Annali d'Italia, vol. 5 - 22
casa d'Este[752]. A tradimento tolsero loro i Bolognesi la terra di
Nonantola; e l'arciprete de' Guidoni (dal Morani è detto de' Guidotti,
siccome ancora dal Gazata[753]) occupò l'altra del Finale. Inoltre
menavano essi Bolognesi un trattato coi Guelfi modenesi d'impadronirsi
della città di Modena, e vennero coll'esercito fino a Spilamberto. Ma
scoperto il macchinato tradimento verso la festa di Pasqua, furono in
armi le due interne fazioni, e riuscì a quei di Sassuolo, da Livizzano,
da Ganaceto e ai Grassoni, tutti Ghibellini, di superare e cacciar
fuori di città i Savignani, Rangoni, Boschetti, Guidoni, Pedrezzani
ed altri Guelfi. L'autore della Cronica di Parma, vivente in questi
tempi, fa qui un brutto elogio di Modena, con dire che essa[754]
_semper fuit in his partibus Lombardiae exordium motionum, et novitatum
origo, ex antiguis odiis partium, scilicet guelfae et ghibellinae_:
quasi che anche tant'altre città di Lombardia, Toscana, Romagna, ec.
non fossero infette del medesimo morbo. Furono parimente non pochi
rumori nel mese di marzo in Parma, dove s'era tramata una congiura per
torre la signoria a _Giberto da Correggio_. Molti perciò furono presi
e tormentati, ed altri, sì nobili che plebei, mandati ai confini.
Scoprissi ancora nel mese di giugno un nuovo trattato contra d'esso
Giberto; ed altri ne fuggirono, o furono confinati. Più strepito ancora
fecero in questi tempi le rivoluzioni di Piacenza. _Alberto Scotto_
cogli altri usciti di quella città, e con gli usciti di Parma ed altri
amici[755], dopo aver data una rotta ai Piacentini a Roncaruolo, entrò
in castello Arquato, e in Fiorenzuola nella vigilia di san Jacopo. Nel
dì seguente cavalcò alla volta di Piacenza, e gli fu data una porta, e
però con tutti i suoi liberamente v'entrò. Ne fuggirono tutti i suoi
avversarii, cioè Ubertino Lando, i Pelavicini, Anguissoli ed altre
nobili famiglie ghibelline, e si ridussero in Bobbio. In tali occasioni
compassionevole spettacolo era il veder anche le nobili donne coi loro
figliuolini andarsene raminghe in esilio, e il mirar saccheggiate
ed atterrate le case loro. Diedero poi essi fuorusciti una rotta ai
Piacentini dominanti al luogo di Pigazzano. Questo avvenimento, secondo
la Cronica di Piacenza, fece risolvere, sul fine dell'anno, quel
popolo a prendere per due anni in suo capitano, difensore e signore
Guido dalla Torre, poco prima divenuto signor di Milano, il quale
mandò colà per podestà Passerino dalla Torre. Guerra grande fatta fu
in quest'anno dai Mantovani, Veronesi, Bresciani e Parmigiani[756] al
comune di Cremona. Perchè tanti si unissero contra de' Cremonesi, non
l'accennano le storie. Probabilmente fu perchè essi si governavano
a parte ghibellina, e Guelfi erano i cremonesi. In aiuto di Cremona
mandò il comune di Milano[757] due mila fanti con molta cavalleria
nel dì 24 d'agosto: nel qual tempo i Mantovani con grosso naviglio per
Po, secondati da tutte le forze de' Parmigiani, entrati nel distretto
cremonese, presero e diedero alle fiamme il ponte di Dosolo, Montesoro,
Viadana, Portiolo, Casalmaggiore, Rivaruolo, Luzzara, Pomponesco
ed altri luoghi. A Giberto da Correggio signor di Parma si arrendè
Guastalla, ed egli ne fece spianar le fosse ed atterrar tutte le
fortificazioni. Da gran tempo era Guastalla de' Cremonesi, e di qua
apparisce fin dove si stendeva allora la giurisdizion di Cremona. I
Veronesi dal canto loro presero e distrussero la terra di Piadena.
Ed i Bresciani andarono a Rebecco, ed arrivarono sino alle porte di
Cremona saccheggiando e bruciando dappertutto. Chi non dirà forsennati
gli Italiani d'allora sempre inquieti, sempre torbidi, sempre rivolti
a distruggersi l'un l'altro, disuniti in casa, e talvolta uniti co'
vicini solamente per portare ad altri la rovina e la morte? Si rinnovò
poi questo flagello anche nel settembre, con essere ritornati questi
popoli ai danni del Cremonese. Vennero anche i Milanesi, Piacentini,
Lodigiani e Pavesi con tutte le lor forze sino a Borgo San Donnino, e
diedero il guasto a quei contorni, a e Soragna e ad altri luoghi. In
favor di Cremona uscì ancora _Azzo marchese _d'Este co' Ferraresi[758],
e con un buon corpo di Catalani a lui inviati dal _re Carlo II_ suocero
suo, menando un copioso e possente naviglio per Po, col disegno di
mettere l'assedio ad Ostiglia, terra allora de' Veronesi; ma quel
presidio, senza volerlo aspettare, attaccò il fuoco alla terra, e
se n'andò. Di là passò il marchese estense ad assalir Serravalle
dei Mantovani; lo prese per forza, e ne tagliò il ponte, con poscia
dirupare il castello, le torri e fortezze di quella terra. Ed allora
fu ch'egli soggiogò tutte le navi armate de' Mantovani e Veronesi;
fra le quali erano sei grosse galee, ed altre barche incastellate
con battifredi da due ponti; e tutte con gran bottino le condusse a
Ferrara.
_Teodoro marchese_ di Monferrato coll'aiuto di _Filippone conte_ di
Langusco e signor di Pavia, suo cognato[759], ricuperò in quest'anno
la terra di Luy. Ma Rinaldo da Leto, siniscalco del re _Carlo II_,
con _Filippo di Savoia_ e _Giorgio marchese_ di Ceva, ammassato un
buon esercito, uscì in campo nel mese d'agosto contra di lui. Il conte
di Langusco, dopo aver fatto ritirare Teodoro in luogo sicuro, andò,
benchè inferiore di forze, arditamente ad azzuffarsi coi nemici,
ed aspra fu la battaglia. Ma sbaragliati rimasero i Monferrini
e Pavesi; e Filippone, fatto prigione, fu inviato al re Carlo,
dimorante in Marsilia, che gli diede per carcere un castello della
Provenza. _Obizzino Spinola_, capitano allora di Genova, e suocero
d'esso Filippone e del marchese Teodoro, con promettere ad esso re
il soccorso di un grande stuolo di galee genovesi per ricuperar la
Sicilia, ottenne, dopo sei mesi, la libertà di esso suo genero. Fece
anche cedere a sè stesso ogni pretensione che potesse avere il re
sopra il Monferrato. Inoltre impetrò la restituzion delle terre di
Moncalvo e Vignale, occupate al Monferrato, le quali egli ritenne per
sè senza renderle al genero marchese Teodoro. Mancarono di vita in
quest'anno nella città di Milano[760] Mosca e Martino dalla Torre.
