Annali d'Italia, vol. 5 - 17
ciò, rimise in Mantova due mila persone già bandite, cassando ogni
statuto fatto contra di loro: del che dovette riportare gran lode.
Ma non si può abbastanza spiegare, come lo spirito della bestial
discordia si diffondesse in questi tempi per l'Italia. In Firenze
il popolo superiorizzava, ed avea fatto degli statuti molto gravosi
contra de' nobili e grandi[594], mosso specialmente da Giano della
Bella, arditissimo popolano. Non potendo più sofferire i nobili questo
aggravio, nel dì 6 di luglio, dopo aver fatta congiura, e ragunata di
gran gente, fecero istanza che fossero cassate quelle ingiuste leggi.
Per questo fu in armi tutta la città. Si schierarono i grandi colle
lor masnade nella piazza di San Giovanni, e voleano correre la terra.
Ma il popolo asserragliò e sbarrò le strade, acciocchè la cavalleria
non potesse correre, e stette così ben unito e forte al palazzo del
podestà, che i grandi non osarono di più. Prese da ciò maggior piede la
gara e il mal animo dell'una contra dell'altra parte; e di qui cominciò
la città di Firenze a declinare in malo stato con gravi sciagure, che
andremo a poco a poco accennando. Anche in Pistoja, secondochè s'ha da
Tolomeo da Lucca[595], in quest'anno ebbe principio una fiera discordia
fra i nobili della casa de' Cancellieri, i quali si divisero in due
fazioni. Bianchi e Neri, cadauna delle quali ebbe gran seguito. Ne
succederono ammazzamenti, e si sparse dipoi questo veleno per le città
di Firenze, di Lucca e d'altri luoghi, ne' quali cadauna d'esse fazioni
trovò protettori e partigiani. Il Villani e la Storia Pistoiese pare
che mettano il cominciamento di questa maledetta divisione all'anno
1300.
Da moltissimi anni era anche divisa la città di Genova in due fazioni,
cioè ne' Mascherati ghibellini, e ne' Rampini guelfi. Più che mai ciò
non ostante, si accendeva la guerra fra quel popolo e i Veneziani.
Questo bisogno del pubblico e la cura massimamente di _Jacopo da
Varagine_ arcivescovo di Genova[596] portarono nel mese di gennaio
alla pace e concordia gli animi loro divisi. E quivi vedendosi che
in Venezia si faceva un terribile armamento di legni, col vantarsi
alcuni di voler venire fino a Genova, stimolati dal punto d'onore
e dall'antica gara i Genovesi, si misero anch'essi a farne uno più
grande e strepitoso. S'interpose _papa Bonifazio_ nei mese di marzo,
e chiamati a Roma i deputati di amendue le città, intimò una tregua
fra loro sino alla festa di san Giovanni Batista, sperando intanto
di ridurre queste due feroci nazioni a concordia; ma nulla si potè
conchiudere. Mirabile e quasi incredibil cosa è l'udire, per attestato
del suddetto Jacopo da Varagine, che i Genovesi giunsero ad armare
ducento galee, che furono poi ridotte a sole cento cinquantacinque,
cadauna delle quali aveva almeno ducento venti armati, altre ducento
cinquanta, ed altre sino a trecento. Mandarono poscia a Venezia
dicendo, che se i Veneziani aveano il prurito di venire a Genova
per combattere, non s'incomodassero a far sì lungo viaggio; perchè
i Genovesi con Uberto Doria loro ammiraglio andavano in Sicilia ad
aspettarli, e che quivi li sodavano a battaglia[597]. Udita questa
sinfonia, i saggi veneziani stimarono meglio di disarmare, e di
lasciar che gli altri passassero, siccome fecero soli, a fare una
bella comparsa ne' mari di Sicilia. Ma che? tornati che furono a casa i
Genovesi pieni di boria, come se avessero annientata la potenza veneta,
si risvegliò fra loro il non estinto fuoco delle fazioni per gare
di preminenza e risse cominciate nell'armata suddetta[598]. Però sul
finire dell'anno la parte guelfa, capi di cui erano i Grimaldi, venne
alle mani colla ghibellina, onde erano capi i Doria e gli Spinoli, e
cominciarono un'aspra guerra cittadinesca che impegnò tutto il popolo
della città: del che parleremo all'anno seguente. In Romagna[599]
nell'aprile di quest'anno fu inviato per conte e governatore _Pietro
arcivescovo_ di Monreale, il qual fece alcune paci in quella provincia,
tolse a _Maghinardo da Susinana_ l'ufficio di capitano di Faenza, e in
Ravenna fece abbattere i palagi di _Guido da Polenta_ e di _Lamberto_
suo figliuolo. Dopo aver ridotto in Faenza i fuorusciti, si stette poco
a sentire una sollevazione in quella città fra i conti di Cunio e i
Manfredi dall'una parte, e Maghinardo, i Rauli ed Acarisi dall'altra.
Si venne a battaglia, e andarono sconfitti i primi, obbligati perciò
ad uscire di quella città, e restarono burlati i Bolognesi, i quali
passavano d'intelligenza con essi per isperanza di tornar padroni di
Faenza. Poco durò il governo del suddetto arcivescovo di Monreale,
perchè nell'ottobre arrivò a Rimini _Guglielmo Durante_ vescovo
mimatense, ossia di Mande in Linguadoca, eletto da papa _Bonifazio
VIII_ marchese della marca di Ancona e conte della Romagna, celebre
giurisconsulto, autore dello _Speculum_ _juris_, onde fu appellato
_Speculator_, e di altre opere, il quale per molto tempo era stato
pubblico lettore di leggi e canoni nella città di Modena. Fu ricevuto
con onore da tutte le città della Romagna. Ma nel dì 19 di dicembre
venne all'armi _Malatesta da Verucchio_ nella città di Rimini colla
sua fazione guelfa contro la ghibellina di Parcità, e la spinse fuori
colla morte di molti. _Guido conte_ di Montefeltro, rimesso in grazia
del papa, venne in quest'anno a Forlì, e gli furono restituiti tutti i
suoi beni. D'uomo tale par che facesse capitale papa Bonifazio per le
sue occorrenze. Ma egli di lì a poco, cioè nell'anno seguente, o perchè
si mutò il vento, oppure per vero desiderio di darsi alla penitenza
de' suoi peccati, si fece frate dell'ordine francescano, e in quello
terminò poi i suoi giorni, ma non sì presto.
NOTE:
[581] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[582] Jacobus Cardinalis, in Vita Coelestini V, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
Ptolom. Lucens., Hist. Eccl., tom. 11 Rer. Ital.
[583] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 6. Ferretus Vicentinus, Hist.,
lib. 2, tom. 9 Rer. Ital.
[584] Nicolaus Specialis, lib. 2, cap. 20, tom. 10 Rer. Ital.
[585] Jacobus Cardinalis, in Vita Coelestini V, P. 1, tom. 3 Rer. Ital.
[586] Nicolaus Specialis, lib. 2, cap. 22, tom. 10 Rer. Ital.
[587] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[588] Gualv. Flamma, in Manip. Flor., cap. 334.
[589] Corio, Istor. di Milano.
[590] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[591] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[592] Malvec., Chron. Brix., tom. 14 Rer. Ital.
[593] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[594] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 12.
[595] Ptolomaeus Lucens., Annal. brev., tom. 11 Rer. Ital.
[596] Jacobus de Varagine, Chron. Genuens., tom. 9 Rer. Ital.
[597] Continuator Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[598] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 14. Jacobus de Varagine, Chron.
Genuens., tom. 9 Rer. Ital. Georg. Stella, Annal. Genuens., tom. 17
Rer. Ital.
[599] Chron. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXCVI. Indiz. IX.
BONIFAZIO VIII papa 3.
ADOLFO re de' Romani 5.
