Annali d'Italia, vol. 5 - 24
cardinali, tutti Guasconi[816]: se con piacere degl'Italiani, Dio vel
dica. Nè voglio tacere che i Ghibellini di Modena nel mese di luglio
cacciarono fuori di città quei da Sassuolo, da Ganaceto e i Grassoni,
tutti di fazione guelfa[817].
NOTE:
[799] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[800] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 113.
[801] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Bononiense, tom. 18
Rer. Ital. Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Italic.
[802] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[803] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[804] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 5.
[805] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[806] Chron. Astens., cap. 53, tom. 11 Rer. Ital.
[807] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[808] Chron. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[809] Johannes de Cermenat., cap. 10, tom. 9 Rer. Ital.
[810] Albertinus Mussatus, lib. 1, cap. 6.
[811] Chron. Astense, cap. 58, tom. 11 Rer. Ital.
[812] Corio, Istor. di Milano. Bonincon. Morigia, Chron. tom. 12 Rer.
Ital.
[813] Dino Compagni, tom. 9 Rer. Ital.
[814] Johan. de Cermenat., cap. 13, tom. 9 Rer. Ital.
[815] Gualvan. Flamma, cap. 349. Chron. Astense, cap. 39, tom. 11 Rer.
Ital.
Anno di CRISTO MCCCXI. Indizione IX.
CLEMENTE V papa 7.
ARRIGO VII re de' Romani 4.
Per la corona del regno d'Italia, che dovea darsi al _re Arrigo_,
tutte le città di Lombardia e della marca di Verona inviarono i loro
ambasciatori a Milano[818], a riserva di Alessandria, d'Alba e d'altri
luoghi in Piemonte, che riguardavano per loro signore _Roberto re_
di Napoli. Intanto s'erano già cominciati a veder preparamenti di
guerra contra dello stesso Arrigo. I Fiorentini, Lucchesi ed altri
di Toscana[819] aveano nell'anno precedente eletti gli ambasciatori,
per mandar a protestare l'ossequio loro al novello sovrano; ma
all'improvviso restò la spedizione, e, per lo contrario, si diede
quel popolo a far gente, e contrasse lega col medesimo re e colle
città guelfe, per opporsi a lui. Altrettanto fecero i Bolognesi,
attendendo specialmente in questo anno a fortificare e ben provvedere
la loro città. Non si potrà fallare, attribuendo queste risoluzioni ai
maneggi del re Roberto e de' suoi ministri, che non voleano lasciar
crescere la potenza di Arrigo, credendola di troppo pregiudizio ai
loro interessi. Si aggiunse, essere ben venuto in Italia il novello
re con belle proteste di voler mettere la pace dappertutto, ridurre
nelle loro patrie gli usciti, non avere parzialità nè per Guelfi, nè
per Ghibellini, e di voler conservare tutti i diritti e privilegii
di qualsisia città. E, di vero, opinione fu che sul principio fosse
pura tal sua intenzione. Non parve poi così nell'andare innanzi.
In un general parlamento volle che ogni città avesse un vicario
imperiale[820]. Già gli avea messi in Torino, Asti e Milano; ed essi
in luogo dei podestà eletti dai cittadini: il che fu uno sminuire di
molto la libertà di quei popoli. Ora nel dì 6 di gennaio esso re fu
colla _regina Margherita_ coronato in santo Ambrosio di Milano per
le mani dell'arcivescovo milanese _Gastone dalla Torre_. Pretesero il
popolo e i canonici della nobil terra di Monza che nella lor basilica
di san Giovanni Batista dovesse egli prendere la corona del ferro, che
essi per antico privilegio conservano nel loro sacrario, e nella quale
hanno da un secolo e mezzo in qua immaginato che si conservi uno dei
sacri chiodi della croce del Signore[821]: cosa ignorata ne' secoli
precedenti. Ma dovettero tanto industriarsi i Milanesi, che nella
suddetta basilica di santo Ambrosio seguì quella grandiosa funzione,
siccome altre volte s'era fatto[822], coll'aver nondimeno Arrigo, mercè
d'un suo diploma, preservato il diritto che potesse competere a Monza.
In tal congiuntura egli creò cavalieri circa dugento nobili di varie
città. Attese di poi a pacificare le città di Lombardia, e in molte di
esse mise i suoi vicarii, volendo che in ciascuna d'esse rientrassero
gli sbanditi, fossero guelfi o ghibellini. Mise in Modena[823] per
vicario Guidaloste dei Vercellesi da Pistoia, che v'introdusse tutti
i fuorusciti guelfi. L'ultimo a comparire alla corte fu _Matteo Maggi_
signore di Brescia, di fazion ghibellina[824], non già per poco affetto
al re, ma per timore di Tebaldo Brusato di fazion guelfa, bandito da
Brescia negli anni addietro, che, venuto a Milano, avea già guadagnato
nella corte di molti protettori. Il buon Arrigo, che mirava al sollievo
e bene di tutti, propose al Maggi di ricevere in Brescia Tebaldo. Il
Maggi allora disse quanto potè per far conoscere al re come Tebaldo
era il maggior perfido e mancator di parola che fosse al mondo, e
sfibbiò tutti i tradimenti da lui fatti, e le crudeltà da lui usate in
varii tempi. A nulla servì; il re stette saldo in dire che bisognava
perdonare, e convenne accomodarsi al di lui volere, con ricevere
Tebaldo e i suoi seguaci in Brescia[825]. Seguì pertanto uno strumento
di pace fra i Guelfi e Ghibellini di quella città; ed, avendo Matteo
Maggi rinunziata quella signoria, Arrigo mandò colà per suo vicario
Alberto da Castelbarco. Non andrà molto che ne vedremo gli effetti.
Diede esso re Arrigo per suo vicario a Milano Giovanni dalla Calcia
Franzese, uomo inetto, che neppure un mese durò in quel posto. Gli
sustituì Niccolò Bonsignore, un pezzo di mala carne, già bandito per
le sue ribalderie da Siena sua patria, che cominciò a maltrattare quel
popolo. Richiese il re un dono gratuito dai Milanesi, perchè era corto
di moneta. Fu proposto nel consiglio della città il quanto, e rimesso
in Guglielmo Posterla il tassarlo. Disse cinquanta mila fiorini d'oro.
