Annali d'Italia, vol. 5 - 21
in petto la sesta, la quale, secondo le apparenze, fu di trasportare in
Francia la Sede apostolica. L'arcivescovo, tutto ansante di vedersi in
capo la tiara pontificia, stabilì tosto il mercato, giurò le promesse
sopra il corpo del Signore, diede anche per ostaggi al re un suo
fratello e due suoi nipoti, e però il re immediatamente rispedì il
segreto messo al cardinale di Prato e agli altri di sua fazione, con
ordine di prendere per papa Bertrando del Gotto; e infatti ne seguì
l'elezione secondo il concerto. Ah mali arnesi della Chiesa di Dio! In
mano d'essi avea la Provvidenza messo l'eleggere un sommo pontefice,
non già per servire alle mondane cupidigie di loro e de' principi della
terra, ma bensì per procurare il maggior bene del popolo cristiano:
ecco il frutto dello scisma, della cabala e dell'ambizione, che li
portò ad eleggere sì lontano un pastore da loro mal conosciuto; ed
ecco come tradirono l'intenzion di Dio e le coscienze proprie con
una elezione per sè stessa illecita e scandalosa, recando, insieme
colla rovina dell'Italia, una piaga sempre memorabile alla Sede
di san Pietro. Stettero ben poco ad accorgersi del deplorabile lor
fallo i cardinali[720]; perchè accettata che fu nel dì 23 di luglio
l'elezione dall'arcivescovo (il qual prese il nome di _Clemente V_),
furono chiamati in Francia, e per quante ragioni sapessero addurre in
contrario, bisognò ubbidire. Così passò in Francia la Sede apostolica,
e vi restò poi per settanta anni, in cattività somigliante alla
babilonica, perchè schiava delle voglie dei re franzesi, con provenirne
infiniti disordini e mali alla Chiesa e all'Italia, dei quali si andrà
in parte favellando negli anni seguenti. Venuto a Lione il novello
papa, ivi nella domenica fra l'ottava di san Martino fu solennemente
coronato, e servito da _Filippo re_ di Francia, da _Carlo di Valois_
e da altri principi, col concorso d'innumerabil popolo. Ma occorse una
sciagura che fu presa per mal augurio. Nella processione, o cavalcata,
per la gran calca della gente, si rovesciò un muro in vicinanza del
papa, per cui egli stesso cadde da cavallo, e andò per terra la corona
pontificia, un cui carbonchio o rubino di valore di sei mila fiorini
d'oro si perdè, ma fu poi ritrovato. Vi morirono alcuni baroni, e fra
gli altri Giovanni duca di Bretagna. Gravemente ancora ne fu leso
Carlo fratello del re, ma ne guarì. Per questo caso immense furono
le dicerie della gente. Anche nel dì 25 del mese di novembre, nata
rissa tra la famiglia del papa e de' cardinali, vi restò ucciso un di
lui fratello[721]. Fece poi nel seguente dicembre papa Clemente una
promozione di dieci cardinali, nove franzesi a petizione del re di
Francia, ed uno inglese. Se questo piacesse ai cardinali italiani, Dio
vel dica. Restituì inoltre il cappello cardinalizio a Jacopo e Pietro
dalla Colonna.
Nel mese d'aprile di quest'anno _Azzo VIII marchese_ d'Este, signor di
Ferrara, Modena e Reggio[722], condusse in moglie _Beatrice_ figliuola
di _Carlo II re_ di Napoli. Gran solennità fu fatta in tale occasione.
Ma queste nozze misero in gelosia i suoi vicini, temendo tutti che la
sua alleanza con un principe sì potente mirasse a mettere il giogo ai
popoli d'intorno. Furbescamente ancora si disseminò una voce, che il
marchese volea dare in dote alla regal sua moglie le città di Modena
e di Reggio: il che diede molta apprensione a chi le prestò fede[723].
Ora accadde che nel dì 6 d'agosto le fazioni di Parma vennero all'armi,
e gran tumulto ne succedette[724]. La peggio toccò alle nobili famiglie
de' Rossi e dei Lupi, che si salvarono colla fuga, e perciò furono
bandite con tutti i loro seguaci. Per questo la parte guelfa di Parma
s'infievolì non poco; e rientrati in quella città molti Ghibellini
banditi in addietro, vi rinforzarono maggiormente la loro fazione.
Da lì a non molto si scoprì il disegno d'alcuni nobili, di deporre
dalla signoria di Parma _Giberto da Correggio_, e fu detto che il
marchese Azzo Estense tenesse mano al trattato. Vero o falso che ciò
fosse, perchè Giberto sapeva ben fabbricar delle tele, certo è ch'egli
segretamente si collegò coi Bolognesi, Veronesi e Mantovani, a' danni
del marchese; e non solo ebbe dalla sua i fuorusciti di Reggio e di
Modena, ma nelle stesse due città maneggiò delle congiure. Poscia
nel mese d'ottobre, quando a tutt'altro pensava il marchese, Giberto
co' Parmigiani venne alle porte di Reggio, e i Bolognesi con tutto il
loro sforzo, dopo aver preso a tradimento il ponte di Sant'Ambrosio,
giunsero alle porte di Modena, credendosi di mettere il piede in tutte
e due queste città. I provvisionati del marchese valorosamente difesero
Reggio. In Modena i nobili da Savignano levarono il rumore contra
la guarnigione marchesana; ma questa prevalse, e si sostenne tanto,
che, arrivato da Ferrara il marchese, i Bolognesi si ritirarono, e si
quetò la burrasca colla prigionia di diciassette de' nobili suddetti.
Fecero poi le genti del marchese delle scorrerie sul Parmigiano,
tentando di far rimuovere i Correggeschi dall'assedio di Soragna,
dove s'erano afforzati i Rossi e i Lupi fuorusciti di Parma; ma non
poterono impedire che quella terra non si arrendesse sul fine dell'anno
a patti di buona guerra. Nel gennaio di quest'anno _Giovanni marchese_
di Monferrato diede fine alla sua vita, e alla diritta nobilissima
linea di que' principi, perchè morì senza figliuoli[725]. Lasciò erede
de' suoi Stati _Jolanta_, ossia _Violanta_ sua sorella, imperadrice
di Costantinopoli, e i suoi figliuoli. Ora _Manfredi marchese_ di
Saluzzo, il quale, per testimonianza di Guglielmo Ventura[726], per
linea traversale mascolina discendeva dal medesimo sangue de' marchesi
di Monferrato, senza voler attendere il testamento di Giovanni,
entrò coll'armi in possesso della maggior parte del Monferrato. Ma,
secondo i documenti recati da Benvenuto da San Giorgio, sulle prime
il marchese di Saluzzo prese solamente il titolo di governatore e
difensore del marchesato del Monferrato, insieme col comune di Pavia
e con _Filippone conte_ di Langusco, signore di Pavia. E si vede
che col loro consentimento i Monferrini spedirono ambasciatori a
Costantinopoli, pregando l'imperadrice di venir ella in persona a
prendere il possesso e governo degli Stati, oppure di mandar loro
uno de' suoi figliuoli. Fu fatta poi correre voce, la qual giunse
anche a Costantinopoli, che _Margherita di Savoia_, rimasta vedova
del marchese Giovanni, era gravida, il che ritardò le risoluzioni
della corte greca: tutte invenzioni del suddetto marchese di Saluzzo,
il quale aspirava alla padronanza del Monferrato. Ma, chiarita la
falsità di questa gravidanza, il greco imperadore _Andronico_ _Comneno_
Paleologo e _Jolanta_ sua moglie, chiamata _Irene_ dai Greci, presero
la risoluzione d'inviare in Italia il _principe_ _Teodoro_ lor
secondogenito a prendere il possesso del Monferrato. A questo fine
prepararono gli occorrenti navigli, e un nobile accompagnamento di sua
persona. Era in questi tempi[727] la città di Pistoia un buon nido de'
Bianchi, ossia de' Ghibellini di Toscana; e temendo i Fiorentini che
crescesse la di lei potenza coll'aiuto de' Pisani, Aretini e Bolognesi,
tutti allora di parte ghibellina, pregarono il re Carlo II di mandar
loro per capitano uno de' principi suoi figliuoli. Spedì egli _Roberto
duca_ di Calabria nel mese di aprile con trecento lancie e molta
fanteria d'Aragonesi e Catalani, gente a lui somministrata da _Giacomo
re_ d'Aragona suo genero. Ricevuto questo rinforzo, i Fiorentini nel
dì 26 di maggio con tutte le lor forze andarono ad assediar Pistoia
dall'un lato, e i Lucchesi dall'altro. Vi stettero sotto più mesi; e
benchè il _cardinal Napoleone_ e quello da Prato, siccome ghibellini,
inducessero papa Clemente ad inviar colà ordini pressanti[728], perchè
lasciassero in pace Pistoia; pure i Fiorentini seguitarono a far i
fatti loro; perlochè furono scomunicati i rettori della città e i
capitani dell'oste, e fu messo l'interdetto a Firenze.
