Annali d'Italia, vol. 5 - 27
[927] Gualvanus Flamma, cap. 353.
[928] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giovanni
Villani, lib. 9, cap. 56.
Anno di CRISTO MCCCXV. Indizione XIII.
Sede romana vacante.
Imperio vacante.
Seguitò ancora in quest'anno la discordia fra i cardinali, di modo
che neppur fu dato un successore alla cattedra di san Pietro. In
Germania continuò la guerra fra _Lodovico il Bavaro_ e _Federigo
Austriaco_, re eletti. _Leopoldo_, fratello di Federigo, fece di
molte prodezze, ma restò più che mai imbrogliato e diviso il regno.
In Italia prosperamente camminarono gli affari dei Ghibellini. Avea
_Uguccione dalla Faggiuola_[930], signor di Pisa e Lucca, assediato
con gran vigore la forte terra di Montecatino, e tentata ancora, ma
indarno, la presa di Pistoia. Risoluto di voler la terra suddetta,
ne continuò ostinatamente l'assedio. Stavano per questo in gran
pena i Fiorentini. Già era venuto nell'anno precedente in loro aiuto
_Pietro_, fratello del _re Roberto_; ma il re, intendendo come cresceva
sempre più l'ardire e la forza d'Uguccione e de' Pisani, e degli
altri Ghibellini di Toscana, ad istanza di essi Fiorentini, benchè
contro il suo volere, vi mandò _Filippo principe_ di Taranto altro
suo fratello. Questi, conducendo seco cinquecento uomini d'armi e il
_principe Carlo_ suo figliuolo, arrivò a Firenze nel dì 11 di luglio
dell'anno presente. Aveano intanto i Fiorentini preparata una bella
armata coll'aiuto dei Bolognesi, Sanesi, Perugini e d'altri Guelfi
di Toscana e Romagna, il cui numero fu detto ascendere (se pur si può
credere) a circa sessanta mila persone; ed, unito che fu con loro il
rinforzo del suddetto principe di Taranto, uscirono in campagna per
isnidar Uguccione da Montecatino nel dì 6 d'agosto, e vennero in Val
di Nievole. Benchè di gran lunga inferior di forze, pure assai forte
era Uguccione, trovandosi con lui i Pisani, Lucchesi, e gran copia di
Ghibellini toscani, ed alcune schiere inviategli da _Matteo Visconte_.
Suppliva il suo senno a quel che gli mancava d'armati. Più dì stettero
a vista i due eserciti, e finalmente Uguccione, perchè gli veniva tolta
la vettovaglia mandata da Lucca, fu forzato a levare il campo; ma con
tal maestria lo levò, che, prevedendo battaglia coi nemici, si trovò in
statodi ben riceverla[931]. Vennero infatti le due armate alle mani nel
dì 29 di agosto, festa della Decollazione di san Giovanni Batista; il
combattimento fu duro e sanguinoso, e la vittoria infine si dichiarò in
favor d'Uguccione[932]: vittoria delle più memorabili di questi tempi,
per la quantità degli uccisi e per l'incredibil bottino. Vi restò morto
_Carlo_ figliuolo del principe _Filippo_ e _Pietro_ fratello del re
Roberto restò sommerso in una palude fuggendo, senza che il suo corpo
mai si trovasse. Molti altri baroni e contestabili vi lasciarono la
vita, oltre a più di due mila soldati uccisi ed altri assai annegati, e
più di due mille e cinquecento prigioni, fra' quali cento quattordici
delle migliori case di Firenze, e moltissimi delle altre città,
annoverati dall'autore della Cronica di Siena. Perdè anche Uguccione
in questa giornata Francesco suo figliuolo, ma senza punto scomporsi
all'avviso di sua morte. Se gli arrendè poi Montecatino, ed egli mise
per signore in Lucca Neri, altro suo figliuolo. Per sì grave disgrazia
non si avvilirono punto i Fiorentini; e tanto più fecero coraggio,
perchè il re Roberto, sempre più impegnandosi a sostenerli, inviò tosto
in loro aiuto il conte d'Andria e di Monte Scaglioso, appellato il
conte Novello, con dugento cavalieri. Maggiormente ancora risorse la
loro fortuna nell'anno seguente, per quel che diremo.
Non ebbero minor felicità in Lombardia l'armi di _Matteo Visconte_,
capo del ghibellinismo. Volle egli fondare, oppur rifabbricare, dove
la Scrivia mette capo nel Po, un castello, a cui diede il nome di
Ghibellino, per frenar le scorrerie dei Pavesi contra de' Tortonesi
suoi sudditi[933]. _Ugo del Balzo_, vicario del re Roberto in Piemonte,
coi Pavesi, Vercellesi, Alessandrini ed Astigiani, e coi Torriani, per
terra e per acqua nel dì 4 di luglio andò a frastornar quel lavoro; ma
dalle milizie del Visconte fu rotto. Vi fu ucciso Zonfredo dalla Torre,
fratello di _Pagano vescovo_ di Padova. Edoardo dalla Torre con ottanta
altri nobili di parte guelfa rimase prigione. Guglielmo Ventura[934]
scrive che fra i prigionieri si contarono il genero e il nipote di
Ugo del Balzo, e più di mille Alessandrini e Valentini. Inoltre
nel dì 6 venendo il dì 7 di ottobre, Stefano figliuolo di Matteo
Visconte furtivamente circa l'aurora entrò in Pavia, e s'impadronì
di quella città. Accorse Ricciardino ossia Riccardino, figliuolo
dell'imprigionato Filippone conte di Langusco, per opporsi; ma nella
mischia restò ucciso. Con che Matteo restò padrone di sì importante
città, con liberar tutti i prigioni, fra' quali Manfredi da Beccaria,
e rimettere in città tutti i fuorusciti. Furono in tal congiuntura
presi Amorato e Guidotto figliuoli del fu Guido dalla Torre, e commesse
di gravi ruberie ed iniquità, ma colla morte di pochi. Così Pavia,
con esserne scacciati i Guelfi, tornò ad essere ghibellina; e Matteo
Visconte vi fece fabbricare una fortezza per maggiormente assicurarsi
di quel popolo. Era in que' tempi il Visconte signor di Milano, Pavia,
Piacenza, Como e Bergamo. Provveduto di molti bellicosi figliuoli,
al governo di cadauna teneva egli un di essi: il che gliene assodava
l'acquisto. Non passò l'anno che anche il popolo di Alessandria[935],
per opera di Tommaso del Pozzo, si ribellò al re Roberto, e si diede
al medesimo Visconte. Ciò fu nel mese di dicembre. Anche Tortona era
stata molto prima presa con armata mano da Marco Visconte figliuolo
d'esso Matteo. Bonincontro Morigia racconta[936], essere avvenuto
quell'acquisto nel dì primo di dicembre, giorno di domenica: il
che indica l'anno precedente. Fecero in quest'anno guerra viva a
Cremona _Cane dalla Scala_ signor di Verona e Vicenza, e _Passerino
de' Bonacossi_ signore di Mantova e Modena[937]. Dopo la presa di
alcune castella guidarono lo esercito sino alle porte di quella
città, aspettando che si facesse qualche commozione nell'atterrito
popolo. _Giberto da Correggio_, accorso colà da Parma, tanto animo
diede ai Cremonesi, che i nemici, vedendo di perdere quivi il tempo,
si ritirarono. Ma Cane in tal occasione (se pur non fu nell'anno
seguente) occupò la ricca e popolata terra di Casal Maggiore, e vi
lasciò una buona guarnigione. Da queste avversità commossi i Cremonesi
si appigliarono al partito di proclamar loro signore _Jacopo marchese
Cavalcabò_, ma con dispiacere della contraria fazione, di cui era capo
Ponzino de' Ponzoni. Però tutti questi adirati uscirono della città,
e si afforzarono in Soncino, Pizzighettone, e in altre castella di
quel territorio. Tolta fu in quest'anno a Matteo Visconte da Maranzio
Guinzone, e poi da Soncino Benzone, Crema. Lodrisio Visconte podestà
di Bergamo diede una gran rotta al ponte di San Pietro ai Guelfi
fuorusciti, colla morte di più di mille d'essi. Furono anche delle
novità in Forlì[938]; perciocchè i Calboli con Cecco e Sinibaldo degli
Ordelaffi vi rientrarono per forza, e ne scacciarono gli Argogliosi,
e le genti del re Roberto, nel dì 2, oppure 12 di settembre. Questo
medesimo fatto vien descritto da Ferreto Vicentino[939], con dire che
il suddetto _Cecco_, cioè _Francesco degli Ordelaffi_, chiuso in una
botte, si fece introdurre in Forlì, e quivi, segretamente incitati
gli amici alla sollevazione contra del re Roberto, s'impadronì della
città, dalla qual poscia cacciati i Calboli, restò egli signore. Ne
parla ancora Albertino Mussato[940]. Così quella città abbracciò la
fazion ghibellina, e seppe sostenersi dipoi contro gli sforzi di Diego
vicario del _re Roberto_. Stando nella terra di Buzzala gli Spinoli
ed altri fuorusciti di Genova, faceano guerra alla lor patria[941]. In
Genova si preparò un possente esercito di mille e cinquecento cavalli
e di circa dieci mila pedoni sotto il comando di _Manfredino marchese_
del Carretto, e si marciò contra degli usciti. Furono ben tre volte
respinti i Genovesi, colla morte di più di cinquecento d'essi; infine
soperchiando col numero gli avversarii, li misero in fuga; presero,
saccheggiarono e distrussero dai fondamenti Buzzala. Ma nel dì seguente
eccoli i fuorusciti di nuovo comparire con ducento cavalieri tedeschi,
venuti al loro soldo, con tal empito, che n'andò sconfitta l'armata
genovese, restandovi uccisi più di mille d'essi, e prigioni fra gli
altri il lor capitano e Lamba Doria con due suoi figliuoli[942], i
quali collo sborso di diecisette mila fiorini d'oro ricuperarono dipoi
la libertà.