Tutti consentivano, se non che Matteo Visconte soggiunse che gli parea
conveniente donarne anche dieci mila alla regina. Allora Guido dalla
Torre s'alzò in collera, riprovando il far così da liberale colla roba
altrui; e, nell'uscire del consiglio, disse: _E perchè non se ne danno
cento mila? questo numero è più perfetto_. Perciò i ministri del re
scrissero cento mila, e bisognò poi darli. E fin qui era durato il bel
sereno; ed Arrigo si figurava di aver data da padre la pace a tutte
le città di Lombardia, senza far distinzione tra Guelfo e Ghibellino;
ma non tardò ad intorbidarsi il cielo. Perchè Arrigo, sotto spezie
di onore, ma veramente per aver degli ostaggi, dimandò che cento
figliuoli de' nobili milanesi lo accompagnassero a Roma, si trovarono
molte difficoltà, ed insorsero sospetti di sedizione. Furono anche
veduti fuor d'una porta Franceschino figliuolo di Guido dalla Torre,
e Galeazzo figliuolo di Matteo Visconte, parlar lungamente insieme, e
toccarsi la mano nel congedarsi[826]. Fu riferito ad Arrigo, e fatto
credere che il Visconte ed il Torriano macchinassero contra la sua
real persona, ed avessero già fatta massa di gente. Però nel dì 12 di
febbraio egli mandò una squadra di cavalleria a visitar le case dei
nobili. Matteo Visconte, avutone l'avviso, col mantello indosso avanti
il suo palazzo li stette aspettando, ragionando intanto con alcuni
amici. Arrivati i Tedeschi, come se nulla sapesse, invitolli a bere,
e gl'introdusse in casa. Se n'andarono tutti contenti, e persuasi
della sua fedeltà. Non così fu al palazzo di Guido dalla Torre. Quivi
erano molti armati, quivi si cominciò un tumulto, e si venne alle mani
coi tedeschi. Trassero colà i parziali de' Torriani, e dall'altro
canto s'andarono ingrossando le truppe del re, il quale fu in gran
pena per questo, massimamente dappoichè gli fu riferito che anche
Matteo Visconte e Galeazzo suo figliuolo erano uniti coi Torriani. Ma
eccoti comparir Matteo col mantello alla corte; ecco da lì un pezzo un
messo, che assicurò Arrigo, come Galeazzo Visconte combatteva insieme
coi Tedeschi contra de' Torriani: il che tranquillò l'animo di sua
maestà. La conclusione fu, che i serragli e palagi dei Torriani furono
superati, dato il sacco alle lor ricche suppellettili, spogliate
anche tutte le case innocenti del vicinato. Guido dalla Torre e gli
altri suoi parenti, chi qua chi là fuggendo, si sottrassero al furor
dei Tedeschi, e se ne andarono in esilio, nè mai più ritornarono in
Milano. Non si seppe mai bene la verità di questo fatto. Fu detto che
i Torriani veramente aveano congiurato, e che nel dì seguente dovea
scoppiar la mina[827]. Ma i più credettero, e con fondamento, che
questa fosse una sottile orditura dello scaltro Matteo Visconte per
atterrare i Torriani, siccome gli venne fatto, con fingersi prima unito
ad essi, e con poscia abbandonarli nel bisogno. Nulladimeno, con tutto
che egli si facesse conoscer fedele in tal congiuntura ad Arrigo, da
lì ad alquanti dì l'invidia di molti grandi milanesi, ed il timore che
Matteo tornasse al principato, e si vendicasse di chi l'avea tradito
nell'anno 1302, cotanto poterono presso Arrigo, che Matteo fu mandato
a' confini ad Asti, e Galeazzo suo figliuolo a Trivigi. Poco nondimeno
stette Matteo in esilio. Il suo fedele amico Francesco da Garbagnate,
fatto conoscere al re che per fini torti aveano gl'invidiosi
allontanato da lui un sì savio consigliere[828], cagion fu che Arrigo
nel dì 7 d'aprile il richiamò e rimise in sua grazia.
Gran terrore diede alle città guelfe di Lombardia la caduta de'
Torriani guelfi. Lodi, Cremona e Brescia per questo alzarono le
bandiere contra d'Arrigo. Per confessione di Giovanni Villani,
i Fiorentini e Bolognesi con loro maneggi e danari soffiarono in
questo fuoco. Antonio da Fissiraga signore di Lodi corse colà; ma,
ritrovata quivi dell'impotenza a sostenersi per la poca provvision
di vettovaglia, tornò a Milano ad implorar la misericordia del re, e,
per mezzo della regina e di _Amedeo conte di Savoia_, l'ottenne. Mandò
Arrigo a prendere il possesso di quella città, e v'introdusse tutti i
fuorusciti; poscia nel dì 17 d'aprile coll'armata s'inviò alla volta
della ribellata Cremona. S'era imbarcato quel popolo senza biscotto;
e ciò per la prepotenza di _Guglielmo Cavalcabò_ capo della fazione
guelfa, il quale avea fatto sconsigliatamente un trattato col fallito
Guido dalla Torre. Sicchè, all'udire che il re veniva in persona con
tutte le sue forze e con quelle de' Milanesi contra di Cremona, se ne
fuggì. Sopramonte degli Amati, altro capo de' Ghibellini, uomo savio
e amante della patria, allora consigliò di gittarsi alla misericordia
del re. Venne egli coi principali della nobiltà e del popolo sino a
Paderno, dieci miglia lungi da Cremona; e tutti colle corde al collo,
inginocchiati sulla strada, allorchè arrivò Arrigo, con pietose voci
e lagrime implorarono il perdono. Era la clemenza una delle virtù
di questo re; ma se ne dimenticò egli questa volta, ed ebbe bene a
pentirsene col tempo. Comandò che ognun di loro fosse imprigionato e
mandato in varii luoghi, dove quasi tutti nelle carceri miseramente
terminarono dipoi i lor giorni. Fu questo un nulla. Arrivato a Cremona,
non volle entrarvi sotto il baldacchino preparato da' cittadini, fece
smantellar le mura, spianar le fosse, abbassar le torri della città. Da
lì ancora a qualche giorno impose una gravissima contribuzione di cento
mila fiorini d'oro, e fu dato il sacco all'infelice città[829], che
restò anche priva di tutti i suoi privilegii e diritti. Da qualsivoglia
saggio fu creduto che questi atti di crudeltà, sconvenevoli ad un re
fornito di tante virtù, pel terrore che diedero a tutti, rompessero
affatto il corso alla pace d'Italia ed alla fortuna d'Arrigo, addosso
a cui vennero poi le dure traversie che andremo accennando. Dacchè
per benignità e favore d'esso re rientrò in Brescia Tebaldo Brusato
cogli altri fuorusciti guelfi, andò costui pensando come esaltar la
sua fazione[830]. Nel dì 24 di febbraio, levato rumore, prese Matteo
Maggi, capo de' Ghibellini, con altri grandi di quella città, e si
fece proclamar signore, o almen capo della fazion guelfa, che restò
sola al dominio. Albertino Mussato[831] scrive che i Maggi furono i
primi a rompere la concordia, e che poi rimasero al disotto. Jacopo
Malvezzo[832] ed altri scrittori bresciani non la finiscono di esaltar
con lodi la persona di Tebaldo Brusato. Ma gli autori contemporanei ed
il fatto stesso ci vengono dicendo che egli fu un ingrato ai benefizii
ricevuti dal re Arrigo, e un traditore, avendo egli scacciato il di
lui vicario, e fatta ribellare contra di lui quella città, in cui la
real clemenza, di bandito e ramingo ch'egli era, l'avea rimesso. Dopo
avere il re tentato, col mandare innanzi _Valerano_ suo fratello, se i
Bresciani si voleano umiliare, e trovato che no[833], tutto sdegno nel
mese di maggio mosse l'armata contra di quella città, e n'intraprese
l'assedio. Fu parere del Villani, che s'egli, dopo la presa di Cremona,
continuava il viaggio, Bologna, Firenze e la Toscana tutta veniva
facilmente all'ubbidienza sua. A quell'assedio furono chiamate le
milizie delle città lombarde. Spezialmente vi comparve la cavalleria e
fanteria milanese. _Giberto da Correggio_, oltre all'aver condotto colà
la milizia di Parma, donò ad Arrigo la corona di _Federigo II_ Augusto,
presa allorchè quell'imperadore fu rotto sotto Parma. Per questo
egli, se crediamo al Corio[834], ottenne il vicariato di quella città.
Albertino Mussato scrive che quivi fu messo per vicario un Malaspina.
Nulla mi fermerò io a descrivere gli avvenimenti del famoso assedio
di Brescia. Basterammi di dire che la città era forte per mura e per
torri, ma più per la bravura de' cittadini, i quali per più di quattro
mesi renderono inutili tutti gli assalti e le macchine dell'esercito
nemico. Circa la metà di giugno, in una sortita restò prigion de'
Tedeschi l'indefesso Tebaldo Brusato, e coll'essere strascinato
e squartato pagò la pena dei suoi misfatti. Infierirono perciò i
Bresciani contra dei prigioni tedeschi, e si accesero maggiormente ad
un'ostinata difesa. In un incontro anche _Valerano_ fratello del re,
mortalmente ferito, cessò di vivere.
Per tali successi era forte scontento il re Arrigo. L'onor suo non gli
permettea di ritirarsi; ed intanto maniera non si vedea di vincere la
nemica città. Mancava il danaro per la sussistenza dell'armata; e il
peggio fu, che in essa entrò una fiera epidemia, ossia la peste vera,
che facea grande strage[835]. Dio portò al campo tre cardinali legati
spediti dal papa per coronare in Roma, e sollecitar per questo il re
Arrigo, cioè i _vescovi d'Ostia_ e _d'Albano_, e _Luca dal Fiesco_.