NOTE:
[714] Chron. Patavin., tom. 8 Rer. Ital.
[715] Ferretus Vicentinus, tom. 9 Rer. Ital.
[716] Contin. Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[717] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 80.
[718] Ferretus Vicentinus, lib. 3, tom. 9 Rer. Ital.
[719] S. Antonin., P. III, tit. 21.
[720] Bernard. Guid., in Vit. Clement. V. Ptolomaeus Lucensis, Hist.
Eccles.
[721] Westmon. flosc., Histor.
[722] Annal. Estenses, tom. 15 Rer. Ital.
[723] Ptolom. Lucensis, in Vita Clement. V.
[724] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[725] Benvenuto da S. Giorgio, Istor. del Monferrato, tom. 23 Rer. Ital.
[726] Chron. Astense, cap. 15, tom. 11 Rer. Ital.
[727] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 82. Istorie Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCVI. Indizione IV.
CLEMENTE V papa 2.
ALBERTO Austriaco re de' Romani 9.
Rivocò in quest'anno _papa Clemente_ le esorbitanti costituzioni
di _papa Bonifazio VIII_, colle quali aveva asserito il re e regno
di Francia dipendenti e soggetti anche nel temporale ai romani
pontefici[729]. E intanto, sì entro che fuori d'Italia, emanavano
ordini di pagar decime ai re, specialmente di Francia, Napoli e
Sicilia, collo spezioso pretesto di conquistar l'imperio greco e
la Terra santa; al quale effetto si dicea farsi dei preparamenti da
_Carlo di Valois_. A tali imprese esortò il papa anche i Genovesi e
Veneziani con belle lettere. Certo è che furono pagate le decime, e
in borsa dei principi colò quel danaro, ma senza che ne sentissero
dolor di capo Greci, Turchi e Saraceni: se non che i cavalieri dello
Spedale, oggidì di Malta, colle lor forze impresero l'assedio di Rodi,
occupato dai Turchi, e continuando la guerra per lo spazio di quattro
anni, finalmente se ne impadronirono. Ma pelando con tal pretesto il
papa e i cardinali le chiese di Francia, sì gagliardi furono i lamenti
di quel clero, che lo stesso re, benchè tanto amico del pontefice,
s'interpose per metter freno agli abusi. Riuscì in quest'anno[730]
ai segreti maneggi de' Bolognesi e di _Giberto da Correggio_ signor
di Parma, di dare una fiera percossa ad _Azzo Estense_ signor di
Ferrara, con ordire tradimenti in Modena e Reggio, i quali ebbero il
desiato effetto. Nella notte precedente al dì 26 di gennaio si levò
a rumore il popolo di Modena, incitato specialmente da Manfredino
da Sassuolo (cioè da chi era costituito capitano della milizia dal
marchese, il quale più di lui che d'altri si fidava) e da Sassuolo
suo figliuolo, e da Rinaldo da Marcheria altro capitano del marchese.
Ferreto Vicentino[731] si stende molto nella narrativa del fatto. A me
basterà di dire, che quantunque Fresco, bastardo del marchese, cogli
stipendiati, venuto il giorno, facesse ogni possibil resistenza, pure
fu costretto a ritirarsi nel castello, e il castello fece poca difesa,
perchè non era provveduto di viveri, e convenne cederlo a patti di
buona guerra. In quello stesso giorno i Rangoni, Savignani, Boschetti
ed altri fuorusciti rientrarono nella città, e si fece gran festa e
galloria per avere ricuperata la libertà, ma libertà che costò ben cara
ai Modenesi, perchè tornò la discordia, e mali infiniti si scaricarono
da lì innanzi sopra questa città, che, credendo di star meglio, stette
peggio dipoi, finchè tornò sotto il dominio degli Estensi. La mutazion
di governo in Modena fu cagione che nel dì seguente anche i Reggiani,
animati da questo esempio, si ribellassero al marchese Azzo, e ne
cacciassero a forza il suo presidio colla morte di molti. Corse tosto
colà Giberto da Correggio con un grosso corpo d'armati; e forse perchè
andò poi tessendo delle reti, per ottener la signoria di quella città,
da lì a pochi giorni vi fu gran rumore, e Giberto prese la piazza e il
palazzo del comune. Ma infine, contentandosi che i Reggiani prendessero
per loro podestà Matteo suo fratello, se ne tornò a Parma, e strinse
in questo tempo parentela con _Alboino dalla Scala_ signor di Verona,
dandogli in moglie una sua figliuola. Diedene un'altra ancora a
Francesco figliuolo di Passerino de' Bonacossi, cioè di colui che fu
dipoi signore di Mantova. Presero i Mantovani in queste rivoluzioni il
castello di Reggiuolo ai Reggiani, nè più lo renderono, con grave danno
e doglia del popolo di Reggio. Nel mese di febbraio[732] si strinsero
in lega le città di Parma, Modena, Reggio, Mantova, Verona e Brescia,
tutte a' danni del _marchese Azzo_, con disegno di cacciarlo anche
fuori di Ferrara, ma con tutti i loro sforzi non venne lor fatto il
colpo.
Accaddero in quest'anno anche in Bologna delle fiere rivoluzioni[733].
Fu creduto o provato che la fazion de' Lambertazzi e Bianchi, cioè
quella de' Ghibellini, volesse far delle novità: però fu in armi
il popolo gridando: _Muoiano i Ghibellini, vivano i Guelfi_. Per
testimonianza di Dino Compagni, fu questa una mena de' Fiorentini,
nemicissimi de' Ghibellini. Molti d'essi Lambertazzi furono morti,
il resto prese la fuga, e ne seguirono saccheggi e abbattimenti di
parecchie case. In queste turbolenze Romeo de Pepoli con altri nobili
preso, fu posto in quelle carceri, ma poi rilasciato. Tornò quella
città a parte guelfa. Molte altre guerre seguirono per questo sconcerto
nel contado di Bologna, ch'io tralascio. Ora, l'essere divenuta la
parte guelfa trionfante in Bologna, servì a rimettere la buona armonia
fra quel comune ed il marchese Azzo d'Este, capo dei Guelfi; e perciò
non solamente pace, ma anche lega fu stabilita fra loro; e tanto essi
Bolognesi che i Fiorentini, caporali anche essi della fazione guelfa,
mandarono soccorsi di gente al marchese, contra del quale _Bottesella
dei Bonacossi_ signor di Mantova, _Alboino dalla Scala_ signor di
Verona coi Mantovani, Veronesi, Bresciani, Parmigiani, Piacentini
ed altri della lor lega fecero grande oste nel mese di luglio[734].
