Annali d'Italia, vol. 5 - 09

spezialmente in Civitella e Valbona. Per opporsi ai loro avanzamenti
uscì in campagna il _conte Guido_ da Montefeltro coi Forlivesi, e
nel dì 14 di novembre a forza di armi ricuperò Civitella: il che
bastò a mettere tal paura nel conte Selvatico e ne' Fiorentini, che,
lasciando indietro molti cavalli, arnesi ed equipaggio, più che in
fretta ripassarono l'Apennino. Intanto i Bolognesi da Imola s'erano
inoltrati sino al ponte di San Procolo; ma, intesa la ritirata de'
Fiorentini, giudicarono saviezza il ritornarsene anch'eglino a casa.
Era signor di Verona in questi tempi _Mastino dalla Scala_. Contra
di lui fu fatta una congiura da molti cittadini, tutti annoverati da
Parisio da Cereta[308]; e costoro nel dì 17 di ottobre il fecero levar
di vita da quattro assassini. A questo avviso _Alberto dalla Scala_
suo fratello, che era allora podestà di Mantova[309], colla cavalleria
di quella città corse a Verona, nè dimenticò di far aspra vendetta de'
congiurati, con restarvi tormentato ed ucciso chiunque gli cadde nelle
mani. Gli altri che fuggirono ebbero il bando, e furono confiscati
tutti i lor beni. Per volere di quel popolo succedette esso Alberto nel
dominio di Verona. Pretende Albertino Mussato, storico padovano[310],
che gli Scaligeri, o vogliam dire i signori dalla Scala, venissero da
bassi e sordidi progenitori, venditori di olio, essendo stato portato
Mastino I dal favore della dominante plebe a così alto grado. Gli
eruditi veronesi meglio di me sapran dire se ciò sussista. Posso ben io
asserire che ancora in quest'anno provò la Lombardia[311] un terribil
caro di viveri ed inondazioni d'acque; fu inoltre una gran mortalità
d'uomini e di bestiame per tutta l'Italia.
NOTE:
[299] Ptolomaeus Lucensis, Nangius. Raynaldus, Annal. Eccles.
[300] Ptolomaeus Lucensis, Hist. Eccles.
[301] Siffridus, in Chron.
[302] Raynald., in Annal. Eccl.
[303] Ptolomaeus Lucens, Hist. Eccles., tom. 11 Rer. Ital. Jordanus, in
Chron. Memor. Potest. Regiens. Bernardus Guid.
[304] Gualvaneus Flamma, Manip. Flor., cap. 313. Annal. Mediol.,
tom. 16 Rer. Ital. Memorial. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
Stephanard., Poem., tom. 9 Rer. Ital.
[305] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[306] Annal. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital.
[307] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCLXXVIII. Indiz. VI.
NICCOLÒ III papa 2.
RIDOLFO re de' Romani 6.

A cose grandi tendevano i pensieri del romano pontefice _Niccolò
III_. Il più strepitoso affare fu quello d'indurre _Ridolfo_ re de'
Romani a rilasciare il dominio e possesso della Romagna, allegando
la donazione fattane alla Chiesa romana da Pippino re di Francia,
e confermata poi da diversi susseguenti imperadori[312]. Era da più
secoli in uso, che, non ostante i diplomi e le donazioni o concessioni
di quel paese, continuarono i re d'Italia e gl'imperadori a ritenere
il dominio dell'esarcato di Ravenna, senza che se ne lagnassero i
romani pontefici: del che a me sono ascosi i motivi e le ragioni. Ora
il magnanimo papa Niccolò fece di vigorose istanze al re Ridolfo per
l'effettiva cessione della Romagna, non gli parendo conveniente che
Ridolfo ritenesse come Stato dell'imperio quello che col suo stesso
diploma dicea d'aver conceduto alla Chiesa di Roma. Gran dibattimento
su questo vi fu; ma perchè Ridolfo non voleva inimicarsi un pontefice
di sì grande animo, in tempo massimamente che era nata guerra fra
lui ed _Ottocaro_ formidabil re di Boemia e signore dell'Austria e
Stiria; per timore ancora ch'esso papa non passasse a fomentare i
disegni ambiziosi del _re Carlo_ contra dell'imperio; e finalmente per
liberarsi dalle censure, nelle quali era incorso, o si minacciava che
voleansi fulminare contra di lui, sull'esempio di Federigo II, per non
aver finora adempiuto il voto della crociata: certo è ch'egli forzato
venne alla cession della Romagna in favore della Chiesa romana. E
siccome Ridolfo spedì un suo uffiziale a metterne il papa in possesso,
così il papa inviò i suoi legati a quelle città per farsi riconoscere
signore e sovrano d'esse terre. Intorno a questo affare son da vedere
gli Annali Ecclesiastici del Rinaldi[313]. L'autore della Cronica di
Parma[314] scrive che _semper romani pontifices de republica aliquid
volunt emungere, quum imperatores ad imperium assumuntur_. Non si
sa che Ferrara e Comacchio riconoscessero la sovranità pontificia.