Questi mossero parola di perdono e di pace. Entrò il Fiesco col
patriarca d'Aquileia in Brescia, e trovò delle durezze. Vi ritornò,
e finalmente conchiuse l'accordo. Fu in salvo la vita e la roba dei
cittadini, e si scaricò sopra le mura della città il gastigo della
ribellione, le quali furono smantellate, e per esse entrò Arrigo nella
città nel dì 24 di settembre, seco menando i fuorusciti. Oltre a ciò,
settanta mila fiorini d'oro volle da quel popolo, con altri aggravii,
per quanto scrive il Malvezzi, e lo conferma Ferreto Vicentino, contro
le promesse fatte al cardinale dal Fiesco. Da Brescia passò a Cremona,
indi a Piacenza, dove lasciò un vicario[836], rimanendo deluso _Alberto
Scotto_, il quale poco dopo ricominciò le ostilità contro la patria.
Trasferitosi a Pavia, quivi si trovarono per la peste calata a tal
segno le sue soldatesche, che _Filippone da Langusco_, non più signore
di quella città, avrebbe potuto assassinarlo, se il mal talento gliene
fosse venuto. E ne corse anche il sospetto; perlochè portossi colà
_Matteo Visconte_ con possente corpo di Milanesi; ma Filippone gli
chiuse le porte in faccia. Matteo, dico, il quale, stando Arrigo sotto
Brescia, non tralasciò ossequio e diligenza veruna per assisterlo con
gente, danari e vettovaglie; laonde meritò d'essere creato vicario
di Milano, e di poter accudire da lì innanzi all'esaltazione della
propria casa. In Pavia mancò di vita, per le malattie contratte
all'assedio di Brescia, il valoroso _Guido conte di Fiandra_. E quivi,
a persuasione di _Amedeo conte di Savoia_, Arrigo dichiarò vicario di
Pavia, Vercelli, Novara e Piemonte _Filippo di Savoia_, principe allora
solamente di titolo della Morea. Scrive Giovanni da Cermenate[837], e
con lui va d'accordo Galvano Fiamma[838] col Malvezzi[839], che questo
principe, unitosi dipoi con Filippone di Langusco e cogli altri Guelfi,
fece ribellar quelle città, ed altre ancora al re suo benefattore.
Nel dì 21 d'ottobre arrivò Arrigo a Genova, accolto da quel popolo
con sommo onore; ed avuta che ebbe la signoria della città, si
studiò di metter pace fra que' di lor natura alteri, ed allora troppo
discordanti, cittadini, e rimise in città Obizzino Spinola con tutti i
fuorusciti[840]. Ma quivi nel dì 13 di dicembre da immatura morte fu
rapita la regal sua moglie _Margherita_ di Brabante, principessa per
le sue rare virtù degna di più lunga vita. Intanto si scoprirono suoi
palesi nemici i Fiorentini, Lucchesi, Perugini, Sanesi ed altri popoli
di Toscana, i quali, sommossi ed assistiti dal _re Roberto_, fatto
grande armamento, presero i passi della Lunigiana, per impedirgli il
viaggio per terra. Erano all'incontro per lui gli Aretini e Pisani; i
quali ultimi mandarono a Genova una solenne ambasceria ad invitarlo,
con fargli il dono di una sì magnifica tenda militare, che sotto vi
poteano stare dieci mila persone. Lo scrive Albertino Mussato; e chi
non vuol credere sì smisurata cosa dazio non pagherà. Per più di due
mesi si fermò in Genova il re Arrigo, nè si può negare che tendeva
il suo buon volere a ricuperare bensì i diritti molto scaduti del
romano imperio; ma insieme, se avesse potuto, a rimettere la quiete
in ogni città, e ad abolir le matte e sanguinarie fazioni de' Guelfi e
Ghibellini. Tutto il contrario avvenne. La venuta sua mise in maggior
moto gli animi alterati e divisi de' popoli.
_Giberto da Correggio_, guadagnato e soccorso da' Fiorentini e
Bolognesi, mosse a ribellione Parma e Reggio. In Cremona fu una
sedizione non picciola, e ne fu cacciato il ministro del re. _Filippone
da Langusco_ insorse in Pavia contra dei Beccheria ed altri Ghibellini,
e, col favore di _Filippo di Savoia_, li scacciò. Lo stesso accadde
ai Ghibellini d'Asti, Novara e Vercelli. Anche in Brescia ed in altre
città furono tumulti e sedizioni. In Romagna altresì il vicario del re
Roberto mise le mani addosso ai capi dei Ghibellini di Imola, Faenza,
Forlì e d'altri luoghi, e sbandì la loro fazione[841]. Pesaro e Fano,
città ribellate al papa, furono ricuperate dal marchese d'Ancona[842].
In Mantova volle il re Arrigo che tornassero gli sbanditi guelfi, e
quivi pose per vicario Lappo Farinata degli liberti. Ma _Passerino_ e
_Butirone de' Bonacossi_, dianzi padroni della città, presero un giorno
l'armi col popolo, e costrinsero que' miseri a tornarsene in esilio,
senza rispetto alcuno al vicario regio. Era l'Augusto Arrigo in gran
bisogno di moneta. Una buona offerta gli fu fatta da essi Bonacossi,
ed ottennero con ciò il privilegio di vicarii imperiali di Mantova. Di
questo potente strumento seppe ben valersi anche _Ricciardo da Camino_
per impetrare il vicariato di Trivigi. E per la stessa via parimente
giunsero _Alboino_ e _Cane dalla Scala_ fratelli ad ottener quello di
Verona. Nè qui si fermò l'industria loro. In questi tempi la città
di Padova per la goduta lunga pace[843], e perchè dominava anche in
Vicenza, si trovava in un invidiabile stato per le ricchezze e per la
cresciuta popolazione. Questa grassezza, secondo il solito, serviva
di eccitamento e fomento all'alterigia de' cittadini, in guisa che,
avendo il re Arrigo fatto lor sapere di voler inviare colà un vicario,
e richiesti sessanta mila fiorini d'oro per la sua coronazione, quel
popolo se ne irritò forte; e, a suggestione ancora de' Bolognesi
e Fiorentini, negò di ubbidire, e proruppe inoltre in parole di
ribellione. Cane dalla Scala, siccome quegli che già aspirava a gran
cose, conosciuta anche la disposizion de' Vicentini, che pretendeano
d'essere maltrattati dagli uffiziali padovani, e s'erano invogliati di
mettersi in libertà, prese il tempo, e consigliò ad Arrigo di gastigar
l'arroganza di Padova con levarle Vicenza. Ebbe effetto la mina. Cane
accompagnato da _Aimone vescovo_ di Genevra, e colle milizie di Verona
e Mantova[844], nel dì 15 d'aprile (e non già di marzo, come ha lo
scorretto testo di Ferreto Vicentino) entrò in quella città, e ne
cacciò il presidio padovano. I Vicentini, che si credeano di ricoverar
la libertà, non solamente caddero sotto un più pesante giogo, ma
piansero il saccheggio della loro città per iniquità di Cane, che non
attenne i patti. Calò allora l'albagia del popolo padovano; cercò poi
accordo, e l'ottenne, ma con suo notabile svantaggio; perchè, oltre
all'avere ricevuto per vicario imperiale Gherardo da Enzola da Parma,
in vece di sessanta, dovette pagare cento mila fiorini d'oro alla cassa
del re.
Morì in quest'anno _Alboino dalla Scala_, e restò solo _Can Grande_ suo
fratello nella signoria di Verona, con tener anche il piede in Vicenza.
Tale era allora lo stato, ma fluttuante, della Lombardia e dell'Italia.
I soli Veneziani si stavano in pace, osservando senza muoversi
le commozioni altrui. Aveano spediti ad Arrigo, subito ch'egli fu
giunto in Italia, i loro ambasciatori con regali, a titolo non già di
suggezione, ma d'amicizia, e con ordine di non baciargli il piede[845].