Presero essi nel distretto di Ferrara Massa, Melara, Figheruolo e
la Stellata, con arrivar anche sino alle porte di Ferrara, ma con
ritrovarvi quel popolo ben disposto alla difesa; e però se ne tornarono
a casa. Vennero poi di nuovo essi collegati nel mese di ottobre nel
distretto di Ferrara, ed ebbero a tradimento il forte castello di
Bregantino, nè poterono far di più. Continuava tuttavia l'assedio
di Pistoia, sostenuto con gran vigore e disagi per tutto il verno
dai Fiorentini[735] e Lucchesi, quando s'udì che veniva in Italia il
_cardinal Napoleone_ degli Orsini, ghibellino di genio, spedito da papa
Clemente V per legato in Italia, affin di pacificare le città troppo
divise nell'interno loro, o in rotta coi vicini. I Fiorentini, gente
che sapeva far la punta agli aghi, s'avvisarono tosto che egli verrebbe
per intorbidare il conquisto di Pistoia, giacchè sapeano disgustato
il pontefice per la già mostrata disubbidienza: provvidero al bisogno
con un tradimento. Cioè fecero entrare un frate in Pistoia, il quale
per parte loro promise le più belle cose del mondo a quel popolo, di
maniera che parte per la fame, giunta quasi all'estremo, e parte pel
dolce suono delle esibite vantaggiose condizioni, renderono infine
la terra nel dì 10 d'aprile[736]. Niuna promessa fu loro attenuta;
anzi un terribile strazio si fece di quell'infelice città. Divisero i
Fiorentini e Lucchesi fra loro il contado, atterrarono tutte le mura
e fortezze della città, e ne spianarono le fosse. Infierirono ancora
contro i palagi e le case dei Ghibellini e Bianchi, diroccandole: in
una parola, restò Pistoia uno scheletro, e sotto l'aspro governo de'
vincitori. Venne in Italia il cardinal Napoleone, e, udita la resa di
Pistoia, ne fu molto dolente. Andossene a Bologna per rimetter quivi la
pace e gli usciti. Anche ivi lavorarono sottomano i Fiorentini[737],
con far giocare danaro, e indussero que' maggiorenti ad opporgli un
trattato pregiudiziale allo stato loro. Perciò nel dì 22 di maggio
commosso il popolo a rumore, colle armi in mano corse al palazzo del
legato con tal furore e minaccie, che gli convenne sloggiare, e furono
morti alcuni di sua famiglia, e rubata, nell'andarsene, buona parte de'
suoi ricchi arnesi. Pien di vergogna e rabbia si ritirò il cardinale ad
Imola, e, quivi stando, nel dì 24 di giugno[738] scomunicò i rettori
ed anziani di Bologna, mise l'interdetto alla città, la privò dello
Studio, con dichiarare scomunicato chi v'andasse a studiare: il che fu
la fortuna di Padova, perchè tutti gli scolari passarono allo Studio
di quella città. Aveva egli fatto sapere anche a' Fiorentini di voler
visitare la lor città, per liberarla dall'interdetto e dalle censure.
Gli fu fatto intendere che non s'incomodasse, perchè per allora non
aveano bisogno di sue benedizioni: con che restò egli nemico ancora
di Firenze, e riconfermò l'interdetto e l'altre pene spirituali, delle
quali erano già aggravati. Signori di Bertinoro in questi tempi erano i
Calboli, e faceano mal governo. Alberguccio dei Mainardi, aiutato da'
Forlivesi e Faentini, nel dì 6 di giugno prese la terra; ed essendosi
ritirati i Calboli nel Girone, por mancanza di vettovaglia, furono
astretti a renderlo, salve le robe e le persone. Secondo la Cronica
Forlivese[739], passò quella nobil terra in potere del comune di
Forlì. Una somigliante disgrazia accadde a _Pandolfo Malatesta_, che
era podestà e quasi signore di Fano. Ne fu egli scacciato nel luglio
di quest'anno, ancorchè avesse per sua guardia cinquecento cavalieri e
trecento pedoni. Poscia nel seguente agosto anche il popolo di Pesaro,
di cui era podestà, il fece con mala grazia uscire della lor città.
Perdè egli finalmente anche Sinigaglia, di cui era quasi signore. Per
attestato del Corio[740], _Matteo Visconte_ venne con un buon corpo
di soldatesche in quest'anno per prendere Vavro sul fiume Adda; ma,
accorsi i Milanesi coi lor collegati, fecero restar vani i di lui
attentati. Però, conoscendo egli troppo contraria a sè la presente
fortuna, si ritirò finalmente in solitario luogo a far vita privata
e nascosa, aspettando tempi più propizii a' suoi desiderii. Ferreto
Vicentino[741] scrive che egli si ricoverò prima al lago d'Iseo, e
poscia andò ad abitare nella villa di Nogarola, che era di Bailardino
da Nogarola, nei confini di Mantova, dove da povero signore dimorò
circa cinque anni. _Galeazzo_ suo figliuolo fu in questi tempi podestà
di Trivigi.
In Genova[742] per la festa dell'Epifania i Doria (a riserva di Bernabò
Doria) con altri grandi della fazion mascherata, cioè ghibellina,
presero l'armi per abbassargli Spinoli e la parte popolare. Furono
vinti dalla forza del popolo, e se n'andarono in esilio. Allora il
popolo costituì capitani e governatori della città il suddetto Bernabò
ed Obizzone Spinola da Lucolo. Anche il popolo piacentino[743] diviso
in due fazioni fu in armi nel dì 16 di maggio. Restarono superiori
nel conflitto i Laudi, i Fulgosi e Visconte Pelavicino, e fu cacciata
dalla città la famiglia de' Fontana con tutti i suoi seguaci. Approdò
in quest'anno a Genova _Teodoro_ figliuolo di _Andronico Comneno_
imperador de' Greci, venuto per entrare in dominio del Monferrato[744],
lasciatogli in eredità dal fu _marchese Giovanni_ suo zio. Ma trovò
quegli Stati per la maggior parte occupati da _Manfredi marchese_
di Saluzzo e dai fuorusciti d'Asti. Si prevalse di quella occasione
_Obizzino Spinola_, uno de' capitani e come signori di Genova, per
fargli prendere in moglie Argentina sua figliuola, al che condiscese
Teodoro per isperanza d'essere assistito ne' correnti suoi bisogni
dal potente suocero, e in considerazione ancora di un'altra figliuola
d'esso Obizzino Spinola, maritata con _Filippone conte_ di Langusco
e signor di Pavia, la cui parentela potea molto giovargli. Ciò fatto,
venne a Casale di Sant'Evasio, accolto con gran festa da quel popolo
e da altre terre del Monferrato, che s'erano conservate fedeli, e
si gloriavano di aver per loro padrone il figliuolo d'un imperadore.
Qual fosse lo stato allora del Monferrato e del Piemonte, l'abbiamo da
Guglielmo Ventura, chiamato Ruffino da Benvenuto da San Giorgio[745].