Capo di quella casa restò _Guido_ figliuolo di Francesco. Questi nel
dì 17 di settembre nel pieno consiglio fu eletto capitano del popolo
per un anno: il che vuol dire signore. E in questa cronologia sembra
più fedele ed esatto il Corio storico milanese, che Galvano Fiamma
e l'autor degli Annali di Milano. Consultò il primo migliori memorie
che gli altri. Da lì a non molto, siccome ho detto, anche i Piacentini
presero esso Guido per lor capitano. Passò in quest'anno dalla Romagna
ad Arezzo il _cardinal Napoleone_ degli Orsini, legato pontificio[761],
e siccome disgustato dei Fiorentini che non voleano prestargli
ubbidienza alcuna, cominciò a fare una gran raunata di gente, tanto
di terra di Roma, del ducato di Spoleti, della marca d'Ancona, quanto
della Romagna e dei Ghibellini di Toscana. I Fiorentini, che vedeano
prepararsi questo nuvolo contra di loro, nol vollero aspettare; e
richiesti gli amici, misero insieme un'armata dì quindici mila fanti
e tre mila cavalli, e con essa entrarono nel contado d'Arezzo, facendo
ivi que' buoni trattamenti che solea far la guerra di que' tempi. Per
consiglio dei saggi, uscì d'Arezzo il cardinale, facendo vista di andar
pel Casentino alla volta di Firenze. Allora i Fiorentini, per timore
che egli avesse delle intelligenze nella loro città, disordinatamente
alzarono il campo, e chi più potea si affrettò per correre a Firenze.
Se il cardinale era ben avvertito, li potea con facilità mettere in
isconfitta. Andò egli poscia a Chiusi, e mandò innanzi e indietro
ambasciate a' Fiorentini per ridurre gli usciti in Firenze[762]; ma
nulla potè ottenere; di modo che, vedendo scemato il suo credito e
potere, e sè stesso anche dileggiato, se ne tornò assai malcontento
di là da' monti ad informar la corte pontificia della sua fallita
legazione, che gli fu anche levata: tante furono le segrete cabale de'
Fiorentini nella corte papale. Volle in quest'anno _Malatestino dei
Malatesti_ tentare di ricuperar Bertinoro[763], e ne avea già ordito
il tradimento con Alberguccio de' Mainardi. V'andò nel dì 6 d'agosto
con parte della milizia di Rimini e con tutta quella di Cesena, ed ebbe
una parte della terra, ma non il girone e la torre. Portatone l'avviso
a Forlì, _Scarpetta degli Ordelaffi_, capitano di quella città, marciò
in fretta con tutta la soldatesca, diede loro battaglia e li sconfisse.
Si rifugiò parte de' Riminesi e Cesenati nel castello; ma da lì a due
giorni, per difetto di vettovaglia, furono costretti a rendersi. Quasi
due mila persone restarono prigioniere, e andarono a far penitenza
nelle carceri di Forlì. Anche i Bolognesi fecero guerra a Faenza ed
Imola[764], e s'impadronirono del castello di Lugo. In Roma si attaccò
il fuoco alla sacra basilica lateranense, e tutta la bruciò, insieme
colle case dei canonici: disgrazia che recò sommo dolore al popolo
romano, e fu presa per presagio delle calamità che avvennero. Ma non
passarono molti anni, che unitisi i buoni di Roma, uomini e donne, ed
aiutati anche dal papa, la rifecero come prima[765]. Erano già più
anni che Dulcino, nato in Val d'Ossela, diocesi di Novara, eretico
della setta de' Catari ossieno Gazzeri, specie di Manichei[766], andava
infettando la Lombardia co' suoi perversi errori. Si ridusse costui in
una montagna del Vercellese co' suoi seguaci in numero di circa mille
e trecento, dove, per mantenersi quella canaglia, altro ripiego non
avea che di saccheggiare le ville vicine. Predicata contra di essi la
crociata, furono essi assediati in quel monte, e finalmente nel dì 23
di marzo dell'anno presente obbligati per la fame a rendersi. Dulcino
colla moglie Margherita ed altri pochi, senza volersi mai ravvedere,
furono bruciati vivi: con che estirpata rimase la pestilente sua setta.
NOTE:
[746] Raynald., in Annal. Eccl.
[747] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 91.
[748] Ferretus Vicentinus, lib. 3, tom. 9 Rer. Ital.
[749] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 92.
[750] Guillel. Ventura, Chron. Astense, cap. 27, tom. 11 Rer. Ital.
[751] S. Anton., P. III, tit. 21, Istor. Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital.,
pag. 518.
[752] Annales Veteres Mutinenses, tom. 11 Rer. Ital. Chron. Bononiense,
tom. 18 Rer. Ital. Annal. Estenses, tom. 15 Rer. Italic.
[753] Gazata, Chronic. Regiense, tom. 18 Rer. Italic.
[754] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[755] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[756] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[757] Corio, Istor. di Milano.
[758] Annales Estenses, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Parmense, tom. 9 Rer.
Ital.
[759] Chron. Astense, cap. 44, tom. 11 Rer. Ital.
[760] Corio, Istoria di Milano.
[761] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 89.
[762] Dino Compagni, Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[763] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCVIII. Indizione VI.
CLEMENTE V papa 4.
ARRIGO VI, detto VII, re dei Romani 1.
Succedette nel primo dì di maggio di quest'anno la morte funesta
di _Alberto Austriaco_ re de' Romani[767]. Grande odio gli portava
Giovanni figliuolo di un suo fratello primogenito, pretendendosi
gravato da lui, perchè gli negava una parte, nonchè il tutto, degli
Stati dovuti a lui per le ragioni del padre. Partitosi da Baden il
re Alberto, nel passare il fiume Orsa, fu assalito dal nipote con
una mano di sicarii, e trafitto da più spade, quivi lasciò la vita.
Restarono di lui più figliuoli, il primogenito de' quali _Federigo_ fu
duca d'Austria e signore d'altri Stati spettanti a quella nobilissima
casa. Trattossi dipoi di eleggere il successore; ed uno di quei che più
vi aspiravano, fu lo stesso duca Federigo. Ma insorta gran discordia
fra gli elettori, si mise allora in pensiero _Filippo il Bello_ re
di Francia di far cadere quella corona in capo a Carlo di Valois suo
fratello, che ne avea già avuto promessa da _papa Bonifazio VIII_[768].
Fu perciò risoluto nel suo consiglio di preparar un'armata per entrare
in Germania, e dar calore alla dimanda coll'efficace raccomandazione
dell'armi, e intanto di procurar anche i premurosi ufficii pel papa.
Penetrò la corte pontificia questi disegni non senza affanno del
pontefice, il quale, se s'ha a credere a Giovanni Villani, richiese
del suo parere l'accortissimo _cardinale Niccolò da Prato_. Questi
il consigliò di scrivere immediatamente agli elettori dell'imperio,
ordinando che senza dilazione procedessero all'elezione, con suggerir
loro ancora che _Arrigo conte_ di Lucemburgo, principe pio, savio e
ornato d'altre belle doti, pareva a lui il più a proposito pel romano
imperio. Camminò la faccenda come avea divisato il papa col cardinale.
Arrigo fu eletto quasi a voti pieni re dei Romani nel dì di santa
Caterina[769], e poi pubblicata l'elezion sua nel dì 27 di novembre,
e non già nell'Ognissanti, o in altro giorno, come alcuni lasciarono
scritto. Meraviglia recò ad ognuno l'udire preferito a tanti altri
potenti principi Arrigo, principe di nobile schiatta bensì, ma di pochi
Stati provveduto. Secondo il Villani, corse subito la nuova di questa
inaspettata elezione alla corte del re di Francia, mentre egli si
apparecchiava per andare al papa, affine di averlo favorevole in questo
affare; ed accortosi che Clemente V vi aveva avuta mano per escludere
Carlo suo fratello, da lì innanzi non fu più suo amico. Ma non si sa
intendere come il re Filippo dal dì primo di maggio, in cui tolto fu
dal mondo il re Alberto, sino al dì 25 o 27 di novembre, giorno nel
quale si pubblicò L'elezione di Arrigo, tardasse tanto, giacchè ardea
di voglia di quella corona, ad impegnare gli uffizii del pontefice in
favor del fratello. Sembra ben più probabile che se li procacciasse
per tempo, ma che restasse burlato con altre segrete insinuazioni
fatte fare dal medesimo Clemente. Furono poi spediti da esso Arrigo
solenni ambasciatori al papa, cioè i vescovi di Basilea e di Coira,_
Amedeo conte_ di Savoia _Guido conte_ di Fiandra, _Giovanni Delfino_
di Vienna, ed altri baroni[770], per ottenere il consenso pontificio:
il che fu facilmente conceduto. Tale ambasceria vien dai più riferita
all'anno seguente, ma dovette precederne un'altra almeno, certo essendo
che Arrigo fu coronato in Aquisgrana nell'Epifania dell'anno seguente,
e ciò non par fatto senza la precedente approvazione del papa. Fu
questo _Arrigo_ il _sesto_ fra gl'imperadori, ma comunemente vien
chiamato _Arrigo settimo_, perchè tale nell'ordine dei re di Germania
di tal nome.