Quando si credeva papa _Bonifazio VIII_ d'essere come in porto
nell'affare della restituzion della Sicilia, egli se ne trovò più
che mai lontano. Irritati al maggior segno i Siciliani, perchè il re
_Giacomo_ senza alcuna contezza, nonchè assenso d'essi, avesse ceduto,
e, per dir così, venduto quel regno ai troppo odiati Franzesi, nel dì
25 di marzo, in cui cadde la Pasqua dell'anno presente, proclamarono
re di Sicilia l'infante _don Federigo_ fratello dello stesso re
Giacomo. Fu egli con gran solennità coronato nella cattedrale di
Palermo, e in quello stesso giorno fece molti cavalieri, alzò altri
al grado di conti, e dispensò molte altre grazie[600]. Dappertutto si
videro giuochi e bagordi; e, mossosi il re novello da Palermo, passò
a Messina, dove trovò tutto quel popolo in festa e pronto a servirlo.
Andossene dipoi a Reggio in Calabria, e, dato ordine a _Ruggieri di
Loria_ che uscisse in mare colla sua flotta, egli stesso coll'esercito
di terra andò a mettere l'assedio alla città di Squillaci, e con
levare ai cittadini i canali dell'acqua, gli obbligò a rendersi. Di là
portossi sotto Catanzaro, dove si trovava Pietro Ruffo, conte di quella
forte città, ed uno de' primi baroni della Calabria, a cui non mancava
gente in bravura e copia, molto atta ad una gagliarda difesa. Era
Ruggieri di Loria parente del conte, e come tale dissuase la impresa.
Stette saldo il re Federigo a volerla; ed allorchè coi furiosi assalti
si vide essa città vicina a cadere, ottenne il medesimo Ruggieri che
si venisse a patti, e che, se in termine di quaranta giorni non veniva
soccorso, la città si rendesse. Passato il tempo, fu osservata la
capitolazione, e Catanzaro venne alle sue mani. Fu anche dato soccorso
a Rocca Imperiale, ed acquistato Policoro. Sotto Cotrone, preso
anch'esso e saccheggiato, cominciò a sconciarsi la buona armonia fra
il re e Ruggieri di Loria, ma per allora non ne fu altro. Impadronissi
dipoi il re Federigo di Santa Severina e di Rossano. Intanto, portata
a papa Bonifazio la nuova che don Federigo avea presa la corona di
Sicilia, non solamente contra di lui, ma contra ancora del re Giacomo
suo fratello si accese di collera, figurandosi che fra amendue passasse
intelligenza segreta, per burlare in questa guisa non meno il re Carlo
che il papa stesso. Annullò dunque tosto, per quanto a lui apparteneva,
tutti gli atti di don Federigo e de' Siciliani, e spiegò contra d'essi
tutto l'apparato delle pene spirituali e temporali; per le quali
nondimeno nulla si cambiò il cuor di quei popoli. Risentitamente ne
scrisse ancora al re Giacomo; ma questi ampiamente rispose e giurò
di non aver parte nella risoluzion presa dal fratello (e dicea il
vero), esibendosi pronto ad eseguir dal suo canto quanto era da lui
stato promesso. Anzi egli, non so se chiamato dal papa, oppure di
sua spontanea volontà, si preparò per venire a Roma, affine di meglio
sincerare esso pontefice e il re Carlo del suo retto procedere.
La guerra insorta fra _Azzo VIII_ marchese d'Este, signor di Ferrara,
e i Parmigiani e Bolognesi collegati, andava ogni dì più prendendo
vigore[601]. Dal canto loro maggiormente si afforzarono i Parmigiani,
con accrescere la loro lega, nella quale entrarono il comune di
Brescia e i fuorusciti di Reggio e di Modena, tutti contro il marchese
Azzo. Seguirono poi varie ostilità in quest'anno fra essi Parmigiani
e le milizie dell'Estense sul Reggiano, che non meritano d'essere
registrate. Studiossi anche il marchese dal canto suo d'avere de'
partigiani dalla parte della Romagna. Tirò in Argenta a parlamento
_Maghinardo da Susinana_ coi Faentini, _Scarpetta degli Ordelaffi_
coi deputati di Forlì e di Cesena, _Uguccione_ dalla _Faggiuola_,
che comincia in questi tempi a far udire il suo nome, coi Lambertazzi
usciti di Bologna, ed altri Ghibellini di Ravenna, Rimini e Bertinoro.
Fu risoluto di togliere Imola ai Bolognesi. Di questo trattato
_Guglielmo Durante_ conte della Romagna spedì l'avviso a Bologna,
acciocchè prendessero le necessarie misure e precauzioni. E infatti i
Bolognesi inviarono quattro mila pedoni e molta cavalleria in rinforzo
d'Imola. Ma nel dì primo d'aprile, venuto l'esercito del marchese
Azzo con Maghinardo e cogli altri collegati, arrivò al fiume Santerno,
alla cui opposta riva trovò schierati i Bolognesi, Imolesi ed usciti
di Faenza, per impedire il passo del fiume che era allora assai
grosso[602]. Ma, valicato il Santerno dai Ferraresi e Romagnuoli, si
venne ad un caldo combattimento. Non ressero lungo tempo i Bolognesi;
molti ne furono morti, molti presi; e fuggendo il resto verso Imola, i
vincitori in inseguirli entrarono anch'essi nella città, e ne divennero
padroni. L'autore della Cronica Forlivese[603] scrive che furono fatti
prigioni più di duemila persone.
Nello stesso dì primo d'aprile il marchese Azzo con altro esercito
dalla parte di Modena andò a fortificare le castella di Vignola,
Spilamberto e Savignano; e soprattutto attese[604] a rimettere in
piedi le fortificazioni di Bazzano, dove lasciò un buon presidio.
Concertarono poscia insieme i Bolognesi e Parmigiani di unitamente far
oste ad uno stesso tempo nell'autunno, gli uni contro Modena, e gli
altri contra di Reggio. Ma i soli Bolognesi effettuarono il concordato;
imperciocchè, unito un possente esercito di lor gente co' signori
da Polenta, coi Malatesti ed altri Romagnuoli, e con un rinforzo di
Fiorentini, ripigliarono per forza il castello di Savignano. Coll'aiuto
de' Rangoni e d'altri fuorusciti di Modena presero Montese ed altre
castella del Frignano; e si misero poi con grave vigore all'assedio
di Bazzano. Si sostenne quella guarnigione, composta di quattrocento
cavalieri e di mille fanti, per lo spazio d'un mese; ma vinta in fine
dalla fame, e veggendo che non veniva soccorso (giacchè il marchese
accompagnato da Maghinardo uscì bene in campagna con molte forze, ma
non giudicò utile l'azzardare una battaglia), a patti di buona guerra
nel dì 25 di novembre cadde in poter de' Bolognesi. Altre ostilità
succederono in quest'anno[605], perchè il marchese Azzo co' Modenesi e
Reggiani cavalcò sul Bolognese nel dì 6 di giugno sino a Crespellano e
al borgo di Panigale; e nello stesso tempo il _marchese Francesco_ suo
fratello co' Ferraresi venne dalla sua parte sino alla terra di Peole
e al Tedo, saccheggiando, bruciando e, facendo prigioni. E intanto
il _conte Galasso_ da Montefeltro, e Maghinardo Pagano da Susinana,
capitano della lega colle milizie di Faenza, Forlì, Imola e Cesena,
assalì il distretto di Bologna, venendo a Castel San Pietro e alle
terre di Legnano, Vedriano, Frassineto, Galigata e Medecina, con orridi
saccheggi e bruciamento di più di due mila case. La Cronica di Forlì,
più delle altre esatta e copiosa in questi tempi, descrive minutamente
questi fatti della Romagna con assaissimi altri, che troppo lungo
sarebbe il voler qui rammentare. Ma non si dee tacere che nel dì 15 di
luglio i Calboli coi Riminesi, Ravennati ed altre loro amistà, presero
la città di Forlì colla morte di molti: il che udito da Scarpetta degli
Ordelaffi e da Maghinardo che erano all'assedio di Castelnuovo[606],
a spron battuto volarono colà, e ricuperarono la città, uccidendo e
prendendo non pochi degli entrati. E poscia renderono la pariglia ai
Ravegnani con iscorrere ed incendiare il lor paese sino alle mura della
città. Nel dì 26 d'aprile Guglielmo Durante conte della Romagna, stando
in Rimini, privò di tutti i lor privilegii, onori e dignità le città
di Cesena, Forlì, Faenza ed Imola: rimedii da nulla per guarire i mali
umori di tempi sì sconcertati.
