Annali d'Italia, vol. 5 - 14
fondo di una torre con due suoi piccioli figli e tre nipoti, figliuoli
del figliuolo, e quivi chiuso, con essersi poi gittate le chiavi in
Arno, per lasciarli morire ivi tutti di fame. Questa orrida scena si
vede mirabilmente descritta da Dante nel suo Inferno; e quantunque
alla malvagità del conte Ugolino stesse bene ogni gastigo, pure gran
biasimo di crudeltà incorsero dappertutto i Pisani per la morte di
quegl'innocenti fanciulli. Con ciò Pisa tornò a parte ghibellina, e
ne furono cacciati tutti i parenti ed aderenti del conte, e con loro i
Guelfi, capo de' quali essendo il giudice di Gallura Nino de' Visconti,
questi, unito coi Lucchesi, occupò il castello d'Asciano, tre miglia
vicino a Pisa. Abbiamo dagli Annali di Genova che in questo anno i
comuni di Genova, Milano, Pavia, Cremona, Piacenza e Brescia fecero
una lega contra di _Guglielmo marchese_ di Monferrato. La Cronica
d'Asti[490] ci assicura che gli Astigiani entrarono anche essi in
questa alleanza. Crescendo ogni dì più le animosità e gli odii fra i
cittadini di Modena e di Reggio[491] e i loro fuorusciti, i Reggiani,
assistiti da cento cavalieri di Modena, si portarono all'assedio di
Monte Calvoli; ma dopo due giorni nel dì 15 di giugno furono assaliti
con tal bravura dagli usciti di Reggio, ragunati prima a Mozzadella,
che della lor brigata moltissimi vi perirono, e molti più de' migliori
cittadini di Reggio vi rimasero prigioni: il resto si salvò col favor
delle gambe. Questa ed altre perdite fatte dal popolo di Reggio, e
il veder massimamente assistiti i loro usciti dai signori di Mantova
e di Verona, gli indusse a cercar la pace. Fatto dunque compromesso
nel comune di Parma, seguì nell'ottobre l'accordo, ma ne restarono
esclusi quei da Sesso e gli altri Ghibellini. Matteo da Correggio fu
allora creato podestà di Reggio[492]. Nel dì 28 dello stesso ottobre, i
signori di Savignano cogli altri sbanditi di Modena, e con cinquecento
cavalli, entrarono in Savignano, e si diedero a rifabbricarlo e
fortificarlo in fretta. Accorse ben presto colà il popolo di Modena;
ma, conosciuta l'impossibilità di scacciarli, dopo aver alzata una
specie di fortezza in vicinanza di quel luogo, se ne tornarono a casa.
E allora fu che i Modenesi, oramai scorgendo la pazzia, e gli immensi
danni e le continue inquietudini prodotte dalla discordia e fazioni,
presero il sano consiglio di ottener la quiete, con darsi ad _Obizzo
marchese_ d'Este e signor di Ferrara. Però nel dì 15 di dicembre[493]
spedirono il loro vescovo, cioè _Filippo dei Boschetti_, Lanfranco
de' Rangoni, Guido de' Guidoni con altri ambasciatori a Ferrara, dove
presentarono al marchese le chiavi della città, e la elezione di lui
fatta in signore perpetuo di Modena. Mandò egli il conte Anello suo
cognato con cento cinquanta cavalieri a prenderne il possesso, con
promessa di venir egli in persona fra pochi giorni. In questi tempi
Armanno de' Monaldeschi da Orvieto fu mandato da papa _Niccolò IV_ per
conte della Romagna[494], e nel dì 7 di maggio entrò nel governo di
quella provincia, e tenne un parlamento generale nella città di Forlì.
Fu cacciato nello stesso mese fuor di Rimini Malatesta da Verucchio,
che andò tosto a trovar esso conte. Ma da li a qualche tempo, avendo
Giovanni soprannominato Zotto, cioè Zoppo, figliuolo del medesimo
Malatesta, occupato il Poggio di Monte Sant'Arcangelo del distretto
di Rimini, corsero ad assediarlo i Riminesi: laonde il conte Armanno
fece proclamare un general esercito di tutta la Romagna, e andò a quel
castello, per quanto pare, in aiuto del Malatesta. Anche Malatestino,
altro figliuolo del suddetto Malatesta, s'impadronì del castello di
Monte Scutolo, che fu poi assediato e ricuperato dai Riminesi[495], non
ostante che il conte Armanno minacciasse di soccorrerlo, con restarvi
prigione esso Malatestino e tutti i suoi.
NOTE:
[483] Ptolom. Lucens., Hist. Eccl., tom. 11 Rer. Ital. Bern. Guid.
Giovanni Villani.
[484] Papebrochius Propyl. ad Act. Sanct. Memorial. Potest. Regiens.,
tom. 8 Rer. Ital.
[485] Raynald., Annal. Eccl.
[486] Rymer, Acta publ. Angl.
[487] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 119.
[488] Chron. Senens., tom. 15 Rer. Ital.
[489] Caffari, Annal. Genuens., lib. 10.
[490] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital.
[491] Memoriale Potest. Regiens.
[492] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Italic.
[493] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[494] Chron. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCLXXXIX. Indiz. II.
NICCOLÒ IV papa 2.
RIDOLFO re de' Romani 17.
Fu accolto con dimostrazioni grandi d'onore e d'amore _Carlo II_ re
di Napoli, appellato _Zoppo_, oppure _Sciancato_ (perchè difettoso in
un'anca o gamba), già liberato dalle carceri di Catalogna, da _Filippo
il Bello_, re di Francia, e dagli altri principi della casa reale. Ma
quando si venne a far premura perchè _Carlo di Valois_, fratello d'esso
Filippo, rinunziasse al privilegio dell'Aragona, a lui conceduto dal
papa, non si trovò mai conclusione alcuna. Carlo di Valois, che non
possedeva Stati, mirava quel boccone, benchè difficile a prendersi,
con troppa avidità. Però il re Carlo, perduta la speranza di ottener lo
intento, sen venne in Italia. Nel dì 2 di maggio arrivò a Firenze[496].
Onor grande e grandi regali gli furono fatti dai Fiorentini. Passò
dipoi a Rieti, dove era la corte pontificia, e dal pontefice _Niccolò
IV_ e da' suoi cardinali onorevolmente ricevuto; poi nella festa della
Pentecoste, cioè nel dì 29 di maggio, e non già in Roma, come scrive
Giovanni Villani, ma nella stessa città di Rieti, come ha l'autore
della Cronica di Reggio[497], che vi era presente, fu solennemente
coronato colla _regina Maria_ sua moglie dal papa in re della Sicilia,
Puglia e Gerusalemme, ed investito di quanto avea posseduto il re Carlo
I suo padre, per cui anch'egli fece l'omaggio e il dovuto giuramento
alla Chiesa romana[498]. In suo favore ancora cassò il pontefice tutti
i patti e le convenzioni da lui fatte con _Alfonso re_ di Aragona,
per uscire di carcere: con cattivo esempio ai posteri di non fidarsi
più di simili atti; al che poi non badò _Carlo V_ imperadore nella
liberazione di _Francesco I_ re di Francia. Dopo di che, ben regalato
dal papa esso Carlo II si trasferì a Napoli, dove fu con indicibil
festa accolto, perchè principe di buon cuore, clemente e liberale,
e non erede del genio rigido e superbo del padre. Da lì innanzi egli
attese a riformar gli abusi, e a ben regolare il nuovo suo governo, e
insieme a difendersi da _Giacomo re_ di Sicilia, il quale, veggendosi
escluso dalla capitolazione fatta dal re _Alfonso_ suo fratello,
cominciò a far guerra al re Carlo. Venuto dunque a Reggio in Calabria,
nel dì 15 di maggio, colla sua armata navale, comandata da _Ruggieri
di Loria_, prese varie terre di quella provincia; ma, accorso il conte
d'Artois colle sue genti, mise freno alle conquiste de' Siciliani ed
Aragonesi, minutamente descritte da Bartolommeo da Neocastro[499].