Cadde infermo in quest'anno ancora _Azzo VIII marchese_ d'Este, signor
di Ferrara, Rovigo e d'altri Stati, ed anche conte d'Andria nel regno
di Napoli[771]. Fecesi portare ad Este, sperando miglioramento da
quell'aria salubre; e furono a visitarlo, e a far pace con lui i
suoi due fratelli _Francesco_ e _Aldrovandino marchesi_. Ma quivi
nell'ultimo dì di gennaio finì di vivere. Questo principe d'alte idee,
ma d'idee mal condotte, dopo aver vivente recati notabili danni alla
sua casa coll'aver perdute le città di Modena e di Reggio, ben peggio
fece morendo, perchè lasciò suo successore nel dominio di Ferrara
e degli altri suoi Stati Folco, figliuolo legittimo di Fresco suo
figliuolo bastardo, con escludere i Suoi legittimi fratelli Francesco
ed Aldrovandino, e i figliuoli di quest'ultimo. La Cronica Estense[772]
ha, ch'egli ritrattò un sì fatto testamento; ma certamente gli effetti
si videro in contrario, e di qua venne un gran crollo alla famiglia
estense. Fresco, aiutato dai Bolognesi, giacchè il figliuolo non era
giunto ad età capace di governo, prese le redini della signoria di
Ferrara, che gli fu confermata, benchè mal volentieri, dal popolo. Ma
nel medesimo tempo il marchese Francesco d'Este co' suoi nipoti si mise
in possesso d'Este, di Rovigo e d'altre terre, e in quella della Fratta
diede una rotta alle genti di Fresco. Così cominciò la guerra fra loro.
Stabilì Fresco pace coi Mantovani, Veronesi, Bresciani, Parmigiani,
Reggiani e Modenesi. Il popolo di Ferrara, essendo molto portato a
voler i principi estensi legittimi, cominciò a fare delle congiure
contra di lui, le quali svanirono colla morte di molti. Ricorsero gli
Estensi legittimi al papa in Francia per implorar il suo patrocinio
ed aiuto; ed oh con che benignità furono ascoltati! Promise quella
corte mari e monti, purchè riconoscessero Ferrara per città della
Chiesa romana; dal che s'erano nel secolo addietro guardati gli altri
Estensi. Dacchè questo fu ottenuto, allora furono spediti uffiziali e
milizie in Italia per prendere il possesso di Ferrara coll'assistenza
del marchese Francesco; e per questo i Ferraresi cominciarono a
tumultuar più che mai contra di Fresco[773]. Veggendo la mal parata,
fece anch'egli ricorso ai Veneziani, e propose di ceder loro con varii
patti quella città. Niuna fatica si durò perchè essi accettassero la
proposizione, e non tardarono ad inviar colà gran copia di soldatesche,
le quali entrarono e si fortificarono in castel Tealdo; cosa che
maggiormente accese l'ira de' Ferraresi, popolo già avvezzo ad avere il
suo principe, e alieno dall'ubbidire agli stranieri. Per altro, anche
i Bolognesi, Mantovani e Veronesi amoreggiavano in queste occasioni
Ferrara, e mossero l'armi per tentarne l'acquisto. Anzi Bernardino da
Polenta co' Ravegnani e Cerviesi proditoriamente v'entrò una notte,
e si fece eleggere signore d'essa città per cinque anni avvenire. Ma
non vi si fermò che otto giorni, saccheggiando tutto quel che potè. I
Veneziani quei furono che riportarono il pallio. Li fece ben ammonire
il papa[774] di desistere e ritirarsi da quella impresa, perchè Ferrara
era terra della Chiesa romana; ma si parlò ai sordi. Un dì poscia le
milizie pontificie con Francesco marchese d'Este ed altri fuorusciti, e
con Lamberto da Polenta condottiere de' Ravegnani entrarono in quella
città, gridando invano il popolo: _Viva il marchese Francesco_; e ne
presero il possesso a nome del papa, senza più poi pensare a rimetterla
in mano degli Estensi. Succederono poi varie battaglie tra i Ferraresi
e Veneziani, e talmente prevalsero gli ultimi, che nel dì 27 di
novembre convenne ai Ferraresi d'implorare pace o tregua, e di prendere
quel podestà che piacque ai Veneziani. Allora furono ammesse in città
le famiglie de' Torelli, Ramberti, Fontanesi, Turchi, Pagani ed altri
sbanditi dalla città, perchè Ghibellini e nemici degli Estensi.
In Parma non furono minori le rivoluzioni[775]. Nel dì 24 di marzo
cominciarono una rissa fra loro i Ghibellini ed i Guelfi; e nel dì
seguente passò questa in una fiera guerra civile, in cui rimasero morte
molte persone, rubate ed incendiate moltissime case. Maggiormente si
rinforzò nel dì 26 la tempesta dell'armi, stando sempre Giberto da
Correggio signore della città colle sue genti in possesso della piazza.
Ma udito che i Rossi e i Lupi di Soragna con altri banditi erano venuti
alla porta di Santa Croce, colà si portò, ed uscì ancora per mettergli
in fuga; ma toccò a lui di fuggire in città, perchè contra di lui si
rivoltarono non pochi de' suoi. V'entrarono anche i suddetti sbanditi,
in favor dei quali essendosi dichiarati molti del popolo, andò si
fattamente crescendo la forza de' Guelfi, che Giberto e Matteo fratelli
da Correggio coi loro aderenti dovettero cercar colla fuga di salvarsi
a Castelnuovo. Però tutti gli altri usciti guelfi tornarono alla
patria. Infinite furono le ruberie fatte in questa occasione per la
città; molte le case bruciate; e i contadini entrati corsero al palazzo
pubblico, e vi stracciarono tutti i libri dei bandi e maleficii, e
diedero il sacco ad ogni mobile e scrittura di Giberto. Seguitarono
poi anche per molti giorni i saccheggi e gl'incendii, e i bandi di
chi era creduto Ghibellino; e intanto i fuorusciti faceano guerra
alla città. Contra d'essi nel mese di giugno uscì in campagna tutto
l'esercito de' Parmigiani dominanti. Giberto da Correggio anch'egli,
fatto forte dai Modenesi, che v'andarono tutti col loro capitano, e dai
banditi di Bologna, e dal _marchese Francesco Malaspina_ co' suoi di
Lunigiana, e da copiose schiere d'altri Ghibellini, nel dì 19 di giugno
andò a ritrovare i Parmigiani, ed attaccò la mischia. Vigorosamente si
combattè sul principio da amendue le parti; ma poco stettero ad essere
sbaragliati i Parmigiani, de' quali assaissimi restarono morti con più
di dugento Lucchesi, ch'erano al loro soldo, e quasi dissi innumerabili
restarono prigioni colla perdita di tutto il bagaglio[776]. Dopo
la vittoria corse Giberto alla città, ma non potè entrarvi allora.