Bologna[315] la riconobbe, ma con certe condizioni e riserve. Alcune
città si diedero liberamente al papa, altre negarono di farlo. Ma certo
non cadde punto allora in pensiero alla corte di Roma di pretendere
città dell'esarcato, Modena, Reggio, Parma e Piacenza, come gli
adulatori degli ultimi secoli incominciarono a sognare o a fingere con
ingiuria della verità patente.
L'altro grande affare, a cui s'applicò il pontefice, fu quello di
abbassar la potenza di _Carlo re_ di Sicilia. Covava egli in suo cuore
non poco d'odio contra di lui. Ricordano Malaspina[316] ne attribuisce
l'origine all'aver egli richiesta per moglie d'un suo nipote una nipote
d'esso re Carlo, con riportarne la negativa, avendo risposto il re che
non era degno il lignaggio d'un papa di mischiarsi col suo regale,
perchè la di lui signoria non era ereditaria. Così almeno si disse;
e che questo pontefice fosse appassionato forte per la esaltazione
della sua famiglia, di maniera che alcuni l'hanno spacciato per autore
del nepotismo, lo accennerò fra poco. Noi non falleremo credendo che
ad esso papa dispiacesse forte la maniera tirannica, con cui il re
Carlo governava la Puglia e Sicilia, e il mirarlo far da padrone in
Roma, come senatore, con volere esso re raggirare a suo modo la corte
pontificia, massimamente nell'occasion della sede vacante, essendosi
detto che i suoi maneggi nell'ultimo conclave erano stati forti per
impedir l'elezione del medesimo pontefice Niccolò, e per farla cadere
in qualche cardinal franzese. Crebbe ancora la di lui avversione,
perchè, trattandosi di riunir la Chiesa greca colla latina, il re
Carlo, per sostener le pretensioni di _Filippo_ suo genero all'imperio
di Oriente, guastava tutte le orditure del papa, col dar fomento agli
scismatici ribelli dell'imperador greco _Michele Paleologo_, principe
inclinato all'unione e pace delle Chiese. La conclusione di tutto
questo si è, che il papa indusse il re Carlo a rinunziare al vicariato
della Toscana, per soddisfare alle premure del re Ridolfo, ed insieme
al grado di senatore di Roma. Dopo di che fece una costituzione,[317],
in cui, rammemorando la donazione, benchè falsa, di Costantino,
proibisce da lì innanzi l'esaltare al posto di senatore alcuno
imperadore, re, principe, duca, marchese, conte e qualsivoglia persona
potente. Calò la testa il re Carlo, perchè anch'egli temeva che, se
ricalcitrasse, un papa di tanto nerbo gli rivolgesse contra l'armi del
re Ridolfo e degl'Italiani.
Secondo la Cronica di Parma[318], nel precedente anno i Torriani
cacciati da Milano cominciarono la guerra contra di _Otton Visconte_,
arcivescovo e signore di quella città. Nel mese di giugno entrò _Casson
dalla Torre_ co' suoi parenti in Lodi; alla qual nuova i Milanesi
col carroccio, e i Pavesi anch'essi col carroccio loro si portarono
ad assediar quella città. Ma venuto _Raimondo dalla Torre_ patriarca
d'Aquileia con un grosso corpo di cavalleria e di balestrieri furlani,
con cui si uni la milizia di Cremona, Parma, Reggio e Modena, questo
esercito fece levar quell'assedio. Nulla di ciò si legge presso gli
storici milanesi sotto il suddetto precedente anno, perchè tali fatti
son da riferire al presente, nel quale si sa che i Torriani fecero
gran guerra a Milano[319]. _Casson dalla Torre_, uomo d'intrepidezza
mirabile, secondo il Corio[320], entrò di maggio, siccome poco fa
è detto, in Lodi con truppe tedesche e furlane e coi fuorusciti
di Milano, e diede principio alle ostilità con iscorrere fino alle
porte di Milano e far prigioni circa mille tra nobili e popolari.