Scrive Giovanni Villani[500] che esso conte assediò Catanzaro, e
sconfisse il soccorso inviato da Ruggieri di Loria, con far prigioni
ducento cavalieri Catalani. Imbarcatosi di nuovo il re Giacomo, visitò
la Scalea, il castello dell'Abbate, e le isole di Capri, Procida ed
Ischia, che ubbidivano alla sua corona; e perciocchè da alcuni della
città di Gaeta gli era stata data speranza che, s'egli fosse venuto,
gli avrebbono aperte le porte, fece vela colà, e andò ad accamparsi
sotto la città[501]. Ma, o s'erano cangiati gli animi de' Gaetani,
oppure mancò lor la maniera di compiere quanto aveano promesso.
Ostinossi allora il re Giacomo a voler colla forza ciò che non potea
conseguir per amore; e vigorosamente assediò e cominciò a tormentar la
città, dove trovò una gagliarda difesa fatta dal conte d'Avellino e da
que' cittadini. Peggio gli avvenne fra pochi giorni; perciocchè il re
Carlo e il conte d'Artois con immenso esercito raccolto dalla Puglia e
dagli Stati della Chiesa, e coi Saraceni di Nocera, venne ad assediare
lo stesso assediator di Gaeta. Erano crocesignati tutti i combattenti
cristiani di quell'esercito, e guadagnavano di grandi indulgenze;
giacchè, siccome abbiam più volte accennato, secondo la condizion
delle cose umane, molte delle quali nate con lodevoli principii, vanno
col tempo degenerando, un pezzo era che le crociate, istituite contro
i nemici del nome cristiano, facilmente si bandivano contra degli
stessi cristiani e cattolici, e per interessi temporali; e a questo
bel mestiere concorrevano fin le donne, per acquistarsi del merito in
paradiso. Stettero un pezzo le due armate a vista, senza che potessero
i Siciliani espugnar quella città, ed il re Carlo forzare a battaglia
i Siciliani per cagion della situazione e de' buoni trincieramenti,
e tanto più perchè non avea flotta in mare. A lungo andar nondimeno
pareva che sarebbe restato al di sotto il re Giacomo, se il re
d'Inghilterra e il re di Aragona, intesa questa pericolosa briga,
non avessero spedito in tutta fretta i lor messi al papa, pregandolo
d'interporsi unitamente con loro per un accordo. Inviò il pontefice con
essi un cardinale legato, e tutti poi così felicemente maneggiarono
l'affare, che si conchiuse fra i due re litiganti una tregua di due
anni, esclusa nondimeno la Calabria. Fu il primo a ritirarsi il re
Carlo; da lì a due giorni s'imbarcò parimente il re Giacomo, e nel dì
30 d'agosto arrivò a Messina. Tanto dispiacque al conte d'Artois e agli
altri baroni franzesi la tregua suddetta, che, dopo aver biasimato
forte il re Carlo, se ne tornarono sdegnati in Francia. Il Rinaldi
negli Annali Ecclesiastici mette questo fatto sotto l'anno seguente ma,
a mio credere, non battono bene i suoi conti.
Fecero i Fiorentini nel presente anno risonar la fama della lor
bravura e fortuna per un gran fatto d'armi fra loro e gli Aretini ed
altri Ghibellini. Erano essi Fiorentini[502] usciti in campagna con
un potente esercito, accresciuto dalle taglie dell'altre città guelfe
di Toscana, per dare il guasto al territorio d'Arezzo[503]. Vennero a
Bibiena, per fermar questo torrente, gli Aretini con ottocento cavalli
e otto mila pedoni; e tuttochè la armata nemica fosse più del doppio
superiore alla loro, pure dispregiandola, perchè dal loro canto aveano
migliori capitani di guerra, vollero venire ad una giornata campale nel
dì 11 di giugno, festa di san Barnaba. Se n'ebbero a pentire, perchè
andarono sconfitti, lasciando estinte sul campo circa mille settecento
persone, e prigioni più di mille de' lor combattenti. Fra i morti si
contò il vescovo d'Arezzo _Guglielmo_ degli Ubertini, fatto venire alla
battaglia dagli Aretini stessi, per sospetto di un trattato ch'egli
segretamente menava co' Fiorentini in danno del comune d'Arezzo.
Morivvi ancora _Buonconte_ figliuolo del _conte Guido_ da Montefeltro
con altri riguardevoli personaggi. Presero poscia i Fiorentini Bibiena
ed altre terre; e, posto l'assedio ad Arezzo, vi manganarono dentro
asini colla mitra in capo, per rimproverar loro la morte del loro
vescovo. Ma infine, avendo gli Aretini messo il fuoco alle torri di
legname ed altre macchine da guerra dei Fiorentini, presero questi
la risoluzione di tornarsene a casa nel dì 23 di luglio, dopo aver
disfatto quasi tutto il distretto d'Arezzo. Ancorchè i Pavesi fossero
in lega coi Milanesi ed altre città contra di _Bonifazio marchese_ di
Monferrato[504], pure seppe far tanto l'accorto marchese, che tirò
segretamente nel suo partito molti di que' nobili. Fatto dipoi un
esercito generale contra di Pavia, prese una terra grossa chiamata
Rosaiano. Allora uscì contra di lui tutta la milizia di Pavia; ma o
fosse perchè trovassero assai pericoloso il venire a battaglia, oppure
che prendessero i congiurati il tempo propizio; un certo Capellino
Zembaldo, alzata sopra una lancia una bandiera, ch'egli avea preparata,
cominciò a gridare: _Qua venga chi vuol pace_. L'unione fu grande; il
marchese entrò con essi in Pavia, e nel dì seguente fu creato capitano
della città per dieci anni avvenire. Tutto ciò s'ha da Guglielmo
Ventura nella Cronica d'Asti, il quale aggiugne che, essendosi fatto
tutto questo maneggio senza saputa, anzi ad onta di Manfredino da
Beccheria, uno de' più potenti di quella città, indispettito egli,
per confondere gli emuli suoi, volle in un altro consiglio che il
marchese fosse capitano e signore assoluto, sua vita natural durante.
Ma finì presto l'allegrezza di queste nozze. Poco stettero i Pavesi a
pentirsi dello strafalcione da loro commesso, non sapendo accomodare
la lor testa sotto un padrone sì fatto; e però chiamarono segretamente
i Milanesi, i quali entrarono nella stessa Pavia per lo spazio di due
balestrate; ma, accorse le milizie del marchese co' suoi aderenti, li
fecero retrocedere, e tornarsene con le pive nel sacco a casa. Manfredi
da Beccheria, perchè a cagion di questo fatto insorsero dei sospetti
contra di lui, uscì della città con alquanti suoi fidati, e si ridusse
e Castello Acuto, che era suo, e quivi si fortificò. Fu egli per
questo sbandito, ed atterrato il suo palagio. Venne anche il marchese
ad assediarlo in quel castello, e vi fabbricò in vicinanza un bastia.
Ma i Milanesi, Cremonesi, Piacentini e Bresciani, in un parlamento
tenuto in Cremona, impresero la difesa del Beccheria, siccome popoli,
ai quali dava troppo da pensare e da temere il soverchio ingrandimento
del marchese, signore allora anche di Vercelli, Alessandria e Tortona.
Infatti i Piacentini con tutte le lor forze iti a Monte Acuto, misero
in rotta i Pavesi, e liberarono quel luogo. Racconta il Corio[505]
molte altre particolarità spettanti a questa mutazion di Pavia, ed ai
movimenti de' Milanesi contra del suddetto marchese.
Nuove scene di discordia nell'anno presente si videro in Reggio[506].