Nel dì 30 del precedente dicembre[607] si diede principio entro la
città di Genova alla guerra e alle battaglie fra i Grimaldi e Fieschi,
e loro aderenti guelfi dall'una parte, e i Doria e Spinoli coi loro
parziali ghibellini dall'altra. Nelle lor torri e case si difendeano,
e da esse offendevano, cercando or l'una or l'altra di occupare il
palazzo del pubblico e gli altri siti forti. Vi restarono preda del
fuoco moltissime case, e fu bruciato fino il tetto della cattedrale
di San Lorenzo[608], perchè i Grimaldi s'erano afforzati nella torre
maggiore d'essa chiesa. Dalla Lombardia e da altri luoghi concorse gran
gente in aiuto di cadauna delle parti; ma più furono i combattenti di
quella dei Doria e Spinoli: laonde dopo più di un mese della tragica
scena di quei combattimenti, soccombendo i Grimaldi e Fieschi, si
videro nel dì 7 di febbraio obbligati a cercar lo scampo colla fuga
fuori della città. Furono appresso eletti capitani governatori di
Genova _Corrado Spinola_ e _Corrado Doria_, e cessò tutto il rumore. Ma
per mare seguitò la guerra fra essi Genovesi e i Veneziani[609]. Azione
nondimeno che meriti osservazione non accadde fra loro, se non che da
Venezia furono spedite venticinque galee ben armate sotto il comando di
Giovanni Soranzo, le quali ite a Caffa, città posseduta dai Genovesi
nella Crimea, la presero e saccheggiarono, con bruciare alquante navi
e galee d'essi nemici. Era divisa anche la città di Bergamo nelle
fazioni de' Soardi e Coleoni[610]. Nel mese di marzo vennero queste
alle mani, e i Coleoni ne furono scacciati. Rientrati poi questi
nella città nel dì 6 di giugno, e rinforzati dai Rivoli e Bongi,
costrinsero alla fuga i Soardi, di modo che _Matteo Visconte_ rimase
escluso affatto dal dominio di quella città. Di torri e di case ivi si
fece allora un gran guasto. Nell'anno presente _Giovanni marchese_ di
Monferrato prese per moglie _Margherita_ figliuola di _Amedeo_ conte
di Savoia[611]. Poi, fatta lega con _Manfredi marchese_ di Saluzzo,
ed unito un buon esercito, prese e mise a sacco la città d'Asti, con
iscacciarne i Solari e gli altri del partito guelfo. In Toscana non si
udì novità alcuna degna di conto, se non che, per attestato di Tolomeo
da Lucca[612], _Adolfo re_ dei Romani inviò colà per suo vicario
Giovanni da Caviglione. I Toscani, a' quali rincrescevano forte le
visite di questi uffiziali cesarei, ricorsero a papa _Bonifazio VIII_,
perchè li liberasse da costui, esibendo ottanta mila fiorini di oro,
quattordici mila de' quali toccarono per la sua rata al comune di
Lucca. Il papa rimandò a casa sua questo vicario, contentandolo con
dare il vescovato di Liegi ad un suo fratello, e mise nella borsa sua
il danaro pagato dai buoni Toscani. Trovarono i Pisani in quest'anno un
bel ripiego per farsi rispettare dai vicini nemici[613], e fu quello di
eleggere per podestà e governatore della loro città lo stesso Bonifazio
papa, con assegnargli quattro mila lire annualmente per suo salario.
Accettò benignamente il pontefice questo impiego, e, sciolti i Pisani
dall'interdetto e dalle scomuniche, mandò colà per suo vicario Elia
conte di Colle di Val d'Elsa. Richiamò esso papa dal governo della
Romagna[614] _Guglielmo Durante_ vescovo, e colà inviò con titolo di
conte Masino da Piperno, fratello di _Pietro cardinale_ di Piperno.
Entrò egli in quella provincia sul fine di settembre, e fece ritirare
l'esercito di Maghinardo dall'assedio di Massa de' Lombardi.
NOTE:
[600] Nicol. Specialis, lib. 3, cap. 1, tom. 10 Rer. Ital.
[601] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[602] Matth. de Griffonibus, Annal. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[603] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[604] Chron. Parmense.
[605] Chron. Forolivien.
[606] Chron. Caesen., tom. 15 Rer. Ital.
[607] Georgius Stella, Annal. Genuens., lib. 1, cap. 8, tom. 17 Rer.
Ital.
[608] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 14.
[609] Contin. Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[610] Corio, Istor. di Milano. Gualvaneus Flamma, Manip. Flor.
[611] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital. Benvenuto da S. Giorgio,
Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXCVII. Indizione X.
BONIFAZIO VIII papa 4.
ADOLFO re de' Romani 6.
Venne in quest'anno a Roma _Giacomo re_ d'Aragona, non tanto per far
costare a papa _Bonifazio_ l'onoratezza sua, e d'essere ben lontano
dall'approvare, non che dal proteggere, le risoluzioni prese da'
Siciliani e da _don Federigo_ suo fratello, quanto per vantaggiare i
proprii interessi con ismugnere nuove grazie dalla corte pontificia.
E fattosi conoscere dispostissimo ad impiegar tutte le sue forze dove
gli ordinasse il papa[615], e precisamente contra dello stesso suo
fratello: Bonifazio aprì gli scrigni della confidenza e liberalità
pontificia verso di lui, con investirlo della Sardegna e Corsica, dove
egli non possedeva un palmo di terreno, e con dichiararlo capitan
generale dell'armata che si dovea spedire contro gl'infedeli, per
ricuperar Terrasanta, o altri Stati dalle mani de' Saraceni. Questo
era il colore che spesse volte si dava in questi tempi alle imprese
che doveano farsi contra de' medesimi cristiani, e serviva di pretesto
per aggravar di decime le chiese della Cristianità. La intenzion
vera, siccome i fatti lo dimostrarono, era di assalir la Sicilia, e di
levarla a don Federigo per consegnarla al _re Carlo II_. Ed appunto
esso re Carlo venne anch'egli a Roma, e per istrignere maggiormente
nel suo partito il suddetto re Giacomo, conchiuse seco di dar per
moglie a _Roberto_ suo terzogenito _Jolanta_, ossia _Violanta_,
sorella del medesimo re Giacomo. Avea già esso Giacomo richiamati
dalla Sicilia tutti gli Aragonesi e Catalani, parte de' quali ubbidì,
e parte no[616]; e, stando in Roma, spedì un'ambasciata al fratello
don Federigo, pregandolo di voler venire sino all'isola di Ischia, per
abboccarsi con lui, e trattar seco de correnti affari. Don Federigo,
ricevuta questa ambasciata, dalla Calabria se ne tornò a Messina, e
colà ancora richiamò _Ruggieri di Loria_, il quale, dopo aver preso
Otranto, era passato sotto Brindisi, per consultare con lui e co'
Siciliani quello che convenisse di fare in sì scabrose contingenze.