Atterrito da questo avvenimento Ottone arcivescovo, per rimediarvi e
per rinforzare il partito suo, giudicò bene di condurre per capitano
de' Milanesi _Guglielmo marchese_ di Monferrato, principe di gran
potenza. Imperciocchè, se è vero ciò che ha l'autore della Cronica
di Piacenza[321], egli era capitano e signore anche di Pavia, Novara,
Asti, Torino, Alba, Ivrea, Alessandria e Tortona, ed in questo medesimo
anno nel dì 3 di luglio ebbe la signoria di Casale di Monferrato per
dedizion di quel popolo. Ma il capitanato di Pavia l'ebbe egli molto
più tardi, e così d'altre città, siccome diremo. Benvenuto da San
Giorgio[322] cita lo strumento, con cui nel dì 16 d'agosto i Milanesi
condussero per lor capitano esso marchese colla provvisione annuale di
dieci mila lire, e di cento lire ogni giorno, per anni cinque avvenire.
Venne il marchese a Milano con cinquecento uomini d'armi, e poi di
settembre condusse tutte le forze sue e de' Milanesi e Pavesi contra
di Lodi. Diede il guasto al paese, prese qualche castello di poca
resistenza; ma, all'udire che i Cremonesi e Parmigiani, aiutati anche
dai Reggiani e Modenesi, s'appressavano con grande sforzo in aiuto de'
Torriani, se ne tornò bravamente a Milano. Abbiamo nondimeno da Galvano
Fiamma che passarono male in questo anno gli affari de' Milanesi,
perchè Casson dalla Torre prese Marignano, Triviglio, Caravaggio
ed altri luoghi; ridusse quasi in cenere Crema, diede il guasto al
territorio di Pavia; altrettanto fece all'isola dì Fulcherio; ed ebbe
tal coraggio, che con una scorreria arrivò fin sotto Milano, e scagliò
l'asta sua contra di porta Ticinese. Nel dì 10 d'agosto s'impadronì
ancora di Cassano e di Vavrio, e menò da ogni parte gran quantità di
prigioni: cose tutte che obbligarono Ottone arcivescovo e i Milanesi,
siccome abbiam detto, a chiamare Guglielmo marchese di Monferrato, e a
dargli la bacchetta del comando militare. In queste liti fra i Milanesi
e Torriani non si vollero mischiare i Piacentini.
Spedì in quest'anno il pontefice _Niccolò III_ a Bologna _fra Latino_
dell'ordine de' Predicatori, suo nipote, cioè figliuolo di una sua
sorella, cardinale vescovo di Ostia e legato della Romagna, Marca,
Lombardia e Toscana, acciocchè trattasse di pace fra le città di
quelle contrade e fra i Geremii e i Lambertazzi usciti di Bologna.
Così calde furono intorno a ciò le premure del papa, così efficaci
i maneggi del cardinale legato e di _Bertoldo Orsino_ conte della
Romagna, fratello d'esso papa[323], che, quantunque s'incontrassero
di molte opposizioni, pure si disposero gli animi a ricevere la
concordia, a cui si venne poi nell'anno seguente, siccome appresso
diremo. Passò dipoi in Toscana[324] il medesimo cardinale Latino,
ed entrò in Firenze nel dì 8 di ottobre, con porre anche ivi le
fondamenta della pace, che seguì nell'anno vegnente fra i Guelfi e i
Ghibellini. Ebbero nel presente guerra i Padovani coi Veronesi[325],
e coll'esercito si portarono all'assedio della terra di Cologna.
Uniti con esso loro furono a questa impresa i Vicentini sudditi, ed
_Obizzo_[326] _marchese_ d'Este e signor di Ferrara, il quale, siccome
collegato, oppur come principale, andò colle sue genti in aiuto loro.