Venne poscia in quest'anno a Venezia il vescovo di Genevra ambasciatore
d'Arrigo; ma non dimandò a quel popolo nè fedeltà nè ubbidienza.
Terminò i suoi giorni in quest'anno appunto[846] _Pietro Gradenigo_
doge di Venezia, e nel dì 22 d'agosto (il Sanuto[847] scrive nel dì 13)
fu surrogato in suo luogo _Marino Giorgi_, assai vecchio, che poco più
di dieci mesi tenne quel governo. Sotto Brescia, siccome accennammo,
cominciò ad infierir la peste nell'armata regale, e si diffuse poi
per varie città. Ne restò spopolala Piacenza, Brescia, Pavia, ed altri
popoli empierono i lor cimiterii. Portò il re Arrigo colle sue genti a
Genova questo malore, e però quivi fu gran mortalità. Diede principio
papa _Clemente V_[848] nell'ottobre di quest'anno al concilio generale
in Vienna del Delfinato, al quale intervennero circa trecento vescovi.
Era riuscito alla saggia destrezza d'esso pontefice e de' cardinali
il far desistere _Filippo il Bello re_ di Francia dal proseguir le
calunniose accuse contro la memoria di _papa Bonifazio VIII_. Nel
concilio si avea da trattare, ma poco si trattò de' tanti abusi che
allora si osservavano nel clero e nella stessa corte pontificia,
massimamente in riguardo alla collazion de' benefizii e alla simonia:
intorno a che restano varie memorie e scritture di quei tempi, che io
tralascio, rimettendo i lettori alla storia ecclesiastica, dove se ne
parla _ex professo_.
NOTE:
[816] Ptolom. Lucensis, in Vita Clementis V.
[817] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[818] Albertinus Mussatus, lib. 1, tom. 8 Rer. Ital.
[819] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 7.
[820] Gazata, Chronic. Regiense, tom. 18 Rer. Italic.
[821] Murat., Anecdot. Latin., tom. 2.
[822] Bonincontrus Morigia, Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[823] Bonif. Moranus, Chron. Mutinens., tom. 11 Rer. Ital.
[824] Johann. de Cermenate, cap. 18, tom. 9 Rer. Italic.
[825] Malvec., Chron. Brixian., tom. 14 Rer. Italic.
[826] Bonicontrus Morigia, tom. 12 Rer. Ital. Johannes de Cermen.,
tom. 9 Rer. Ital. Albertinus Mussatus, tom. 8 Rer. Ital. Ferretus
Vicentinus, tom. 9 Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer.
Ital.
[827] Johann. de Cermenate, cap. 22, tom. 9 Rer. Ital. Giovanni
Villani, lib. 9, cap. 11. Ferretus Vicentinus, lib. 4, tom. 9 Rer.
Ital.
[828] Annal. Mediol., tom. 16 Rer. Ital.
[829] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[830] Ferretus Vicentinus, lib. 4, tom. 9 Rer. Italic.
[831] Albertinus Mussat., Hist. Aug., tom. 8 Rer. Ital.
[832] Malvecius, Chronic. Brixian., tom. 14 Rer. Ital.
[833] Dino Compagni. Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[834] Corio, Istor. di Milano.
[835] Johannes de Cermenat., tom. 9 Rer. Italic.
[836] Albertinus Mussat., lib. 4, tom. 8 Rer. Ital.
[837] Johannes de Cermen., tom. 9 Rer. Ital.
[838] Gualv. Flamma, Manipul. Flor.
[839] Malvec., Chron. Brix., tom. 14 Rer. Ital.
[840] Georg. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giovanni
Villani. Albertinus Mussatus, et alii.
[841] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 18.
[842] Ferretus Vicentinus, tom. 9 Rer. Ital.
[843] Albertinus Mussatus, lib. 2 et 3, rub. 3, tom. 8 Rer. Ital.
[844] Cortus, Histor., lib. 1, tom. 12 Rer. Ital.
[845] Albertinus Mussat., lib. 3, rub. 8, tom. 8 Rer. Ital.
[846] Continuator Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[847] Marino Sanuto, tom. 21 Rer. Ital.
[848] Raynaldus, Annal. Eccles. Baluzius, in Vita Pontific.
Anno di CRISTO MCCCXII. Indizione X.
CLEMENTE V papa 8.
ARRIGO VII re 5, imperad. 1.
I lamenti de' Genovesi, e il non poter più l'Augusto Arrigo ricavar
da essi alcun sussidio di moneta, di cui troppo egli scarseggiava, gli
fecero prendere la risoluzion di passare durante il verno a Pisa. Per
terra non si potea, essendo serrati i passi dalla lega di Toscana.
Trenta galee adunque de' Genovesi e Pisani furono allestite affine
di condurre per mare lui, e la corte e gente sua[849]. Nel dì 16 di
febbraio imbarcatosi fu forzato dal mare grosso a fermarsi parecchi
dì in Porto Venere. Finalmente nel dì 6 di marzo sbarcò a Porto
Pisano, accolto con indicibil festa ed onore dal popolo di Pisa. Colà
concorsero a furia i Ghibellini fuorusciti di Toscana e di Romagna,
ed egli nella stessa città aspettò il rinforzo di gente che gli dovea
venir di Germania. Intanto recò qualche molestia ai Lucchesi ribelli,
con tor loro alcune castella. Ma quel che dava a lui più da pensare,
era che il _re Roberto_, fingendo prima di volere amicizia con lui,
gli avea anche spediti ambasciatori a Genova per intavolar seco un
trattato di concordia e di matrimonio; ma furono sì alte ed ingorde
le pretensioni di Roberto, che Arrigo non potè consentirvi. Dipoi
mandò esso re Roberto a Roma _Giovanni_ suo fratello con più di mille
cavalli, il quale prese possesso della Basilica Vaticana e di altre
fortezze di quella insigne non sua città. Volle intendere Arrigo le
di lui intenzioni. Gli fu risposto (credo io per beffarsi di lui)
esser egli venuto per onorar la coronazione d'Arrigo, e non per fine
cattivo. Ma intanto s'andò esso Giovanni sempre più ingrossando di
gente, e, fatto venire a Roma un rinforzo di soldati fiorentini, si unì
cogli Orsini ed altri Guelfi di Roma, e cominciò la guerra contra de'
Colonnesi ghibellini e fautori del futuro novello imperadore. Allora si
accertò Arrigo che l'invidia ed ambizione del re Roberto, non offeso
finora, nè minacciato da Arrigo, aveano mosse quelle armi contra di
lui per impedirgli il conseguimento della imperial corona. Tuttavia,
preso consiglio dal suo valore, ed, animato dai Colonnesi e da altri
Romani suoi fedeli che teneano il Laterano, il Coliseo ed altre
fortezze di Roma, nel dì 23 d'aprile s'inviò con due mila cavalieri
e grosse brigate di fanteria a quella volta. Arrivò a Viterbo, e per
più giorni quivi si fermò, perchè le genti del re Roberto aveano preso
e fortificato Ponte Molle. Nel qual tempo avendo tentato i Ghibellini
d'Orvieto di cacciare i Monaldeschi e gli altri Guelfi di quella città,
senza voler aspettare il soccorso di Arrigo, ebbero essi la peggio, e
furono spinti fuori di quella città. Finalmente rimessosi in viaggio
e superati gli oppositori a Ponte Molle, nel dì 7 di maggio entrò
in Roma con sue genti[850], e cominciò la guerra contro le milizie
del re Roberto con varii incontri ora prosperosi ed ora funesti de'
suoi. In uno d'essi lasciarono la vita _Teobaldo vescovo_ di Liegi e
_Pietro di Savoia_ fratello di _Lodovico_ senatore di Roma. Conoscendo
poi l'impossibilità di snidare dalla città leonina e dal Vaticano gli
armati spediti colà dal re Roberto, quasi per violenza a lui fatta dal
popolo romano, determinò di farsi coronare imperadore nella basilica
lateranense: funzione che fu solennemente eseguita nella festa de'
santi Apostoli Pietro e Paolo[851], cioè nel dì 29 di giugno, e non già
dica. Nè voglio tacere che i Ghibellini di Modena nel mese di luglio
cacciarono fuori di città quei da Sassuolo, da Ganaceto e i Grassoni,
tutti di fazione guelfa[817].