NOTE:
[929] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital. Albertinus Mussat., de Gest.
Ital., lib. 5, rubr. 5.
[930] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 70. Storie Pistolesi. Cortus,
Hist. Albertinus Mussat., et alii.
[931] Johan. de Bazano, Chron. Mutinens., tom. 15 Rer. Ital.
[932] Chron. Senense, tom. 15 Rer. Ital.
[933] Gualvan. Flamma., cap. 354. Bonincontr Morigia, cap. 19, tom. 12
Rer. Italic. Albertinus Mussatus, lib. 7, rubr. 10, tom. 8 Rer. Ital.
[934] Ventura, Chron. Astense, cap. 79, tom. 11 Rer. Ital. Bonincontr.
Morigia. Albertinus Mussatus, et alii.
[935] Chron. Astense, cap. 81, tom. 11 Rer. Ital.
[936] Bonincontrus Morigia, Chron., cap. 19, tom. 12 Rer. Ital.
[937] Albertinus Mussatus, lib. 7, rub. 19, tom. 8 Rer. Ital.
[938] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[939] Ferretus Vicentinus, lib. 7, tom. 9 Rer. Italic.
[940] Albertinus Mussatus, lib. 7, rubr. 12.
[941] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCXVI. Indiz. XIV.
GIOVANNI XXII papa 1.
Imperio vacante.
Essendosi finalmente accordati i cardinali di trattar dell'elezione
di un nuovo pontefice nella città di Lione, quivi nel dì 28 di giugno
entrarono nel conclave[943], e poscia nel dì 7 d'agosto promossero
al pontificato _Jacopo d'Ossa_ da Cahors, già vescovo di Freius,
poi d'Avignone, e infine cardinale vescovo di Porto, personaggio di
bassissimi natali, di piccola statura, ma scaltro e di gran sapere,
massimamente ne' canoni e nelle leggi. Molte notizie di sua vita
prima del pontificato si hanno da Ferreto Vicentino[944] e da Giovanni
Villani[945]. Prese il nome di _Giovanni XXII_. Da lì a un mese, cioè
nel dì quinto di settembre fu coronato in essa città di Lione, e nel
seguente mese andò a mettere la sua residenza in Avignone, città del
suddetto re Roberto, dove, nelle quattro tempora dell'Avvento, fece la
promozion di otto cardinali tutti franzesi, eccettochè _Giovan-Gaetano
degli Orsini_ di Roma, unico italiano, con grave mormorazione, per
quanto si può credere, di chi amava l'Italia, e piagneva i mali
originati dalla lontananza della santa Sede. Insuperbito _Uguccion
dalla Faggiuola_ per li prosperosi successi delle sue armi[946],
governava Pisa e Lucca più da tiranno che da signore. Per aver fatto
tagliar la testa a Banduccio Buonconti e a suo figliuolo, uomini di
gran credito e senno in Pisa, perchè trattavano di sottomettere la
città al re Roberto, crebbe l'odio de' Pisani contra di lui. Parimente
in Lucca fece imprigionar _Castruccio_ ed altri degl'Interminelli,
per certe ruberie ed omicidii fatti in Lunigiana, che processati
doveano perdere la testa. Ma perciocchè Neri suo figliuolo dominante
in Lucca non si attentava di eseguir la condanna pel seguito grande
della famiglia d'essi Interminelli, Uguccione si mosse da Pisa nel
dì 5 d'aprile per dar sesto agli affari de' Lucchesi. Appena fu al
monte di San Giuliano, che Coscetto da Colle, popolano arditissimo,
mosse a rumore la città di Pisa, gridando tutti: _Muoia il tiranno
Uguccione_. Uccisero la di lui famiglia, diedero il sacco al di lui
palagio, e poi crearono lor signore il _conte Gaddo dei Gherardeschi_,
uomo savio, e di gran valore e podere. Con questa mala nuova in corpo
arrivò Uguccione a Lucca, oppure gli fu portata in quella città; e
quivi ancora avendo trovato tutto in tumulto, accresciuto poi dalla
voce di quanto era avvenuto in Pisa, determinò di mettere in salvo la
vita, ritirandosi di colà col figliuolo e colle sue genti: rovescio
esemplare dell'instabil fortuna delle umane grandezze. _Castruccio_
liberato dalla carcere e dal pericolo della testa (alcuni dicono per
ordine dello stesso Uguccione prima di sua partenza), da lì a qualche
tempo fu proclamato per un anno signore di Lucca: tempo bastante a
chi era provveduto di mirabil ardire ed accortezza, per non dimettere
più le redini di quel governo. Uguccione se n'andò al _marchese
Spinetta_ Malaspina, poscia venne a Modena[947] nel dì 25 d'aprile, e
finalmente si ricoverò presso _Cane dalla Scala_, che, a riguardo del
ghibellinismo e del credito suo nell'arte della guerra, il fece suo
capitan generale. Furono biasimati i Pisani da molti, come ingrati ad
un uomo che dal basso stato, in cui si trovavano, gli avea alzati tanto
alto, e dietro era a farli più grandi.
L'ordinario mestier delle città italiane di questi tempi, divise nelle
maladette sette de' Ghibellini e Guelfi, era di andar macchinando, come
l'una fazione potesse abbattere l'altra. In Brescia[948] la signoria
stava in mano de' Ghibellini, capo d'essi la famiglia de' Maggi. I
Guelfi rimessi in quella città rodevano il freno, veggendosi da meno,
e fors'anche poco ben trattati dagli altri. Fecero essi un segreto
trattato con _Jacopo Cavalcabò_ _marchese_, signor di Cremona, città
guelfa; e questi con alcune migliaia d'armati nell'ultimo dì di gennaio
comparve colà, e fu ammesso per la porta di San Giovanni: nel qual
tempo anche altre schiere di Guelfi arrivarono dalla riviera del lago
di Garda e da altri luoghi. Il podestà di Brescia marchigiano, postovi
dai Maggi, quei fu che li tradì per quattro mila fiorini, ed aprì la
porta ai nemici. Gran combattimento seguì fra essi e i Ghibellini; e
questi ultimi infine sconfitti sloggiarono, riducendosi alle castella
di Iseo, Palazzuolo, Chiari, Pompiano, gli Orci, Quinzano ed altri
luoghi, ne' quali si fecero forti, cominciando appresso una dura guerra
contro alla lor città, sostenuti ancora da Cane dalla Scala. Ma poco
durarono le contentezze del suddetto marchese Cavalcabò. I Ponzoni, gli
Amati ed altri fuorusciti di Cremona colle lor forze il tenevano corto.