Durò quell'assedio quarantadue giorni; in fine l'ebbero a patti, e
sembra che la restituissero al suddetto marchese, i cui antenati ne
erano stati padroni. Dagli Annali Ecclesiastici abbiamo[327] che il
pontefice Niccolò stese il suo desiderio della pace non solo alle città
della Romagna, ma anche a quelle della Lombardia, con aver data facoltà
a' suoi ministri di assolvere dalle censure e liberar dall'interdetto
il _conte Guido_ di Montefeltro, il marchese di Monferrato, le
città d'Asti, Novara, Vercelli, Pavia e Verona, purchè giurassero di
sottomettersi ai comandamenti del papa. Non piacevano già al _re Carlo_
questi passi, perchè egli tendeva ad esser l'arbitro dell'Italia, e
il papa molto più di lui pretendeva a questa gloria. Nè si dee tacere
che in quest'anno[328], essendo receduto _Ottocaro_ superbo e potente
re di Boemia dalla convenzione stipulata con _Ridolfo re_ de' Romani
per gli affari del ducato d'Austria, ed avendo già ricominciata la
guerra contra di lui, nel dì 26 d'agosto si venne ad un fierissimo
fatto d'armi fra i due nemici eserciti in vicinanza di Vienna. Restò
sconfitta l'armata boema, e lo stesso re Ottocaro vi lasciò la vita:
per così gloriosa vittoria altamente crebbe in credito a potenza il re
Ridolfo.
NOTE:
[308] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital. Memoriale Potestat. Regiens.,
tom. eod.
[309] Chron. Placent, tom. 16 Rer. Ital.
[310] Mussatus, Histor., lib. 10, Rubr. 2.
[311] Chronic. Parmense.
[312] Ptolomaeus Lucens., Hist. Eccl., tom. 11 Rer. Ital. Ricordano
Malaspina. Giovanni Villani ed altri.
[313] Raynald., in Annal. Ecclesiast.
[314] Chron. Parmens., tom. 9 Rer. Ital.
[315] Sigon., de Regno Ital., lib. 20.
[316] Ricordano Malaspina, cap. 204. Giovanni Villani. S. Antonio.
[317] C. Fundamentum, de Election. in Sexto.
[318] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[319] Gualv. Flamma, in Manip. Flor., cap. 315. Annales Mediolanens.,
tom. 16 Rer. Ital.
[320] Corio, Istor. di Milano.
[321] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
[322] Benvenuto da San Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[323] Matth. de Griffonibus, Histor. Bononiens., tom. 18 Rer. Italic.
Ghirardacci, Istor. di Bologna. Sigon., de Regno Ital., lib. 20.
[324] Ricordano Malaspina, cap. 205.
[325] Chron. Patavin., tom. 8 Rer. Italic.
[326] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
[327] Raynaldus, in Annal. Eccl., num. 77.
[328] Æneas Silvius, in Hist. Austr. Stero, in Annalib. Chron. Colmar.


Anno di CRISTO MCCLXXIX. Indiz. VII.
NICCOLÒ III papa 3.
RIDOLFO re de' Romani 7.

Per opera del _cardinale Latino_ legato apostolico, e di _Bertoldo
Orsino_ conte di Romagna, seguì nell'anno presente pace e concordia
fra i Geremii guelfi signoreggianti in Bologna[329] e i Lambertazzi
ghibellini fuorusciti. Rientrarono questi ultimi nella patria nel dì 2
agosto, e nel dì 4 si fece una solenne riconciliazione delle medesime
fazioni, con feste grandi ed universale allegrezza. Anche in Faenza il
suddetto cardinale legato accordò insieme gli Accarisi coi Manfredi
fuorusciti e i lor seguaci. Parimente in Ravenna il conte Bertoldo
colla pace conchiusa fra i Polentani e i Traversari[330] rimise la
quiete. Ma non andò molto che in Bologna si sconcertarono di nuovo gli
affari per quel maledetto veleno che infettava allora universalmente il
cuore degl'Italiani. Truovo io qui dell'imbroglio, forse nato dall'anno
pisano, adoperato da qualche storico. Il Sigonio (se pure fin qui egli
giunse colla sua storia) differisce[331] l'entrata de' Lambertazzi
in quella città, e la lor replicata uscita sino all'anno seguente:
nel che vien egli seguitato dal Ghirardacci. Per lo contrario,
Ricobaldo[332], storico di questi tempi, l'autore della Cronica di
Reggio[333], anch'esso contemporaneo, Matteo Griffone[334], frate
Francesco Pipino[335], gli Annali vecchi di Modena[336] e la Cronica
di Parma[337] concordemente scrivono che nell'anno presente tornarono
i Lambertazzi in Bologna, e poscia nel mese di dicembre di nuovo si
riaccese la guerra civile fra essi e la contraria fazione de' Geremii.