Nel dì 7 di agosto il popolo si levò a rumore contra de' nobili e
potenti, e, presine assaissimi, li mise nelle carceri. Corsero colà
i Parmigiani colla lor cavalleria, e, fattasi dare la signoria della
città, condussero a Parma tutti que' prigioni. Poscia, chiamati alla
lor città i podestà e gli ambasciatori di Bologna e Cremona, nel dì
primo di ottobre conchiusero pace fra i nobili ed il popolo di Reggio,
e in confermazione d'essa rilasciarono il dì seguente i carcerati.
Ma questa fu una pace canina[507]. Nel dì 17 di novembre vennero di
nuovo all'armi i Reggiani, e le due fazioni di Sopra e di Sotto fecero
lungo combattimento fra loro, finchè verso la mezza notte, prevalendo
la Soprana, spinse fuori della città la Sottana, la quale si ridusse
a Castellarano e Rubiera. Seguirono nella prima, e più nella seconda
molti ammazzamenti e incendii, e dirupamenti di case, e furono involti
in questa disavventura anche i palazzi del pubblico e del vescovo.
Qual riparo si trovasse a così bestiali e perniciose divisioni lo
vedremo all'anno seguente. Mentre _Obizzo marchese_ d'Este e signor
di Ferrara[508] si andava disponendo per venire alla nuovamente
acquistata città di Modena, un giorno, nel levarsi da tavola, se gli
avventò Lamberto figliuolo di Niccolò dei Bacilieri, nobile bolognese,
per ucciderlo, e il ferì nel volto. Corsero i cortigiani presenti, e
gl'impedirono il far di peggio; corse _Azzo_ figliuolo del marchese,
che teneva corte a parte, pranzando in una sala vicina, ed erano per
uccidere l'assassino, se il marchese non avesse gridato di no, per
intendere prima i motori e complici del misfatto. Posto costui nei
tormenti, si trovò che era un forsennato, e strascinato dipoi per
la città, lasciò la vita sulle forche. Ciò non ostante, nel mese di
gennaio venne il marchese Obizzo a Modena, accolto con festa immensa
dal popolo, che solennemente il dichiarò e confermò suo signore
perpetuo insieme co' suoi discendenti. Ed egli poi con amore paterno
ridusse in città tutti i fuorusciti: con che, cessate tutte le gare e
gli odii civili, cominciò una volta questo popolo a godere la sospirata
tranquillità e pace. Essendo già rimasto vedovo il suddetto marchese
Obizzo per la morte di _Jacopina dal Fiesco_ nell'anno 1287, prese egli
per moglie nel presente _Costanza_, figliuola di _Alberto dalla Scala_
signore di Verona, che nel mese di luglio fu condotta a Ferrara, e si
celebrarono le nozze con gran festa e solennità. Seguitando la guerra
fra la repubblica veneta[509] e _Raimondo dalla Torre_ patriarca di
Aquileia, andarono i Veneziani all'assedio di Trieste. Ma, all'avviso
ch'esso patriarca e il conte di Gorizia venivano con sei mila cavalli
e trenta mila fanti per soccorrere la città, i Veneziani, senza voler
aspettar questa visita, a gara si misero in fuga, lasciando indietro
padiglioni, macchine ed equipaggio; e molti ancora vi restarono per la
pressa morti. Usciti poscia i Triestini colle lor navi, vennero fino
a Caproli e a Malamocco, e v'incendiarono que' luoghi. Per la morte di
_Giovanni Dandolo_ doge di Venezia, accaduta nell'anno presente, fu nei
dì 25 di novembre eletto per suo successore in quella dignità Pietro
Gradenigo, che era in questi tempi podestà di Capo di Istria, e fu
mandato a prendere con cinque galee e un vascello ben armato.
NOTE:
[495] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[496] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 29.
[497] Memorial. Potestat. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
[498] Raynaldus, in Annal. Eccles.
[499] Bartholom. de Neocastro, cap. 112, tom. 13 Rer. Ital.
[500] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 133.
[501] Nicol. Specialis, lib. 2, cap. 13, tom. 10 Rer. Ital.
[502] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 130. Ptolom. Lucens., Annales
brev., tom. 11 Rer. Ital.
[503] Dino Compagni, Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[504] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Italic. Gualvaneus Flamma, Manipol.
Flor., cap. 328. Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[505] Corio, Istor. di Milano.
[506] Chron. Parmense, tom. 9 Rerum Ital.
[507] Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[508] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[509] Continuator Dandoli, tom. 12 Rer. Italic. Annales Estenses, tom.
15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXC. Indizione III.
NICCOLÒ IV papa 3.
RIDOLFO re de' Romani 18.
Stendeva ogni dì più l'ali _Guglielmo_ potentissimo marchese del
Monferrato. Già oltre agli antichi suoi Stati, a' quali aveva aggiunto
Casale di Sant'Evasio[510], oggidì città, egli signoreggiava nelle
città di Pavia, Novara, Vercelli, Tortona, Alessandria, Alba ed
Ivrea. Era dietro a cose più grandi, ma non gli mancavano dei potenti
nemici[511]. Con un copioso esercito uscito di Pavia, ostilmente
passò nel mese d'agosto nel Milanese, per vendicarsi di quel popolo
che dianzi avea fatta un'incursione nel Novarese, e presi alcuni
luoghi[512]. Seco erano Mosca ed Arrigo dalla Torre cogli usciti di
Milano, appellati Malisardi. Arrivò sino a Morimondo; ma mossisi i
Milanesi coi Comaschi, Cremonesi, Bresciani e Cremaschi, egli se ne
tornò indietro[513]. Fece inoltre un'irruzione nel Piacentino; ma il
popolo di Piacenza gli rendè ben la pariglia. Ebbe lo stesso marchese
guerra ancora cogli Astigiani, i quali ben si provvidero per non essere
ingoiati, facendo lega coi suddetti Milanesi, Piacentini, Genovesi,
Cremonesi e Bresciani, i quali comuni inviarono ad Asti quattrocento
uomini d'armi a due cavalli l'uno. Condussero anche al loro soldo
_Amedeo conte_ di Savoia, che con cinquecento lancie venne in loro
servigio. La Cronica di Parma asserisce ch'esso conte vi condusse mille
ducento cavalieri, e gran copia di balestrieri e fanti. Rinforzato da
questi aiuti quel popolo fece delle ostilità nel Monferrato, e collo
sborso di dieci mila fiorini d'oro ebbe a tradimento Vignale, da dove
fra l'altre robe fu asportato il vasto padiglione del marchese, a
condurre il quale appena bastarono dieci paia di buoi. Ordirono inoltre
gli Astigiani una segreta trama cogli Alessandrini, promettendo loro
trentacinque mila fiorini d'oro, se faceano un bel colpo. Il marchese,
che non dormiva, avuto qualche sentore di questi maneggi, volò ad
Alessandria con assai gente, per opprimere i congiurati; ma questo
servi ad affrettar la risoluzione de' cittadini[514]; e però, levati
a rumore nel dì 8 di settembre, presero il marchese con tutti i suoi
provvisionati. Lui chiusero in gabbia di ferro sotto buone guardie, e
lasciarono andar con Dio il resto di sua gente, ma spogliata. In quella
barbarica carcere stette languendo dipoi il marchese sino al dì 6 di
febbraio dell'anno 1292, in cui colla morte diede fine ai presenti
guai. E in questa tragica maniera andò a terminar sua vita _Guglielmo
marchese_ di Monferrato, il cui nome e le cui imprese risonarono un
pezzo entro e fuori d'Italia. Grandi furono le di lui virtù, maggiori
nondimeno i suoi vizii, per li quali era odiatissimo: felice se seppe
profittar del tempo che Dio gli lasciò per far di cuore penitenza de'
falli suoi! Successore ed erede restò _Giovanni marchese_ suo figliuolo
in età assai giovanile, che andò a trovare _Carlo II_ re di Napoli,
che era ito in Provenza. Dopo la caduta di questo principe fecero a
gara i popoli per mettersi in libertà e per iscaldarsi tutti, giacchè
al bosco era attaccato il fuoco. Gli Astigiani s'impadronirono di
varie terre; altrettanto fece il popolo d'Alba e quello d'Alessandria.