V'entrò nel dì 28, perchè, colla mediazione di _Anselmo abbate_ di
San Giovanni, fu fatta una pace generale, e permesso a tutti gli
usciti di ripatriare. Secondo il diabolico costume di que' tempi, andò
presto per terra questa pace. Giberto da Correggio, che prometteva e
giurava a misura del bisogno, senza credersi poi tenuto a giuramenti
e promesse, ben disposti i suoi pezzi, nel dì 3 d'agosto levò rumore,
e colla forza de' suoi scacciò dalla città i Rossi e Lupi, con tutti i
loro amici guelfi, i quali si ridussero a Borgo San Donnino e ad altri
luoghi, e continuò poi la guerra fra loro. Essendo passato al paese
dei più in quest'anno, e non già nel precedente, come ha il testo di
Galvano Fiamma[777], _Francesco da Parma_ arcivescovo di Milano, fu
in suo luogo eletto _Castone_ ossia Gastone, comunemente appellato
_Cassone dalla Torre_, figliuolo di Mosca[778], e la sua elezione
fu approvata dal _cardinal Napoleone_ legato apostolico. Poscia nel
dì 24 di settembre, tenutosi un general parlamento in Milano, quivi
concordemente fu eletto perpetuo signor di Milano _Guido dalla Torre_.
Ebbero in quest'anno guerra i Milanesi co' Bresciani, ma ne seguì
anche pace. Mancò di vita in essa città di Brescia nell'ottobre del
presente anno _Berardo de' Maggi_, vescovo d'essa città, dopo esserne
stato anche per anni parecchi signore nel temporale, con governarla a
parte dell'imperio, ossia ghibellina. Molti benefizii da lui fatti a
quella città indussero quel popolo ad eleggere per suo successor nella
chiesa _Federigo de' Maggi_[779]. Inoltre _Maffeo_, ossia _Matteo de'
Maggi_, fratello d'esso Berardo, fu proclamato signore della città.
Guido dalla Torre, siccome signor di Piacenza, nell'anno presente
stabilì pace fra quei cittadini e i lor fuorusciti[780], che lieti
rientrarono nella lor patria. Nella Romagna[781] il conte di Cunio con
altri suoi partigiani occupò, contro il voler de' Faentini ed Imolesi,
la terra di Bagnacavallo nel dì 24 di luglio. Poscia nel dì 28 di
agosto fu fatta pace fra i Bolognesi, Riminesi e Cesenati dall'una
parte, e i Forlivesi, Faentini, Imolesi e Bertinoresi dall'altra,
colla liberazion di tutti i prigioni. Ma in Firenze fu una gran
commozione di popolo[782]. Perchè Corso de' Donati, a cui la parte
nera, ossia guelfa, era obbligata dal presente suo stato dominante,
voleva soprastare di troppo agli altri nobili, l'ambizione e l'invidia
fecero dividere in due fazioni i grandi stessi. Rosso dalla Tosa, capo
dell'una, seppe tanto screditar esso Corso, che gli tagliò infine le
gambe; facendo soprattutto valere contra di lui la parentela da esso
contratta con Uguccion dalla Faggiuola gran ghibellino. Levossi dunque
a rumore contra di lui il popolo tutto; ed essendosi esso Corso ben
asserragliato, assistito anche da molti suoi amici, fece gran difesa;
infine gli convenne prendere la fuga, ma, raggiunto da certi Catalani
a cavallo, fu ucciso: con che tornò la quiete in Firenze.
NOTE:
[764] Chronic. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital.
[765] Bernard. Guid., in Vit. Clementis V.
[766] Historia Dulcini, tom. 9 Rer. Ital. Bernardus Guid., Giovanni
Villani, et alii.
[767] Bernard. Guid. Ptolomaeus Lucens. Ferretus Vicent. et alii.
[768] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 95.
[769] Henric. Stero, in Chron. Albert. Argentinens., in Chron. Bernard.
Guid. Albertinus Mussatus. Ferretus Vicentinus, et alii.
[770] Joannes de Cermenat., tom. 9 Rer. Italic. Franciscius Pipinus,
Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[771] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Bononiens., tom. 18
Rer. Ital. Peregrinus Priscianus. Annal. MSS. et alii.
[772] Annales Estenses, tom. 15 Rer. Ital.
[773] Raynaldus, Annal. Eccles.
[774] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[775] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[776] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[777] Gualv. Flamma, Manip. Flor., cap. 346.
[778] Corio, Istor. di Milano. Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[779] Malvecius, Chron. Brixian., tom. 14 Rer. Ital.
[780] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[781] Chron. Caesen., tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCIX. Indizione VII.
CLEMENTE V papa 5.
ARRIGO VII re de' Romani 2.
Alla prepotenza di _Filippo il Bello_ re di Francia riuscì in
quest'anno e nel seguente d'indurre _papa Clemente_ a ricevere le
accuse contro la memoria di papa Bonifazio[783]; il che cagionò orrore
a tutta la cristianità, ben consapevole dell'iniquità e falsità di
quanto a lui veniva opposto in materia di fede. Frutti erano questi
dell'essere divenuta schiava di un re possente e malvagio la Sede
Apostolica; del che fu in colpa il pontefice stesso, il quale intanto
andava lusingando i Romani con far loro credere di voler venire in
Italia, mentre, inceppato dalle delizie della Francia, a tutt'altro
pensava che ad abbandonarla. Ma non permise Iddio che andasse molto
innanzi questa maligna persecuzione, e la vedremo finita in breve. Nel
dì 27 di marzo dell'anno presente, trovandosi esso papa in Avignone,
pubblicò contra de' Veneziani, come occupatori della città di Ferrara,
la più terribile ed ingiusta bolla che si sia mai udita. Oltre alle
scomuniche ed agl'interdetti, dichiarò infami tutti i Veneziani, e
incapaci i lor figliuoli sino alla quarta generazione d'alcuna dignità
ecclesiastica e secolare; confiscati in ogni parte del mondo tutti i
lor beni; data facoltà a ciaschedun di fare schiavo qualunque Veneziano
che lor capitasse alle mani nell'universa terra, senza distinzione
alcuna tra innocenti e rei: il che fa orrore, eppure fu eseguito in
vari paesi. Poscia aggiunse alle armi spirituali le temporali contra
di loro, inviando in Italia il cardinale _Arnaldo di Pelagrua_ suo
parente, con titolo di legato, il qual fece dappertutto predicar la
crociata contra d'essi Veneziani, come se si trattasse contra de'
Turchi. Copioso fu il concorso delle genti della Lombardia, marca di
Verona, Romagna e Toscana. Ferreto Vicentino[784] scrive che v'andarono
de' soli Bolognesi circa otto mila combattenti. Premeva a quel popolo
di riacquistar la grazia perduta del pontefice per lo scorno fatto
al _cardinal Napoleone_. Pel medesimo fine anche i Fiorentini colà
inviarono molte schiere d'armati. Nel dì 10 d'aprile di quest'anno
si disciolse la pace e l'accordo già fatto dal popolo di Ferrara coi
Veneziani, e si ricominciò la guerra. Di grossi rinforzi di gente e di
navi furono spediti da Venezia ai suoi; e nel mese di giugno, usciti
di Castel Tealdo i Veneziani, mentre i Ferraresi erano a cena, fecero
contra di essi un feroce insulto. Tutta fu in armi la città. _Francesco
marchese_ d'Este con _Galeazzo visconte_ marito di _Beatrice Estense_,
alla testa di tutti andò ad assalirli, e ne fece aspro macello. Per
consiglio ancora di lui, fu fabbricato un ponte sopra Po, non ostante
la gagliarda opposizion de' Veneziani, i quali un giorno diedero una
fiera rotta ai Bolognesi. Ma nel dì 28 d'agosto, cioè nella festa
di santo Agostino, per ordine del cardinal Pelagrua, si venne ad una
general battaglia contro la flotta veneziana esistente in Po, la quale
restò interamente disfatta e in potere dei Ferraresi con tutte le
macchine e l'armamento. Tra uccisi ed annegati nel fiume si contarono
circa sei mila Veneziani. Questa insigne vittoria, accompagnata da
un immenso bottino, decise la controversia; perciocchè non istette
molto a rendersi Castello Tealdo al legato, il quale, dimenticandosi
d'essere uomo di Chiesa, fece impiccare quanti Ferraresi trovò complici
de' Veneziani. Fu anche spedito Lamberto da Polenta con Bernardino
Nonantola; e l'arciprete de' Guidoni (dal Morani è detto de' Guidotti,
siccome ancora dal Gazata[753]) occupò l'altra del Finale. Inoltre
menavano essi Bolognesi un trattato coi Guelfi modenesi d'impadronirsi
della città di Modena, e vennero coll'esercito fino a Spilamberto. Ma
scoperto il macchinato tradimento verso la festa di Pasqua, furono in
armi le due interne fazioni, e riuscì a quei di Sassuolo, da Livizzano,
da Ganaceto e ai Grassoni, tutti Ghibellini, di superare e cacciar
fuori di città i Savignani, Rangoni, Boschetti, Guidoni, Pedrezzani
ed altri Guelfi. L'autore della Cronica di Parma, vivente in questi
tempi, fa qui un brutto elogio di Modena, con dire che essa[754]
_semper fuit in his partibus Lombardiae exordium motionum, et novitatum
origo, ex antiguis odiis partium, scilicet guelfae et ghibellinae_:
quasi che anche tant'altre città di Lombardia, Toscana, Romagna, ec.