Avea il suddetto marchese di Saluzzo occupate molte terre che erano
in Piemonte, già possedute da _Carlo I re_ di Sicilia. Nell'anno
precedente mandò il _re Carlo II_, nel mese di marzo, Rinaldo da
Leto Pugliese suo siniscalco con cento uomini d'armi ed altrettanti
balestrieri in Piemonte. La città d'Alba e le terre di Cherasco,
Savigliano e Montevico giurarono nelle di lui mani di nuovo fedeltà
al re. Dopo di che egli, coll'aiuto degli Astigiani, tolse Cuneo
ed altri luoghi al marchese di Saluzzo, il quale tra per levarsi di
dosso questo possente nemico, e per poter tenere le molte terre già
occupate nel Monferrato, venne ad un accordo col re Carlo II nel dì
7 di febbraio dell'anno presente, con riconoscere da lui in feudo il
marchesato del Monferrato, e cedergli Nizza della Paglia e Castagnole,
terre del medesimo marchesato. Niuna ragione avea il re Carlo sopra del
Monferrato; ma il marchese venne a questo atto per sostener la preda
colla protezione ed aiuto del re contra del greco Teodoro. Quanto agli
Astigiani, essendo capitato ad Asti _Filippo di Savoia_ principe della
Morea, che tornava di Levante con due soli compagni, e trovandosi quel
popolo assai stretto per le molte terre del loro contado occupate dalla
fazion dei Gottuari fuorusciti, venne in parere di prendere questo
principe per suo capitano per tre anni avvenire, dandogli ventisette
mila lire ogni anno: con che egli dovesse tenere cento uomini d'armi
al loro servigio. A man baciata accettò il principe questo impiego,
sperando fra qualche tempo di piantar quivi le radici con divenir
signore di quella allora assai ricca città. Nè passarono mesi, ch'egli
imperiosamente ne richiese il dominio a que' cittadini, la metà per
lui, e l'altra per _Amedeo conte_ di Savoia suo parente. Fu in pericolo
della vita per questo, tanto se ne sdegnarono gli Astigiani; ma si
disdisse, e cessò il rumore. Avendo poi desiderato il marchese Teodoro
d'abboccarsi con esso principe e coi deputati d'Asti al ponte della
Rotta, si videro insieme, e, per attestato del Ventura, Filippo corse
ad abbracciare e baciare, con bacio poco corrispondente al cuore, il
marchese; e, poi trattatosi di lega, promise quanto l'altro desiderò.
Ma appena fu ritornato ad Asti, che scoprì il suo mal animo contra
di Teodoro, ed aspramente comandò agli Astigiani di astenersi dal far
lega con lui, non senza maraviglia di chi era intervenuto al suddetto
abboccamento. Anche un uffiziale del re Carlo avea voluto indurlo con
vantaggiose condizioni a far lega col suo signore contra del marchese
di Saluzzo; e il principe ricusò tutto. Ne fu informato il re con
esagerazion dell'uffiziale, e andò così in collera, che giurò di
vendicarsene; e gli attenne la parola, perchè spedì _Filippo principe_
di Taranto suo figliuolo con una armata che gli occupò il principato
della Morea. Allora Filippo di Savoia quasi per forza contrasse lega
in Piemonte col re Carlo, e perchè gli Astigiani presero la villa di
Cavalerio senza sua saputa, si ritirò da Asti; e favorendo poscia i
fuorusciti di quella città, seguitò a guerreggiare unito co' Provenzali
contra di Teodoro marchese di Monferrato. Tale era allora lo stato di
quelle contrade.
NOTE:
[728] Ferretus Vicentinus, Histor., lib. 3, tom. 9 Rer. Ital.
[729] Raynaldus, in Annal. Eccl.
[730] Annal. Estenses, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Parmense, tom. 9 Rer.
Italic. Chron. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital. Annal. Veteres Mutinens,
tom. 11 Rer. Ital
[731] Ferretus Vicentinus, Hist., tom. 9 Rer. Ital.
[732] Chron. Parmense, tom. 19 Rer. Ital.
[733] Matth. de Griffonibus, Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[734] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Parmense, tom. 9 Rer.
Ital.
[735] Dino Compagni, lib. 3, tom. 9 Rer. Italic. Giovanni Villani, lib.
8, cap. 82.
[736] Istorie Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital.
[737] Dino Compagni, lib. 3, tom. 9 Rer. Italic. Chron. Bononiense,
tom. 18 Rer. Ital.
[738] Annal. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[739] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[740] Corio, Istor. di Milano.
[741] Ferretus Vicentinus, lib. 3, tom. 9 Rer. Italic.
[742] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[743] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[744] Guillelmus Ventura, Chron. Astens., cap. 42 tom. 11 Rer. Ital.
[745] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
Anno di CRISTO MCCCVII. Indizione V.
CLEMENTE V papa 3.
ALBERTO Austriaco re de' Romani 10.
Desiderando _Filippo re_ di Francia di fare un abboccamento col papa,
fu scelta a questo effetto la città di Poitiers[746]. Quivi il re,
non contento dell'avere dianzi il pontefice abolite le costituzioni di
papa Bonifazio VIII pregiudiziali ai diritti dei re franzesi, tuttavia,
pieno di livore, fece di forti istanze al papa perchè condannasse la
memoria di papa Bonifazio, con ispacciarlo per simoniaco ed eretico.
In prova di che, dicea d'aver testimonii degni di fede. Volle Dio
che _Niccolò cardinale_ da Prato eludesse il mal talento del re[747]
con suggerire al papa un ripiego atto a dilungare ed imbrogliar
la faccenda. E fu quello di rispondere, che cosa di tanto momento,
riguardante tutta la Chiesa, non si potea trattare e risolvere se
non in un concilio generale. Al che non potendo di meno, acconsentì
il re; e fu determinato di tenerlo in Vienna del Delfinato. Propose
ancora il re in quel congresso di processare i cavalieri del Tempio,
che, possedendo di grandi ricchezze e beni per tutta la cristianità,
si erano dati forte al lusso e al libertinaggio, pretendendo giunta
la depravazione dei lor costumi ai più abbominevoli ed enormi vizii,
e sino a rinnegar la fede di Gesù Cristo. Altro io non dirò intorno
a questa materia, se non che con mano forte si procedè contra d'essi
Templari, imprigionati per tutta la Francia, e poscia per gli altri
regni, il numero de' quali si fa ascendere da Ferreto Vicentino[748] a
quindici mila. Costoro, se crediamo ai processi fatti in questo e nei
susseguenti anni, furono trovati rei e convinti d'enormità inudite,
d'apostasia e d'idolatria. Si sa che nel concilio di Vienna fu poscia
abolito l'ordine, e confiscati gl'immensi lor beni a profitto del papa
e dei re; la maggior parte de' quali fu venduta ai cavalieri dello
Spedale, oggidì di Malta, con grande loro svantaggio nondimeno, perchè
si caricarono di tanti debiti per denari presi ad usura affin di far
sì grossi acquisti, che gran tempo ne languì l'ordine loro. Da molti
fu quella sentenza tenuta per giustissima. Ma non si potè levar di
capo ai più di que' tempi (e lo confessa il Villani[749] con altri
Italiani, e sopra ciò s'è veduto anche ai dì nostri un libro di autore
franzese) che quella non fosse un'iniqua invenzione di Filippo il Bello
re di Francia per arricchirsi colle spoglie loro, siccome dianzi avea
fatto delle tante ricchezze degli Ebrei che egli scacciò dal regno
suo. Dicevano essi che non ci voleva molto ai re il far comparire con
dei processi e tormenti colpevole chi era in loro disgrazia, o per
vendicarsi di loro o per assorbire i loro beni; e che se fosse toccato
al re Filippo di formar anche il processo a papa Bonifazio, egli
sarebbe apparuto simile ai Templari, quando pure ognun sapeva essere
false le imputazioni a lui date dal medesimo re. Noto è altresì che
il gran maestro e tanti altri cavalieri del Tempio bruciati vivi, o
in altra guisa giustiziati, protestaronsi sempre innocenti de' falli
loro apposti, e però da molti furono creduti martiri della cupidigia
di quel re, principe diffamato per altri suoi gravi eccessi. Il perchè
le disavventure occorse a lui, e la mancanza della sua linea furono
attribuite dagli speculativi de' giudizii di Dio a questi ed altri atti
della prepotenza sua. Guglielmo Ventura[750] scrittore contemporaneo,
santo Antonino[751] ed altri son da vedere intorno a questo argomento.
Intanto a noi conviene il sospendere qui i giudizii nostri, lasciando a
Dio solo, che non può ingannarsi, la cognizione della verità, bastando
a noi d'avere inteso il fatto e le varie opinioni d'allora.
Vidersi ancora nell'anno presente di grandi rivoluzioni in Italia.