Il parere di Ruggieri fu, ch'egli andasse; diedero il lor voto in
contrario i sindachi della Sicilia. Vennero poi lettere dal re Giacomo,
che chiamava a Roma Ruggieri di Loria, e don Federigo con isdegno gli
permise di andare, ma con promessa di ritornare. Tuttavia perchè egli
prima di mettersi in viaggio avea provveduto d'armi e di vettovaglia
alcune castella in Calabria, e dai maligni fu supposto a don Federigo
ciò fatto a tradimento da Ruggieri, come se egli già meditasse di
ribellarsi; andò tanto innanzi lo sconcerto degli animi, che Ruggieri
fu vicino ad essere ritenuto prigione; e poscia se ne fuggì, e, andato
a Roma, si acconciò col re Giacomo a' danni del fratello. Fatal colpo
di somma imprudenza di don Federigo, o de' suoi consiglieri, fu il
perdere, in occasione di tanto bisogno, un sì prode ed accreditato
ammiraglio, e non solo perderlo, ma farselo nemico. Altra ambasceria
venne dal re Giacomo alla _regina Costanza_ sua madre, con ordine di
passare a Roma con _Violanta_ sorella d'esso re, destinata in moglie
a _Roberto duca_ di Calabria. Venne la regina colla figliuola; fu
assoluta e ben veduta dal papa; seguirono le nozze di Violanta; e
Costanza si fermò dipoi fino alla morte in Roma. Altri dicono ch'ella
passò in Catalogna, ma afflitta ed inconsolabile, per vedere la
guerra imminente fra i due suoi figliuoli. Tornossene il re Giacomo in
Catalogna a fare i preparamenti necessarii por soddisfare all'impegno
contratto col pontefice e col re Carlo suo suocero. Don Federigo
informato della fuga di Ruggieri di Loria, dopo averlo fatto proclamare
nemico pubblico, e posto l'assedio a quante castella egli possedeva in
Sicilia, di tutto lo spogliò.
Ebbe principio in quest'anno la detestabil briga de' Colonnesi contro
papa _Bonifazio VIII_. Non si sa bene il motivo di tale rottura. Per
attestato di Giovanni Villani[617], perchè i due cardinali _Jacopo_ e
_Pietro_ erano stati contrarii alla sua elezione, Bonifazio conservò
sempre un mal animo contra di loro, pensando continuamente ad
abbassarli ed annientarli. Aggiugne il Villani, concorde in ciò con
Tolomeo da Lucca[618], che _Sciarra_, oppure _Stefano_ dalla Colonna,
nipote d'essi cardinali, avea prese le some degli arnesi e del tesoro
del papa che veniva da Anagni, ovvero, secondo altri[619], che andava
da Roma ad Anagni, ed erano ottanta some tra oro, argento e rame.
Ma niuna menzione di questo facendo il papa nella bolla fulminatrice
contra de' Colonnesi, si può dubitare della verità del fatto. Non altra
ragion forte in essa bolla[620] adduce Bonifazio, se non che questi
due cardinali tenevano corrispondenza con _don Federigo_ usurpator
della Sicilia, e che, avvertiti, non aveano lasciato questo commercio,
nè aveano permesso che Stefano dalla Colonna, fratello del cardinal
Pietro, ammettesse presidio pontificio nelle loro terre di Palestrina,
Colonna e Zagaruolo: per li quali enormi delitti con bolla pubblicata
nel dì 10 di maggio, non solamente scomunicò i suddetti due cardinali,
ma li depose ancora, privandoli del cardinalato e d'ogni altro
benefizio, con altre pene e censure contra de' lor parenti e fautori.
S'erano ritirati alle lor terre questi cardinali, con _Agapito_,
_Stefano_ e _Sciarra_, tutti dalla Colonna; e ossia che essi avessero
molto prima il cuor guasto, e sparlassero del papa, incitati sotto mano
da qualche principe; oppure che, irritati per questo fiero, creduto
da loro non meritato, gastigo, si lasciarono trasportare a dar fuori
uno scandaloso manifesto, in cui dichiaravano di non credere vero papa
Benedetto Gaetano, cioè il pontefice Bonifazio VIII, benchè fin qui
da essi riconosciuto e venerato per tale, allegando nulla la rinunzia
di papa _Celestino V_, per sè stessa, ed anche perchè procurata con
frodi ed inganni, e perciò appellando al futuro concilio. V'ha chi
pretende che tal manifesto, tendente ad uno scisma, uscisse fuori prima
della bolla e deposizione suddetta; ma il contrario si raccoglie da
un'altra bolla d'esso papa Bonifazio, fulminata nel dì dell'Ascensione
del Signore contra di essi cardinali deposti e di tutti i Colonnesi,
in cui per cagion di questo libello aggrava le lor pene, li priva di
tutti i loro stati e beni, e vuol che si proceda contra d'essi come
scismatici ed eretici. Fece egli dipoi diroccare in Roma i palagi, e
spedì le milizie all'assedio delle lor terre. Circa questi tempi ancora
insorsero dissapori fra il papa e _Filippo il Bello_ re di Francia, a
cagione di avere il re pubblicata una legge (e questa dura tuttavia)
che non si potesse estraere danaro fuori del regno, pretendendo il papa
ch'egli perciò fosse incorso nella scomunica, mentre con ciò s'impediva
il venir le rugiade solite, e quelle massimamente delle decime, alla
corte di Roma. Diede anche ordine il pontefice ai due cardinali legati
che erano in Francia, di apertamente pubblicare scomunicato il re e i
suoi uffiziali, se veniva impedito il trasporto d'esso danaro dovuto
alla santa Sede: cose tutte che col tempo si tirarono dietro delle
pessime conseguenze, figlie dell'interesse, che da tanti secoli va e
sempre forse pur troppo andrà sconcertando il mondo.
Durando la guerra fra il _marchese Azzo_ d'Este e i Parmigiani, ognuna
delle parti facea quel maggior danno che poteva all'altra[621]. Si
frapposero amici, persuadendo la pace; e sopra tutto ne fece premura
Guido da Correggio, potente presso i Parmigiani, perchè tutto il suo
era sotto il guasto. Si conchiuse adunque l'accordo fra essi nel mese
di luglio, e nel dì quinto di agosto furono rilasciati i prigioni.
Ma di questa pace particolare si dolsero forte i Bolognesi, perchè
lasciati soli in ballo dai Parmigiani, e ne furono anche malcontenti
gli usciti di Parma, perchè abbandonati dal marchese; e però
continuarono essi la guerra contra della loro città. Altrettanto fece
il marchese Azzo coi collegati romagnuoli[622] contra de' Bolognesi,
seguitando i guasti e gli incendii dall'una parte e dall'altra. Fu
eletto in quest'anno per lor capitano di guerra dalle città di Cesena,
Forlì, Faenza ed Imola, _Uguccione dalla Faggiuola_, il quale nel dì
21 di febbraio in Forlì prese il baston da comando, poscia nel mese
di maggio uscì con potente esercito a' danni de' Bolognesi. Giunto
nelle vicinanze di Castello San Pietro, sfidò a battaglia l'armata
vicina dei medesimi Bolognesi, i quali si guardarono di entrare in
così pericoloso cimento. Intanto papa Bonifazio non rallentava il
suo studio, premendogli forte di far cessare questa guerra; ma per
ora non gli venne fatto, siccome neppure ai Fiorentini, che spedirono
anch'essi degli ambasciatori a questo fine. Nell'anno presente[623] i
Grimaldi e Fieschi usciti di Genova fecero più che mai guerra contro
la lor patria; ed accadde che Francesco dei Grimaldi, per soprannome
Malizia, vestito da frate minore, s'introdusse nella terra di Monaco,
e s'impadronì di esso e de' suoi due castelli, e quivi fortificatosi
inferì dei gravissimi danni a Genova, corseggiando per mare.
Signoreggia tuttavia in quella terra con titolo principesco la famiglia
Grimalda.
NOTE:
[612] Ptolomaeus Lucens., Annal. brev., tom. 11 Rer. Ital.
[613] Raynald., in Annal. Ecclesiast.
[614] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[615] Raynald., in Annal. Eccles.
[616] Nicolaus Special., lib. 2, cap. 12, tom. 10 Rer. Ital.
statuto fatto contra di loro: del che dovette riportare gran lode.