non fossero infette del medesimo morbo. Furono parimente non pochi
rumori nel mese di marzo in Parma, dove s'era tramata una congiura per
torre la signoria a _Giberto da Correggio_. Molti perciò furono presi
e tormentati, ed altri, sì nobili che plebei, mandati ai confini.
Scoprissi ancora nel mese di giugno un nuovo trattato contra d'esso
Giberto; ed altri ne fuggirono, o furono confinati. Più strepito ancora
fecero in questi tempi le rivoluzioni di Piacenza. _Alberto Scotto_
cogli altri usciti di quella città, e con gli usciti di Parma ed altri
amici[755], dopo aver data una rotta ai Piacentini a Roncaruolo, entrò
in castello Arquato, e in Fiorenzuola nella vigilia di san Jacopo. Nel
dì seguente cavalcò alla volta di Piacenza, e gli fu data una porta, e
però con tutti i suoi liberamente v'entrò. Ne fuggirono tutti i suoi
avversarii, cioè Ubertino Lando, i Pelavicini, Anguissoli ed altre
nobili famiglie ghibelline, e si ridussero in Bobbio. In tali occasioni
compassionevole spettacolo era il veder anche le nobili donne coi loro
figliuolini andarsene raminghe in esilio, e il mirar saccheggiate
ed atterrate le case loro. Diedero poi essi fuorusciti una rotta ai
Piacentini dominanti al luogo di Pigazzano. Questo avvenimento, secondo
la Cronica di Piacenza, fece risolvere, sul fine dell'anno, quel
popolo a prendere per due anni in suo capitano, difensore e signore
Guido dalla Torre, poco prima divenuto signor di Milano, il quale
mandò colà per podestà Passerino dalla Torre. Guerra grande fatta fu
in quest'anno dai Mantovani, Veronesi, Bresciani e Parmigiani[756] al
comune di Cremona. Perchè tanti si unissero contra de' Cremonesi, non
l'accennano le storie. Probabilmente fu perchè essi si governavano
a parte ghibellina, e Guelfi erano i cremonesi. In aiuto di Cremona
mandò il comune di Milano[757] due mila fanti con molta cavalleria
nel dì 24 d'agosto: nel qual tempo i Mantovani con grosso naviglio per
Po, secondati da tutte le forze de' Parmigiani, entrati nel distretto
cremonese, presero e diedero alle fiamme il ponte di Dosolo, Montesoro,
Viadana, Portiolo, Casalmaggiore, Rivaruolo, Luzzara, Pomponesco
ed altri luoghi. A Giberto da Correggio signor di Parma si arrendè
Guastalla, ed egli ne fece spianar le fosse ed atterrar tutte le
fortificazioni. Da gran tempo era Guastalla de' Cremonesi, e di qua
apparisce fin dove si stendeva allora la giurisdizion di Cremona. I
Veronesi dal canto loro presero e distrussero la terra di Piadena.
Ed i Bresciani andarono a Rebecco, ed arrivarono sino alle porte di
Cremona saccheggiando e bruciando dappertutto. Chi non dirà forsennati
gli Italiani d'allora sempre inquieti, sempre torbidi, sempre rivolti
a distruggersi l'un l'altro, disuniti in casa, e talvolta uniti co'
vicini solamente per portare ad altri la rovina e la morte? Si rinnovò
poi questo flagello anche nel settembre, con essere ritornati questi
popoli ai danni del Cremonese. Vennero anche i Milanesi, Piacentini,
Lodigiani e Pavesi con tutte le lor forze sino a Borgo San Donnino, e
diedero il guasto a quei contorni, a e Soragna e ad altri luoghi. In
favor di Cremona uscì ancora _Azzo marchese _d'Este co' Ferraresi[758],
e con un buon corpo di Catalani a lui inviati dal _re Carlo II_ suocero
suo, menando un copioso e possente naviglio per Po, col disegno di
mettere l'assedio ad Ostiglia, terra allora de' Veronesi; ma quel
presidio, senza volerlo aspettare, attaccò il fuoco alla terra, e
se n'andò. Di là passò il marchese estense ad assalir Serravalle
dei Mantovani; lo prese per forza, e ne tagliò il ponte, con poscia
dirupare il castello, le torri e fortezze di quella terra. Ed allora
fu ch'egli soggiogò tutte le navi armate de' Mantovani e Veronesi;
fra le quali erano sei grosse galee, ed altre barche incastellate
con battifredi da due ponti; e tutte con gran bottino le condusse a
Ferrara.
_Teodoro marchese_ di Monferrato coll'aiuto di _Filippone conte_ di
Langusco e signor di Pavia, suo cognato[759], ricuperò in quest'anno
la terra di Luy. Ma Rinaldo da Leto, siniscalco del re _Carlo II_,
con _Filippo di Savoia_ e _Giorgio marchese_ di Ceva, ammassato un
buon esercito, uscì in campo nel mese d'agosto contra di lui. Il conte
di Langusco, dopo aver fatto ritirare Teodoro in luogo sicuro, andò,
benchè inferiore di forze, arditamente ad azzuffarsi coi nemici,
ed aspra fu la battaglia. Ma sbaragliati rimasero i Monferrini
e Pavesi; e Filippone, fatto prigione, fu inviato al re Carlo,
dimorante in Marsilia, che gli diede per carcere un castello della
Provenza. _Obizzino Spinola_, capitano allora di Genova, e suocero
d'esso Filippone e del marchese Teodoro, con promettere ad esso re
il soccorso di un grande stuolo di galee genovesi per ricuperar la
Sicilia, ottenne, dopo sei mesi, la libertà di esso suo genero. Fece
anche cedere a sè stesso ogni pretensione che potesse avere il re
sopra il Monferrato. Inoltre impetrò la restituzion delle terre di
Moncalvo e Vignale, occupate al Monferrato, le quali egli ritenne per
sè senza renderle al genero marchese Teodoro. Mancarono di vita in
quest'anno nella città di Milano[760] Mosca e Martino dalla Torre.
Capo di quella casa restò _Guido_ figliuolo di Francesco. Questi nel
dì 17 di settembre nel pieno consiglio fu eletto capitano del popolo
per un anno: il che vuol dire signore. E in questa cronologia sembra
più fedele ed esatto il Corio storico milanese, che Galvano Fiamma
e l'autor degli Annali di Milano. Consultò il primo migliori memorie
che gli altri. Da lì a non molto, siccome ho detto, anche i Piacentini
presero esso Guido per lor capitano. Passò in quest'anno dalla Romagna
ad Arezzo il _cardinal Napoleone_ degli Orsini, legato pontificio[761],
e siccome disgustato dei Fiorentini che non voleano prestargli
ubbidienza alcuna, cominciò a fare una gran raunata di gente, tanto
di terra di Roma, del ducato di Spoleti, della marca d'Ancona, quanto
della Romagna e dei Ghibellini di Toscana. I Fiorentini, che vedeano
prepararsi questo nuvolo contra di loro, nol vollero aspettare; e
richiesti gli amici, misero insieme un'armata dì quindici mila fanti
e tre mila cavalli, e con essa entrarono nel contado d'Arezzo, facendo
ivi que' buoni trattamenti che solea far la guerra di que' tempi. Per
consiglio dei saggi, uscì d'Arezzo il cardinale, facendo vista di andar
pel Casentino alla volta di Firenze. Allora i Fiorentini, per timore
che egli avesse delle intelligenze nella loro città, disordinatamente
alzarono il campo, e chi più potea si affrettò per correre a Firenze.