Cominciarono i Modenesi a provare il frutto della lor ribellione alla
Francia la Sede apostolica. L'arcivescovo, tutto ansante di vedersi in
capo la tiara pontificia, stabilì tosto il mercato, giurò le promesse
sopra il corpo del Signore, diede anche per ostaggi al re un suo
fratello e due suoi nipoti, e però il re immediatamente rispedì il
segreto messo al cardinale di Prato e agli altri di sua fazione, con
ordine di prendere per papa Bertrando del Gotto; e infatti ne seguì
l'elezione secondo il concerto. Ah mali arnesi della Chiesa di Dio! In
mano d'essi avea la Provvidenza messo l'eleggere un sommo pontefice,
non già per servire alle mondane cupidigie di loro e de' principi della
terra, ma bensì per procurare il maggior bene del popolo cristiano:
ecco il frutto dello scisma, della cabala e dell'ambizione, che li
portò ad eleggere sì lontano un pastore da loro mal conosciuto; ed
ecco come tradirono l'intenzion di Dio e le coscienze proprie con
una elezione per sè stessa illecita e scandalosa, recando, insieme
colla rovina dell'Italia, una piaga sempre memorabile alla Sede
di san Pietro. Stettero ben poco ad accorgersi del deplorabile lor
fallo i cardinali[720]; perchè accettata che fu nel dì 23 di luglio
l'elezione dall'arcivescovo (il qual prese il nome di _Clemente V_),
furono chiamati in Francia, e per quante ragioni sapessero addurre in
contrario, bisognò ubbidire. Così passò in Francia la Sede apostolica,
e vi restò poi per settanta anni, in cattività somigliante alla
babilonica, perchè schiava delle voglie dei re franzesi, con provenirne
infiniti disordini e mali alla Chiesa e all'Italia, dei quali si andrà
in parte favellando negli anni seguenti. Venuto a Lione il novello
papa, ivi nella domenica fra l'ottava di san Martino fu solennemente
coronato, e servito da _Filippo re_ di Francia, da _Carlo di Valois_
e da altri principi, col concorso d'innumerabil popolo. Ma occorse una
sciagura che fu presa per mal augurio. Nella processione, o cavalcata,
per la gran calca della gente, si rovesciò un muro in vicinanza del
papa, per cui egli stesso cadde da cavallo, e andò per terra la corona
pontificia, un cui carbonchio o rubino di valore di sei mila fiorini
d'oro si perdè, ma fu poi ritrovato. Vi morirono alcuni baroni, e fra
gli altri Giovanni duca di Bretagna. Gravemente ancora ne fu leso
Carlo fratello del re, ma ne guarì. Per questo caso immense furono
le dicerie della gente. Anche nel dì 25 del mese di novembre, nata
rissa tra la famiglia del papa e de' cardinali, vi restò ucciso un di
lui fratello[721]. Fece poi nel seguente dicembre papa Clemente una
promozione di dieci cardinali, nove franzesi a petizione del re di
Francia, ed uno inglese. Se questo piacesse ai cardinali italiani, Dio
vel dica. Restituì inoltre il cappello cardinalizio a Jacopo e Pietro
dalla Colonna.
Nel mese d'aprile di quest'anno _Azzo VIII marchese_ d'Este, signor di
Ferrara, Modena e Reggio[722], condusse in moglie _Beatrice_ figliuola
di _Carlo II re_ di Napoli. Gran solennità fu fatta in tale occasione.
Ma queste nozze misero in gelosia i suoi vicini, temendo tutti che la
sua alleanza con un principe sì potente mirasse a mettere il giogo ai
popoli d'intorno. Furbescamente ancora si disseminò una voce, che il
marchese volea dare in dote alla regal sua moglie le città di Modena
e di Reggio: il che diede molta apprensione a chi le prestò fede[723].
Ora accadde che nel dì 6 d'agosto le fazioni di Parma vennero all'armi,
e gran tumulto ne succedette[724]. La peggio toccò alle nobili famiglie
de' Rossi e dei Lupi, che si salvarono colla fuga, e perciò furono
bandite con tutti i loro seguaci. Per questo la parte guelfa di Parma
s'infievolì non poco; e rientrati in quella città molti Ghibellini
banditi in addietro, vi rinforzarono maggiormente la loro fazione.
Da lì a non molto si scoprì il disegno d'alcuni nobili, di deporre
dalla signoria di Parma _Giberto da Correggio_, e fu detto che il
marchese Azzo Estense tenesse mano al trattato. Vero o falso che ciò
fosse, perchè Giberto sapeva ben fabbricar delle tele, certo è ch'egli
segretamente si collegò coi Bolognesi, Veronesi e Mantovani, a' danni
del marchese; e non solo ebbe dalla sua i fuorusciti di Reggio e di
Modena, ma nelle stesse due città maneggiò delle congiure. Poscia
nel mese d'ottobre, quando a tutt'altro pensava il marchese, Giberto
co' Parmigiani venne alle porte di Reggio, e i Bolognesi con tutto il
loro sforzo, dopo aver preso a tradimento il ponte di Sant'Ambrosio,
giunsero alle porte di Modena, credendosi di mettere il piede in tutte
e due queste città. I provvisionati del marchese valorosamente difesero
Reggio. In Modena i nobili da Savignano levarono il rumore contra
la guarnigione marchesana; ma questa prevalse, e si sostenne tanto,
che, arrivato da Ferrara il marchese, i Bolognesi si ritirarono, e si
quetò la burrasca colla prigionia di diciassette de' nobili suddetti.
Fecero poi le genti del marchese delle scorrerie sul Parmigiano,
tentando di far rimuovere i Correggeschi dall'assedio di Soragna,
dove s'erano afforzati i Rossi e i Lupi fuorusciti di Parma; ma non
poterono impedire che quella terra non si arrendesse sul fine dell'anno
a patti di buona guerra. Nel gennaio di quest'anno _Giovanni marchese_
di Monferrato diede fine alla sua vita, e alla diritta nobilissima
linea di que' principi, perchè morì senza figliuoli[725]. Lasciò erede
de' suoi Stati _Jolanta_, ossia _Violanta_ sua sorella, imperadrice
di Costantinopoli, e i suoi figliuoli. Ora _Manfredi marchese_ di
Saluzzo, il quale, per testimonianza di Guglielmo Ventura[726], per
linea traversale mascolina discendeva dal medesimo sangue de' marchesi
di Monferrato, senza voler attendere il testamento di Giovanni,
entrò coll'armi in possesso della maggior parte del Monferrato. Ma,
secondo i documenti recati da Benvenuto da San Giorgio, sulle prime
il marchese di Saluzzo prese solamente il titolo di governatore e
difensore del marchesato del Monferrato, insieme col comune di Pavia
e con _Filippone conte_ di Langusco, signore di Pavia. E si vede
che col loro consentimento i Monferrini spedirono ambasciatori a
Costantinopoli, pregando l'imperadrice di venir ella in persona a
prendere il possesso e governo degli Stati, oppure di mandar loro
uno de' suoi figliuoli. Fu fatta poi correre voce, la qual giunse
anche a Costantinopoli, che _Margherita di Savoia_, rimasta vedova
del marchese Giovanni, era gravida, il che ritardò le risoluzioni
della corte greca: tutte invenzioni del suddetto marchese di Saluzzo,
il quale aspirava alla padronanza del Monferrato. Ma, chiarita la
falsità di questa gravidanza, il greco imperadore _Andronico_ _Comneno_
Paleologo e _Jolanta_ sua moglie, chiamata _Irene_ dai Greci, presero
la risoluzione d'inviare in Italia il _principe_ _Teodoro_ lor
secondogenito a prendere il possesso del Monferrato. A questo fine
prepararono gli occorrenti navigli, e un nobile accompagnamento di sua
persona. Era in questi tempi[727] la città di Pistoia un buon nido de'
Bianchi, ossia de' Ghibellini di Toscana; e temendo i Fiorentini che
crescesse la di lei potenza coll'aiuto de' Pisani, Aretini e Bolognesi,
tutti allora di parte ghibellina, pregarono il re Carlo II di mandar
loro per capitano uno de' principi suoi figliuoli. Spedì egli _Roberto
duca_ di Calabria nel mese di aprile con trecento lancie e molta
fanteria d'Aragonesi e Catalani, gente a lui somministrata da _Giacomo
re_ d'Aragona suo genero. Ricevuto questo rinforzo, i Fiorentini nel
dì 26 di maggio con tutte le lor forze andarono ad assediar Pistoia
dall'un lato, e i Lucchesi dall'altro. Vi stettero sotto più mesi; e
benchè il _cardinal Napoleone_ e quello da Prato, siccome ghibellini,
inducessero papa Clemente ad inviar colà ordini pressanti[728], perchè
lasciassero in pace Pistoia; pure i Fiorentini seguitarono a far i
fatti loro; perlochè furono scomunicati i rettori della città e i
capitani dell'oste, e fu messo l'interdetto a Firenze.
