a quel
passo con cinquecento soli cavalli, gli assalì, e fece strage di molti,
fra' quali essendo stati presi i suddetti due capi de' fuorusciti
milanesi, non potè contenersi dall'ucciderli di sua mano. Crescendo
poi la piena de' nemici, perchè ne passò un altro gran corpo, Marco con
perdita di pochi de' suoi si ritirò a Milano. Entrò poi il formidabil
esercito del legato nel territorio di Milano sotto il comando di
_Raimondo da Cardona_, di Arrigo di Fiandra, di Castrone nipote del
legato, e d'altri tenenti generali[1061]. Dopo l'acquisto di Monza,
di Caravaggio e di Vimercato, un altro fatto d'armi succedette nel
dì 19 d'aprile al luogo della Trezella (Garazzuola vien chiamato dal
Villani) fra i suddetti due fratelli Visconti e parte dell'esercito
pontificio, in cui restò indecisa la vittoria. Maggiore nondimeno,
secondo alcuni, fu la perdita dal canto di quei della Chiesa. Secondo
il Villani, n'ebbero la peggio i Visconti. Passò dipoi nel dì 13 di
giugno tutta la armata papale sotto Milano, ed accampossi ne' borghi
di Porta Comasina, di Porta Tosa, Ticinese e Vercellina. Quasi due
mesi durò quell'assedio, ma con poco frutto. Molti erano i Tedeschi
che militavano in questi tempi in Italia, al soldo specialmente
de' principi ghibellini: gente di gran valore, ma di niuna fede e
venale. Si lasciarono corrompere dal danaro quei ch'erano in Milano al
servigio di Galeazzo Visconte; e un dì presero l'armi contra di lui
per ucciderlo od imprigionarlo. Si salvò egli nel suo palazzo, dove
l'assediarono; ma _Giovanni Visconte_ suo fratello, allora cherico,
mosse all'armi tutte le soldatesche italiane, obbligò quei ribaldi a
chiedere pace e misericordia, che loro fu conceduta, perchè il tempo
così esigeva[1062]. Anzi i medesimi fecero che dieci bandiere d'altri
Tedeschi, che erano al soldo della Chiesa nel campo, si partirono
di là ed entrarono in Milano. L'essere andato fallito questo colpo
agli uffiziali del papa, e il venire ogni dì scemando la loro gente
per le sortite de' nemici e per le grandi malattie che condussero al
sepolcro anche lo stesso Castrone generale dell'armata, e l'essere
giunti ottocento uomini d'armi spediti da _Lodovico il Bavaro_ in aiuto
di Galeazzo Visconte: questi motivi, congiunti colla mancanza delle
vettovaglie, furono cagione che una notte tutte quelle gran brigate
levarono precipitosamente il campo, e si ritirarono a Monza sul fine
di luglio, con separarsi dipoi la loro armata. Nel mese susseguente i
Milanesi andarono all'assedio di Monza, e vi stettero sotto quasi due
mesi; ma, avendo il legato inviata gran quantità di cavalli e fanti
in aiuto di quella terra, se ne tornarono gli assedianti a guisa di
sconfitti a Milano. Molti altri fatti di guerra succederono, prima che
terminasse l'anno che io per brevità tralascio[1063]. Ma non si dee
tacere che in quest'anno _Raimondo da Cardona_ nel dì 19 di febbraio
ebbe a buoni patti la città di Tortona, e da lì a pochi giorni dalla
guarnigione a forza di oro ebbe anche il castello. E nel dì 2 di aprile
parimente la città d'Alessandria, per paura di assedio, venne in suo
potere.
Nel dì 17 di febbraio dell'anno presente, riuscì ai Genovesi[1064],
dopo tanti affanni e dopo un sì lungo e sanguinoso assedio, di cacciar
dai borghi della loro città i fuorusciti, con farne prigioni molti,
e guadagnare un grosso bottino. _Castruccio_ signor di Lucca, sempre
indefesso, riacquistò molte terre nella Garfagnana, e mise l'assedio
a Prato, perchè quel popolo non gli volea pagar tributo, come faceano
i Pistoiesi. Ma, accorsi con grande oste i Fiorentini, il fecero
ritirare in fretta, senza operare di più, perchè la discordia, febbre
ordinaria di quella città, scompigliò il parere di chi avea più senno.