_Giberto da Correggio_ signor di Parma, gran caporale de' Guelfi,
andò a Cremona per trattar l'accordo fra loro. Ponzino dei Ponzoni non
volea pace, se il Cavalcabò non rinunziava la signoria. Andò a finir la
faccenda che quella volpe di Giberto l'indusse a rinunziare, e poi fece
proclamar sè stesso signor di Cremona. A questo avviso gliela giurarono
_Matteo Visconte, Can dalla Scala_ e _Passerino_ signor di Mantova capi
de' Ghibellini. Segretamente pertanto ordirono un trattato in Parma con
Gianquillico di San Vitale genero di Giberto stesso, con Rolando Rosso
suo cognato, e con altri nobili, ne' quali egli maggiormente confidava.
Questi nella festa di san Jacopo Apostolo, nel dì 25 di luglio,
mossero a rumore la città, gridando tutti: _Popolo, popolo_. Accortosi
Giberto che troppo grossa era la tempesta, si ritirò a Castelnuovo,
Campigine e Guardasone, dove si fortificò ed implorò l'aiuto de'
Bolognesi, Padovani e Fiorentini. Andò poscia fino a Napoli a trovare
il re Roberto, ed ottenne ottocento cavalieri da lui e dalla lega
guelfa, co' quali, venuto a Castelnuovo, fece aspra guerra a Parma.
Anche i Parmigiani entrarono in lega col Visconte, collo Scaligero e
con Passerino di Mantova. Nel mese d'agosto dell'anno presente[949],
Ugo del Balzo e Ricciardo Gambatesa, vicarii in Piemonte del re
Roberto, entrati nel territorio di Alessandria, vi presero le castella
d'Iviglie, Solerio, Quargnento, Bosco e Castellaccio. Allora Matteo
Visconte inviò ad Alessandria più di mille uomini d'armi, coi quali e
colle sue genti Marco suo figliuolo non solamente ripigliò quei luoghi
e diedegli alle fiamme, ma fece anche molti prigioni de' nemici. Guerra
ancora in quest'anno fu nel territorio di Cremona, portatavi da Cane e
da Passerino. Giberto da Correggio, non trovandosi quivi sicuro, con
Jacopo Cavalcabò si ritirò a Parma, da dove poi fu cacciato, siccome
abbiam detto. Fecero allora i Cremonesi lor capitano Egidio Piperata.
In soccorso d'essa città di Cremona volle passare pel Modenese un
corpo di fanti e cavalli, raunato in Bologna[950]; ma Francesco
Menabò podestà per Passerino nel dì 17 di febbraio coi Modenesi ito ad
assalirli nella villa di San Michele, molti ne uccise, e più ne fece
prigioni. La città di Cervia[951] nel dì 6 d'aprile dell'anno presente
si diede sotto il dominio di _Ostasio da Polenta_ signor di Ravenna. E
_Guecelo da Camino_ nel mese di giugno occupò la città di Feltre nella
marca di Trivigi, con iscacciarne il vescovo, che n'era padrone[952].
Poscia s'imparentò con Cane dalla Scala, ottenendo in moglie d'un suo
figliuolo _Verde_ figliuola di _Alboino Scaligero_.
NOTE:
[942] Chron. Astense, cap. 90, tom. 11 Rer. Ital.
[943] Raynaldus, in Annal. Eccles. Bernardus Guid., Append. Ptolom.
Lucensis.
[944] Ferretus Vicentinus, lib. 7, tom. 9 Rer. Ital.
[945] Giovanni Villani.
[946] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 76. Istor. Pistol. Ferretus
Vicentinus, et alii.
[947] Johann. de Bazano, Chron. Mutin., tom. 15 Rer. Italic.
[948] Malvec., Chron. Brixian., lib. 9, cap. 29, tom. 14 Rer. Ital.
Annales Estens., tom. 15 Rer. Ital.
[949] Chron. Astense, cap. 83, tom. 11 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCXVII. Indizione XV.
GIOVANNI XXII papa 2.
Imperio vacante.
Attese in quest'anno _papa Giovanni_ _XXII_ a fondar nuovi vescovati
in Francia[953], trinciando specialmente la vasta diocesi di Tolosa, la
cui chiesa eresse in arcivescovato. Essendo oramai terminata la tregua
già fatta fra _Roberto re_ di Napoli e _Federigo re_ di Sicilia[954],
Roberto, più che d'altra cosa voglioso di ricuperar la Sicilia, spedì
colà _Tommaso da Marzano_ conte di Squillaci con una gran flotta e con
un potente esercito. Sbarcò egli in Sicilia nel mese d'agosto; niun
conquisto vi fece, ma diede un tal guasto al paese fin sotto alle porte
di Messina, senza che Federigo ardisse mai d'affrontarsi con lui, che
comune opinione fu che, s'egli ritornava l'anno seguente al medesimo
funesto giuoco, la Sicilia non potea reggere a questo flagello.
Susseguentemente mandò papa Giovanni i suoi nunzii a Federigo, con
esibirsi mediatore di pace, ordinando che intanto egli depositasse
in mano degli uffiziali pontificii la città di Reggio cogli altri
luoghi occupati in Calabria. Federigo condiscese ai voleri del papa
col deposito delle terre di Calabria; ma si trovò poi ingannato,
perchè il papa le consegnò al re Roberto, che le ritenne per sè.
Stabilì intanto fra loro esso pontefice una tregua di tre anni, non
già per far servigio a Federigo, ma perchè gl'imbrogli di Genova, de'
quali parleremo, occuparono di troppo il re Roberto. Inviò Federigo
ad Avignone i suoi ambasciatori per la progettata pace; ma Roberto
se ne rise, nè alcuno v'inviò, contento d'avere con tanta facilità
ricuperati que' luoghi, e di mantener tuttavia le sue speranze di
riavere anche un dì la Sicilia tutta. Nella torbida sempre città di
Genova crebbe in quest'anno sì fieramente la diffidenza e discordia
fra i cittadini[955], che si diede principio ad una memorabil guerra,
in cui prese impegno buona parte dell'Italia, e che fu seminario
d'infiniti mali. Nel dì 15 di settembre v'entrarono senz'armi gli
Spinoli fuorusciti col consenso de' Fieschi e Grimaldi, cercando pace.
Non si fidando gli uni degli altri, uscirono di città i Doria. Tennero
poi loro dietro gli Spinoli, e queste due forti famiglie, dianzi
nemiche, divenute amiche, s'impadronirono (non so se nel presente o nel
susseguente anno) di Savona e d'Albenga, con ribellarsi al comune di
Genova, e far lega con _Matteo Visconte_ e cogli altri Ghibellini di
Lombardia. Rimasero i Guelfi padroni di Genova, e per questa divisione
nell'anno seguente cominciò una fiera e sanguinosa tragedia, che fu
delle più strepitose di questi tempi. Giovanni Villani[956] racconta
essere tutto ciò proceduto da segreto monopolio del re Roberto,
che voleva esclusi i Ghibellini da quella città; perché, ridotta
essa a parte guelfa, sperava egli d'acquistarne il dominio, siccome
infatti gli riuscì. A questo fine volle ancora che fra i Pisani ed
altri Ghibellini di Toscana dall'una parte, i Fiorentini, Lucchesi,
Sanesi ed altri Guelfi di Toscana dall'altra, seguisse pace: il che
a' Fiorentini, pieni tuttavia d'odio e di rabbia per la sconfitta di
Montecatino, rincrebbe forte. Ma perciocchè si mostravano renitenti
i Pisani ad accordare a' Fiorentini l'esenzion delle loro gabelle, la
sottile accortezza d'essi Fiorentini trovò un'invenzione per guadagnare
il punto. Finsero di raddoppiare i pubblici aggravii per avere ogni
anno d'entrata cinquecento mila fiorini d'oro, e ne sparsero la voce.