NOTE:
[714] Chron. Patavin., tom. 8 Rer. Ital.
[715] Ferretus Vicentinus, tom. 9 Rer. Ital.
[716] Contin. Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[717] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 80.
[718] Ferretus Vicentinus, lib. 3, tom. 9 Rer. Ital.
[719] S. Antonin., P. III, tit. 21.
[720] Bernard. Guid., in Vit. Clement. V. Ptolomaeus Lucensis, Hist.
Eccles.
[721] Westmon. flosc., Histor.
[722] Annal. Estenses, tom. 15 Rer. Ital.
[723] Ptolom. Lucensis, in Vita Clement. V.
[724] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[725] Benvenuto da S. Giorgio, Istor. del Monferrato, tom. 23 Rer. Ital.
[726] Chron. Astense, cap. 15, tom. 11 Rer. Ital.
[727] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 82. Istorie Pistolesi, tom. 11
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCVI. Indizione IV.
CLEMENTE V papa 2.
ALBERTO Austriaco re de' Romani 9.
Rivocò in quest'anno _papa Clemente_ le esorbitanti costituzioni
di _papa Bonifazio VIII_, colle quali aveva asserito il re e regno
di Francia dipendenti e soggetti anche nel temporale ai romani
pontefici[729]. E intanto, sì entro che fuori d'Italia, emanavano
ordini di pagar decime ai re, specialmente di Francia, Napoli e
Sicilia, collo spezioso pretesto di conquistar l'imperio greco e
la Terra santa; al quale effetto si dicea farsi dei preparamenti da
_Carlo di Valois_. A tali imprese esortò il papa anche i Genovesi e
Veneziani con belle lettere. Certo è che furono pagate le decime, e
in borsa dei principi colò quel danaro, ma senza che ne sentissero
dolor di capo Greci, Turchi e Saraceni: se non che i cavalieri dello
Spedale, oggidì di Malta, colle lor forze impresero l'assedio di Rodi,
occupato dai Turchi, e continuando la guerra per lo spazio di quattro
anni, finalmente se ne impadronirono. Ma pelando con tal pretesto il
papa e i cardinali le chiese di Francia, sì gagliardi furono i lamenti
di quel clero, che lo stesso re, benchè tanto amico del pontefice,
s'interpose per metter freno agli abusi. Riuscì in quest'anno[730]
ai segreti maneggi de' Bolognesi e di _Giberto da Correggio_ signor
di Parma, di dare una fiera percossa ad _Azzo Estense_ signor di
Ferrara, con ordire tradimenti in Modena e Reggio, i quali ebbero il
desiato effetto. Nella notte precedente al dì 26 di gennaio si levò
a rumore il popolo di Modena, incitato specialmente da Manfredino
da Sassuolo (cioè da chi era costituito capitano della milizia dal
marchese, il quale più di lui che d'altri si fidava) e da Sassuolo
suo figliuolo, e da Rinaldo da Marcheria altro capitano del marchese.
Ferreto Vicentino[731] si stende molto nella narrativa del fatto. A me
basterà di dire, che quantunque Fresco, bastardo del marchese, cogli
stipendiati, venuto il giorno, facesse ogni possibil resistenza, pure
fu costretto a ritirarsi nel castello, e il castello fece poca difesa,
perchè non era provveduto di viveri, e convenne cederlo a patti di
buona guerra. In quello stesso giorno i Rangoni, Savignani, Boschetti
ed altri fuorusciti rientrarono nella città, e si fece gran festa e
galloria per avere ricuperata la libertà, ma libertà che costò ben cara
ai Modenesi, perchè tornò la discordia, e mali infiniti si scaricarono
da lì innanzi sopra questa città, che, credendo di star meglio, stette
peggio dipoi, finchè tornò sotto il dominio degli Estensi. La mutazion
di governo in Modena fu cagione che nel dì seguente anche i Reggiani,
animati da questo esempio, si ribellassero al marchese Azzo, e ne
cacciassero a forza il suo presidio colla morte di molti. Corse tosto
colà Giberto da Correggio con un grosso corpo d'armati; e forse perchè
andò poi tessendo delle reti, per ottener la signoria di quella città,
da lì a pochi giorni vi fu gran rumore, e Giberto prese la piazza e il
palazzo del comune. Ma infine, contentandosi che i Reggiani prendessero
per loro podestà Matteo suo fratello, se ne tornò a Parma, e strinse
in questo tempo parentela con _Alboino dalla Scala_ signor di Verona,
dandogli in moglie una sua figliuola. Diedene un'altra ancora a
Francesco figliuolo di Passerino de' Bonacossi, cioè di colui che fu
dipoi signore di Mantova. Presero i Mantovani in queste rivoluzioni il
castello di Reggiuolo ai Reggiani, nè più lo renderono, con grave danno
e doglia del popolo di Reggio. Nel mese di febbraio[732] si strinsero
in lega le città di Parma, Modena, Reggio, Mantova, Verona e Brescia,
tutte a' danni del _marchese Azzo_, con disegno di cacciarlo anche
fuori di Ferrara, ma con tutti i loro sforzi non venne lor fatto il
colpo.
Accaddero in quest'anno anche in Bologna delle fiere rivoluzioni[733].
Fu creduto o provato che la fazion de' Lambertazzi e Bianchi, cioè
quella de' Ghibellini, volesse far delle novità: però fu in armi
il popolo gridando: _Muoiano i Ghibellini, vivano i Guelfi_. Per
testimonianza di Dino Compagni, fu questa una mena de' Fiorentini,
nemicissimi de' Ghibellini. Molti d'essi Lambertazzi furono morti,
il resto prese la fuga, e ne seguirono saccheggi e abbattimenti di
parecchie case. In queste turbolenze Romeo de Pepoli con altri nobili
preso, fu posto in quelle carceri, ma poi rilasciato. Tornò quella
città a parte guelfa. Molte altre guerre seguirono per questo sconcerto
nel contado di Bologna, ch'io tralascio. Ora, l'essere divenuta la
parte guelfa trionfante in Bologna, servì a rimettere la buona armonia
fra quel comune ed il marchese Azzo d'Este, capo dei Guelfi; e perciò
non solamente pace, ma anche lega fu stabilita fra loro; e tanto essi
Bolognesi che i Fiorentini, caporali anche essi della fazione guelfa,
mandarono soccorsi di gente al marchese, contra del quale _Bottesella
dei Bonacossi_ signor di Mantova, _Alboino dalla Scala_ signor di
Verona coi Mantovani, Veronesi, Bresciani, Parmigiani, Piacentini
ed altri della lor lega fecero grande oste nel mese di luglio[734].