Ma non si può abbastanza spiegare, come lo spirito della bestial
discordia si diffondesse in questi tempi per l'Italia. In Firenze
il popolo superiorizzava, ed avea fatto degli statuti molto gravosi
contra de' nobili e grandi[594], mosso specialmente da Giano della
Bella, arditissimo popolano. Non potendo più sofferire i nobili questo
aggravio, nel dì 6 di luglio, dopo aver fatta congiura, e ragunata di
gran gente, fecero istanza che fossero cassate quelle ingiuste leggi.
Per questo fu in armi tutta la città. Si schierarono i grandi colle
lor masnade nella piazza di San Giovanni, e voleano correre la terra.
Ma il popolo asserragliò e sbarrò le strade, acciocchè la cavalleria
non potesse correre, e stette così ben unito e forte al palazzo del
podestà, che i grandi non osarono di più. Prese da ciò maggior piede la
gara e il mal animo dell'una contra dell'altra parte; e di qui cominciò
la città di Firenze a declinare in malo stato con gravi sciagure, che
andremo a poco a poco accennando. Anche in Pistoja, secondochè s'ha da
Tolomeo da Lucca[595], in quest'anno ebbe principio una fiera discordia
fra i nobili della casa de' Cancellieri, i quali si divisero in due
fazioni. Bianchi e Neri, cadauna delle quali ebbe gran seguito. Ne
succederono ammazzamenti, e si sparse dipoi questo veleno per le città
di Firenze, di Lucca e d'altri luoghi, ne' quali cadauna d'esse fazioni
trovò protettori e partigiani. Il Villani e la Storia Pistoiese pare
che mettano il cominciamento di questa maledetta divisione all'anno
1300.
Da moltissimi anni era anche divisa la città di Genova in due fazioni,
cioè ne' Mascherati ghibellini, e ne' Rampini guelfi. Più che mai ciò
non ostante, si accendeva la guerra fra quel popolo e i Veneziani.
Questo bisogno del pubblico e la cura massimamente di _Jacopo da
Varagine_ arcivescovo di Genova[596] portarono nel mese di gennaio
alla pace e concordia gli animi loro divisi. E quivi vedendosi che
in Venezia si faceva un terribile armamento di legni, col vantarsi
alcuni di voler venire fino a Genova, stimolati dal punto d'onore
e dall'antica gara i Genovesi, si misero anch'essi a farne uno più
grande e strepitoso. S'interpose _papa Bonifazio_ nei mese di marzo,
e chiamati a Roma i deputati di amendue le città, intimò una tregua
fra loro sino alla festa di san Giovanni Batista, sperando intanto
di ridurre queste due feroci nazioni a concordia; ma nulla si potè
conchiudere. Mirabile e quasi incredibil cosa è l'udire, per attestato
del suddetto Jacopo da Varagine, che i Genovesi giunsero ad armare
ducento galee, che furono poi ridotte a sole cento cinquantacinque,
cadauna delle quali aveva almeno ducento venti armati, altre ducento
cinquanta, ed altre sino a trecento. Mandarono poscia a Venezia
dicendo, che se i Veneziani aveano il prurito di venire a Genova
per combattere, non s'incomodassero a far sì lungo viaggio; perchè
i Genovesi con Uberto Doria loro ammiraglio andavano in Sicilia ad
aspettarli, e che quivi li sodavano a battaglia[597]. Udita questa
sinfonia, i saggi veneziani stimarono meglio di disarmare, e di
lasciar che gli altri passassero, siccome fecero soli, a fare una
bella comparsa ne' mari di Sicilia. Ma che? tornati che furono a casa i
Genovesi pieni di boria, come se avessero annientata la potenza veneta,
si risvegliò fra loro il non estinto fuoco delle fazioni per gare
di preminenza e risse cominciate nell'armata suddetta[598]. Però sul
finire dell'anno la parte guelfa, capi di cui erano i Grimaldi, venne
alle mani colla ghibellina, onde erano capi i Doria e gli Spinoli, e
cominciarono un'aspra guerra cittadinesca che impegnò tutto il popolo
della città: del che parleremo all'anno seguente. In Romagna[599]
nell'aprile di quest'anno fu inviato per conte e governatore _Pietro
arcivescovo_ di Monreale, il qual fece alcune paci in quella provincia,
tolse a _Maghinardo da Susinana_ l'ufficio di capitano di Faenza, e in
Ravenna fece abbattere i palagi di _Guido da Polenta_ e di _Lamberto_
suo figliuolo. Dopo aver ridotto in Faenza i fuorusciti, si stette poco
a sentire una sollevazione in quella città fra i conti di Cunio e i
Manfredi dall'una parte, e Maghinardo, i Rauli ed Acarisi dall'altra.
Si venne a battaglia, e andarono sconfitti i primi, obbligati perciò
ad uscire di quella città, e restarono burlati i Bolognesi, i quali
passavano d'intelligenza con essi per isperanza di tornar padroni di
Faenza. Poco durò il governo del suddetto arcivescovo di Monreale,
perchè nell'ottobre arrivò a Rimini _Guglielmo Durante_ vescovo
mimatense, ossia di Mande in Linguadoca, eletto da papa _Bonifazio
VIII_ marchese della marca di Ancona e conte della Romagna, celebre
giurisconsulto, autore dello _Speculum_ _juris_, onde fu appellato
_Speculator_, e di altre opere, il quale per molto tempo era stato
pubblico lettore di leggi e canoni nella città di Modena. Fu ricevuto
con onore da tutte le città della Romagna. Ma nel dì 19 di dicembre
venne all'armi _Malatesta da Verucchio_ nella città di Rimini colla
sua fazione guelfa contro la ghibellina di Parcità, e la spinse fuori
colla morte di molti. _Guido conte_ di Montefeltro, rimesso in grazia
del papa, venne in quest'anno a Forlì, e gli furono restituiti tutti i
suoi beni. D'uomo tale par che facesse capitale papa Bonifazio per le
sue occorrenze. Ma egli di lì a poco, cioè nell'anno seguente, o perchè
si mutò il vento, oppure per vero desiderio di darsi alla penitenza
de' suoi peccati, si fece frate dell'ordine francescano, e in quello
terminò poi i suoi giorni, ma non sì presto.
NOTE:
[581] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[582] Jacobus Cardinalis, in Vita Coelestini V, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
Ptolom. Lucens., Hist. Eccl., tom. 11 Rer. Ital.
[583] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 6. Ferretus Vicentinus, Hist.,
lib. 2, tom. 9 Rer. Ital.
[584] Nicolaus Specialis, lib. 2, cap. 20, tom. 10 Rer. Ital.
[585] Jacobus Cardinalis, in Vita Coelestini V, P. 1, tom. 3 Rer. Ital.
[586] Nicolaus Specialis, lib. 2, cap. 22, tom. 10 Rer. Ital.
[587] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[588] Gualv. Flamma, in Manip. Flor., cap. 334.
[589] Corio, Istor. di Milano.
[590] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[591] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[592] Malvec., Chron. Brix., tom. 14 Rer. Ital.
[593] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[594] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 12.
[595] Ptolomaeus Lucens., Annal. brev., tom. 11 Rer. Ital.
[596] Jacobus de Varagine, Chron. Genuens., tom. 9 Rer. Ital.
[597] Continuator Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[598] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 14. Jacobus de Varagine, Chron.
Genuens., tom. 9 Rer. Ital. Georg. Stella, Annal. Genuens., tom. 17
Rer. Ital.
[599] Chron. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXCVI. Indiz. IX.
BONIFAZIO VIII papa 3.
ADOLFO re de' Romani 5.