Poscia spedirono corriere in Francia con lettere finte a quel re e al
papa, acciocchè mandasse loro uno dei principi della casa con mille
uomini d'armi e con lettere di cambio per sessanta mila fiorini.
Per via di Pisa fu inviato il corriere; seco era una spia fidata,
che, quando egli fu in Pisa, andò a rivelarlo al conte Gaddo ed agli
anziani, i quali gli fecero mettere le mani addosso. Trovate e lette
quelle lettere, ne restarono ammirati, e conoscendo che per loro non
facea di mantener la guerra, si arrenderono alle proposizioni di pace,
ritenendo quanto aveano preso.
Tentò in quest'anno nel mese d'agosto Uguccion dalla Faggiuola,
coll'aiuto di _Cane dalla Scala_, di rientrare in Lucca, dove avea
dei trattati. Venne in Lunigiana al _marchese Spinetta_ Malaspina per
questo. Ma, scoperti i suoi andamenti, fu rumor popolare in Pisa; la
famiglia dei Lanfranchi n'ebbe gran danno, ed Uguccione, fallito il
colpo, se ne tornò a Verona. Allora _Castruccio_ signor di Lucca,
nemico anch'egli d'Uguccione, fece lega coi Pisani, e poi guerra
al marchese Spinetta, togliendogli Fosdinuovo ed altre castella:
perlochè Spinetta si ritirò anch'esso colla sua famiglia a Verona. In
Parma[957] nel mese di settembre Manno dalla Branca di Gubbio, podestà
di quella città, uomo dabbene, trattò di pace fra que' cittadini e
Giberto da Correggio fuoruscito, che infestava molto la patria. Ne
seguì la concordia. Giberto riebbe i suoi beni, e fu rimesso in città,
con promessa di menar vita privata. Parimente nel mese d'aprile i
fuorusciti guelfi di Piacenza[958] consegnarono le lor castella a
_Galeazzo Visconte_ signore di quella città, e riebbero i lor beni col
ritorno alla patria, il solo _Alberto Scotto_ fu mandalo ai confini
a Crema, dove nel dì 23 di gennaio dell'anno seguente diede fine ai
suoi giorni, lasciando dopo di sè la brutta memoria di molte frodi
e di gravi danni recati alla patria sua. Questo medesimo spirito di
concordia si stese a Modena[959], dove nel dì 5 d'agosto, per cura di
Federigo dalla Scala podestà, furono reintegrati nel possesso dei lor
beni Francesco dalla Mirandola, i Pii, i Gorzani e gli altri usciti, e
tutti vennero alla patria, ricevuti con amore dagli altri cittadini nel
dì 2 d'agosto. Fece oste in quest'anno nel mese di maggio Cane dalla
Scala contra de' Bresciani in favore de' fuorusciti ghibellini; prese
Castiglione e Montechiaro, e recò loro degli altri danni[960]. Mentre
egli si tratteneva in quelle parti, assediando Lunato, i Padovani[961],
giacchè se la videro bella, fingendo che questa fosse risoluzion di
particolari, e non del comune, corsero a valersi del tempo propizio per
ricuperare la perduta città di Vicenza. Aveano essi menato un trattato
con certi Vicentini, e ricevutine anche gli ostaggi per questo. Ma il
trattato era doppio, e di tutto veniva di mano in mano informato lo
Scaligero. Ferreto Vicentino[962] pretende che Cane ne avesse l'avviso
dai Carraresi stessi Padovani. Ora nella notte del dì 22 vegnente del
mese suddetto i Padovani colle genti comandate da Vinciguerra conte
di San Bonifazio giunsero sotto Vicenza, e, trovate le porte chiuse,
si applicarono a dare la scalata a quella città, e molti ancora
v'entrarono. Avvisato dai traditori, oppur dai Carraresi, Cane, eccolo
comparire con Uguccione, e con que' pochi che per la sua gran fretta
poterono seguitarlo. Fece egli tosto aprire una porta, e i Padovani,
credendola aperta per introdurli, si videro all'improvviso piombare
addosso l'adirato Cane. Parvero pecore all'arrivo del lupo. Tutti
allora a gambe; molti d'essi furono uccisi, molti presi, fra i quali
lo stesso conte di San Bonifazio capitano, che morì fra pochi giorni
per le ferite ricevute; e restò in preda de' Vicentini tutto il loro
equipaggio. Qui però non finì la disavventura de' Padovani. Trovò Cane
un tavernaio della fortissima terra di Monselice, per nome o soprannome
Maometto[963], che promise di dargli adito in quella importante
fortezza. Disposte le cose nella vigilia della festa di San Tommaso
Apostolo, Cane, senza badare alla stagione orrida pel freddo, ito colà
con Uguccione e con grosse brigate, s'impadronì della terra, e da lì
a cinque giorni della rocca di Monselice. Incredibil fu il terrore de'
Padovani per questa perdita; già s'aspettavano Cane alle porte, ed egli
intanto colla forza prese la nobil terra d'Este, che poi barbaramente
diede alle fiamme, e quindi obbligò alla resa la ricca e riguardevol
terra di Montagnana. Animato da così felici successi lo Scaligero[964],
dopo aver preso al suo soldo da _Arrigo conte_ del Tirolo cento lance,
passò dipoi nel Pievato di Sacco, territorio allora il più abbondante
e pingue nel Padovano, dove indicibil fu la preda di tutti i beni.
Andò anche ai borghi di Padova, e distrusse quello di Santo Stefano.
Non vi volle di più perchè i Padovani nell'anno seguente chiedessero
pace; e, adoperati per mediatori i Veneziani, la ottennero da Cane, col
cedergli i lor diritti sopra le occupate terre, e dargli ancora quella
di Castelbaldo in pegno. I Carraresi, secondo Ferreto, segretamente se
l'intendeano con esso Cane.
Fin qui i Ferraresi aveano provato il duro giogo de' Guasconi, ossia
de' Catalani, cioè della guarnigione posta in quella città dal re
Roberto[965]. Le avanie ed insolenze di costoro erano il pane d'ogni
giorno di quell'angustiato popolo, di modo che ho io sempre sospettato
che la _giustizia catalana_, passata in proverbio per questi paesi,
avesse origine dai lor perversi portamenti[966]. Giunti oramai all'orlo
della disperazione que' cittadini, chiariti della differenza che passa
fra l'essere governati dal principe proprio, e il vivere all'ubbidienza
di gente straniera, ordinariamente venuta solo per succiare il
sangue de' popoli; e vogliosi di ritornare sotto l'amorevol dominio
de' principi estensi, nel dì 4 d'agosto del presente anno mossero
a rumore la terra, e colle armi incominciarono aspra battaglia con
essi Guasconi. Ritiraronsi costoro in Castel Tealdo, e tutte l'altre
fortezze della città vennero alle mani dei Ferraresi, i quali spedirono
tosto a _Rinaldo_ ed _Obizzo marchesi d'Este_, figliuoli del _marchese
Aldrovandino_, acciocchè venissero. Vennero questi senza perdere tempo;
e quel popolo, confortato dalla loro presenza e valore, tosto si diede
ad espugnare Castel Tealdo per terra e pel Po con delle barbotte e con
un lupo, cioè con un castello posto sopra due navi. Studiaronsi nello
stesso tempo i marchesi estensi coi Pepoli ed altri amici di Bologna di
far differire la venuta dell'esercito bolognese in aiuto dei Guasconi;
e camminò così felicemente il concerto e l'indefessa espugnazion del
castello, che prima dell'arrivo de' Bolognesi l'ebbero in mano colla
morte di tutto quel presidio, con poscia darlo alle fiamme e diruparlo.
Liberati in questa guisa i Ferraresi dal giogo straniero, con immenso
giubilo diedero, ossia restituirono, la signoria della città ai
marchesi d'Este suddetti nel dì 15 d'agosto. In quest'anno ancora nel
mese di settembre _Cane dalla Scala, Passerino_ signor di Mantova e
di Modena, e _Luchino_ figliuolo di _Marco Visconte_[967] fecero oste
di nuovo contra di Cremona. S'era quella città poco dianzi più che mai
[928] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giovanni
Villani, lib. 9, cap. 56.