Presero essi nel distretto di Ferrara Massa, Melara, Figheruolo e
la Stellata, con arrivar anche sino alle porte di Ferrara, ma con
ritrovarvi quel popolo ben disposto alla difesa; e però se ne tornarono
a casa. Vennero poi di nuovo essi collegati nel mese di ottobre nel
distretto di Ferrara, ed ebbero a tradimento il forte castello di
Bregantino, nè poterono far di più. Continuava tuttavia l'assedio
di Pistoia, sostenuto con gran vigore e disagi per tutto il verno
dai Fiorentini[735] e Lucchesi, quando s'udì che veniva in Italia il
_cardinal Napoleone_ degli Orsini, ghibellino di genio, spedito da papa
Clemente V per legato in Italia, affin di pacificare le città troppo
divise nell'interno loro, o in rotta coi vicini. I Fiorentini, gente
che sapeva far la punta agli aghi, s'avvisarono tosto che egli verrebbe
per intorbidare il conquisto di Pistoia, giacchè sapeano disgustato
il pontefice per la già mostrata disubbidienza: provvidero al bisogno
con un tradimento. Cioè fecero entrare un frate in Pistoia, il quale
per parte loro promise le più belle cose del mondo a quel popolo, di
maniera che parte per la fame, giunta quasi all'estremo, e parte pel
dolce suono delle esibite vantaggiose condizioni, renderono infine
la terra nel dì 10 d'aprile[736]. Niuna promessa fu loro attenuta;
anzi un terribile strazio si fece di quell'infelice città. Divisero i
Fiorentini e Lucchesi fra loro il contado, atterrarono tutte le mura
e fortezze della città, e ne spianarono le fosse. Infierirono ancora
contro i palagi e le case dei Ghibellini e Bianchi, diroccandole: in
una parola, restò Pistoia uno scheletro, e sotto l'aspro governo de'
vincitori. Venne in Italia il cardinal Napoleone, e, udita la resa di
Pistoia, ne fu molto dolente. Andossene a Bologna per rimetter quivi la
pace e gli usciti. Anche ivi lavorarono sottomano i Fiorentini[737],
con far giocare danaro, e indussero que' maggiorenti ad opporgli un
trattato pregiudiziale allo stato loro. Perciò nel dì 22 di maggio
commosso il popolo a rumore, colle armi in mano corse al palazzo del
legato con tal furore e minaccie, che gli convenne sloggiare, e furono
morti alcuni di sua famiglia, e rubata, nell'andarsene, buona parte de'
suoi ricchi arnesi. Pien di vergogna e rabbia si ritirò il cardinale ad
Imola, e, quivi stando, nel dì 24 di giugno[738] scomunicò i rettori
ed anziani di Bologna, mise l'interdetto alla città, la privò dello
Studio, con dichiarare scomunicato chi v'andasse a studiare: il che fu
la fortuna di Padova, perchè tutti gli scolari passarono allo Studio
di quella città. Aveva egli fatto sapere anche a' Fiorentini di voler
visitare la lor città, per liberarla dall'interdetto e dalle censure.
Gli fu fatto intendere che non s'incomodasse, perchè per allora non
aveano bisogno di sue benedizioni: con che restò egli nemico ancora
di Firenze, e riconfermò l'interdetto e l'altre pene spirituali, delle
quali erano già aggravati. Signori di Bertinoro in questi tempi erano i
Calboli, e faceano mal governo. Alberguccio dei Mainardi, aiutato da'
Forlivesi e Faentini, nel dì 6 di giugno prese la terra; ed essendosi
ritirati i Calboli nel Girone, por mancanza di vettovaglia, furono
astretti a renderlo, salve le robe e le persone. Secondo la Cronica
Forlivese[739], passò quella nobil terra in potere del comune di
Forlì. Una somigliante disgrazia accadde a _Pandolfo Malatesta_, che
era podestà e quasi signore di Fano. Ne fu egli scacciato nel luglio
di quest'anno, ancorchè avesse per sua guardia cinquecento cavalieri e
trecento pedoni. Poscia nel seguente agosto anche il popolo di Pesaro,
di cui era podestà, il fece con mala grazia uscire della lor città.
Perdè egli finalmente anche Sinigaglia, di cui era quasi signore. Per
attestato del Corio[740], _Matteo Visconte_ venne con un buon corpo
di soldatesche in quest'anno per prendere Vavro sul fiume Adda; ma,
accorsi i Milanesi coi lor collegati, fecero restar vani i di lui
attentati. Però, conoscendo egli troppo contraria a sè la presente
fortuna, si ritirò finalmente in solitario luogo a far vita privata
e nascosa, aspettando tempi più propizii a' suoi desiderii. Ferreto
Vicentino[741] scrive che egli si ricoverò prima al lago d'Iseo, e
poscia andò ad abitare nella villa di Nogarola, che era di Bailardino
da Nogarola, nei confini di Mantova, dove da povero signore dimorò
circa cinque anni. _Galeazzo_ suo figliuolo fu in questi tempi podestà
di Trivigi.
In Genova[742] per la festa dell'Epifania i Doria (a riserva di Bernabò
Doria) con altri grandi della fazion mascherata, cioè ghibellina,
presero l'armi per abbassargli Spinoli e la parte popolare. Furono
vinti dalla forza del popolo, e se n'andarono in esilio. Allora il
popolo costituì capitani e governatori della città il suddetto Bernabò
ed Obizzone Spinola da Lucolo. Anche il popolo piacentino[743] diviso
in due fazioni fu in armi nel dì 16 di maggio. Restarono superiori
nel conflitto i Laudi, i Fulgosi e Visconte Pelavicino, e fu cacciata
dalla città la famiglia de' Fontana con tutti i suoi seguaci. Approdò
in quest'anno a Genova _Teodoro_ figliuolo di _Andronico Comneno_
imperador de' Greci, venuto per entrare in dominio del Monferrato[744],
lasciatogli in eredità dal fu _marchese Giovanni_ suo zio. Ma trovò
quegli Stati per la maggior parte occupati da _Manfredi marchese_
di Saluzzo e dai fuorusciti d'Asti. Si prevalse di quella occasione
_Obizzino Spinola_, uno de' capitani e come signori di Genova, per
fargli prendere in moglie Argentina sua figliuola, al che condiscese
Teodoro per isperanza d'essere assistito ne' correnti suoi bisogni
dal potente suocero, e in considerazione ancora di un'altra figliuola
d'esso Obizzino Spinola, maritata con _Filippone conte_ di Langusco
e signor di Pavia, la cui parentela potea molto giovargli. Ciò fatto,
venne a Casale di Sant'Evasio, accolto con gran festa da quel popolo
e da altre terre del Monferrato, che s'erano conservate fedeli, e
si gloriavano di aver per loro padrone il figliuolo d'un imperadore.
Qual fosse lo stato allora del Monferrato e del Piemonte, l'abbiamo da
Guglielmo Ventura, chiamato Ruffino da Benvenuto da San Giorgio[745].