Pavia scosse il giogo anch'ella, ed essendovi rientrato _Manfredi_,
ossia _Manfredino da Beccheria_, gli fu data la signoria della città
per dieci anni: il che fu cagione che i Torriani con altri assai del
partito a lui contrario uscirono di Pavia. Profittò di così bella
congiuntura anche _Matteo Visconte_ capitano de' Milanesi, che in varie
storie viene chiamato _Maffeo_, perchè ottenne di essere dichiarato suo
capitano dalla città di Vercelli per cinque anni. Quasi lo stesso era
allora l'essere capitano che signore.
Nè queste sole mutazioni accaddero in Lombardia. Trovavasi afflitta
per le tante guerre civili anche la città di Reggio[515], e mirando
la quiete, di cui già godea Modena sotto il pacifico e dolce governo
di _Obizzo marchese_ d'Este e signor di Ferrara, tanto i cittadini
dominanti, quanto i fuorusciti, si accordarono ad eleggere esso
marchese per tre anni loro signore nel dì 15 di gennaio del presente
anno. Il perchè egli tosto, accompagnato da molta cavalleria e
fanteria, si portò colà, e vi fu con grande amore accolto. Licenziò
egli tutti i soldati forestieri, ridusse in città i Roberti,
soprannominati da Tripoli, e quei da Sesso e da Fogliano con tutti
gli altri usciti; e diede insieme buon ordine, perchè rifiorisse fra
loro la pace. Per questi benefizii fu poco appresso proclamato signore
perpetuo di quella città. Nè mancarono novità in Piacenza[516]. Più
d'una volta fece oste quel popolo addosso ai Pavesi, saccheggiando e
bruciando; e specialmente nel mese di maggio con tutta la lor milizia
e con tutta quella di Cremona, e con rinforzo di Milanesi e Breciani,
uscirono essi Piacentini in campagna contra de' medesimi Pavesi. Ma,
dopo aver prese e bruciate le terre di Casegio e Broni, nacque nel
loro campo discordia, nè volendo passar oltre i Cremonesi, se ne tornò
indietro quell'armata con poco onore. Per questo fu molto rumore in
Piacenza, ed, incolpati alcuni, ebbero il bando dalla città. Seppe
in tale occasione _Alberto Scotto_ farsi dichiarar capitano e signore
perpetuo di quella città. Ed ecco come in poco tempo tante repubbliche
di Lombardia cominciarono a passare ad una specie di monarchia: colpa
delle matte fazioni de' Guelfi e Ghibellini; colpa delle frequenti
animosità fra la nobiltà ed il popolo, oppure della divisione e
discordia de' cittadini per altri motivi di ambizione, di vendetta o
di liti civili. Il vero è nondimeno che, dato il governo ad un solo,
d'ordinario cessavano le gare dei privati. Ho quasi tralasciato di
dire che anche i Pisani, veggendosi a mal partito, perchè circondati
all'intorno da potenti nemici, Genovesi, Fiorentini, Lucchesi, ed altri
di parte guelfa, fin dall'anno 1288 cercarono di avere un valente
capitano di guerra che li sostenesse ne' lor bisogni. Fecero dunque
venire a Pisa _Guido conte_ di Montefeltro, che era stato mandato
dal papa ai confini, e soggiornava in Asti[517]. Il ricevettero con
grande onore, e a lui diedero la signoria della loro città per tre
anni. Abbiamo da Giovanni Villani[518] e dal Rinaldi[519] che il
pontefice, stando in Orvieto, nel dì 18 di novembre dell'anno presente,
sottopose all'interdetto la città di Pisa per questo, e scomunicò
esso conte Guido, se entro lo spazio di un mese non abbandonava
il governo di quella città: pena che parrà strana ai tempi nostri,
giacchè si trattava di città libera e non suggetta nel temporale ai
romani pontefici. Cominciò il conte Guido a ricuperar le terre tolte
ai Pisani; ma non potè impedire[520] che i Genovesi non prendessero
l'isola dell'Elba in quest'anno, e che poscia nel mese di settembre
uniti coi Fiorentini e Lucchesi non facessero oste a Porto Pisano, e lo
prendessero. Furono allora disfatte le torri (che o non furono dianzi
guaste, o erano state rifatte), il fanale, e tutte le case di quel
luogo; e colla stessa rabbia fu guasto il poco distante Livorno. Dopo
di che trionfanti se ne tornarono que' popoli alle lor case; ma dappoi
il conte Guido ripigliò ai Fiorentini le castella di Monto Foscolo e di
Montecchio.
Sì smisuratamente era portato papa _Niccolò IV_ all'amore e
all'ingrandimento della nobil casa romana dalla Colonna, che, per
attestato di fra Francesco Pipino[521], dipendeva tutto dal consiglio
dei Colonnesi, e non si saziava di votar sopra loro le grazie sue: di
modo che in un libro di questi tempi, intitolalo _Initium malorum_,
egli fu dipinto chiuso in una colonna, fuori di cui appariva solamente
il suo capo mitrato, con due colonne davanti a lui. Probabilmente son
qui disegnati i due cardinali allora viventi di casa Colonna, cioè
_Jacopo_ creato da Niccolò III, e _Pietro_ promosso al cardinalato
dallo stesso Niccolò IV. Abbiamo dalla Cronica di Forlì[522] che
anche _Giovanni_ dalla Colonna fu creato marchese d'Ancona; e questi
nell'anno precedente venne a Rimini per metter pace fra quella città e
Malatesta da Verucchio. Fece ben liberar dalle carceri molti prigioni,
ma non potè conchiudere quell'accordo. Oltre a ciò, il papa, non mai
sazio di beneficar quell'illustre famiglia, creò ancora conte della
Romagna _Stefano_ dalla Colonna, signore di Ginazzano, con levar
quel governo al Monaldeschi. Venne questo nuovo conte in Romagna, e
perchè Corrado figliuolo di Dadeo, ossia Taddeo, conte di Montefeltro,
aveva occupata la città d'Urbino, nè la volea rendere, coll'esercito
colà condotto le diede un generale assalto, e l'obbligò alla resa.
Fu poi onorevolmente ricevuto nelle città di Cesena, Rimini, Imola e
Forlì, dove tenne un gran parlamento, e stabilì pace fra i Riminesi
e Malatesta, mandando quest'ultimo a' confini nel suo castello di
Roncofreddo. Ma nella stessa città di Rimini essendo insorta rissa
fra quei di sua famiglia e i popolari, si fece un fiero conflitto
colla morte di molti, e fu in pericolo lo stesso conte: perlochè egli
dipoi privò di ogni onore quella città. Portossi ancora nel novembre a
Ravenna, con pretendere tutte le fortezze di quella riguardevol città.