NOTE:
[799] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[800] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 113.
[801] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Bononiense, tom. 18
Rer. Ital. Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Italic.
[802] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[803] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[804] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 5.
[805] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[806] Chron. Astens., cap. 53, tom. 11 Rer. Ital.
[807] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[808] Chron. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[809] Johannes de Cermenat., cap. 10, tom. 9 Rer. Ital.
[810] Albertinus Mussatus, lib. 1, cap. 6.
[811] Chron. Astense, cap. 58, tom. 11 Rer. Ital.
[812] Corio, Istor. di Milano. Bonincon. Morigia, Chron. tom. 12 Rer.
Ital.
[813] Dino Compagni, tom. 9 Rer. Ital.
[814] Johan. de Cermenat., cap. 13, tom. 9 Rer. Ital.
[815] Gualvan. Flamma, cap. 349. Chron. Astense, cap. 39, tom. 11 Rer.
Ital.
Anno di CRISTO MCCCXI. Indizione IX.
CLEMENTE V papa 7.
ARRIGO VII re de' Romani 4.
Per la corona del regno d'Italia, che dovea darsi al _re Arrigo_,
tutte le città di Lombardia e della marca di Verona inviarono i loro
ambasciatori a Milano[818], a riserva di Alessandria, d'Alba e d'altri
luoghi in Piemonte, che riguardavano per loro signore _Roberto re_
di Napoli. Intanto s'erano già cominciati a veder preparamenti di
guerra contra dello stesso Arrigo. I Fiorentini, Lucchesi ed altri
di Toscana[819] aveano nell'anno precedente eletti gli ambasciatori,
per mandar a protestare l'ossequio loro al novello sovrano; ma
all'improvviso restò la spedizione, e, per lo contrario, si diede
quel popolo a far gente, e contrasse lega col medesimo re e colle
città guelfe, per opporsi a lui. Altrettanto fecero i Bolognesi,
attendendo specialmente in questo anno a fortificare e ben provvedere
la loro città. Non si potrà fallare, attribuendo queste risoluzioni ai
maneggi del re Roberto e de' suoi ministri, che non voleano lasciar
crescere la potenza di Arrigo, credendola di troppo pregiudizio ai
loro interessi. Si aggiunse, essere ben venuto in Italia il novello
re con belle proteste di voler mettere la pace dappertutto, ridurre
nelle loro patrie gli usciti, non avere parzialità nè per Guelfi, nè
per Ghibellini, e di voler conservare tutti i diritti e privilegii
di qualsisia città. E, di vero, opinione fu che sul principio fosse
pura tal sua intenzione. Non parve poi così nell'andare innanzi.
In un general parlamento volle che ogni città avesse un vicario
imperiale[820]. Già gli avea messi in Torino, Asti e Milano; ed essi
in luogo dei podestà eletti dai cittadini: il che fu uno sminuire di
molto la libertà di quei popoli. Ora nel dì 6 di gennaio esso re fu
colla _regina Margherita_ coronato in santo Ambrosio di Milano per
le mani dell'arcivescovo milanese _Gastone dalla Torre_. Pretesero il
popolo e i canonici della nobil terra di Monza che nella lor basilica
di san Giovanni Batista dovesse egli prendere la corona del ferro, che
essi per antico privilegio conservano nel loro sacrario, e nella quale
hanno da un secolo e mezzo in qua immaginato che si conservi uno dei
sacri chiodi della croce del Signore[821]: cosa ignorata ne' secoli
precedenti. Ma dovettero tanto industriarsi i Milanesi, che nella
suddetta basilica di santo Ambrosio seguì quella grandiosa funzione,
siccome altre volte s'era fatto[822], coll'aver nondimeno Arrigo, mercè
d'un suo diploma, preservato il diritto che potesse competere a Monza.
In tal congiuntura egli creò cavalieri circa dugento nobili di varie
città. Attese di poi a pacificare le città di Lombardia, e in molte di
esse mise i suoi vicarii, volendo che in ciascuna d'esse rientrassero
gli sbanditi, fossero guelfi o ghibellini. Mise in Modena[823] per
vicario Guidaloste dei Vercellesi da Pistoia, che v'introdusse tutti
i fuorusciti guelfi. L'ultimo a comparire alla corte fu _Matteo Maggi_
signore di Brescia, di fazion ghibellina[824], non già per poco affetto
al re, ma per timore di Tebaldo Brusato di fazion guelfa, bandito da
Brescia negli anni addietro, che, venuto a Milano, avea già guadagnato
nella corte di molti protettori. Il buon Arrigo, che mirava al sollievo
e bene di tutti, propose al Maggi di ricevere in Brescia Tebaldo. Il
Maggi allora disse quanto potè per far conoscere al re come Tebaldo
era il maggior perfido e mancator di parola che fosse al mondo, e
sfibbiò tutti i tradimenti da lui fatti, e le crudeltà da lui usate in
varii tempi. A nulla servì; il re stette saldo in dire che bisognava
perdonare, e convenne accomodarsi al di lui volere, con ricevere
Tebaldo e i suoi seguaci in Brescia[825]. Seguì pertanto uno strumento
di pace fra i Guelfi e Ghibellini di quella città; ed, avendo Matteo
Maggi rinunziata quella signoria, Arrigo mandò colà per suo vicario
Alberto da Castelbarco. Non andrà molto che ne vedremo gli effetti.
Diede esso re Arrigo per suo vicario a Milano Giovanni dalla Calcia
Franzese, uomo inetto, che neppure un mese durò in quel posto. Gli
sustituì Niccolò Bonsignore, un pezzo di mala carne, già bandito per
le sue ribalderie da Siena sua patria, che cominciò a maltrattare quel
popolo. Richiese il re un dono gratuito dai Milanesi, perchè era corto
di moneta. Fu proposto nel consiglio della città il quanto, e rimesso
in Guglielmo Posterla il tassarlo. Disse cinquanta mila fiorini d'oro.