Avea il suddetto marchese di Saluzzo occupate molte terre che erano
in Piemonte, già possedute da _Carlo I re_ di Sicilia. Nell'anno
precedente mandò il _re Carlo II_, nel mese di marzo, Rinaldo da
Leto Pugliese suo siniscalco con cento uomini d'armi ed altrettanti
balestrieri in Piemonte. La città d'Alba e le terre di Cherasco,
Savigliano e Montevico giurarono nelle di lui mani di nuovo fedeltà
al re. Dopo di che egli, coll'aiuto degli Astigiani, tolse Cuneo
ed altri luoghi al marchese di Saluzzo, il quale tra per levarsi di
dosso questo possente nemico, e per poter tenere le molte terre già
occupate nel Monferrato, venne ad un accordo col re Carlo II nel dì
7 di febbraio dell'anno presente, con riconoscere da lui in feudo il
marchesato del Monferrato, e cedergli Nizza della Paglia e Castagnole,
terre del medesimo marchesato. Niuna ragione avea il re Carlo sopra del
Monferrato; ma il marchese venne a questo atto per sostener la preda
colla protezione ed aiuto del re contra del greco Teodoro. Quanto agli
Astigiani, essendo capitato ad Asti _Filippo di Savoia_ principe della
Morea, che tornava di Levante con due soli compagni, e trovandosi quel
popolo assai stretto per le molte terre del loro contado occupate dalla
fazion dei Gottuari fuorusciti, venne in parere di prendere questo
principe per suo capitano per tre anni avvenire, dandogli ventisette
mila lire ogni anno: con che egli dovesse tenere cento uomini d'armi
al loro servigio. A man baciata accettò il principe questo impiego,
sperando fra qualche tempo di piantar quivi le radici con divenir
signore di quella allora assai ricca città. Nè passarono mesi, ch'egli
imperiosamente ne richiese il dominio a que' cittadini, la metà per
lui, e l'altra per _Amedeo conte_ di Savoia suo parente. Fu in pericolo
della vita per questo, tanto se ne sdegnarono gli Astigiani; ma si
disdisse, e cessò il rumore. Avendo poi desiderato il marchese Teodoro
d'abboccarsi con esso principe e coi deputati d'Asti al ponte della
Rotta, si videro insieme, e, per attestato del Ventura, Filippo corse
ad abbracciare e baciare, con bacio poco corrispondente al cuore, il
marchese; e, poi trattatosi di lega, promise quanto l'altro desiderò.
Ma appena fu ritornato ad Asti, che scoprì il suo mal animo contra
di Teodoro, ed aspramente comandò agli Astigiani di astenersi dal far
lega con lui, non senza maraviglia di chi era intervenuto al suddetto
abboccamento. Anche un uffiziale del re Carlo avea voluto indurlo con
vantaggiose condizioni a far lega col suo signore contra del marchese
di Saluzzo; e il principe ricusò tutto. Ne fu informato il re con
esagerazion dell'uffiziale, e andò così in collera, che giurò di
vendicarsene; e gli attenne la parola, perchè spedì _Filippo principe_
di Taranto suo figliuolo con una armata che gli occupò il principato
della Morea. Allora Filippo di Savoia quasi per forza contrasse lega
in Piemonte col re Carlo, e perchè gli Astigiani presero la villa di
Cavalerio senza sua saputa, si ritirò da Asti; e favorendo poscia i
fuorusciti di quella città, seguitò a guerreggiare unito co' Provenzali
contra di Teodoro marchese di Monferrato. Tale era allora lo stato di
quelle contrade.
NOTE:
[728] Ferretus Vicentinus, Histor., lib. 3, tom. 9 Rer. Ital.
[729] Raynaldus, in Annal. Eccl.
[730] Annal. Estenses, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Parmense, tom. 9 Rer.
Italic. Chron. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital. Annal. Veteres Mutinens,
tom. 11 Rer. Ital
[731] Ferretus Vicentinus, Hist., tom. 9 Rer. Ital.
[732] Chron. Parmense, tom. 19 Rer. Ital.
[733] Matth. de Griffonibus, Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[734] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Parmense, tom. 9 Rer.
Ital.
[735] Dino Compagni, lib. 3, tom. 9 Rer. Italic. Giovanni Villani, lib.
8, cap. 82.
[736] Istorie Pistolesi, tom. 11 Rer. Ital.
[737] Dino Compagni, lib. 3, tom. 9 Rer. Italic. Chron. Bononiense,
tom. 18 Rer. Ital.
[738] Annal. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[739] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[740] Corio, Istor. di Milano.
[741] Ferretus Vicentinus, lib. 3, tom. 9 Rer. Italic.
[742] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[743] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[744] Guillelmus Ventura, Chron. Astens., cap. 42 tom. 11 Rer. Ital.
[745] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
Anno di CRISTO MCCCVII. Indizione V.
CLEMENTE V papa 3.
ALBERTO Austriaco re de' Romani 10.
Desiderando _Filippo re_ di Francia di fare un abboccamento col papa,
fu scelta a questo effetto la città di Poitiers[746]. Quivi il re,
non contento dell'avere dianzi il pontefice abolite le costituzioni di
papa Bonifazio VIII pregiudiziali ai diritti dei re franzesi, tuttavia,
pieno di livore, fece di forti istanze al papa perchè condannasse la
memoria di papa Bonifazio, con ispacciarlo per simoniaco ed eretico.
In prova di che, dicea d'aver testimonii degni di fede. Volle Dio
che _Niccolò cardinale_ da Prato eludesse il mal talento del re[747]
con suggerire al papa un ripiego atto a dilungare ed imbrogliar
la faccenda. E fu quello di rispondere, che cosa di tanto momento,
riguardante tutta la Chiesa, non si potea trattare e risolvere se
non in un concilio generale. Al che non potendo di meno, acconsentì
il re; e fu determinato di tenerlo in Vienna del Delfinato. Propose
ancora il re in quel congresso di processare i cavalieri del Tempio,
che, possedendo di grandi ricchezze e beni per tutta la cristianità,
si erano dati forte al lusso e al libertinaggio, pretendendo giunta
la depravazione dei lor costumi ai più abbominevoli ed enormi vizii,
e sino a rinnegar la fede di Gesù Cristo. Altro io non dirò intorno
a questa materia, se non che con mano forte si procedè contra d'essi
Templari, imprigionati per tutta la Francia, e poscia per gli altri
regni, il numero de' quali si fa ascendere da Ferreto Vicentino[748] a
quindici mila. Costoro, se crediamo ai processi fatti in questo e nei
susseguenti anni, furono trovati rei e convinti d'enormità inudite,
d'apostasia e d'idolatria. Si sa che nel concilio di Vienna fu poscia
abolito l'ordine, e confiscati gl'immensi lor beni a profitto del papa
e dei re; la maggior parte de' quali fu venduta ai cavalieri dello
Spedale, oggidì di Malta, con grande loro svantaggio nondimeno, perchè
si caricarono di tanti debiti per denari presi ad usura affin di far
sì grossi acquisti, che gran tempo ne languì l'ordine loro. Da molti
fu quella sentenza tenuta per giustissima. Ma non si potè levar di
capo ai più di que' tempi (e lo confessa il Villani[749] con altri
Italiani, e sopra ciò s'è veduto anche ai dì nostri un libro di autore
franzese) che quella non fosse un'iniqua invenzione di Filippo il Bello
re di Francia per arricchirsi colle spoglie loro, siccome dianzi avea
fatto delle tante ricchezze degli Ebrei che egli scacciò dal regno
suo. Dicevano essi che non ci voleva molto ai re il far comparire con
dei processi e tormenti colpevole chi era in loro disgrazia, o per
vendicarsi di loro o per assorbire i loro beni; e che se fosse toccato
al re Filippo di formar anche il processo a papa Bonifazio, egli
sarebbe apparuto simile ai Templari, quando pure ognun sapeva essere
false le imputazioni a lui date dal medesimo re. Noto è altresì che
il gran maestro e tanti altri cavalieri del Tempio bruciati vivi, o
in altra guisa giustiziati, protestaronsi sempre innocenti de' falli
loro apposti, e però da molti furono creduti martiri della cupidigia
di quel re, principe diffamato per altri suoi gravi eccessi. Il perchè
le disavventure occorse a lui, e la mancanza della sua linea furono
attribuite dagli speculativi de' giudizii di Dio a questi ed altri atti
della prepotenza sua. Guglielmo Ventura[750] scrittore contemporaneo,
santo Antonino[751] ed altri son da vedere intorno a questo argomento.
Intanto a noi conviene il sospendere qui i giudizii nostri, lasciando a
Dio solo, che non può ingannarsi, la cognizione della verità, bastando
a noi d'avere inteso il fatto e le varie opinioni d'allora.
Vidersi ancora nell'anno presente di grandi rivoluzioni in Italia.
Cominciarono i Modenesi a provare il frutto della lor ribellione alla
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