Quando si credeva papa _Bonifazio VIII_ d'essere come in porto
nell'affare della restituzion della Sicilia, egli se ne trovò più
che mai lontano. Irritati al maggior segno i Siciliani, perchè il re
_Giacomo_ senza alcuna contezza, nonchè assenso d'essi, avesse ceduto,
e, per dir così, venduto quel regno ai troppo odiati Franzesi, nel dì
25 di marzo, in cui cadde la Pasqua dell'anno presente, proclamarono
re di Sicilia l'infante _don Federigo_ fratello dello stesso re
Giacomo. Fu egli con gran solennità coronato nella cattedrale di
Palermo, e in quello stesso giorno fece molti cavalieri, alzò altri
al grado di conti, e dispensò molte altre grazie[600]. Dappertutto si
videro giuochi e bagordi; e, mossosi il re novello da Palermo, passò
a Messina, dove trovò tutto quel popolo in festa e pronto a servirlo.
Andossene dipoi a Reggio in Calabria, e, dato ordine a _Ruggieri di
Loria_ che uscisse in mare colla sua flotta, egli stesso coll'esercito
di terra andò a mettere l'assedio alla città di Squillaci, e con
levare ai cittadini i canali dell'acqua, gli obbligò a rendersi. Di là
portossi sotto Catanzaro, dove si trovava Pietro Ruffo, conte di quella
forte città, ed uno de' primi baroni della Calabria, a cui non mancava
gente in bravura e copia, molto atta ad una gagliarda difesa. Era
Ruggieri di Loria parente del conte, e come tale dissuase la impresa.
Stette saldo il re Federigo a volerla; ed allorchè coi furiosi assalti
si vide essa città vicina a cadere, ottenne il medesimo Ruggieri che
si venisse a patti, e che, se in termine di quaranta giorni non veniva
soccorso, la città si rendesse. Passato il tempo, fu osservata la
capitolazione, e Catanzaro venne alle sue mani. Fu anche dato soccorso
a Rocca Imperiale, ed acquistato Policoro. Sotto Cotrone, preso
anch'esso e saccheggiato, cominciò a sconciarsi la buona armonia fra
il re e Ruggieri di Loria, ma per allora non ne fu altro. Impadronissi
dipoi il re Federigo di Santa Severina e di Rossano. Intanto, portata
a papa Bonifazio la nuova che don Federigo avea presa la corona di
Sicilia, non solamente contra di lui, ma contra ancora del re Giacomo
suo fratello si accese di collera, figurandosi che fra amendue passasse
intelligenza segreta, per burlare in questa guisa non meno il re Carlo
che il papa stesso. Annullò dunque tosto, per quanto a lui apparteneva,
tutti gli atti di don Federigo e de' Siciliani, e spiegò contra d'essi
tutto l'apparato delle pene spirituali e temporali; per le quali
nondimeno nulla si cambiò il cuor di quei popoli. Risentitamente ne
scrisse ancora al re Giacomo; ma questi ampiamente rispose e giurò
di non aver parte nella risoluzion presa dal fratello (e dicea il
vero), esibendosi pronto ad eseguir dal suo canto quanto era da lui
stato promesso. Anzi egli, non so se chiamato dal papa, oppure di
sua spontanea volontà, si preparò per venire a Roma, affine di meglio
sincerare esso pontefice e il re Carlo del suo retto procedere.
La guerra insorta fra _Azzo VIII_ marchese d'Este, signor di Ferrara,
e i Parmigiani e Bolognesi collegati, andava ogni dì più prendendo
vigore[601]. Dal canto loro maggiormente si afforzarono i Parmigiani,
con accrescere la loro lega, nella quale entrarono il comune di
Brescia e i fuorusciti di Reggio e di Modena, tutti contro il marchese
Azzo. Seguirono poi varie ostilità in quest'anno fra essi Parmigiani
e le milizie dell'Estense sul Reggiano, che non meritano d'essere
registrate. Studiossi anche il marchese dal canto suo d'avere de'
partigiani dalla parte della Romagna. Tirò in Argenta a parlamento
_Maghinardo da Susinana_ coi Faentini, _Scarpetta degli Ordelaffi_
coi deputati di Forlì e di Cesena, _Uguccione_ dalla _Faggiuola_,
che comincia in questi tempi a far udire il suo nome, coi Lambertazzi
usciti di Bologna, ed altri Ghibellini di Ravenna, Rimini e Bertinoro.
Fu risoluto di togliere Imola ai Bolognesi. Di questo trattato
_Guglielmo Durante_ conte della Romagna spedì l'avviso a Bologna,
acciocchè prendessero le necessarie misure e precauzioni. E infatti i
Bolognesi inviarono quattro mila pedoni e molta cavalleria in rinforzo
d'Imola. Ma nel dì primo d'aprile, venuto l'esercito del marchese
Azzo con Maghinardo e cogli altri collegati, arrivò al fiume Santerno,
alla cui opposta riva trovò schierati i Bolognesi, Imolesi ed usciti
di Faenza, per impedire il passo del fiume che era allora assai
grosso[602]. Ma, valicato il Santerno dai Ferraresi e Romagnuoli, si
venne ad un caldo combattimento. Non ressero lungo tempo i Bolognesi;
molti ne furono morti, molti presi; e fuggendo il resto verso Imola, i
vincitori in inseguirli entrarono anch'essi nella città, e ne divennero
padroni. L'autore della Cronica Forlivese[603] scrive che furono fatti
prigioni più di duemila persone.
Nello stesso dì primo d'aprile il marchese Azzo con altro esercito
dalla parte di Modena andò a fortificare le castella di Vignola,
Spilamberto e Savignano; e soprattutto attese[604] a rimettere in
piedi le fortificazioni di Bazzano, dove lasciò un buon presidio.
Concertarono poscia insieme i Bolognesi e Parmigiani di unitamente far
oste ad uno stesso tempo nell'autunno, gli uni contro Modena, e gli
altri contra di Reggio. Ma i soli Bolognesi effettuarono il concordato;
imperciocchè, unito un possente esercito di lor gente co' signori
da Polenta, coi Malatesti ed altri Romagnuoli, e con un rinforzo di
Fiorentini, ripigliarono per forza il castello di Savignano. Coll'aiuto
de' Rangoni e d'altri fuorusciti di Modena presero Montese ed altre
castella del Frignano; e si misero poi con grave vigore all'assedio
di Bazzano. Si sostenne quella guarnigione, composta di quattrocento
cavalieri e di mille fanti, per lo spazio d'un mese; ma vinta in fine
dalla fame, e veggendo che non veniva soccorso (giacchè il marchese
accompagnato da Maghinardo uscì bene in campagna con molte forze, ma
non giudicò utile l'azzardare una battaglia), a patti di buona guerra
nel dì 25 di novembre cadde in poter de' Bolognesi. Altre ostilità
succederono in quest'anno[605], perchè il marchese Azzo co' Modenesi e
Reggiani cavalcò sul Bolognese nel dì 6 di giugno sino a Crespellano e
al borgo di Panigale; e nello stesso tempo il _marchese Francesco_ suo
fratello co' Ferraresi venne dalla sua parte sino alla terra di Peole
e al Tedo, saccheggiando, bruciando e, facendo prigioni. E intanto
il _conte Galasso_ da Montefeltro, e Maghinardo Pagano da Susinana,
capitano della lega colle milizie di Faenza, Forlì, Imola e Cesena,
assalì il distretto di Bologna, venendo a Castel San Pietro e alle
terre di Legnano, Vedriano, Frassineto, Galigata e Medecina, con orridi
saccheggi e bruciamento di più di due mila case. La Cronica di Forlì,
più delle altre esatta e copiosa in questi tempi, descrive minutamente
questi fatti della Romagna con assaissimi altri, che troppo lungo
sarebbe il voler qui rammentare. Ma non si dee tacere che nel dì 15 di
luglio i Calboli coi Riminesi, Ravennati ed altre loro amistà, presero
la città di Forlì colla morte di molti: il che udito da Scarpetta degli
Ordelaffi e da Maghinardo che erano all'assedio di Castelnuovo[606],
a spron battuto volarono colà, e ricuperarono la città, uccidendo e
prendendo non pochi degli entrati. E poscia renderono la pariglia ai
Ravegnani con iscorrere ed incendiare il lor paese sino alle mura della
città. Nel dì 26 d'aprile Guglielmo Durante conte della Romagna, stando
in Rimini, privò di tutti i lor privilegii, onori e dignità le città
di Cesena, Forlì, Faenza ed Imola: rimedii da nulla per guarire i mali
umori di tempi sì sconcertati.