_Ostasio_ e _Ramberto_ figliuoli di _Guido_ da Polenta, che erano come
signori di Ravenna, se gli opposero; e, temendo poi che Stefano se ne
risentisse contra di loro, passarono ad un'ardita risoluzione. Cioè,
fatta venire molta cavalleria e fanteria de' loro amici romagnuoli in
Ravenna[523], una notte mossero a rumore il popolo, e fecero prigione
il suddetto conte Stefano con un suo figliuolo ed un suo nipote, che
era maresciallo, e con tutti i suoi stipendiati, dopo aver tolto loro
arme e cavalli. Gran rumore fece questa novità per quelle contrade,
e diede moto a molte sollevazioni. In Imola le due fazioni degli
Alidosi e Nordili vennero alle mani, e non pochi vi restarono morti;
ma sopravvenuti i Bolognesi in soccorso dei Nordili, misero in fuga
gli Alidosi, e poi spianarono tutti gli steccati, le fosse, ed ogni
altra fortezza di quella città. Anche i _Manfredi_ s'impadroniron di
Faenza; ma non andò molto che ne furono scacciati da _Maghinardo da
Susinana_, e da _Ramberto da Polenta_, i quali presero il dominio della
del figliuolo, e quivi chiuso, con essersi poi gittate le chiavi in
Arno, per lasciarli morire ivi tutti di fame. Questa orrida scena si
vede mirabilmente descritta da Dante nel suo Inferno; e quantunque
alla malvagità del conte Ugolino stesse bene ogni gastigo, pure gran
biasimo di crudeltà incorsero dappertutto i Pisani per la morte di
quegl'innocenti fanciulli. Con ciò Pisa tornò a parte ghibellina, e
ne furono cacciati tutti i parenti ed aderenti del conte, e con loro i
Guelfi, capo de' quali essendo il giudice di Gallura Nino de' Visconti,
questi, unito coi Lucchesi, occupò il castello d'Asciano, tre miglia
vicino a Pisa. Abbiamo dagli Annali di Genova che in questo anno i
comuni di Genova, Milano, Pavia, Cremona, Piacenza e Brescia fecero
una lega contra di _Guglielmo marchese_ di Monferrato. La Cronica
d'Asti[490] ci assicura che gli Astigiani entrarono anche essi in
questa alleanza. Crescendo ogni dì più le animosità e gli odii fra i
cittadini di Modena e di Reggio[491] e i loro fuorusciti, i Reggiani,
assistiti da cento cavalieri di Modena, si portarono all'assedio di
Monte Calvoli; ma dopo due giorni nel dì 15 di giugno furono assaliti
con tal bravura dagli usciti di Reggio, ragunati prima a Mozzadella,
che della lor brigata moltissimi vi perirono, e molti più de' migliori
cittadini di Reggio vi rimasero prigioni: il resto si salvò col favor
delle gambe. Questa ed altre perdite fatte dal popolo di Reggio, e
il veder massimamente assistiti i loro usciti dai signori di Mantova
e di Verona, gli indusse a cercar la pace. Fatto dunque compromesso
nel comune di Parma, seguì nell'ottobre l'accordo, ma ne restarono
esclusi quei da Sesso e gli altri Ghibellini. Matteo da Correggio fu
allora creato podestà di Reggio[492]. Nel dì 28 dello stesso ottobre, i
signori di Savignano cogli altri sbanditi di Modena, e con cinquecento
cavalli, entrarono in Savignano, e si diedero a rifabbricarlo e
fortificarlo in fretta. Accorse ben presto colà il popolo di Modena;
ma, conosciuta l'impossibilità di scacciarli, dopo aver alzata una
specie di fortezza in vicinanza di quel luogo, se ne tornarono a casa.
E allora fu che i Modenesi, oramai scorgendo la pazzia, e gli immensi
danni e le continue inquietudini prodotte dalla discordia e fazioni,
presero il sano consiglio di ottener la quiete, con darsi ad _Obizzo
marchese_ d'Este e signor di Ferrara. Però nel dì 15 di dicembre[493]
spedirono il loro vescovo, cioè _Filippo dei Boschetti_, Lanfranco
de' Rangoni, Guido de' Guidoni con altri ambasciatori a Ferrara, dove
presentarono al marchese le chiavi della città, e la elezione di lui
fatta in signore perpetuo di Modena. Mandò egli il conte Anello suo
cognato con cento cinquanta cavalieri a prenderne il possesso, con
promessa di venir egli in persona fra pochi giorni. In questi tempi
Armanno de' Monaldeschi da Orvieto fu mandato da papa _Niccolò IV_ per
conte della Romagna[494], e nel dì 7 di maggio entrò nel governo di
quella provincia, e tenne un parlamento generale nella città di Forlì.
Fu cacciato nello stesso mese fuor di Rimini Malatesta da Verucchio,
che andò tosto a trovar esso conte. Ma da li a qualche tempo, avendo
Giovanni soprannominato Zotto, cioè Zoppo, figliuolo del medesimo
Malatesta, occupato il Poggio di Monte Sant'Arcangelo del distretto
di Rimini, corsero ad assediarlo i Riminesi: laonde il conte Armanno
fece proclamare un general esercito di tutta la Romagna, e andò a quel
castello, per quanto pare, in aiuto del Malatesta. Anche Malatestino,
altro figliuolo del suddetto Malatesta, s'impadronì del castello di
Monte Scutolo, che fu poi assediato e ricuperato dai Riminesi[495], non
ostante che il conte Armanno minacciasse di soccorrerlo, con restarvi
prigione esso Malatestino e tutti i suoi.
NOTE:
[483] Ptolom. Lucens., Hist. Eccl., tom. 11 Rer. Ital. Bern. Guid.
Giovanni Villani.
[484] Papebrochius Propyl. ad Act. Sanct. Memorial. Potest. Regiens.,
tom. 8 Rer. Ital.
[485] Raynald., Annal. Eccl.
[486] Rymer, Acta publ. Angl.
[487] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 119.
[488] Chron. Senens., tom. 15 Rer. Ital.
[489] Caffari, Annal. Genuens., lib. 10.
[490] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital.
[491] Memoriale Potest. Regiens.
[492] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Italic.
[493] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[494] Chron. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCLXXXIX. Indiz. II.
NICCOLÒ IV papa 2.
RIDOLFO re de' Romani 17.
Fu accolto con dimostrazioni grandi d'onore e d'amore _Carlo II_ re
di Napoli, appellato _Zoppo_, oppure _Sciancato_ (perchè difettoso in
un'anca o gamba), già liberato dalle carceri di Catalogna, da _Filippo
il Bello_, re di Francia, e dagli altri principi della casa reale. Ma
quando si venne a far premura perchè _Carlo di Valois_, fratello d'esso
Filippo, rinunziasse al privilegio dell'Aragona, a lui conceduto dal
papa, non si trovò mai conclusione alcuna. Carlo di Valois, che non
possedeva Stati, mirava quel boccone, benchè difficile a prendersi,
con troppa avidità. Però il re Carlo, perduta la speranza di ottener lo
intento, sen venne in Italia. Nel dì 2 di maggio arrivò a Firenze[496].
Onor grande e grandi regali gli furono fatti dai Fiorentini. Passò
dipoi a Rieti, dove era la corte pontificia, e dal pontefice _Niccolò
IV_ e da' suoi cardinali onorevolmente ricevuto; poi nella festa della
Pentecoste, cioè nel dì 29 di maggio, e non già in Roma, come scrive
Giovanni Villani, ma nella stessa città di Rieti, come ha l'autore
della Cronica di Reggio[497], che vi era presente, fu solennemente
coronato colla _regina Maria_ sua moglie dal papa in re della Sicilia,
Puglia e Gerusalemme, ed investito di quanto avea posseduto il re Carlo
I suo padre, per cui anch'egli fece l'omaggio e il dovuto giuramento
alla Chiesa romana[498]. In suo favore ancora cassò il pontefice tutti
i patti e le convenzioni da lui fatte con _Alfonso re_ di Aragona,
per uscire di carcere: con cattivo esempio ai posteri di non fidarsi
più di simili atti; al che poi non badò _Carlo V_ imperadore nella
liberazione di _Francesco I_ re di Francia. Dopo di che, ben regalato
dal papa esso Carlo II si trasferì a Napoli, dove fu con indicibil
festa accolto, perchè principe di buon cuore, clemente e liberale,
e non erede del genio rigido e superbo del padre. Da lì innanzi egli
attese a riformar gli abusi, e a ben regolare il nuovo suo governo, e
insieme a difendersi da _Giacomo re_ di Sicilia, il quale, veggendosi
escluso dalla capitolazione fatta dal re _Alfonso_ suo fratello,
cominciò a far guerra al re Carlo. Venuto dunque a Reggio in Calabria,
nel dì 15 di maggio, colla sua armata navale, comandata da _Ruggieri
di Loria_, prese varie terre di quella provincia; ma, accorso il conte
d'Artois colle sue genti, mise freno alle conquiste de' Siciliani ed
Aragonesi, minutamente descritte da Bartolommeo da Neocastro[499].