Tutti consentivano, se non che Matteo Visconte soggiunse che gli parea
conveniente donarne anche dieci mila alla regina. Allora Guido dalla
Torre s'alzò in collera, riprovando il far così da liberale colla roba
altrui; e, nell'uscire del consiglio, disse: _E perchè non se ne danno
cento mila? questo numero è più perfetto_. Perciò i ministri del re
scrissero cento mila, e bisognò poi darli. E fin qui era durato il bel
sereno; ed Arrigo si figurava di aver data da padre la pace a tutte
le città di Lombardia, senza far distinzione tra Guelfo e Ghibellino;
ma non tardò ad intorbidarsi il cielo. Perchè Arrigo, sotto spezie
di onore, ma veramente per aver degli ostaggi, dimandò che cento
figliuoli de' nobili milanesi lo accompagnassero a Roma, si trovarono
molte difficoltà, ed insorsero sospetti di sedizione. Furono anche
veduti fuor d'una porta Franceschino figliuolo di Guido dalla Torre,
e Galeazzo figliuolo di Matteo Visconte, parlar lungamente insieme, e
toccarsi la mano nel congedarsi[826]. Fu riferito ad Arrigo, e fatto
credere che il Visconte ed il Torriano macchinassero contra la sua
real persona, ed avessero già fatta massa di gente. Però nel dì 12 di
febbraio egli mandò una squadra di cavalleria a visitar le case dei
nobili. Matteo Visconte, avutone l'avviso, col mantello indosso avanti
il suo palazzo li stette aspettando, ragionando intanto con alcuni
amici. Arrivati i Tedeschi, come se nulla sapesse, invitolli a bere,
e gl'introdusse in casa. Se n'andarono tutti contenti, e persuasi
della sua fedeltà. Non così fu al palazzo di Guido dalla Torre. Quivi
erano molti armati, quivi si cominciò un tumulto, e si venne alle mani
coi tedeschi. Trassero colà i parziali de' Torriani, e dall'altro
canto s'andarono ingrossando le truppe del re, il quale fu in gran
pena per questo, massimamente dappoichè gli fu riferito che anche
Matteo Visconte e Galeazzo suo figliuolo erano uniti coi Torriani. Ma
eccoti comparir Matteo col mantello alla corte; ecco da lì un pezzo un
messo, che assicurò Arrigo, come Galeazzo Visconte combatteva insieme
coi Tedeschi contra de' Torriani: il che tranquillò l'animo di sua
maestà. La conclusione fu, che i serragli e palagi dei Torriani furono
superati, dato il sacco alle lor ricche suppellettili, spogliate
anche tutte le case innocenti del vicinato. Guido dalla Torre e gli
altri suoi parenti, chi qua chi là fuggendo, si sottrassero al furor
dei Tedeschi, e se ne andarono in esilio, nè mai più ritornarono in
Milano. Non si seppe mai bene la verità di questo fatto. Fu detto che
i Torriani veramente aveano congiurato, e che nel dì seguente dovea
scoppiar la mina[827]. Ma i più credettero, e con fondamento, che
questa fosse una sottile orditura dello scaltro Matteo Visconte per
atterrare i Torriani, siccome gli venne fatto, con fingersi prima unito
ad essi, e con poscia abbandonarli nel bisogno. Nulladimeno, con tutto
che egli si facesse conoscer fedele in tal congiuntura ad Arrigo, da
lì ad alquanti dì l'invidia di molti grandi milanesi, ed il timore che
Matteo tornasse al principato, e si vendicasse di chi l'avea tradito
nell'anno 1302, cotanto poterono presso Arrigo, che Matteo fu mandato
a' confini ad Asti, e Galeazzo suo figliuolo a Trivigi. Poco nondimeno
stette Matteo in esilio. Il suo fedele amico Francesco da Garbagnate,
fatto conoscere al re che per fini torti aveano gl'invidiosi
allontanato da lui un sì savio consigliere[828], cagion fu che Arrigo
nel dì 7 d'aprile il richiamò e rimise in sua grazia.
Gran terrore diede alle città guelfe di Lombardia la caduta de'
Torriani guelfi. Lodi, Cremona e Brescia per questo alzarono le
bandiere contra d'Arrigo. Per confessione di Giovanni Villani,
i Fiorentini e Bolognesi con loro maneggi e danari soffiarono in
questo fuoco. Antonio da Fissiraga signore di Lodi corse colà; ma,
ritrovata quivi dell'impotenza a sostenersi per la poca provvision
di vettovaglia, tornò a Milano ad implorar la misericordia del re, e,
per mezzo della regina e di _Amedeo conte di Savoia_, l'ottenne. Mandò
Arrigo a prendere il possesso di quella città, e v'introdusse tutti i
fuorusciti; poscia nel dì 17 d'aprile coll'armata s'inviò alla volta
della ribellata Cremona. S'era imbarcato quel popolo senza biscotto;
e ciò per la prepotenza di _Guglielmo Cavalcabò_ capo della fazione
guelfa, il quale avea fatto sconsigliatamente un trattato col fallito
Guido dalla Torre. Sicchè, all'udire che il re veniva in persona con
tutte le sue forze e con quelle de' Milanesi contra di Cremona, se ne
fuggì. Sopramonte degli Amati, altro capo de' Ghibellini, uomo savio
e amante della patria, allora consigliò di gittarsi alla misericordia
del re. Venne egli coi principali della nobiltà e del popolo sino a
Paderno, dieci miglia lungi da Cremona; e tutti colle corde al collo,
inginocchiati sulla strada, allorchè arrivò Arrigo, con pietose voci
e lagrime implorarono il perdono. Era la clemenza una delle virtù
di questo re; ma se ne dimenticò egli questa volta, ed ebbe bene a
pentirsene col tempo. Comandò che ognun di loro fosse imprigionato e
mandato in varii luoghi, dove quasi tutti nelle carceri miseramente
terminarono dipoi i lor giorni. Fu questo un nulla. Arrivato a Cremona,
non volle entrarvi sotto il baldacchino preparato da' cittadini, fece
smantellar le mura, spianar le fosse, abbassar le torri della città. Da
lì ancora a qualche giorno impose una gravissima contribuzione di cento
mila fiorini d'oro, e fu dato il sacco all'infelice città[829], che
restò anche priva di tutti i suoi privilegii e diritti. Da qualsivoglia
saggio fu creduto che questi atti di crudeltà, sconvenevoli ad un re
fornito di tante virtù, pel terrore che diedero a tutti, rompessero
affatto il corso alla pace d'Italia ed alla fortuna d'Arrigo, addosso
a cui vennero poi le dure traversie che andremo accennando. Dacchè
per benignità e favore d'esso re rientrò in Brescia Tebaldo Brusato
cogli altri fuorusciti guelfi, andò costui pensando come esaltar la
sua fazione[830]. Nel dì 24 di febbraio, levato rumore, prese Matteo
Maggi, capo de' Ghibellini, con altri grandi di quella città, e si
fece proclamar signore, o almen capo della fazion guelfa, che restò
sola al dominio. Albertino Mussato[831] scrive che i Maggi furono i
primi a rompere la concordia, e che poi rimasero al disotto. Jacopo
Malvezzo[832] ed altri scrittori bresciani non la finiscono di esaltar
con lodi la persona di Tebaldo Brusato. Ma gli autori contemporanei ed
il fatto stesso ci vengono dicendo che egli fu un ingrato ai benefizii
ricevuti dal re Arrigo, e un traditore, avendo egli scacciato il di
lui vicario, e fatta ribellare contra di lui quella città, in cui la
real clemenza, di bandito e ramingo ch'egli era, l'avea rimesso. Dopo
avere il re tentato, col mandare innanzi _Valerano_ suo fratello, se i
Bresciani si voleano umiliare, e trovato che no[833], tutto sdegno nel
mese di maggio mosse l'armata contra di quella città, e n'intraprese
l'assedio. Fu parere del Villani, che s'egli, dopo la presa di Cremona,
continuava il viaggio, Bologna, Firenze e la Toscana tutta veniva
facilmente all'ubbidienza sua. A quell'assedio furono chiamate le
milizie delle città lombarde. Spezialmente vi comparve la cavalleria e
fanteria milanese. _Giberto da Correggio_, oltre all'aver condotto colà
la milizia di Parma, donò ad Arrigo la corona di _Federigo II_ Augusto,
presa allorchè quell'imperadore fu rotto sotto Parma. Per questo
egli, se crediamo al Corio[834], ottenne il vicariato di quella città.
Albertino Mussato scrive che quivi fu messo per vicario un Malaspina.
Nulla mi fermerò io a descrivere gli avvenimenti del famoso assedio
di Brescia. Basterammi di dire che la città era forte per mura e per
torri, ma più per la bravura de' cittadini, i quali per più di quattro
mesi renderono inutili tutti gli assalti e le macchine dell'esercito
nemico. Circa la metà di giugno, in una sortita restò prigion de'
Tedeschi l'indefesso Tebaldo Brusato, e coll'essere strascinato
e squartato pagò la pena dei suoi misfatti. Infierirono perciò i
Bresciani contra dei prigioni tedeschi, e si accesero maggiormente ad
un'ostinata difesa. In un incontro anche _Valerano_ fratello del re,
mortalmente ferito, cessò di vivere.
Per tali successi era forte scontento il re Arrigo. L'onor suo non gli
permettea di ritirarsi; ed intanto maniera non si vedea di vincere la
nemica città. Mancava il danaro per la sussistenza dell'armata; e il
peggio fu, che in essa entrò una fiera epidemia, ossia la peste vera,
che facea grande strage[835]. Dio portò al campo tre cardinali legati
spediti dal papa per coronare in Roma, e sollecitar per questo il re
Arrigo, cioè i _vescovi d'Ostia_ e _d'Albano_, e _Luca dal Fiesco_.