Anno di CRISTO MCCCXV. Indizione XIII.
Sede romana vacante.
Imperio vacante.
Seguitò ancora in quest'anno la discordia fra i cardinali, di modo
che neppur fu dato un successore alla cattedra di san Pietro. In
Germania continuò la guerra fra _Lodovico il Bavaro_ e _Federigo
Austriaco_, re eletti. _Leopoldo_, fratello di Federigo, fece di
molte prodezze, ma restò più che mai imbrogliato e diviso il regno.
In Italia prosperamente camminarono gli affari dei Ghibellini. Avea
_Uguccione dalla Faggiuola_[930], signor di Pisa e Lucca, assediato
con gran vigore la forte terra di Montecatino, e tentata ancora, ma
indarno, la presa di Pistoia. Risoluto di voler la terra suddetta,
ne continuò ostinatamente l'assedio. Stavano per questo in gran
pena i Fiorentini. Già era venuto nell'anno precedente in loro aiuto
_Pietro_, fratello del _re Roberto_; ma il re, intendendo come cresceva
sempre più l'ardire e la forza d'Uguccione e de' Pisani, e degli
altri Ghibellini di Toscana, ad istanza di essi Fiorentini, benchè
contro il suo volere, vi mandò _Filippo principe_ di Taranto altro
suo fratello. Questi, conducendo seco cinquecento uomini d'armi e il
_principe Carlo_ suo figliuolo, arrivò a Firenze nel dì 11 di luglio
dell'anno presente. Aveano intanto i Fiorentini preparata una bella
armata coll'aiuto dei Bolognesi, Sanesi, Perugini e d'altri Guelfi
di Toscana e Romagna, il cui numero fu detto ascendere (se pur si può
credere) a circa sessanta mila persone; ed, unito che fu con loro il
rinforzo del suddetto principe di Taranto, uscirono in campagna per
isnidar Uguccione da Montecatino nel dì 6 d'agosto, e vennero in Val
di Nievole. Benchè di gran lunga inferior di forze, pure assai forte
era Uguccione, trovandosi con lui i Pisani, Lucchesi, e gran copia di
Ghibellini toscani, ed alcune schiere inviategli da _Matteo Visconte_.
Suppliva il suo senno a quel che gli mancava d'armati. Più dì stettero
a vista i due eserciti, e finalmente Uguccione, perchè gli veniva tolta
la vettovaglia mandata da Lucca, fu forzato a levare il campo; ma con
tal maestria lo levò, che, prevedendo battaglia coi nemici, si trovò in
statodi ben riceverla[931]. Vennero infatti le due armate alle mani nel
dì 29 di agosto, festa della Decollazione di san Giovanni Batista; il
combattimento fu duro e sanguinoso, e la vittoria infine si dichiarò in
favor d'Uguccione[932]: vittoria delle più memorabili di questi tempi,
per la quantità degli uccisi e per l'incredibil bottino. Vi restò morto
_Carlo_ figliuolo del principe _Filippo_ e _Pietro_ fratello del re
Roberto restò sommerso in una palude fuggendo, senza che il suo corpo
mai si trovasse. Molti altri baroni e contestabili vi lasciarono la
vita, oltre a più di due mila soldati uccisi ed altri assai annegati, e
più di due mille e cinquecento prigioni, fra' quali cento quattordici
delle migliori case di Firenze, e moltissimi delle altre città,
annoverati dall'autore della Cronica di Siena. Perdè anche Uguccione
in questa giornata Francesco suo figliuolo, ma senza punto scomporsi
all'avviso di sua morte. Se gli arrendè poi Montecatino, ed egli mise
per signore in Lucca Neri, altro suo figliuolo. Per sì grave disgrazia
non si avvilirono punto i Fiorentini; e tanto più fecero coraggio,
perchè il re Roberto, sempre più impegnandosi a sostenerli, inviò tosto
in loro aiuto il conte d'Andria e di Monte Scaglioso, appellato il
conte Novello, con dugento cavalieri. Maggiormente ancora risorse la
loro fortuna nell'anno seguente, per quel che diremo.
Non ebbero minor felicità in Lombardia l'armi di _Matteo Visconte_,
capo del ghibellinismo. Volle egli fondare, oppur rifabbricare, dove
la Scrivia mette capo nel Po, un castello, a cui diede il nome di
Ghibellino, per frenar le scorrerie dei Pavesi contra de' Tortonesi
suoi sudditi[933]. _Ugo del Balzo_, vicario del re Roberto in Piemonte,
coi Pavesi, Vercellesi, Alessandrini ed Astigiani, e coi Torriani, per
terra e per acqua nel dì 4 di luglio andò a frastornar quel lavoro; ma
dalle milizie del Visconte fu rotto. Vi fu ucciso Zonfredo dalla Torre,
fratello di _Pagano vescovo_ di Padova. Edoardo dalla Torre con ottanta
altri nobili di parte guelfa rimase prigione. Guglielmo Ventura[934]
scrive che fra i prigionieri si contarono il genero e il nipote di
Ugo del Balzo, e più di mille Alessandrini e Valentini. Inoltre
nel dì 6 venendo il dì 7 di ottobre, Stefano figliuolo di Matteo
Visconte furtivamente circa l'aurora entrò in Pavia, e s'impadronì
di quella città. Accorse Ricciardino ossia Riccardino, figliuolo
dell'imprigionato Filippone conte di Langusco, per opporsi; ma nella
mischia restò ucciso. Con che Matteo restò padrone di sì importante
città, con liberar tutti i prigioni, fra' quali Manfredi da Beccaria,
e rimettere in città tutti i fuorusciti. Furono in tal congiuntura
presi Amorato e Guidotto figliuoli del fu Guido dalla Torre, e commesse
di gravi ruberie ed iniquità, ma colla morte di pochi. Così Pavia,
con esserne scacciati i Guelfi, tornò ad essere ghibellina; e Matteo
Visconte vi fece fabbricare una fortezza per maggiormente assicurarsi
di quel popolo. Era in que' tempi il Visconte signor di Milano, Pavia,
Piacenza, Como e Bergamo. Provveduto di molti bellicosi figliuoli,
al governo di cadauna teneva egli un di essi: il che gliene assodava
l'acquisto. Non passò l'anno che anche il popolo di Alessandria[935],
per opera di Tommaso del Pozzo, si ribellò al re Roberto, e si diede
al medesimo Visconte. Ciò fu nel mese di dicembre. Anche Tortona era
stata molto prima presa con armata mano da Marco Visconte figliuolo
d'esso Matteo. Bonincontro Morigia racconta[936], essere avvenuto
quell'acquisto nel dì primo di dicembre, giorno di domenica: il
che indica l'anno precedente. Fecero in quest'anno guerra viva a
Cremona _Cane dalla Scala_ signor di Verona e Vicenza, e _Passerino
de' Bonacossi_ signore di Mantova e Modena[937]. Dopo la presa di
alcune castella guidarono lo esercito sino alle porte di quella
città, aspettando che si facesse qualche commozione nell'atterrito
popolo. _Giberto da Correggio_, accorso colà da Parma, tanto animo
diede ai Cremonesi, che i nemici, vedendo di perdere quivi il tempo,
si ritirarono. Ma Cane in tal occasione (se pur non fu nell'anno
seguente) occupò la ricca e popolata terra di Casal Maggiore, e vi
lasciò una buona guarnigione. Da queste avversità commossi i Cremonesi
si appigliarono al partito di proclamar loro signore _Jacopo marchese
Cavalcabò_, ma con dispiacere della contraria fazione, di cui era capo
Ponzino de' Ponzoni. Però tutti questi adirati uscirono della città,
e si afforzarono in Soncino, Pizzighettone, e in altre castella di
quel territorio. Tolta fu in quest'anno a Matteo Visconte da Maranzio
Guinzone, e poi da Soncino Benzone, Crema. Lodrisio Visconte podestà
di Bergamo diede una gran rotta al ponte di San Pietro ai Guelfi
fuorusciti, colla morte di più di mille d'essi. Furono anche delle
novità in Forlì[938]; perciocchè i Calboli con Cecco e Sinibaldo degli
Ordelaffi vi rientrarono per forza, e ne scacciarono gli Argogliosi,
e le genti del re Roberto, nel dì 2, oppure 12 di settembre. Questo
medesimo fatto vien descritto da Ferreto Vicentino[939], con dire che
il suddetto _Cecco_, cioè _Francesco degli Ordelaffi_, chiuso in una
botte, si fece introdurre in Forlì, e quivi, segretamente incitati
gli amici alla sollevazione contra del re Roberto, s'impadronì della
città, dalla qual poscia cacciati i Calboli, restò egli signore. Ne
parla ancora Albertino Mussato[940]. Così quella città abbracciò la
fazion ghibellina, e seppe sostenersi dipoi contro gli sforzi di Diego
vicario del _re Roberto_. Stando nella terra di Buzzala gli Spinoli
ed altri fuorusciti di Genova, faceano guerra alla lor patria[941]. In
Genova si preparò un possente esercito di mille e cinquecento cavalli
e di circa dieci mila pedoni sotto il comando di _Manfredino marchese_
del Carretto, e si marciò contra degli usciti. Furono ben tre volte
respinti i Genovesi, colla morte di più di cinquecento d'essi; infine
soperchiando col numero gli avversarii, li misero in fuga; presero,
saccheggiarono e distrussero dai fondamenti Buzzala. Ma nel dì seguente
eccoli i fuorusciti di nuovo comparire con ducento cavalieri tedeschi,
venuti al loro soldo, con tal empito, che n'andò sconfitta l'armata
genovese, restandovi uccisi più di mille d'essi, e prigioni fra gli
altri il lor capitano e Lamba Doria con due suoi figliuoli[942], i
quali collo sborso di diecisette mila fiorini d'oro ricuperarono dipoi
la libertà.