Se il cardinale era ben avvertito, li potea con facilità mettere in
isconfitta. Andò egli poscia a Chiusi, e mandò innanzi e indietro
ambasciate a' Fiorentini per ridurre gli usciti in Firenze[762]; ma
nulla potè ottenere; di modo che, vedendo scemato il suo credito e
potere, e sè stesso anche dileggiato, se ne tornò assai malcontento
di là da' monti ad informar la corte pontificia della sua fallita
legazione, che gli fu anche levata: tante furono le segrete cabale de'
Fiorentini nella corte papale. Volle in quest'anno _Malatestino dei
Malatesti_ tentare di ricuperar Bertinoro[763], e ne avea già ordito
il tradimento con Alberguccio de' Mainardi. V'andò nel dì 6 d'agosto
con parte della milizia di Rimini e con tutta quella di Cesena, ed ebbe
una parte della terra, ma non il girone e la torre. Portatone l'avviso
a Forlì, _Scarpetta degli Ordelaffi_, capitano di quella città, marciò
in fretta con tutta la soldatesca, diede loro battaglia e li sconfisse.
Si rifugiò parte de' Riminesi e Cesenati nel castello; ma da lì a due
giorni, per difetto di vettovaglia, furono costretti a rendersi. Quasi
due mila persone restarono prigioniere, e andarono a far penitenza
nelle carceri di Forlì. Anche i Bolognesi fecero guerra a Faenza ed
Imola[764], e s'impadronirono del castello di Lugo. In Roma si attaccò
il fuoco alla sacra basilica lateranense, e tutta la bruciò, insieme
colle case dei canonici: disgrazia che recò sommo dolore al popolo
romano, e fu presa per presagio delle calamità che avvennero. Ma non
passarono molti anni, che unitisi i buoni di Roma, uomini e donne, ed
aiutati anche dal papa, la rifecero come prima[765]. Erano già più
anni che Dulcino, nato in Val d'Ossela, diocesi di Novara, eretico
della setta de' Catari ossieno Gazzeri, specie di Manichei[766], andava
infettando la Lombardia co' suoi perversi errori. Si ridusse costui in
una montagna del Vercellese co' suoi seguaci in numero di circa mille
e trecento, dove, per mantenersi quella canaglia, altro ripiego non
avea che di saccheggiare le ville vicine. Predicata contra di essi la
crociata, furono essi assediati in quel monte, e finalmente nel dì 23
di marzo dell'anno presente obbligati per la fame a rendersi. Dulcino
colla moglie Margherita ed altri pochi, senza volersi mai ravvedere,
furono bruciati vivi: con che estirpata rimase la pestilente sua setta.
NOTE:
[746] Raynald., in Annal. Eccl.
[747] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 91.
[748] Ferretus Vicentinus, lib. 3, tom. 9 Rer. Ital.
[749] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 92.
[750] Guillel. Ventura, Chron. Astense, cap. 27, tom. 11 Rer. Ital.
[751] S. Anton., P. III, tit. 21, Istor. Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital.,
pag. 518.
[752] Annales Veteres Mutinenses, tom. 11 Rer. Ital. Chron. Bononiense,
tom. 18 Rer. Ital. Annal. Estenses, tom. 15 Rer. Italic.
[753] Gazata, Chronic. Regiense, tom. 18 Rer. Italic.
[754] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[755] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[756] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[757] Corio, Istor. di Milano.
[758] Annales Estenses, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Parmense, tom. 9 Rer.
Ital.
[759] Chron. Astense, cap. 44, tom. 11 Rer. Ital.
[760] Corio, Istoria di Milano.
[761] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 89.
[762] Dino Compagni, Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[763] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCVIII. Indizione VI.
CLEMENTE V papa 4.
ARRIGO VI, detto VII, re dei Romani 1.
Succedette nel primo dì di maggio di quest'anno la morte funesta
di _Alberto Austriaco_ re de' Romani[767]. Grande odio gli portava
Giovanni figliuolo di un suo fratello primogenito, pretendendosi
gravato da lui, perchè gli negava una parte, nonchè il tutto, degli
Stati dovuti a lui per le ragioni del padre. Partitosi da Baden il
re Alberto, nel passare il fiume Orsa, fu assalito dal nipote con
una mano di sicarii, e trafitto da più spade, quivi lasciò la vita.
Restarono di lui più figliuoli, il primogenito de' quali _Federigo_ fu
duca d'Austria e signore d'altri Stati spettanti a quella nobilissima
casa. Trattossi dipoi di eleggere il successore; ed uno di quei che più
vi aspiravano, fu lo stesso duca Federigo. Ma insorta gran discordia
fra gli elettori, si mise allora in pensiero _Filippo il Bello_ re
di Francia di far cadere quella corona in capo a Carlo di Valois suo
fratello, che ne avea già avuto promessa da _papa Bonifazio VIII_[768].
Fu perciò risoluto nel suo consiglio di preparar un'armata per entrare
in Germania, e dar calore alla dimanda coll'efficace raccomandazione
dell'armi, e intanto di procurar anche i premurosi ufficii pel papa.
Penetrò la corte pontificia questi disegni non senza affanno del
pontefice, il quale, se s'ha a credere a Giovanni Villani, richiese
del suo parere l'accortissimo _cardinale Niccolò da Prato_. Questi
il consigliò di scrivere immediatamente agli elettori dell'imperio,
ordinando che senza dilazione procedessero all'elezione, con suggerir
loro ancora che _Arrigo conte_ di Lucemburgo, principe pio, savio e
ornato d'altre belle doti, pareva a lui il più a proposito pel romano
imperio. Camminò la faccenda come avea divisato il papa col cardinale.
Arrigo fu eletto quasi a voti pieni re dei Romani nel dì di santa
Caterina[769], e poi pubblicata l'elezion sua nel dì 27 di novembre,
e non già nell'Ognissanti, o in altro giorno, come alcuni lasciarono
scritto. Meraviglia recò ad ognuno l'udire preferito a tanti altri
potenti principi Arrigo, principe di nobile schiatta bensì, ma di pochi
Stati provveduto. Secondo il Villani, corse subito la nuova di questa
inaspettata elezione alla corte del re di Francia, mentre egli si
apparecchiava per andare al papa, affine di averlo favorevole in questo
affare; ed accortosi che Clemente V vi aveva avuta mano per escludere
Carlo suo fratello, da lì innanzi non fu più suo amico. Ma non si sa
intendere come il re Filippo dal dì primo di maggio, in cui tolto fu
dal mondo il re Alberto, sino al dì 25 o 27 di novembre, giorno nel
quale si pubblicò L'elezione di Arrigo, tardasse tanto, giacchè ardea
di voglia di quella corona, ad impegnare gli uffizii del pontefice in
favor del fratello. Sembra ben più probabile che se li procacciasse
per tempo, ma che restasse burlato con altre segrete insinuazioni
fatte fare dal medesimo Clemente. Furono poi spediti da esso Arrigo
solenni ambasciatori al papa, cioè i vescovi di Basilea e di Coira,_
Amedeo conte_ di Savoia _Guido conte_ di Fiandra, _Giovanni Delfino_
di Vienna, ed altri baroni[770], per ottenere il consenso pontificio:
il che fu facilmente conceduto. Tale ambasceria vien dai più riferita
all'anno seguente, ma dovette precederne un'altra almeno, certo essendo
che Arrigo fu coronato in Aquisgrana nell'Epifania dell'anno seguente,
e ciò non par fatto senza la precedente approvazione del papa. Fu
questo _Arrigo_ il _sesto_ fra gl'imperadori, ma comunemente vien
chiamato _Arrigo settimo_, perchè tale nell'ordine dei re di Germania
di tal nome.