Questi mossero parola di perdono e di pace. Entrò il Fiesco col
patriarca d'Aquileia in Brescia, e trovò delle durezze. Vi ritornò,
e finalmente conchiuse l'accordo. Fu in salvo la vita e la roba dei
cittadini, e si scaricò sopra le mura della città il gastigo della
ribellione, le quali furono smantellate, e per esse entrò Arrigo nella
città nel dì 24 di settembre, seco menando i fuorusciti. Oltre a ciò,
settanta mila fiorini d'oro volle da quel popolo, con altri aggravii,
per quanto scrive il Malvezzi, e lo conferma Ferreto Vicentino, contro
le promesse fatte al cardinale dal Fiesco. Da Brescia passò a Cremona,
indi a Piacenza, dove lasciò un vicario[836], rimanendo deluso _Alberto
Scotto_, il quale poco dopo ricominciò le ostilità contro la patria.
Trasferitosi a Pavia, quivi si trovarono per la peste calata a tal
segno le sue soldatesche, che _Filippone da Langusco_, non più signore
di quella città, avrebbe potuto assassinarlo, se il mal talento gliene
fosse venuto. E ne corse anche il sospetto; perlochè portossi colà
_Matteo Visconte_ con possente corpo di Milanesi; ma Filippone gli
chiuse le porte in faccia. Matteo, dico, il quale, stando Arrigo sotto
Brescia, non tralasciò ossequio e diligenza veruna per assisterlo con
gente, danari e vettovaglie; laonde meritò d'essere creato vicario
di Milano, e di poter accudire da lì innanzi all'esaltazione della
propria casa. In Pavia mancò di vita, per le malattie contratte
all'assedio di Brescia, il valoroso _Guido conte di Fiandra_. E quivi,
a persuasione di _Amedeo conte di Savoia_, Arrigo dichiarò vicario di
Pavia, Vercelli, Novara e Piemonte _Filippo di Savoia_, principe allora
solamente di titolo della Morea. Scrive Giovanni da Cermenate[837], e
con lui va d'accordo Galvano Fiamma[838] col Malvezzi[839], che questo
principe, unitosi dipoi con Filippone di Langusco e cogli altri Guelfi,
fece ribellar quelle città, ed altre ancora al re suo benefattore.
Nel dì 21 d'ottobre arrivò Arrigo a Genova, accolto da quel popolo
con sommo onore; ed avuta che ebbe la signoria della città, si
studiò di metter pace fra que' di lor natura alteri, ed allora troppo
discordanti, cittadini, e rimise in città Obizzino Spinola con tutti i
fuorusciti[840]. Ma quivi nel dì 13 di dicembre da immatura morte fu
rapita la regal sua moglie _Margherita_ di Brabante, principessa per
le sue rare virtù degna di più lunga vita. Intanto si scoprirono suoi
palesi nemici i Fiorentini, Lucchesi, Perugini, Sanesi ed altri popoli
di Toscana, i quali, sommossi ed assistiti dal _re Roberto_, fatto
grande armamento, presero i passi della Lunigiana, per impedirgli il
viaggio per terra. Erano all'incontro per lui gli Aretini e Pisani; i
quali ultimi mandarono a Genova una solenne ambasceria ad invitarlo,
con fargli il dono di una sì magnifica tenda militare, che sotto vi
poteano stare dieci mila persone. Lo scrive Albertino Mussato; e chi
non vuol credere sì smisurata cosa dazio non pagherà. Per più di due
mesi si fermò in Genova il re Arrigo, nè si può negare che tendeva
il suo buon volere a ricuperare bensì i diritti molto scaduti del
romano imperio; ma insieme, se avesse potuto, a rimettere la quiete
in ogni città, e ad abolir le matte e sanguinarie fazioni de' Guelfi e
Ghibellini. Tutto il contrario avvenne. La venuta sua mise in maggior
moto gli animi alterati e divisi de' popoli.
_Giberto da Correggio_, guadagnato e soccorso da' Fiorentini e
Bolognesi, mosse a ribellione Parma e Reggio. In Cremona fu una
sedizione non picciola, e ne fu cacciato il ministro del re. _Filippone
da Langusco_ insorse in Pavia contra dei Beccheria ed altri Ghibellini,
e, col favore di _Filippo di Savoia_, li scacciò. Lo stesso accadde
ai Ghibellini d'Asti, Novara e Vercelli. Anche in Brescia ed in altre
città furono tumulti e sedizioni. In Romagna altresì il vicario del re
Roberto mise le mani addosso ai capi dei Ghibellini di Imola, Faenza,
Forlì e d'altri luoghi, e sbandì la loro fazione[841]. Pesaro e Fano,
città ribellate al papa, furono ricuperate dal marchese d'Ancona[842].
In Mantova volle il re Arrigo che tornassero gli sbanditi guelfi, e
quivi pose per vicario Lappo Farinata degli liberti. Ma _Passerino_ e
_Butirone de' Bonacossi_, dianzi padroni della città, presero un giorno
l'armi col popolo, e costrinsero que' miseri a tornarsene in esilio,
senza rispetto alcuno al vicario regio. Era l'Augusto Arrigo in gran
bisogno di moneta. Una buona offerta gli fu fatta da essi Bonacossi,
ed ottennero con ciò il privilegio di vicarii imperiali di Mantova. Di
questo potente strumento seppe ben valersi anche _Ricciardo da Camino_
per impetrare il vicariato di Trivigi. E per la stessa via parimente
giunsero _Alboino_ e _Cane dalla Scala_ fratelli ad ottener quello di
Verona. Nè qui si fermò l'industria loro. In questi tempi la città
di Padova per la goduta lunga pace[843], e perchè dominava anche in
Vicenza, si trovava in un invidiabile stato per le ricchezze e per la
cresciuta popolazione. Questa grassezza, secondo il solito, serviva
di eccitamento e fomento all'alterigia de' cittadini, in guisa che,
avendo il re Arrigo fatto lor sapere di voler inviare colà un vicario,
e richiesti sessanta mila fiorini d'oro per la sua coronazione, quel
popolo se ne irritò forte; e, a suggestione ancora de' Bolognesi
e Fiorentini, negò di ubbidire, e proruppe inoltre in parole di
ribellione. Cane dalla Scala, siccome quegli che già aspirava a gran
cose, conosciuta anche la disposizion de' Vicentini, che pretendeano
d'essere maltrattati dagli uffiziali padovani, e s'erano invogliati di
mettersi in libertà, prese il tempo, e consigliò ad Arrigo di gastigar
l'arroganza di Padova con levarle Vicenza. Ebbe effetto la mina. Cane
accompagnato da _Aimone vescovo_ di Genevra, e colle milizie di Verona
e Mantova[844], nel dì 15 d'aprile (e non già di marzo, come ha lo
scorretto testo di Ferreto Vicentino) entrò in quella città, e ne
cacciò il presidio padovano. I Vicentini, che si credeano di ricoverar
la libertà, non solamente caddero sotto un più pesante giogo, ma
piansero il saccheggio della loro città per iniquità di Cane, che non
attenne i patti. Calò allora l'albagia del popolo padovano; cercò poi
accordo, e l'ottenne, ma con suo notabile svantaggio; perchè, oltre
all'avere ricevuto per vicario imperiale Gherardo da Enzola da Parma,
in vece di sessanta, dovette pagare cento mila fiorini d'oro alla cassa
del re.
Morì in quest'anno _Alboino dalla Scala_, e restò solo _Can Grande_ suo
fratello nella signoria di Verona, con tener anche il piede in Vicenza.
Tale era allora lo stato, ma fluttuante, della Lombardia e dell'Italia.
I soli Veneziani si stavano in pace, osservando senza muoversi
le commozioni altrui. Aveano spediti ad Arrigo, subito ch'egli fu
giunto in Italia, i loro ambasciatori con regali, a titolo non già di
suggezione, ma d'amicizia, e con ordine di non baciargli il piede[845].
Venne poscia in quest'anno a Venezia il vescovo di Genevra ambasciatore
d'Arrigo; ma non dimandò a quel popolo nè fedeltà nè ubbidienza.