NOTE:
[929] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital. Albertinus Mussat., de Gest.
Ital., lib. 5, rubr. 5.
[930] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 70. Storie Pistolesi. Cortus,
Hist. Albertinus Mussat., et alii.
[931] Johan. de Bazano, Chron. Mutinens., tom. 15 Rer. Ital.
[932] Chron. Senense, tom. 15 Rer. Ital.
[933] Gualvan. Flamma., cap. 354. Bonincontr Morigia, cap. 19, tom. 12
Rer. Italic. Albertinus Mussatus, lib. 7, rubr. 10, tom. 8 Rer. Ital.
[934] Ventura, Chron. Astense, cap. 79, tom. 11 Rer. Ital. Bonincontr.
Morigia. Albertinus Mussatus, et alii.
[935] Chron. Astense, cap. 81, tom. 11 Rer. Ital.
[936] Bonincontrus Morigia, Chron., cap. 19, tom. 12 Rer. Ital.
[937] Albertinus Mussatus, lib. 7, rub. 19, tom. 8 Rer. Ital.
[938] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[939] Ferretus Vicentinus, lib. 7, tom. 9 Rer. Italic.
[940] Albertinus Mussatus, lib. 7, rubr. 12.
[941] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCXVI. Indiz. XIV.
GIOVANNI XXII papa 1.
Imperio vacante.
Essendosi finalmente accordati i cardinali di trattar dell'elezione
di un nuovo pontefice nella città di Lione, quivi nel dì 28 di giugno
entrarono nel conclave[943], e poscia nel dì 7 d'agosto promossero
al pontificato _Jacopo d'Ossa_ da Cahors, già vescovo di Freius,
poi d'Avignone, e infine cardinale vescovo di Porto, personaggio di
bassissimi natali, di piccola statura, ma scaltro e di gran sapere,
massimamente ne' canoni e nelle leggi. Molte notizie di sua vita
prima del pontificato si hanno da Ferreto Vicentino[944] e da Giovanni
Villani[945]. Prese il nome di _Giovanni XXII_. Da lì a un mese, cioè
nel dì quinto di settembre fu coronato in essa città di Lione, e nel
seguente mese andò a mettere la sua residenza in Avignone, città del
suddetto re Roberto, dove, nelle quattro tempora dell'Avvento, fece la
promozion di otto cardinali tutti franzesi, eccettochè _Giovan-Gaetano
degli Orsini_ di Roma, unico italiano, con grave mormorazione, per
quanto si può credere, di chi amava l'Italia, e piagneva i mali
originati dalla lontananza della santa Sede. Insuperbito _Uguccion
dalla Faggiuola_ per li prosperosi successi delle sue armi[946],
governava Pisa e Lucca più da tiranno che da signore. Per aver fatto
tagliar la testa a Banduccio Buonconti e a suo figliuolo, uomini di
gran credito e senno in Pisa, perchè trattavano di sottomettere la
città al re Roberto, crebbe l'odio de' Pisani contra di lui. Parimente
in Lucca fece imprigionar _Castruccio_ ed altri degl'Interminelli,
per certe ruberie ed omicidii fatti in Lunigiana, che processati
doveano perdere la testa. Ma perciocchè Neri suo figliuolo dominante
in Lucca non si attentava di eseguir la condanna pel seguito grande
della famiglia d'essi Interminelli, Uguccione si mosse da Pisa nel
dì 5 d'aprile per dar sesto agli affari de' Lucchesi. Appena fu al
monte di San Giuliano, che Coscetto da Colle, popolano arditissimo,
mosse a rumore la città di Pisa, gridando tutti: _Muoia il tiranno
Uguccione_. Uccisero la di lui famiglia, diedero il sacco al di lui
palagio, e poi crearono lor signore il _conte Gaddo dei Gherardeschi_,
uomo savio, e di gran valore e podere. Con questa mala nuova in corpo
arrivò Uguccione a Lucca, oppure gli fu portata in quella città; e
quivi ancora avendo trovato tutto in tumulto, accresciuto poi dalla
voce di quanto era avvenuto in Pisa, determinò di mettere in salvo la
vita, ritirandosi di colà col figliuolo e colle sue genti: rovescio
esemplare dell'instabil fortuna delle umane grandezze. _Castruccio_
liberato dalla carcere e dal pericolo della testa (alcuni dicono per
ordine dello stesso Uguccione prima di sua partenza), da lì a qualche
tempo fu proclamato per un anno signore di Lucca: tempo bastante a
chi era provveduto di mirabil ardire ed accortezza, per non dimettere
più le redini di quel governo. Uguccione se n'andò al _marchese
Spinetta_ Malaspina, poscia venne a Modena[947] nel dì 25 d'aprile, e
finalmente si ricoverò presso _Cane dalla Scala_, che, a riguardo del
ghibellinismo e del credito suo nell'arte della guerra, il fece suo
capitan generale. Furono biasimati i Pisani da molti, come ingrati ad
un uomo che dal basso stato, in cui si trovavano, gli avea alzati tanto
alto, e dietro era a farli più grandi.
L'ordinario mestier delle città italiane di questi tempi, divise nelle
maladette sette de' Ghibellini e Guelfi, era di andar macchinando, come
l'una fazione potesse abbattere l'altra. In Brescia[948] la signoria
stava in mano de' Ghibellini, capo d'essi la famiglia de' Maggi. I
Guelfi rimessi in quella città rodevano il freno, veggendosi da meno,
e fors'anche poco ben trattati dagli altri. Fecero essi un segreto
trattato con _Jacopo Cavalcabò_ _marchese_, signor di Cremona, città
guelfa; e questi con alcune migliaia d'armati nell'ultimo dì di gennaio
comparve colà, e fu ammesso per la porta di San Giovanni: nel qual
tempo anche altre schiere di Guelfi arrivarono dalla riviera del lago
di Garda e da altri luoghi. Il podestà di Brescia marchigiano, postovi
dai Maggi, quei fu che li tradì per quattro mila fiorini, ed aprì la
porta ai nemici. Gran combattimento seguì fra essi e i Ghibellini; e
questi ultimi infine sconfitti sloggiarono, riducendosi alle castella
di Iseo, Palazzuolo, Chiari, Pompiano, gli Orci, Quinzano ed altri
luoghi, ne' quali si fecero forti, cominciando appresso una dura guerra
contro alla lor città, sostenuti ancora da Cane dalla Scala. Ma poco
durarono le contentezze del suddetto marchese Cavalcabò. I Ponzoni, gli
Amati ed altri fuorusciti di Cremona colle lor forze il tenevano corto.