Scrive Giovanni Villani[500] che esso conte assediò Catanzaro, e
sconfisse il soccorso inviato da Ruggieri di Loria, con far prigioni
ducento cavalieri Catalani. Imbarcatosi di nuovo il re Giacomo, visitò
la Scalea, il castello dell'Abbate, e le isole di Capri, Procida ed
Ischia, che ubbidivano alla sua corona; e perciocchè da alcuni della
città di Gaeta gli era stata data speranza che, s'egli fosse venuto,
gli avrebbono aperte le porte, fece vela colà, e andò ad accamparsi
sotto la città[501]. Ma, o s'erano cangiati gli animi de' Gaetani,
oppure mancò lor la maniera di compiere quanto aveano promesso.
Ostinossi allora il re Giacomo a voler colla forza ciò che non potea
conseguir per amore; e vigorosamente assediò e cominciò a tormentar la
città, dove trovò una gagliarda difesa fatta dal conte d'Avellino e da
que' cittadini. Peggio gli avvenne fra pochi giorni; perciocchè il re
Carlo e il conte d'Artois con immenso esercito raccolto dalla Puglia e
dagli Stati della Chiesa, e coi Saraceni di Nocera, venne ad assediare
lo stesso assediator di Gaeta. Erano crocesignati tutti i combattenti
cristiani di quell'esercito, e guadagnavano di grandi indulgenze;
giacchè, siccome abbiam più volte accennato, secondo la condizion
delle cose umane, molte delle quali nate con lodevoli principii, vanno
col tempo degenerando, un pezzo era che le crociate, istituite contro
i nemici del nome cristiano, facilmente si bandivano contra degli
stessi cristiani e cattolici, e per interessi temporali; e a questo
bel mestiere concorrevano fin le donne, per acquistarsi del merito in
paradiso. Stettero un pezzo le due armate a vista, senza che potessero
i Siciliani espugnar quella città, ed il re Carlo forzare a battaglia
i Siciliani per cagion della situazione e de' buoni trincieramenti,
e tanto più perchè non avea flotta in mare. A lungo andar nondimeno
pareva che sarebbe restato al di sotto il re Giacomo, se il re
d'Inghilterra e il re di Aragona, intesa questa pericolosa briga,
non avessero spedito in tutta fretta i lor messi al papa, pregandolo
d'interporsi unitamente con loro per un accordo. Inviò il pontefice con
essi un cardinale legato, e tutti poi così felicemente maneggiarono
l'affare, che si conchiuse fra i due re litiganti una tregua di due
anni, esclusa nondimeno la Calabria. Fu il primo a ritirarsi il re
Carlo; da lì a due giorni s'imbarcò parimente il re Giacomo, e nel dì
30 d'agosto arrivò a Messina. Tanto dispiacque al conte d'Artois e agli
altri baroni franzesi la tregua suddetta, che, dopo aver biasimato
forte il re Carlo, se ne tornarono sdegnati in Francia. Il Rinaldi
negli Annali Ecclesiastici mette questo fatto sotto l'anno seguente ma,
a mio credere, non battono bene i suoi conti.
Fecero i Fiorentini nel presente anno risonar la fama della lor
bravura e fortuna per un gran fatto d'armi fra loro e gli Aretini ed
altri Ghibellini. Erano essi Fiorentini[502] usciti in campagna con
un potente esercito, accresciuto dalle taglie dell'altre città guelfe
di Toscana, per dare il guasto al territorio d'Arezzo[503]. Vennero a
Bibiena, per fermar questo torrente, gli Aretini con ottocento cavalli
e otto mila pedoni; e tuttochè la armata nemica fosse più del doppio
superiore alla loro, pure dispregiandola, perchè dal loro canto aveano
migliori capitani di guerra, vollero venire ad una giornata campale nel
dì 11 di giugno, festa di san Barnaba. Se n'ebbero a pentire, perchè
andarono sconfitti, lasciando estinte sul campo circa mille settecento
persone, e prigioni più di mille de' lor combattenti. Fra i morti si
contò il vescovo d'Arezzo _Guglielmo_ degli Ubertini, fatto venire alla
battaglia dagli Aretini stessi, per sospetto di un trattato ch'egli
segretamente menava co' Fiorentini in danno del comune d'Arezzo.
Morivvi ancora _Buonconte_ figliuolo del _conte Guido_ da Montefeltro
con altri riguardevoli personaggi. Presero poscia i Fiorentini Bibiena
ed altre terre; e, posto l'assedio ad Arezzo, vi manganarono dentro
asini colla mitra in capo, per rimproverar loro la morte del loro
vescovo. Ma infine, avendo gli Aretini messo il fuoco alle torri di
legname ed altre macchine da guerra dei Fiorentini, presero questi
la risoluzione di tornarsene a casa nel dì 23 di luglio, dopo aver
disfatto quasi tutto il distretto d'Arezzo. Ancorchè i Pavesi fossero
in lega coi Milanesi ed altre città contra di _Bonifazio marchese_ di
Monferrato[504], pure seppe far tanto l'accorto marchese, che tirò
segretamente nel suo partito molti di que' nobili. Fatto dipoi un
esercito generale contra di Pavia, prese una terra grossa chiamata
Rosaiano. Allora uscì contra di lui tutta la milizia di Pavia; ma o
fosse perchè trovassero assai pericoloso il venire a battaglia, oppure
che prendessero i congiurati il tempo propizio; un certo Capellino
Zembaldo, alzata sopra una lancia una bandiera, ch'egli avea preparata,
cominciò a gridare: _Qua venga chi vuol pace_. L'unione fu grande; il
marchese entrò con essi in Pavia, e nel dì seguente fu creato capitano
della città per dieci anni avvenire. Tutto ciò s'ha da Guglielmo
Ventura nella Cronica d'Asti, il quale aggiugne che, essendosi fatto
tutto questo maneggio senza saputa, anzi ad onta di Manfredino da
Beccheria, uno de' più potenti di quella città, indispettito egli,
per confondere gli emuli suoi, volle in un altro consiglio che il
marchese fosse capitano e signore assoluto, sua vita natural durante.
Ma finì presto l'allegrezza di queste nozze. Poco stettero i Pavesi a
pentirsi dello strafalcione da loro commesso, non sapendo accomodare
la lor testa sotto un padrone sì fatto; e però chiamarono segretamente
i Milanesi, i quali entrarono nella stessa Pavia per lo spazio di due
balestrate; ma, accorse le milizie del marchese co' suoi aderenti, li
fecero retrocedere, e tornarsene con le pive nel sacco a casa. Manfredi
da Beccheria, perchè a cagion di questo fatto insorsero dei sospetti
contra di lui, uscì della città con alquanti suoi fidati, e si ridusse
e Castello Acuto, che era suo, e quivi si fortificò. Fu egli per
questo sbandito, ed atterrato il suo palagio. Venne anche il marchese
ad assediarlo in quel castello, e vi fabbricò in vicinanza un bastia.
Ma i Milanesi, Cremonesi, Piacentini e Bresciani, in un parlamento
tenuto in Cremona, impresero la difesa del Beccheria, siccome popoli,
ai quali dava troppo da pensare e da temere il soverchio ingrandimento
del marchese, signore allora anche di Vercelli, Alessandria e Tortona.
Infatti i Piacentini con tutte le lor forze iti a Monte Acuto, misero
in rotta i Pavesi, e liberarono quel luogo. Racconta il Corio[505]
molte altre particolarità spettanti a questa mutazion di Pavia, ed ai
movimenti de' Milanesi contra del suddetto marchese.
Nuove scene di discordia nell'anno presente si videro in Reggio[506].
Nel dì 7 di agosto il popolo si levò a rumore contra de' nobili e
potenti, e, presine assaissimi, li mise nelle carceri. Corsero colà
i Parmigiani colla lor cavalleria, e, fattasi dare la signoria della
città, condussero a Parma tutti que' prigioni. Poscia, chiamati alla
lor città i podestà e gli ambasciatori di Bologna e Cremona, nel dì
primo di ottobre conchiusero pace fra i nobili ed il popolo di Reggio,
e in confermazione d'essa rilasciarono il dì seguente i carcerati.