Cadde infermo in quest'anno ancora _Azzo VIII marchese_ d'Este, signor
di Ferrara, Rovigo e d'altri Stati, ed anche conte d'Andria nel regno
di Napoli[771]. Fecesi portare ad Este, sperando miglioramento da
quell'aria salubre; e furono a visitarlo, e a far pace con lui i
suoi due fratelli _Francesco_ e _Aldrovandino marchesi_. Ma quivi
nell'ultimo dì di gennaio finì di vivere. Questo principe d'alte idee,
ma d'idee mal condotte, dopo aver vivente recati notabili danni alla
sua casa coll'aver perdute le città di Modena e di Reggio, ben peggio
fece morendo, perchè lasciò suo successore nel dominio di Ferrara
e degli altri suoi Stati Folco, figliuolo legittimo di Fresco suo
figliuolo bastardo, con escludere i Suoi legittimi fratelli Francesco
ed Aldrovandino, e i figliuoli di quest'ultimo. La Cronica Estense[772]
ha, ch'egli ritrattò un sì fatto testamento; ma certamente gli effetti
si videro in contrario, e di qua venne un gran crollo alla famiglia
estense. Fresco, aiutato dai Bolognesi, giacchè il figliuolo non era
giunto ad età capace di governo, prese le redini della signoria di
Ferrara, che gli fu confermata, benchè mal volentieri, dal popolo. Ma
nel medesimo tempo il marchese Francesco d'Este co' suoi nipoti si mise
in possesso d'Este, di Rovigo e d'altre terre, e in quella della Fratta
diede una rotta alle genti di Fresco. Così cominciò la guerra fra loro.
Stabilì Fresco pace coi Mantovani, Veronesi, Bresciani, Parmigiani,
Reggiani e Modenesi. Il popolo di Ferrara, essendo molto portato a
voler i principi estensi legittimi, cominciò a fare delle congiure
contra di lui, le quali svanirono colla morte di molti. Ricorsero gli
Estensi legittimi al papa in Francia per implorar il suo patrocinio
ed aiuto; ed oh con che benignità furono ascoltati! Promise quella
corte mari e monti, purchè riconoscessero Ferrara per città della
Chiesa romana; dal che s'erano nel secolo addietro guardati gli altri
Estensi. Dacchè questo fu ottenuto, allora furono spediti uffiziali e
milizie in Italia per prendere il possesso di Ferrara coll'assistenza
del marchese Francesco; e per questo i Ferraresi cominciarono a
tumultuar più che mai contra di Fresco[773]. Veggendo la mal parata,
fece anch'egli ricorso ai Veneziani, e propose di ceder loro con varii
patti quella città. Niuna fatica si durò perchè essi accettassero la
proposizione, e non tardarono ad inviar colà gran copia di soldatesche,
le quali entrarono e si fortificarono in castel Tealdo; cosa che
maggiormente accese l'ira de' Ferraresi, popolo già avvezzo ad avere il
suo principe, e alieno dall'ubbidire agli stranieri. Per altro, anche
i Bolognesi, Mantovani e Veronesi amoreggiavano in queste occasioni
Ferrara, e mossero l'armi per tentarne l'acquisto. Anzi Bernardino da
Polenta co' Ravegnani e Cerviesi proditoriamente v'entrò una notte,
e si fece eleggere signore d'essa città per cinque anni avvenire. Ma
non vi si fermò che otto giorni, saccheggiando tutto quel che potè. I
Veneziani quei furono che riportarono il pallio. Li fece ben ammonire
il papa[774] di desistere e ritirarsi da quella impresa, perchè Ferrara
era terra della Chiesa romana; ma si parlò ai sordi. Un dì poscia le
milizie pontificie con Francesco marchese d'Este ed altri fuorusciti, e
con Lamberto da Polenta condottiere de' Ravegnani entrarono in quella
città, gridando invano il popolo: _Viva il marchese Francesco_; e ne
presero il possesso a nome del papa, senza più poi pensare a rimetterla
in mano degli Estensi. Succederono poi varie battaglie tra i Ferraresi
e Veneziani, e talmente prevalsero gli ultimi, che nel dì 27 di
novembre convenne ai Ferraresi d'implorare pace o tregua, e di prendere
quel podestà che piacque ai Veneziani. Allora furono ammesse in città
le famiglie de' Torelli, Ramberti, Fontanesi, Turchi, Pagani ed altri
sbanditi dalla città, perchè Ghibellini e nemici degli Estensi.
In Parma non furono minori le rivoluzioni[775]. Nel dì 24 di marzo
cominciarono una rissa fra loro i Ghibellini ed i Guelfi; e nel dì
seguente passò questa in una fiera guerra civile, in cui rimasero morte
molte persone, rubate ed incendiate moltissime case. Maggiormente si
rinforzò nel dì 26 la tempesta dell'armi, stando sempre Giberto da
Correggio signore della città colle sue genti in possesso della piazza.
Ma udito che i Rossi e i Lupi di Soragna con altri banditi erano venuti
alla porta di Santa Croce, colà si portò, ed uscì ancora per mettergli
in fuga; ma toccò a lui di fuggire in città, perchè contra di lui si
rivoltarono non pochi de' suoi. V'entrarono anche i suddetti sbanditi,
in favor dei quali essendosi dichiarati molti del popolo, andò si
fattamente crescendo la forza de' Guelfi, che Giberto e Matteo fratelli
da Correggio coi loro aderenti dovettero cercar colla fuga di salvarsi
a Castelnuovo. Però tutti gli altri usciti guelfi tornarono alla
patria. Infinite furono le ruberie fatte in questa occasione per la
città; molte le case bruciate; e i contadini entrati corsero al palazzo
pubblico, e vi stracciarono tutti i libri dei bandi e maleficii, e
diedero il sacco ad ogni mobile e scrittura di Giberto. Seguitarono
poi anche per molti giorni i saccheggi e gl'incendii, e i bandi di
chi era creduto Ghibellino; e intanto i fuorusciti faceano guerra
alla città. Contra d'essi nel mese di giugno uscì in campagna tutto
l'esercito de' Parmigiani dominanti. Giberto da Correggio anch'egli,
fatto forte dai Modenesi, che v'andarono tutti col loro capitano, e dai
banditi di Bologna, e dal _marchese Francesco Malaspina_ co' suoi di
Lunigiana, e da copiose schiere d'altri Ghibellini, nel dì 19 di giugno
andò a ritrovare i Parmigiani, ed attaccò la mischia. Vigorosamente si
combattè sul principio da amendue le parti; ma poco stettero ad essere
sbaragliati i Parmigiani, de' quali assaissimi restarono morti con più
di dugento Lucchesi, ch'erano al loro soldo, e quasi dissi innumerabili
restarono prigioni colla perdita di tutto il bagaglio[776]. Dopo
la vittoria corse Giberto alla città, ma non potè entrarvi allora.