Era signore di Città di Castello in questi tempi _Branca Guelfucci_,
che tiranneggiava forte quel popolo. Fecero trattato segreto alcuni
di que' cittadini con _Guido de' Tarlati_ da Pietramala, vescovo
d'Arezzo, il quale spedì loro Tarlatino suo nipote con trecento
cavalli. Entrati nel dì 2 d'ottobre costoro in tempo di notte, e corsa
la terra, per forza ne cacciarono Branca e tutti i Guelfi, riducendo
quella città a parte ghibellina: avvenimento sì sensibile alle città
guelfe, che Firenze, Siena, Perugia, Orvieto, Gubbio e Bologna fecero
dipoi grossa taglia insieme per far mutare stato a quella città. Fu
poscia scomunicato per questo dal papa il vescovo d'Arezzo. Anche il
popolo d'Urbino nel mese di aprile, a cagion de' soverchi aggravii,
si ribellò ai ministri della Chiesa[1065]. Cominciò in quest'anno la
rottura grande fra _papa Giovanni XXII_ e _Lodovico il Bavaro_. Era
Lodovico rimasto senza chi gli contrastasse la corona dell'imperio,
perchè teneva nelle sue prigioni l'emulo _Federigo duca_ d'Austria,
con aggiugnere alcuno scrittore ch'esso Federigo infin l'anno presente
rinunziò in favore di lui le sue ragioni: il che non so se sia vero. Il
papa e il _re Roberto_, a' quali premeva che durasse in quelle parti la
discordia, nè l'Italia avesse imperadore, o alcuno imperador tedesco,
per arrivar intanto al fine de' lor disegni, non solo animarono
_Leopoldo_, valoroso fratello di Federigo, a sostener la guerra contra
del Bavaro, ma indussero anche il re di Francia a somministrargli
de' gagliardi aiuti. Intanto _Galeazzo Visconte_ e gli altri principi
ghibellini, al vedersi venire addosso un sì fiero temporale dell'armi
del papa, caldamente si raccomandarono con lettere e messi a Lodovico
per ottener soccorso, rappresentandogli, che se riusciva al pontefice
e a Roberto di aggiugnere a tante altre conquiste quella di Milano,
era sbrigata pel regno d'Italia; perciocchè da che fosse giunta a
trionfare la fazion guelfa nemica dell'imperio, poco o nulla sarebbe
mancato a Roberto per mutare il titolo di vicario in quello di re
d'Italia e d'imperadore; giacchè il papa mostrava abbastanza di non
voler più Tedeschi a comandar le feste in queste contrade, e ognun
sapeva ch'egli era lo zimbello delle voglie d'esso Roberto. Perciò
Lodovico nell'aprile di questo anno inviò i suoi ambasciatori al
legato cardinale, dimorante in Piacenza, con pregarlo di astenersi
dal molestar Milano, ch'era dello imperio[1066]. Rispose l'accorto
cardinale, non pretendere il papa di levare allo imperio alcuno de'
suoi diritti, ma bensì di conservarli tutti; e ch'egli si maravigliava
come il loro signore volesse prender la protezione degli eretici. Fece
anche istanza d'una copia del loro mandato, ch'essi cautamente negarono
di avere su questo. Lodovico, informato che a nulla avea servito
l'ambasciata, e che Milano era stretto d'assedio, mandò colà, come
abbiam detto, ottocento (se pur furono tanti) uomini d'armi, che furono
l'opportuno preservativo della caduta di quella città, inevitabile
senza di questo soccorso. Dio vi dica l'ira di papa Giovanni, attizzata
specialmente dal re Roberto[1067]. Nel dì 9 d'ottobre pubblicò egli un
monitorio contra del Bavaro, accusandolo d'aver preso il titolo di re
de' Romani senza venir prima approvato dal papa; e d'essersi mischiato
nel governo degli Stati dell'imperio, spettante ai romani pontefici,
durante la vacanza di esso; e di aver dato aiuto ai Visconti, benchè
condannati come nemici della Chiesa romana ed eretici. Poscia nel
luglio del seguente anno lo scomunicò[1068]. Lodovico di Baviera,
intesa questa sinfonia, in un parlamento tenuto nell'anno seguente in
Norimberga, fece un'autentica protesta, allegando che il papa faceva
delle novità, ed era dietro ad usurpare i diritti dell'imperio, con
toccar altre corde ch'io tralascio; ed appellò al concilio generale.
Ecco dunque aperto il teatro della guerra fra esso Lodovico e il papa:
guerra che si tirò dietro de' gravissimi scandali, per quanto vedremo.
NOTE:
[1057] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 18 Rer. Ital. Giovanni
Villani.
[1058] Rebdorf. Cortus. Histor, tom. 12 Rer. Ital. Giovanni Villani,
lib. 9. Continuat. Albert. Argentin., et alii.
[1059] Bonincontrus Morigia, Chron. Mod., lib. 3, cap. 19, tom. 12 Rer.
Ital. Johannes de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Ital. Corio, Istor. di
Milano, et alii.
[1060] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 189.
[1061] Gualvan. Flamma, cap. 362, tom. 11 Rer. Italic.
[1062] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 211.
[1063] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital. Georgius Stella, Annales
Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1064] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 186.
[1065] Raynaldus, Annal. Eccl.
[1066] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 194.
Anno di CRISTO MCCCXXIV. Indizione VII.
GIOVANNI XXII papa 9.
Imperio vacante.
Continuando la guerra della Chiesa contra de' Visconti, _Raimondo da
Cardona_ generale del papa, con _Arrigo di Fiandra_ e Simone dalla
Torre[1069], condusse lo esercito suo verso Vavrio, borgo da lui
posseduto, per isloggiare i nemici venuti per infestare il ponte
ch'egli avea sopra l'Adda. _Galeazzo_ e _Marco Visconti_ colà accorsero
anch'essi. Secondo il costume degli scrittori parziali al loro partito,
Bonincontro Morigia scrive che i Milanesi erano molto inferiori di
gente agli altri; il Villani dice il contrario. Certo è che nel dì 16
di febbraio si venne ad un fatto d'armi. Il Villani lo fa succeduto
nel dì ultimo di quel mese. Probabilmente fu nel penultimo d'esso mese
allora bissestile, scrivendo l'autore degli Annali Milanesi[1070]
_in die Carnisprivii_ (cioè del carnovale) _die Martis penultimo
februarii_. Avea dato ordine Galeazzo ad alcuni dei suoi più arditi
soldati che, all'udire attaccata la zuffa, entrassero in Vavrio, e
mettessero fuoco dappertutto. Diedesi fiato alle trombe, e un duro
ed ostinato combattimento si fece. Tra per la forza de' Milanesi, e
per la funesta scena del borgo che era tutto in fiamme, l'esercito
pontificio si mise in rotta. Moltissimi ne furono uccisi, fra' quali
Simone Torriano; più ancora se ne annegarono nel fiume, e alle mani de'
vincitori fra gli altri assaissimi prigioni vennero Raimondo da Cardona
ed Arrigo di Fiandra. Questo ultimo, secondo il Villani, si riscattò
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