Terminò i suoi giorni in quest'anno appunto[846] _Pietro Gradenigo_
doge di Venezia, e nel dì 22 d'agosto (il Sanuto[847] scrive nel dì 13)
fu surrogato in suo luogo _Marino Giorgi_, assai vecchio, che poco più
di dieci mesi tenne quel governo. Sotto Brescia, siccome accennammo,
cominciò ad infierir la peste nell'armata regale, e si diffuse poi
per varie città. Ne restò spopolala Piacenza, Brescia, Pavia, ed altri
popoli empierono i lor cimiterii. Portò il re Arrigo colle sue genti a
Genova questo malore, e però quivi fu gran mortalità. Diede principio
papa _Clemente V_[848] nell'ottobre di quest'anno al concilio generale
in Vienna del Delfinato, al quale intervennero circa trecento vescovi.
Era riuscito alla saggia destrezza d'esso pontefice e de' cardinali
il far desistere _Filippo il Bello re_ di Francia dal proseguir le
calunniose accuse contro la memoria di _papa Bonifazio VIII_. Nel
concilio si avea da trattare, ma poco si trattò de' tanti abusi che
allora si osservavano nel clero e nella stessa corte pontificia,
massimamente in riguardo alla collazion de' benefizii e alla simonia:
intorno a che restano varie memorie e scritture di quei tempi, che io
tralascio, rimettendo i lettori alla storia ecclesiastica, dove se ne
parla _ex professo_.
NOTE:
[816] Ptolom. Lucensis, in Vita Clementis V.
[817] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[818] Albertinus Mussatus, lib. 1, tom. 8 Rer. Ital.
[819] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 7.
[820] Gazata, Chronic. Regiense, tom. 18 Rer. Italic.
[821] Murat., Anecdot. Latin., tom. 2.
[822] Bonincontrus Morigia, Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[823] Bonif. Moranus, Chron. Mutinens., tom. 11 Rer. Ital.
[824] Johann. de Cermenate, cap. 18, tom. 9 Rer. Italic.
[825] Malvec., Chron. Brixian., tom. 14 Rer. Italic.
[826] Bonicontrus Morigia, tom. 12 Rer. Ital. Johannes de Cermen.,
tom. 9 Rer. Ital. Albertinus Mussatus, tom. 8 Rer. Ital. Ferretus
Vicentinus, tom. 9 Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer.
Ital.
[827] Johann. de Cermenate, cap. 22, tom. 9 Rer. Ital. Giovanni
Villani, lib. 9, cap. 11. Ferretus Vicentinus, lib. 4, tom. 9 Rer.
Ital.
[828] Annal. Mediol., tom. 16 Rer. Ital.
[829] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[830] Ferretus Vicentinus, lib. 4, tom. 9 Rer. Italic.
[831] Albertinus Mussat., Hist. Aug., tom. 8 Rer. Ital.
[832] Malvecius, Chronic. Brixian., tom. 14 Rer. Ital.
[833] Dino Compagni. Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[834] Corio, Istor. di Milano.
[835] Johannes de Cermenat., tom. 9 Rer. Italic.
[836] Albertinus Mussat., lib. 4, tom. 8 Rer. Ital.
[837] Johannes de Cermen., tom. 9 Rer. Ital.
[838] Gualv. Flamma, Manipul. Flor.
[839] Malvec., Chron. Brix., tom. 14 Rer. Ital.
[840] Georg. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giovanni
Villani. Albertinus Mussatus, et alii.
[841] Giovanni Villani, lib. 9, cap. 18.
[842] Ferretus Vicentinus, tom. 9 Rer. Ital.
[843] Albertinus Mussatus, lib. 2 et 3, rub. 3, tom. 8 Rer. Ital.
[844] Cortus, Histor., lib. 1, tom. 12 Rer. Ital.
[845] Albertinus Mussat., lib. 3, rub. 8, tom. 8 Rer. Ital.
[846] Continuator Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[847] Marino Sanuto, tom. 21 Rer. Ital.
[848] Raynaldus, Annal. Eccles. Baluzius, in Vita Pontific.
Anno di CRISTO MCCCXII. Indizione X.
CLEMENTE V papa 8.
ARRIGO VII re 5, imperad. 1.
I lamenti de' Genovesi, e il non poter più l'Augusto Arrigo ricavar
da essi alcun sussidio di moneta, di cui troppo egli scarseggiava, gli
fecero prendere la risoluzion di passare durante il verno a Pisa. Per
terra non si potea, essendo serrati i passi dalla lega di Toscana.
Trenta galee adunque de' Genovesi e Pisani furono allestite affine
di condurre per mare lui, e la corte e gente sua[849]. Nel dì 16 di
febbraio imbarcatosi fu forzato dal mare grosso a fermarsi parecchi
dì in Porto Venere. Finalmente nel dì 6 di marzo sbarcò a Porto
Pisano, accolto con indicibil festa ed onore dal popolo di Pisa. Colà
concorsero a furia i Ghibellini fuorusciti di Toscana e di Romagna,
ed egli nella stessa città aspettò il rinforzo di gente che gli dovea
venir di Germania. Intanto recò qualche molestia ai Lucchesi ribelli,
con tor loro alcune castella. Ma quel che dava a lui più da pensare,
era che il _re Roberto_, fingendo prima di volere amicizia con lui,
gli avea anche spediti ambasciatori a Genova per intavolar seco un
trattato di concordia e di matrimonio; ma furono sì alte ed ingorde
le pretensioni di Roberto, che Arrigo non potè consentirvi. Dipoi
mandò esso re Roberto a Roma _Giovanni_ suo fratello con più di mille
cavalli, il quale prese possesso della Basilica Vaticana e di altre
fortezze di quella insigne non sua città. Volle intendere Arrigo le
di lui intenzioni. Gli fu risposto (credo io per beffarsi di lui)
esser egli venuto per onorar la coronazione d'Arrigo, e non per fine
cattivo. Ma intanto s'andò esso Giovanni sempre più ingrossando di
gente, e, fatto venire a Roma un rinforzo di soldati fiorentini, si unì
cogli Orsini ed altri Guelfi di Roma, e cominciò la guerra contra de'
Colonnesi ghibellini e fautori del futuro novello imperadore. Allora si
accertò Arrigo che l'invidia ed ambizione del re Roberto, non offeso
finora, nè minacciato da Arrigo, aveano mosse quelle armi contra di
lui per impedirgli il conseguimento della imperial corona. Tuttavia,
preso consiglio dal suo valore, ed, animato dai Colonnesi e da altri
Romani suoi fedeli che teneano il Laterano, il Coliseo ed altre
fortezze di Roma, nel dì 23 d'aprile s'inviò con due mila cavalieri
e grosse brigate di fanteria a quella volta. Arrivò a Viterbo, e per
più giorni quivi si fermò, perchè le genti del re Roberto aveano preso
e fortificato Ponte Molle. Nel qual tempo avendo tentato i Ghibellini
d'Orvieto di cacciare i Monaldeschi e gli altri Guelfi di quella città,
senza voler aspettare il soccorso di Arrigo, ebbero essi la peggio, e
furono spinti fuori di quella città. Finalmente rimessosi in viaggio
e superati gli oppositori a Ponte Molle, nel dì 7 di maggio entrò
in Roma con sue genti[850], e cominciò la guerra contro le milizie
del re Roberto con varii incontri ora prosperosi ed ora funesti de'
suoi. In uno d'essi lasciarono la vita _Teobaldo vescovo_ di Liegi e
_Pietro di Savoia_ fratello di _Lodovico_ senatore di Roma. Conoscendo
poi l'impossibilità di snidare dalla città leonina e dal Vaticano gli
armati spediti colà dal re Roberto, quasi per violenza a lui fatta dal
popolo romano, determinò di farsi coronare imperadore nella basilica
lateranense: funzione che fu solennemente eseguita nella festa de'
santi Apostoli Pietro e Paolo[851], cioè nel dì 29 di giugno, e non già
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