Ma questa fu una pace canina[507]. Nel dì 17 di novembre vennero di
nuovo all'armi i Reggiani, e le due fazioni di Sopra e di Sotto fecero
lungo combattimento fra loro, finchè verso la mezza notte, prevalendo
la Soprana, spinse fuori della città la Sottana, la quale si ridusse
a Castellarano e Rubiera. Seguirono nella prima, e più nella seconda
molti ammazzamenti e incendii, e dirupamenti di case, e furono involti
in questa disavventura anche i palazzi del pubblico e del vescovo.
Qual riparo si trovasse a così bestiali e perniciose divisioni lo
vedremo all'anno seguente. Mentre _Obizzo marchese_ d'Este e signor
di Ferrara[508] si andava disponendo per venire alla nuovamente
acquistata città di Modena, un giorno, nel levarsi da tavola, se gli
avventò Lamberto figliuolo di Niccolò dei Bacilieri, nobile bolognese,
per ucciderlo, e il ferì nel volto. Corsero i cortigiani presenti, e
gl'impedirono il far di peggio; corse _Azzo_ figliuolo del marchese,
che teneva corte a parte, pranzando in una sala vicina, ed erano per
uccidere l'assassino, se il marchese non avesse gridato di no, per
intendere prima i motori e complici del misfatto. Posto costui nei
tormenti, si trovò che era un forsennato, e strascinato dipoi per
la città, lasciò la vita sulle forche. Ciò non ostante, nel mese di
gennaio venne il marchese Obizzo a Modena, accolto con festa immensa
dal popolo, che solennemente il dichiarò e confermò suo signore
perpetuo insieme co' suoi discendenti. Ed egli poi con amore paterno
ridusse in città tutti i fuorusciti: con che, cessate tutte le gare e
gli odii civili, cominciò una volta questo popolo a godere la sospirata
tranquillità e pace. Essendo già rimasto vedovo il suddetto marchese
Obizzo per la morte di _Jacopina dal Fiesco_ nell'anno 1287, prese egli
per moglie nel presente _Costanza_, figliuola di _Alberto dalla Scala_
signore di Verona, che nel mese di luglio fu condotta a Ferrara, e si
celebrarono le nozze con gran festa e solennità. Seguitando la guerra
fra la repubblica veneta[509] e _Raimondo dalla Torre_ patriarca di
Aquileia, andarono i Veneziani all'assedio di Trieste. Ma, all'avviso
ch'esso patriarca e il conte di Gorizia venivano con sei mila cavalli
e trenta mila fanti per soccorrere la città, i Veneziani, senza voler
aspettar questa visita, a gara si misero in fuga, lasciando indietro
padiglioni, macchine ed equipaggio; e molti ancora vi restarono per la
pressa morti. Usciti poscia i Triestini colle lor navi, vennero fino
a Caproli e a Malamocco, e v'incendiarono que' luoghi. Per la morte di
_Giovanni Dandolo_ doge di Venezia, accaduta nell'anno presente, fu nei
dì 25 di novembre eletto per suo successore in quella dignità Pietro
Gradenigo, che era in questi tempi podestà di Capo di Istria, e fu
mandato a prendere con cinque galee e un vascello ben armato.
NOTE:
[495] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[496] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 29.
[497] Memorial. Potestat. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
[498] Raynaldus, in Annal. Eccles.
[499] Bartholom. de Neocastro, cap. 112, tom. 13 Rer. Ital.
[500] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 133.
[501] Nicol. Specialis, lib. 2, cap. 13, tom. 10 Rer. Ital.
[502] Giovanni Villani, lib. 7, cap. 130. Ptolom. Lucens., Annales
brev., tom. 11 Rer. Ital.
[503] Dino Compagni, Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[504] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Italic. Gualvaneus Flamma, Manipol.
Flor., cap. 328. Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[505] Corio, Istor. di Milano.
[506] Chron. Parmense, tom. 9 Rerum Ital.
[507] Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[508] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[509] Continuator Dandoli, tom. 12 Rer. Italic. Annales Estenses, tom.
15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXC. Indizione III.
NICCOLÒ IV papa 3.
RIDOLFO re de' Romani 18.
Stendeva ogni dì più l'ali _Guglielmo_ potentissimo marchese del
Monferrato. Già oltre agli antichi suoi Stati, a' quali aveva aggiunto
Casale di Sant'Evasio[510], oggidì città, egli signoreggiava nelle
città di Pavia, Novara, Vercelli, Tortona, Alessandria, Alba ed
Ivrea. Era dietro a cose più grandi, ma non gli mancavano dei potenti
nemici[511]. Con un copioso esercito uscito di Pavia, ostilmente
passò nel mese d'agosto nel Milanese, per vendicarsi di quel popolo
che dianzi avea fatta un'incursione nel Novarese, e presi alcuni
luoghi[512]. Seco erano Mosca ed Arrigo dalla Torre cogli usciti di
Milano, appellati Malisardi. Arrivò sino a Morimondo; ma mossisi i
Milanesi coi Comaschi, Cremonesi, Bresciani e Cremaschi, egli se ne
tornò indietro[513]. Fece inoltre un'irruzione nel Piacentino; ma il
popolo di Piacenza gli rendè ben la pariglia. Ebbe lo stesso marchese
guerra ancora cogli Astigiani, i quali ben si provvidero per non essere
ingoiati, facendo lega coi suddetti Milanesi, Piacentini, Genovesi,
Cremonesi e Bresciani, i quali comuni inviarono ad Asti quattrocento
uomini d'armi a due cavalli l'uno. Condussero anche al loro soldo
_Amedeo conte_ di Savoia, che con cinquecento lancie venne in loro
servigio. La Cronica di Parma asserisce ch'esso conte vi condusse mille
ducento cavalieri, e gran copia di balestrieri e fanti. Rinforzato da
questi aiuti quel popolo fece delle ostilità nel Monferrato, e collo
sborso di dieci mila fiorini d'oro ebbe a tradimento Vignale, da dove
fra l'altre robe fu asportato il vasto padiglione del marchese, a
condurre il quale appena bastarono dieci paia di buoi. Ordirono inoltre
gli Astigiani una segreta trama cogli Alessandrini, promettendo loro
trentacinque mila fiorini d'oro, se faceano un bel colpo. Il marchese,
che non dormiva, avuto qualche sentore di questi maneggi, volò ad
Alessandria con assai gente, per opprimere i congiurati; ma questo
servi ad affrettar la risoluzione de' cittadini[514]; e però, levati
a rumore nel dì 8 di settembre, presero il marchese con tutti i suoi
provvisionati. Lui chiusero in gabbia di ferro sotto buone guardie, e
lasciarono andar con Dio il resto di sua gente, ma spogliata. In quella
barbarica carcere stette languendo dipoi il marchese sino al dì 6 di
febbraio dell'anno 1292, in cui colla morte diede fine ai presenti
guai. E in questa tragica maniera andò a terminar sua vita _Guglielmo
marchese_ di Monferrato, il cui nome e le cui imprese risonarono un
pezzo entro e fuori d'Italia. Grandi furono le di lui virtù, maggiori
nondimeno i suoi vizii, per li quali era odiatissimo: felice se seppe
profittar del tempo che Dio gli lasciò per far di cuore penitenza de'
falli suoi! Successore ed erede restò _Giovanni marchese_ suo figliuolo
in età assai giovanile, che andò a trovare _Carlo II_ re di Napoli,
che era ito in Provenza. Dopo la caduta di questo principe fecero a
gara i popoli per mettersi in libertà e per iscaldarsi tutti, giacchè
al bosco era attaccato il fuoco. Gli Astigiani s'impadronirono di
varie terre; altrettanto fece il popolo d'Alba e quello d'Alessandria.