_Giberto da Correggio_ signor di Parma, gran caporale de' Guelfi,
andò a Cremona per trattar l'accordo fra loro. Ponzino dei Ponzoni non
volea pace, se il Cavalcabò non rinunziava la signoria. Andò a finir la
faccenda che quella volpe di Giberto l'indusse a rinunziare, e poi fece
proclamar sè stesso signor di Cremona. A questo avviso gliela giurarono
_Matteo Visconte, Can dalla Scala_ e _Passerino_ signor di Mantova capi
de' Ghibellini. Segretamente pertanto ordirono un trattato in Parma con
Gianquillico di San Vitale genero di Giberto stesso, con Rolando Rosso
suo cognato, e con altri nobili, ne' quali egli maggiormente confidava.
Questi nella festa di san Jacopo Apostolo, nel dì 25 di luglio,
mossero a rumore la città, gridando tutti: _Popolo, popolo_. Accortosi
Giberto che troppo grossa era la tempesta, si ritirò a Castelnuovo,
Campigine e Guardasone, dove si fortificò ed implorò l'aiuto de'
Bolognesi, Padovani e Fiorentini. Andò poscia fino a Napoli a trovare
il re Roberto, ed ottenne ottocento cavalieri da lui e dalla lega
guelfa, co' quali, venuto a Castelnuovo, fece aspra guerra a Parma.
Anche i Parmigiani entrarono in lega col Visconte, collo Scaligero e
con Passerino di Mantova. Nel mese d'agosto dell'anno presente[949],
Ugo del Balzo e Ricciardo Gambatesa, vicarii in Piemonte del re
Roberto, entrati nel territorio di Alessandria, vi presero le castella
d'Iviglie, Solerio, Quargnento, Bosco e Castellaccio. Allora Matteo
Visconte inviò ad Alessandria più di mille uomini d'armi, coi quali e
colle sue genti Marco suo figliuolo non solamente ripigliò quei luoghi
e diedegli alle fiamme, ma fece anche molti prigioni de' nemici. Guerra
ancora in quest'anno fu nel territorio di Cremona, portatavi da Cane e
da Passerino. Giberto da Correggio, non trovandosi quivi sicuro, con
Jacopo Cavalcabò si ritirò a Parma, da dove poi fu cacciato, siccome
abbiam detto. Fecero allora i Cremonesi lor capitano Egidio Piperata.
In soccorso d'essa città di Cremona volle passare pel Modenese un
corpo di fanti e cavalli, raunato in Bologna[950]; ma Francesco
Menabò podestà per Passerino nel dì 17 di febbraio coi Modenesi ito ad
assalirli nella villa di San Michele, molti ne uccise, e più ne fece
prigioni. La città di Cervia[951] nel dì 6 d'aprile dell'anno presente
si diede sotto il dominio di _Ostasio da Polenta_ signor di Ravenna. E
_Guecelo da Camino_ nel mese di giugno occupò la città di Feltre nella
marca di Trivigi, con iscacciarne il vescovo, che n'era padrone[952].
Poscia s'imparentò con Cane dalla Scala, ottenendo in moglie d'un suo
figliuolo _Verde_ figliuola di _Alboino Scaligero_.
NOTE:
[942] Chron. Astense, cap. 90, tom. 11 Rer. Ital.
[943] Raynaldus, in Annal. Eccles. Bernardus Guid., Append. Ptolom.
Lucensis.
[944] Ferretus Vicentinus, lib. 7, tom. 9 Rer. Ital.
[945] Giovanni Villani.
[946] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 76. Istor. Pistol. Ferretus
Vicentinus, et alii.
[947] Johann. de Bazano, Chron. Mutin., tom. 15 Rer. Italic.
[948] Malvec., Chron. Brixian., lib. 9, cap. 29, tom. 14 Rer. Ital.
Annales Estens., tom. 15 Rer. Ital.
[949] Chron. Astense, cap. 83, tom. 11 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCXVII. Indizione XV.
GIOVANNI XXII papa 2.
Imperio vacante.
Attese in quest'anno _papa Giovanni_ _XXII_ a fondar nuovi vescovati
in Francia[953], trinciando specialmente la vasta diocesi di Tolosa, la
cui chiesa eresse in arcivescovato. Essendo oramai terminata la tregua
già fatta fra _Roberto re_ di Napoli e _Federigo re_ di Sicilia[954],
Roberto, più che d'altra cosa voglioso di ricuperar la Sicilia, spedì
colà _Tommaso da Marzano_ conte di Squillaci con una gran flotta e con
un potente esercito. Sbarcò egli in Sicilia nel mese d'agosto; niun
conquisto vi fece, ma diede un tal guasto al paese fin sotto alle porte
di Messina, senza che Federigo ardisse mai d'affrontarsi con lui, che
comune opinione fu che, s'egli ritornava l'anno seguente al medesimo
funesto giuoco, la Sicilia non potea reggere a questo flagello.
Susseguentemente mandò papa Giovanni i suoi nunzii a Federigo, con
esibirsi mediatore di pace, ordinando che intanto egli depositasse
in mano degli uffiziali pontificii la città di Reggio cogli altri
luoghi occupati in Calabria. Federigo condiscese ai voleri del papa
col deposito delle terre di Calabria; ma si trovò poi ingannato,
perchè il papa le consegnò al re Roberto, che le ritenne per sè.
Stabilì intanto fra loro esso pontefice una tregua di tre anni, non
già per far servigio a Federigo, ma perchè gl'imbrogli di Genova, de'
quali parleremo, occuparono di troppo il re Roberto. Inviò Federigo
ad Avignone i suoi ambasciatori per la progettata pace; ma Roberto
se ne rise, nè alcuno v'inviò, contento d'avere con tanta facilità
ricuperati que' luoghi, e di mantener tuttavia le sue speranze di
riavere anche un dì la Sicilia tutta. Nella torbida sempre città di
Genova crebbe in quest'anno sì fieramente la diffidenza e discordia
fra i cittadini[955], che si diede principio ad una memorabil guerra,
in cui prese impegno buona parte dell'Italia, e che fu seminario
d'infiniti mali. Nel dì 15 di settembre v'entrarono senz'armi gli
Spinoli fuorusciti col consenso de' Fieschi e Grimaldi, cercando pace.
Non si fidando gli uni degli altri, uscirono di città i Doria. Tennero
poi loro dietro gli Spinoli, e queste due forti famiglie, dianzi
nemiche, divenute amiche, s'impadronirono (non so se nel presente o nel
susseguente anno) di Savona e d'Albenga, con ribellarsi al comune di
Genova, e far lega con _Matteo Visconte_ e cogli altri Ghibellini di
Lombardia. Rimasero i Guelfi padroni di Genova, e per questa divisione
nell'anno seguente cominciò una fiera e sanguinosa tragedia, che fu
delle più strepitose di questi tempi. Giovanni Villani[956] racconta
essere tutto ciò proceduto da segreto monopolio del re Roberto,
che voleva esclusi i Ghibellini da quella città; perché, ridotta
essa a parte guelfa, sperava egli d'acquistarne il dominio, siccome
infatti gli riuscì. A questo fine volle ancora che fra i Pisani ed
altri Ghibellini di Toscana dall'una parte, i Fiorentini, Lucchesi,
Sanesi ed altri Guelfi di Toscana dall'altra, seguisse pace: il che
a' Fiorentini, pieni tuttavia d'odio e di rabbia per la sconfitta di
Montecatino, rincrebbe forte. Ma perciocchè si mostravano renitenti
i Pisani ad accordare a' Fiorentini l'esenzion delle loro gabelle, la
sottile accortezza d'essi Fiorentini trovò un'invenzione per guadagnare
il punto. Finsero di raddoppiare i pubblici aggravii per avere ogni
anno d'entrata cinquecento mila fiorini d'oro, e ne sparsero la voce.