V'entrò nel dì 28, perchè, colla mediazione di _Anselmo abbate_ di
San Giovanni, fu fatta una pace generale, e permesso a tutti gli
usciti di ripatriare. Secondo il diabolico costume di que' tempi, andò
presto per terra questa pace. Giberto da Correggio, che prometteva e
giurava a misura del bisogno, senza credersi poi tenuto a giuramenti
e promesse, ben disposti i suoi pezzi, nel dì 3 d'agosto levò rumore,
e colla forza de' suoi scacciò dalla città i Rossi e Lupi, con tutti i
loro amici guelfi, i quali si ridussero a Borgo San Donnino e ad altri
luoghi, e continuò poi la guerra fra loro. Essendo passato al paese
dei più in quest'anno, e non già nel precedente, come ha il testo di
Galvano Fiamma[777], _Francesco da Parma_ arcivescovo di Milano, fu
in suo luogo eletto _Castone_ ossia Gastone, comunemente appellato
_Cassone dalla Torre_, figliuolo di Mosca[778], e la sua elezione
fu approvata dal _cardinal Napoleone_ legato apostolico. Poscia nel
dì 24 di settembre, tenutosi un general parlamento in Milano, quivi
concordemente fu eletto perpetuo signor di Milano _Guido dalla Torre_.
Ebbero in quest'anno guerra i Milanesi co' Bresciani, ma ne seguì
anche pace. Mancò di vita in essa città di Brescia nell'ottobre del
presente anno _Berardo de' Maggi_, vescovo d'essa città, dopo esserne
stato anche per anni parecchi signore nel temporale, con governarla a
parte dell'imperio, ossia ghibellina. Molti benefizii da lui fatti a
quella città indussero quel popolo ad eleggere per suo successor nella
chiesa _Federigo de' Maggi_[779]. Inoltre _Maffeo_, ossia _Matteo de'
Maggi_, fratello d'esso Berardo, fu proclamato signore della città.
Guido dalla Torre, siccome signor di Piacenza, nell'anno presente
stabilì pace fra quei cittadini e i lor fuorusciti[780], che lieti
rientrarono nella lor patria. Nella Romagna[781] il conte di Cunio con
altri suoi partigiani occupò, contro il voler de' Faentini ed Imolesi,
la terra di Bagnacavallo nel dì 24 di luglio. Poscia nel dì 28 di
agosto fu fatta pace fra i Bolognesi, Riminesi e Cesenati dall'una
parte, e i Forlivesi, Faentini, Imolesi e Bertinoresi dall'altra,
colla liberazion di tutti i prigioni. Ma in Firenze fu una gran
commozione di popolo[782]. Perchè Corso de' Donati, a cui la parte
nera, ossia guelfa, era obbligata dal presente suo stato dominante,
voleva soprastare di troppo agli altri nobili, l'ambizione e l'invidia
fecero dividere in due fazioni i grandi stessi. Rosso dalla Tosa, capo
dell'una, seppe tanto screditar esso Corso, che gli tagliò infine le
gambe; facendo soprattutto valere contra di lui la parentela da esso
contratta con Uguccion dalla Faggiuola gran ghibellino. Levossi dunque
a rumore contra di lui il popolo tutto; ed essendosi esso Corso ben
asserragliato, assistito anche da molti suoi amici, fece gran difesa;
infine gli convenne prendere la fuga, ma, raggiunto da certi Catalani
a cavallo, fu ucciso: con che tornò la quiete in Firenze.
NOTE:
[764] Chronic. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital.
[765] Bernard. Guid., in Vit. Clementis V.
[766] Historia Dulcini, tom. 9 Rer. Ital. Bernardus Guid., Giovanni
Villani, et alii.
[767] Bernard. Guid. Ptolomaeus Lucens. Ferretus Vicent. et alii.
[768] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 95.
[769] Henric. Stero, in Chron. Albert. Argentinens., in Chron. Bernard.
Guid. Albertinus Mussatus. Ferretus Vicentinus, et alii.
[770] Joannes de Cermenat., tom. 9 Rer. Italic. Franciscius Pipinus,
Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[771] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Bononiens., tom. 18
Rer. Ital. Peregrinus Priscianus. Annal. MSS. et alii.
[772] Annales Estenses, tom. 15 Rer. Ital.
[773] Raynaldus, Annal. Eccles.
[774] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[775] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[776] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[777] Gualv. Flamma, Manip. Flor., cap. 346.
[778] Corio, Istor. di Milano. Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[779] Malvecius, Chron. Brixian., tom. 14 Rer. Ital.
[780] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[781] Chron. Caesen., tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCIX. Indizione VII.
CLEMENTE V papa 5.
ARRIGO VII re de' Romani 2.
Alla prepotenza di _Filippo il Bello_ re di Francia riuscì in
quest'anno e nel seguente d'indurre _papa Clemente_ a ricevere le
accuse contro la memoria di papa Bonifazio[783]; il che cagionò orrore
a tutta la cristianità, ben consapevole dell'iniquità e falsità di
quanto a lui veniva opposto in materia di fede. Frutti erano questi
dell'essere divenuta schiava di un re possente e malvagio la Sede
Apostolica; del che fu in colpa il pontefice stesso, il quale intanto
andava lusingando i Romani con far loro credere di voler venire in
Italia, mentre, inceppato dalle delizie della Francia, a tutt'altro
pensava che ad abbandonarla. Ma non permise Iddio che andasse molto
innanzi questa maligna persecuzione, e la vedremo finita in breve. Nel
dì 27 di marzo dell'anno presente, trovandosi esso papa in Avignone,
pubblicò contra de' Veneziani, come occupatori della città di Ferrara,
la più terribile ed ingiusta bolla che si sia mai udita. Oltre alle
scomuniche ed agl'interdetti, dichiarò infami tutti i Veneziani, e
incapaci i lor figliuoli sino alla quarta generazione d'alcuna dignità
ecclesiastica e secolare; confiscati in ogni parte del mondo tutti i
lor beni; data facoltà a ciaschedun di fare schiavo qualunque Veneziano
che lor capitasse alle mani nell'universa terra, senza distinzione
alcuna tra innocenti e rei: il che fa orrore, eppure fu eseguito in
vari paesi. Poscia aggiunse alle armi spirituali le temporali contra
di loro, inviando in Italia il cardinale _Arnaldo di Pelagrua_ suo
parente, con titolo di legato, il qual fece dappertutto predicar la
crociata contra d'essi Veneziani, come se si trattasse contra de'
Turchi. Copioso fu il concorso delle genti della Lombardia, marca di
Verona, Romagna e Toscana. Ferreto Vicentino[784] scrive che v'andarono
de' soli Bolognesi circa otto mila combattenti. Premeva a quel popolo
di riacquistar la grazia perduta del pontefice per lo scorno fatto
al _cardinal Napoleone_. Pel medesimo fine anche i Fiorentini colà
inviarono molte schiere d'armati. Nel dì 10 d'aprile di quest'anno
si disciolse la pace e l'accordo già fatto dal popolo di Ferrara coi
Veneziani, e si ricominciò la guerra. Di grossi rinforzi di gente e di
navi furono spediti da Venezia ai suoi; e nel mese di giugno, usciti
di Castel Tealdo i Veneziani, mentre i Ferraresi erano a cena, fecero
contra di essi un feroce insulto. Tutta fu in armi la città. _Francesco
marchese_ d'Este con _Galeazzo visconte_ marito di _Beatrice Estense_,
alla testa di tutti andò ad assalirli, e ne fece aspro macello. Per
consiglio ancora di lui, fu fabbricato un ponte sopra Po, non ostante
la gagliarda opposizion de' Veneziani, i quali un giorno diedero una
fiera rotta ai Bolognesi. Ma nel dì 28 d'agosto, cioè nella festa
di santo Agostino, per ordine del cardinal Pelagrua, si venne ad una
general battaglia contro la flotta veneziana esistente in Po, la quale
restò interamente disfatta e in potere dei Ferraresi con tutte le
macchine e l'armamento. Tra uccisi ed annegati nel fiume si contarono
circa sei mila Veneziani. Questa insigne vittoria, accompagnata da
un immenso bottino, decise la controversia; perciocchè non istette
molto a rendersi Castello Tealdo al legato, il quale, dimenticandosi
d'essere uomo di Chiesa, fece impiccare quanti Ferraresi trovò complici
de' Veneziani. Fu anche spedito Lamberto da Polenta con Bernardino
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