Nel dì 30 del precedente dicembre[607] si diede principio entro la
città di Genova alla guerra e alle battaglie fra i Grimaldi e Fieschi,
e loro aderenti guelfi dall'una parte, e i Doria e Spinoli coi loro
parziali ghibellini dall'altra. Nelle lor torri e case si difendeano,
e da esse offendevano, cercando or l'una or l'altra di occupare il
palazzo del pubblico e gli altri siti forti. Vi restarono preda del
fuoco moltissime case, e fu bruciato fino il tetto della cattedrale
di San Lorenzo[608], perchè i Grimaldi s'erano afforzati nella torre
maggiore d'essa chiesa. Dalla Lombardia e da altri luoghi concorse gran
gente in aiuto di cadauna delle parti; ma più furono i combattenti di
quella dei Doria e Spinoli: laonde dopo più di un mese della tragica
scena di quei combattimenti, soccombendo i Grimaldi e Fieschi, si
videro nel dì 7 di febbraio obbligati a cercar lo scampo colla fuga
fuori della città. Furono appresso eletti capitani governatori di
Genova _Corrado Spinola_ e _Corrado Doria_, e cessò tutto il rumore. Ma
per mare seguitò la guerra fra essi Genovesi e i Veneziani[609]. Azione
nondimeno che meriti osservazione non accadde fra loro, se non che da
Venezia furono spedite venticinque galee ben armate sotto il comando di
Giovanni Soranzo, le quali ite a Caffa, città posseduta dai Genovesi
nella Crimea, la presero e saccheggiarono, con bruciare alquante navi
e galee d'essi nemici. Era divisa anche la città di Bergamo nelle
fazioni de' Soardi e Coleoni[610]. Nel mese di marzo vennero queste
alle mani, e i Coleoni ne furono scacciati. Rientrati poi questi
nella città nel dì 6 di giugno, e rinforzati dai Rivoli e Bongi,
costrinsero alla fuga i Soardi, di modo che _Matteo Visconte_ rimase
escluso affatto dal dominio di quella città. Di torri e di case ivi si
fece allora un gran guasto. Nell'anno presente _Giovanni marchese_ di
Monferrato prese per moglie _Margherita_ figliuola di _Amedeo_ conte
di Savoia[611]. Poi, fatta lega con _Manfredi marchese_ di Saluzzo,
ed unito un buon esercito, prese e mise a sacco la città d'Asti, con
iscacciarne i Solari e gli altri del partito guelfo. In Toscana non si
udì novità alcuna degna di conto, se non che, per attestato di Tolomeo
da Lucca[612], _Adolfo re_ dei Romani inviò colà per suo vicario
Giovanni da Caviglione. I Toscani, a' quali rincrescevano forte le
visite di questi uffiziali cesarei, ricorsero a papa _Bonifazio VIII_,
perchè li liberasse da costui, esibendo ottanta mila fiorini di oro,
quattordici mila de' quali toccarono per la sua rata al comune di
Lucca. Il papa rimandò a casa sua questo vicario, contentandolo con
dare il vescovato di Liegi ad un suo fratello, e mise nella borsa sua
il danaro pagato dai buoni Toscani. Trovarono i Pisani in quest'anno un
bel ripiego per farsi rispettare dai vicini nemici[613], e fu quello di
eleggere per podestà e governatore della loro città lo stesso Bonifazio
papa, con assegnargli quattro mila lire annualmente per suo salario.
Accettò benignamente il pontefice questo impiego, e, sciolti i Pisani
dall'interdetto e dalle scomuniche, mandò colà per suo vicario Elia
conte di Colle di Val d'Elsa. Richiamò esso papa dal governo della
Romagna[614] _Guglielmo Durante_ vescovo, e colà inviò con titolo di
conte Masino da Piperno, fratello di _Pietro cardinale_ di Piperno.
Entrò egli in quella provincia sul fine di settembre, e fece ritirare
l'esercito di Maghinardo dall'assedio di Massa de' Lombardi.
NOTE:
[600] Nicol. Specialis, lib. 3, cap. 1, tom. 10 Rer. Ital.
[601] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[602] Matth. de Griffonibus, Annal. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[603] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[604] Chron. Parmense.
[605] Chron. Forolivien.
[606] Chron. Caesen., tom. 15 Rer. Ital.
[607] Georgius Stella, Annal. Genuens., lib. 1, cap. 8, tom. 17 Rer.
Ital.
[608] Giovanni Villani, lib. 8, cap. 14.
[609] Contin. Danduli, tom. 12 Rer. Ital.
[610] Corio, Istor. di Milano. Gualvaneus Flamma, Manip. Flor.
[611] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital. Benvenuto da S. Giorgio,
Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXCVII. Indizione X.
BONIFAZIO VIII papa 4.
ADOLFO re de' Romani 6.
Venne in quest'anno a Roma _Giacomo re_ d'Aragona, non tanto per far
costare a papa _Bonifazio_ l'onoratezza sua, e d'essere ben lontano
dall'approvare, non che dal proteggere, le risoluzioni prese da'
Siciliani e da _don Federigo_ suo fratello, quanto per vantaggiare i
proprii interessi con ismugnere nuove grazie dalla corte pontificia.
E fattosi conoscere dispostissimo ad impiegar tutte le sue forze dove
gli ordinasse il papa[615], e precisamente contra dello stesso suo
fratello: Bonifazio aprì gli scrigni della confidenza e liberalità
pontificia verso di lui, con investirlo della Sardegna e Corsica, dove
egli non possedeva un palmo di terreno, e con dichiararlo capitan
generale dell'armata che si dovea spedire contro gl'infedeli, per
ricuperar Terrasanta, o altri Stati dalle mani de' Saraceni. Questo
era il colore che spesse volte si dava in questi tempi alle imprese
che doveano farsi contra de' medesimi cristiani, e serviva di pretesto
per aggravar di decime le chiese della Cristianità. La intenzion
vera, siccome i fatti lo dimostrarono, era di assalir la Sicilia, e di
levarla a don Federigo per consegnarla al _re Carlo II_. Ed appunto
esso re Carlo venne anch'egli a Roma, e per istrignere maggiormente
nel suo partito il suddetto re Giacomo, conchiuse seco di dar per
moglie a _Roberto_ suo terzogenito _Jolanta_, ossia _Violanta_,
sorella del medesimo re Giacomo. Avea già esso Giacomo richiamati
dalla Sicilia tutti gli Aragonesi e Catalani, parte de' quali ubbidì,
e parte no[616]; e, stando in Roma, spedì un'ambasciata al fratello
don Federigo, pregandolo di voler venire sino all'isola di Ischia, per
abboccarsi con lui, e trattar seco de correnti affari. Don Federigo,
ricevuta questa ambasciata, dalla Calabria se ne tornò a Messina, e
colà ancora richiamò _Ruggieri di Loria_, il quale, dopo aver preso
Otranto, era passato sotto Brindisi, per consultare con lui e co'
Siciliani quello che convenisse di fare in sì scabrose contingenze.