Poscia spedirono corriere in Francia con lettere finte a quel re e al
papa, acciocchè mandasse loro uno dei principi della casa con mille
uomini d'armi e con lettere di cambio per sessanta mila fiorini.
Per via di Pisa fu inviato il corriere; seco era una spia fidata,
che, quando egli fu in Pisa, andò a rivelarlo al conte Gaddo ed agli
anziani, i quali gli fecero mettere le mani addosso. Trovate e lette
quelle lettere, ne restarono ammirati, e conoscendo che per loro non
facea di mantener la guerra, si arrenderono alle proposizioni di pace,
ritenendo quanto aveano preso.
Tentò in quest'anno nel mese d'agosto Uguccion dalla Faggiuola,
coll'aiuto di _Cane dalla Scala_, di rientrare in Lucca, dove avea
dei trattati. Venne in Lunigiana al _marchese Spinetta_ Malaspina per
questo. Ma, scoperti i suoi andamenti, fu rumor popolare in Pisa; la
famiglia dei Lanfranchi n'ebbe gran danno, ed Uguccione, fallito il
colpo, se ne tornò a Verona. Allora _Castruccio_ signor di Lucca,
nemico anch'egli d'Uguccione, fece lega coi Pisani, e poi guerra
al marchese Spinetta, togliendogli Fosdinuovo ed altre castella:
perlochè Spinetta si ritirò anch'esso colla sua famiglia a Verona. In
Parma[957] nel mese di settembre Manno dalla Branca di Gubbio, podestà
di quella città, uomo dabbene, trattò di pace fra que' cittadini e
Giberto da Correggio fuoruscito, che infestava molto la patria. Ne
seguì la concordia. Giberto riebbe i suoi beni, e fu rimesso in città,
con promessa di menar vita privata. Parimente nel mese d'aprile i
fuorusciti guelfi di Piacenza[958] consegnarono le lor castella a
_Galeazzo Visconte_ signore di quella città, e riebbero i lor beni col
ritorno alla patria, il solo _Alberto Scotto_ fu mandalo ai confini
a Crema, dove nel dì 23 di gennaio dell'anno seguente diede fine ai
suoi giorni, lasciando dopo di sè la brutta memoria di molte frodi
e di gravi danni recati alla patria sua. Questo medesimo spirito di
concordia si stese a Modena[959], dove nel dì 5 d'agosto, per cura di
Federigo dalla Scala podestà, furono reintegrati nel possesso dei lor
beni Francesco dalla Mirandola, i Pii, i Gorzani e gli altri usciti, e
tutti vennero alla patria, ricevuti con amore dagli altri cittadini nel
dì 2 d'agosto. Fece oste in quest'anno nel mese di maggio Cane dalla
Scala contra de' Bresciani in favore de' fuorusciti ghibellini; prese
Castiglione e Montechiaro, e recò loro degli altri danni[960]. Mentre
egli si tratteneva in quelle parti, assediando Lunato, i Padovani[961],
giacchè se la videro bella, fingendo che questa fosse risoluzion di
particolari, e non del comune, corsero a valersi del tempo propizio per
ricuperare la perduta città di Vicenza. Aveano essi menato un trattato
con certi Vicentini, e ricevutine anche gli ostaggi per questo. Ma il
trattato era doppio, e di tutto veniva di mano in mano informato lo
Scaligero. Ferreto Vicentino[962] pretende che Cane ne avesse l'avviso
dai Carraresi stessi Padovani. Ora nella notte del dì 22 vegnente del
mese suddetto i Padovani colle genti comandate da Vinciguerra conte
di San Bonifazio giunsero sotto Vicenza, e, trovate le porte chiuse,
si applicarono a dare la scalata a quella città, e molti ancora
v'entrarono. Avvisato dai traditori, oppur dai Carraresi, Cane, eccolo
comparire con Uguccione, e con que' pochi che per la sua gran fretta
poterono seguitarlo. Fece egli tosto aprire una porta, e i Padovani,
credendola aperta per introdurli, si videro all'improvviso piombare
addosso l'adirato Cane. Parvero pecore all'arrivo del lupo. Tutti
allora a gambe; molti d'essi furono uccisi, molti presi, fra i quali
lo stesso conte di San Bonifazio capitano, che morì fra pochi giorni
per le ferite ricevute; e restò in preda de' Vicentini tutto il loro
equipaggio. Qui però non finì la disavventura de' Padovani. Trovò Cane
un tavernaio della fortissima terra di Monselice, per nome o soprannome
Maometto[963], che promise di dargli adito in quella importante
fortezza. Disposte le cose nella vigilia della festa di San Tommaso
Apostolo, Cane, senza badare alla stagione orrida pel freddo, ito colà
con Uguccione e con grosse brigate, s'impadronì della terra, e da lì
a cinque giorni della rocca di Monselice. Incredibil fu il terrore de'
Padovani per questa perdita; già s'aspettavano Cane alle porte, ed egli
intanto colla forza prese la nobil terra d'Este, che poi barbaramente
diede alle fiamme, e quindi obbligò alla resa la ricca e riguardevol
terra di Montagnana. Animato da così felici successi lo Scaligero[964],
dopo aver preso al suo soldo da _Arrigo conte_ del Tirolo cento lance,
passò dipoi nel Pievato di Sacco, territorio allora il più abbondante
e pingue nel Padovano, dove indicibil fu la preda di tutti i beni.
Andò anche ai borghi di Padova, e distrusse quello di Santo Stefano.
Non vi volle di più perchè i Padovani nell'anno seguente chiedessero
pace; e, adoperati per mediatori i Veneziani, la ottennero da Cane, col
cedergli i lor diritti sopra le occupate terre, e dargli ancora quella
di Castelbaldo in pegno. I Carraresi, secondo Ferreto, segretamente se
l'intendeano con esso Cane.
Fin qui i Ferraresi aveano provato il duro giogo de' Guasconi, ossia
de' Catalani, cioè della guarnigione posta in quella città dal re
Roberto[965]. Le avanie ed insolenze di costoro erano il pane d'ogni
giorno di quell'angustiato popolo, di modo che ho io sempre sospettato
che la _giustizia catalana_, passata in proverbio per questi paesi,
avesse origine dai lor perversi portamenti[966]. Giunti oramai all'orlo
della disperazione que' cittadini, chiariti della differenza che passa
fra l'essere governati dal principe proprio, e il vivere all'ubbidienza
di gente straniera, ordinariamente venuta solo per succiare il
sangue de' popoli; e vogliosi di ritornare sotto l'amorevol dominio
de' principi estensi, nel dì 4 d'agosto del presente anno mossero
a rumore la terra, e colle armi incominciarono aspra battaglia con
essi Guasconi. Ritiraronsi costoro in Castel Tealdo, e tutte l'altre
fortezze della città vennero alle mani dei Ferraresi, i quali spedirono
tosto a _Rinaldo_ ed _Obizzo marchesi d'Este_, figliuoli del _marchese
Aldrovandino_, acciocchè venissero. Vennero questi senza perdere tempo;
e quel popolo, confortato dalla loro presenza e valore, tosto si diede
ad espugnare Castel Tealdo per terra e pel Po con delle barbotte e con
un lupo, cioè con un castello posto sopra due navi. Studiaronsi nello
stesso tempo i marchesi estensi coi Pepoli ed altri amici di Bologna di
far differire la venuta dell'esercito bolognese in aiuto dei Guasconi;
e camminò così felicemente il concerto e l'indefessa espugnazion del
castello, che prima dell'arrivo de' Bolognesi l'ebbero in mano colla
morte di tutto quel presidio, con poscia darlo alle fiamme e diruparlo.
Liberati in questa guisa i Ferraresi dal giogo straniero, con immenso
giubilo diedero, ossia restituirono, la signoria della città ai
marchesi d'Este suddetti nel dì 15 d'agosto. In quest'anno ancora nel
mese di settembre _Cane dalla Scala, Passerino_ signor di Mantova e
di Modena, e _Luchino_ figliuolo di _Marco Visconte_[967] fecero oste
di nuovo contra di Cremona. S'era quella città poco dianzi più che mai
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