Pavia scosse il giogo anch'ella, ed essendovi rientrato _Manfredi_,
ossia _Manfredino da Beccheria_, gli fu data la signoria della città
per dieci anni: il che fu cagione che i Torriani con altri assai del
partito a lui contrario uscirono di Pavia. Profittò di così bella
congiuntura anche _Matteo Visconte_ capitano de' Milanesi, che in varie
storie viene chiamato _Maffeo_, perchè ottenne di essere dichiarato suo
capitano dalla città di Vercelli per cinque anni. Quasi lo stesso era
allora l'essere capitano che signore.
Nè queste sole mutazioni accaddero in Lombardia. Trovavasi afflitta
per le tante guerre civili anche la città di Reggio[515], e mirando
la quiete, di cui già godea Modena sotto il pacifico e dolce governo
di _Obizzo marchese_ d'Este e signor di Ferrara, tanto i cittadini
dominanti, quanto i fuorusciti, si accordarono ad eleggere esso
marchese per tre anni loro signore nel dì 15 di gennaio del presente
anno. Il perchè egli tosto, accompagnato da molta cavalleria e
fanteria, si portò colà, e vi fu con grande amore accolto. Licenziò
egli tutti i soldati forestieri, ridusse in città i Roberti,
soprannominati da Tripoli, e quei da Sesso e da Fogliano con tutti
gli altri usciti; e diede insieme buon ordine, perchè rifiorisse fra
loro la pace. Per questi benefizii fu poco appresso proclamato signore
perpetuo di quella città. Nè mancarono novità in Piacenza[516]. Più
d'una volta fece oste quel popolo addosso ai Pavesi, saccheggiando e
bruciando; e specialmente nel mese di maggio con tutta la lor milizia
e con tutta quella di Cremona, e con rinforzo di Milanesi e Breciani,
uscirono essi Piacentini in campagna contra de' medesimi Pavesi. Ma,
dopo aver prese e bruciate le terre di Casegio e Broni, nacque nel
loro campo discordia, nè volendo passar oltre i Cremonesi, se ne tornò
indietro quell'armata con poco onore. Per questo fu molto rumore in
Piacenza, ed, incolpati alcuni, ebbero il bando dalla città. Seppe
in tale occasione _Alberto Scotto_ farsi dichiarar capitano e signore
perpetuo di quella città. Ed ecco come in poco tempo tante repubbliche
di Lombardia cominciarono a passare ad una specie di monarchia: colpa
delle matte fazioni de' Guelfi e Ghibellini; colpa delle frequenti
animosità fra la nobiltà ed il popolo, oppure della divisione e
discordia de' cittadini per altri motivi di ambizione, di vendetta o
di liti civili. Il vero è nondimeno che, dato il governo ad un solo,
d'ordinario cessavano le gare dei privati. Ho quasi tralasciato di
dire che anche i Pisani, veggendosi a mal partito, perchè circondati
all'intorno da potenti nemici, Genovesi, Fiorentini, Lucchesi, ed altri
di parte guelfa, fin dall'anno 1288 cercarono di avere un valente
capitano di guerra che li sostenesse ne' lor bisogni. Fecero dunque
venire a Pisa _Guido conte_ di Montefeltro, che era stato mandato
dal papa ai confini, e soggiornava in Asti[517]. Il ricevettero con
grande onore, e a lui diedero la signoria della loro città per tre
anni. Abbiamo da Giovanni Villani[518] e dal Rinaldi[519] che il
pontefice, stando in Orvieto, nel dì 18 di novembre dell'anno presente,
sottopose all'interdetto la città di Pisa per questo, e scomunicò
esso conte Guido, se entro lo spazio di un mese non abbandonava
il governo di quella città: pena che parrà strana ai tempi nostri,
giacchè si trattava di città libera e non suggetta nel temporale ai
romani pontefici. Cominciò il conte Guido a ricuperar le terre tolte
ai Pisani; ma non potè impedire[520] che i Genovesi non prendessero
l'isola dell'Elba in quest'anno, e che poscia nel mese di settembre
uniti coi Fiorentini e Lucchesi non facessero oste a Porto Pisano, e lo
prendessero. Furono allora disfatte le torri (che o non furono dianzi
guaste, o erano state rifatte), il fanale, e tutte le case di quel
luogo; e colla stessa rabbia fu guasto il poco distante Livorno. Dopo
di che trionfanti se ne tornarono que' popoli alle lor case; ma dappoi
il conte Guido ripigliò ai Fiorentini le castella di Monto Foscolo e di
Montecchio.
Sì smisuratamente era portato papa _Niccolò IV_ all'amore e
all'ingrandimento della nobil casa romana dalla Colonna, che, per
attestato di fra Francesco Pipino[521], dipendeva tutto dal consiglio
dei Colonnesi, e non si saziava di votar sopra loro le grazie sue: di
modo che in un libro di questi tempi, intitolalo _Initium malorum_,
egli fu dipinto chiuso in una colonna, fuori di cui appariva solamente
il suo capo mitrato, con due colonne davanti a lui. Probabilmente son
qui disegnati i due cardinali allora viventi di casa Colonna, cioè
_Jacopo_ creato da Niccolò III, e _Pietro_ promosso al cardinalato
dallo stesso Niccolò IV. Abbiamo dalla Cronica di Forlì[522] che
anche _Giovanni_ dalla Colonna fu creato marchese d'Ancona; e questi
nell'anno precedente venne a Rimini per metter pace fra quella città e
Malatesta da Verucchio. Fece ben liberar dalle carceri molti prigioni,
ma non potè conchiudere quell'accordo. Oltre a ciò, il papa, non mai
sazio di beneficar quell'illustre famiglia, creò ancora conte della
Romagna _Stefano_ dalla Colonna, signore di Ginazzano, con levar
quel governo al Monaldeschi. Venne questo nuovo conte in Romagna, e
perchè Corrado figliuolo di Dadeo, ossia Taddeo, conte di Montefeltro,
aveva occupata la città d'Urbino, nè la volea rendere, coll'esercito
colà condotto le diede un generale assalto, e l'obbligò alla resa.
Fu poi onorevolmente ricevuto nelle città di Cesena, Rimini, Imola e
Forlì, dove tenne un gran parlamento, e stabilì pace fra i Riminesi
e Malatesta, mandando quest'ultimo a' confini nel suo castello di
Roncofreddo. Ma nella stessa città di Rimini essendo insorta rissa
fra quei di sua famiglia e i popolari, si fece un fiero conflitto
colla morte di molti, e fu in pericolo lo stesso conte: perlochè egli
dipoi privò di ogni onore quella città. Portossi ancora nel novembre a
Ravenna, con pretendere tutte le fortezze di quella riguardevol città.
_Ostasio_ e _Ramberto_ figliuoli di _Guido_ da Polenta, che erano come
signori di Ravenna, se gli opposero; e, temendo poi che Stefano se ne
risentisse contra di loro, passarono ad un'ardita risoluzione. Cioè,
fatta venire molta cavalleria e fanteria de' loro amici romagnuoli in
Ravenna[523], una notte mossero a rumore il popolo, e fecero prigione
il suddetto conte Stefano con un suo figliuolo ed un suo nipote, che
era maresciallo, e con tutti i suoi stipendiati, dopo aver tolto loro
arme e cavalli. Gran rumore fece questa novità per quelle contrade,
e diede moto a molte sollevazioni. In Imola le due fazioni degli
Alidosi e Nordili vennero alle mani, e non pochi vi restarono morti;
ma sopravvenuti i Bolognesi in soccorso dei Nordili, misero in fuga
gli Alidosi, e poi spianarono tutti gli steccati, le fosse, ed ogni
altra fortezza di quella città. Anche i _Manfredi_ s'impadroniron di
Faenza; ma non andò molto che ne furono scacciati da _Maghinardo da
Susinana_, e da _Ramberto da Polenta_, i quali presero il dominio della
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