Il parere di Ruggieri fu, ch'egli andasse; diedero il lor voto in
contrario i sindachi della Sicilia. Vennero poi lettere dal re Giacomo,
che chiamava a Roma Ruggieri di Loria, e don Federigo con isdegno gli
permise di andare, ma con promessa di ritornare. Tuttavia perchè egli
prima di mettersi in viaggio avea provveduto d'armi e di vettovaglia
alcune castella in Calabria, e dai maligni fu supposto a don Federigo
ciò fatto a tradimento da Ruggieri, come se egli già meditasse di
ribellarsi; andò tanto innanzi lo sconcerto degli animi, che Ruggieri
fu vicino ad essere ritenuto prigione; e poscia se ne fuggì, e, andato
a Roma, si acconciò col re Giacomo a' danni del fratello. Fatal colpo
di somma imprudenza di don Federigo, o de' suoi consiglieri, fu il
perdere, in occasione di tanto bisogno, un sì prode ed accreditato
ammiraglio, e non solo perderlo, ma farselo nemico. Altra ambasceria
venne dal re Giacomo alla _regina Costanza_ sua madre, con ordine di
passare a Roma con _Violanta_ sorella d'esso re, destinata in moglie
a _Roberto duca_ di Calabria. Venne la regina colla figliuola; fu
assoluta e ben veduta dal papa; seguirono le nozze di Violanta; e
Costanza si fermò dipoi fino alla morte in Roma. Altri dicono ch'ella
passò in Catalogna, ma afflitta ed inconsolabile, per vedere la
guerra imminente fra i due suoi figliuoli. Tornossene il re Giacomo in
Catalogna a fare i preparamenti necessarii por soddisfare all'impegno
contratto col pontefice e col re Carlo suo suocero. Don Federigo
informato della fuga di Ruggieri di Loria, dopo averlo fatto proclamare
nemico pubblico, e posto l'assedio a quante castella egli possedeva in
Sicilia, di tutto lo spogliò.
Ebbe principio in quest'anno la detestabil briga de' Colonnesi contro
papa _Bonifazio VIII_. Non si sa bene il motivo di tale rottura. Per
attestato di Giovanni Villani[617], perchè i due cardinali _Jacopo_ e
_Pietro_ erano stati contrarii alla sua elezione, Bonifazio conservò
sempre un mal animo contra di loro, pensando continuamente ad
abbassarli ed annientarli. Aggiugne il Villani, concorde in ciò con
Tolomeo da Lucca[618], che _Sciarra_, oppure _Stefano_ dalla Colonna,
nipote d'essi cardinali, avea prese le some degli arnesi e del tesoro
del papa che veniva da Anagni, ovvero, secondo altri[619], che andava
da Roma ad Anagni, ed erano ottanta some tra oro, argento e rame.
Ma niuna menzione di questo facendo il papa nella bolla fulminatrice
contra de' Colonnesi, si può dubitare della verità del fatto. Non altra
ragion forte in essa bolla[620] adduce Bonifazio, se non che questi
due cardinali tenevano corrispondenza con _don Federigo_ usurpator
della Sicilia, e che, avvertiti, non aveano lasciato questo commercio,
nè aveano permesso che Stefano dalla Colonna, fratello del cardinal
Pietro, ammettesse presidio pontificio nelle loro terre di Palestrina,
Colonna e Zagaruolo: per li quali enormi delitti con bolla pubblicata
nel dì 10 di maggio, non solamente scomunicò i suddetti due cardinali,
ma li depose ancora, privandoli del cardinalato e d'ogni altro
benefizio, con altre pene e censure contra de' lor parenti e fautori.
S'erano ritirati alle lor terre questi cardinali, con _Agapito_,
_Stefano_ e _Sciarra_, tutti dalla Colonna; e ossia che essi avessero
molto prima il cuor guasto, e sparlassero del papa, incitati sotto mano
da qualche principe; oppure che, irritati per questo fiero, creduto
da loro non meritato, gastigo, si lasciarono trasportare a dar fuori
uno scandaloso manifesto, in cui dichiaravano di non credere vero papa
Benedetto Gaetano, cioè il pontefice Bonifazio VIII, benchè fin qui
da essi riconosciuto e venerato per tale, allegando nulla la rinunzia
di papa _Celestino V_, per sè stessa, ed anche perchè procurata con
frodi ed inganni, e perciò appellando al futuro concilio. V'ha chi
pretende che tal manifesto, tendente ad uno scisma, uscisse fuori prima
della bolla e deposizione suddetta; ma il contrario si raccoglie da
un'altra bolla d'esso papa Bonifazio, fulminata nel dì dell'Ascensione
del Signore contra di essi cardinali deposti e di tutti i Colonnesi,
in cui per cagion di questo libello aggrava le lor pene, li priva di
tutti i loro stati e beni, e vuol che si proceda contra d'essi come
scismatici ed eretici. Fece egli dipoi diroccare in Roma i palagi, e
spedì le milizie all'assedio delle lor terre. Circa questi tempi ancora
insorsero dissapori fra il papa e _Filippo il Bello_ re di Francia, a
cagione di avere il re pubblicata una legge (e questa dura tuttavia)
che non si potesse estraere danaro fuori del regno, pretendendo il papa
ch'egli perciò fosse incorso nella scomunica, mentre con ciò s'impediva
il venir le rugiade solite, e quelle massimamente delle decime, alla
corte di Roma. Diede anche ordine il pontefice ai due cardinali legati
che erano in Francia, di apertamente pubblicare scomunicato il re e i
suoi uffiziali, se veniva impedito il trasporto d'esso danaro dovuto
alla santa Sede: cose tutte che col tempo si tirarono dietro delle
pessime conseguenze, figlie dell'interesse, che da tanti secoli va e
sempre forse pur troppo andrà sconcertando il mondo.
Durando la guerra fra il _marchese Azzo_ d'Este e i Parmigiani, ognuna
delle parti facea quel maggior danno che poteva all'altra[621]. Si
frapposero amici, persuadendo la pace; e sopra tutto ne fece premura
Guido da Correggio, potente presso i Parmigiani, perchè tutto il suo
era sotto il guasto. Si conchiuse adunque l'accordo fra essi nel mese
di luglio, e nel dì quinto di agosto furono rilasciati i prigioni.
Ma di questa pace particolare si dolsero forte i Bolognesi, perchè
lasciati soli in ballo dai Parmigiani, e ne furono anche malcontenti
gli usciti di Parma, perchè abbandonati dal marchese; e però
continuarono essi la guerra contra della loro città. Altrettanto fece
il marchese Azzo coi collegati romagnuoli[622] contra de' Bolognesi,
seguitando i guasti e gli incendii dall'una parte e dall'altra. Fu
eletto in quest'anno per lor capitano di guerra dalle città di Cesena,
Forlì, Faenza ed Imola, _Uguccione dalla Faggiuola_, il quale nel dì
21 di febbraio in Forlì prese il baston da comando, poscia nel mese
di maggio uscì con potente esercito a' danni de' Bolognesi. Giunto
nelle vicinanze di Castello San Pietro, sfidò a battaglia l'armata
vicina dei medesimi Bolognesi, i quali si guardarono di entrare in
così pericoloso cimento. Intanto papa Bonifazio non rallentava il
suo studio, premendogli forte di far cessare questa guerra; ma per
ora non gli venne fatto, siccome neppure ai Fiorentini, che spedirono
anch'essi degli ambasciatori a questo fine. Nell'anno presente[623] i
Grimaldi e Fieschi usciti di Genova fecero più che mai guerra contro
la lor patria; ed accadde che Francesco dei Grimaldi, per soprannome
Malizia, vestito da frate minore, s'introdusse nella terra di Monaco,
e s'impadronì di esso e de' suoi due castelli, e quivi fortificatosi
inferì dei gravissimi danni a Genova, corseggiando per mare.
Signoreggia tuttavia in quella terra con titolo principesco la famiglia
Grimalda.
NOTE:
[612] Ptolomaeus Lucens., Annal. brev., tom. 11 Rer. Ital.
[613] Raynald., in Annal. Ecclesiast.
[614] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[615] Raynald., in Annal. Eccles.
[616] Nicolaus Special., lib. 2, cap. 12, tom. 10 Rer. Ital.
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