Per lo che pare da anteporre questa sentenza all'altre. Tuttavia la
Cronica di Forlì[338], che sembra molto esatta, la Miscella di Bologna
e gli Annali di Cesena[339] vanno d'accordo col Sigonio. Sia come
esser si voglia, o fosse la troppa alterigia dei Lambertazzi, oppur
la durezza degli altri nel non volerli ammettere ai pubblici uffizii,
tengo io per fermo che, correndo il dì 20 ovvero 21 di dicembre (altri
dicono nella vigilia del Natale) dell'anno presente, si levò rumore
in Bologna; e i Lambertazzi furono i primi a prendere l'armi con
impadronirsi della piazza, ed uccidere chiunque de' Geremii veniva loro
alle mani, e con attaccar fuoco a una casa de' Lambertini. Allora i
Geremii, fanti e cavalli raunati, vennero al conflitto, e sì virilmente
assalirono gli avversarii, che li misero finalmente in rotta, e gli
obbligarono a fuggirsene di città. Molti dall'una parte e dall'altra
rimasero morti; e dappoichè furono usciti i Lambertazzi, le lor case
(e queste furono in gran copia) pagarono la pena de' lor padroni,
con restare spogliate, e poscia distrutte: costume pazzo di tempi sì
barbari; che non merita già altro nome il voler gastigare le insensate
mura, e il deformare la propria città, per far dispetto e danno agli
usciti suoi fratelli. Si rifugiarono di nuovo gli usciti Lambertazzi in
Faenza, e tornò come prima a rinvigorirsi la guerra fra essi e Bologna.
Si erano mossi i Modenesi, Reggiani e Parmigiani, per soccorrere in
questa occasione la fazion de' Geremii; ma non vi fu bisogno del loro
aiuto. Mirava Guglielmo marchese di Monferrato, capitano del popolo
di Milano, la difficoltà di abbattere colla forza i Torriani, i quali
si erano ben fortificati in Lodi, aveano già prese parecchie terre e
castella del Milanese, e teneano nelle lor carceri molte centinaia di
Milanesi, e spezialmente nobili[340]. Però, siccome volpe vecchia, ed
uomo usato alle cabale, cercò per altra via di tagliar loro le penne.
Ottenuta pertanto licenza da' Milanesi, mosse proposizioni segrete di
aggiustamento con _Cassone dalla Torre_, e con _Raimondo_ pure dalla
Torre patriarca d'Aquileia. Restò conchiusa la pace nel mese di marzo,
colla remissione dell'ingiurie e dei danni dati, colla vicendevol
liberazione de' prigioni, e con patto che i luoghi presi sul Milanese
si depositassero in mano di persone amiche, e si restituissero ai
Torriani tutti i lor beni allodiali.
Ottenuto che ebbe il marchese quanto voleva, e massimamente i prigioni,
si fece poi beffe dei Torriani, nè loro mantenne alcun patto[341], e
poi ripigliò Trezzo e l'isola di Fulcherio. Con pubblico manifesto,
mandato al papa, a tutti i re e principi, si dolsero i Torriani di
questo tradimento; e perchè ne fecero gran doglianza col marchese
stesso, ebbero per risposta, aver ben egli fatte quelle promesse, ma
che andassero eglino a cercare chi loro le mantenesse, perchè egli
a ciò non s'era obbligato. Tentò poscia il marchese con frodi di
ricuperar altre castella: il che non gli venne fatto. Anzi Gotifredo
dalla Torre, con cinquecento cavalieri entrato nel castello d'Ozino,
cominciò aspra guerra contro a' Milanesi, fece assaissimi prigioni, e
diede presso Albairate una rotta al podestà ed esercito de' Pavesi.
_Ottone Visconte_, veggendo così crescere le forze de' Torriani,
ordinò al marchese di far venir dal Monferrato cinquecento fanti. Mise
poi l'assedio al castello d'Ozino, che infine fu preso e diroccato.
Abbiamo anche dalla Cronica di Parma[342], che esso marchese con
tutta la possanza de' Milanesi cavalcò all'Adda con disegno di fare
un letto nuovo a quel fiume, acciocchè non venisse a Lodi. Allora
i Parmigiani con tutta la milizia andarono in aiuto dei Torriani a
Lodi, dove erano anche i Cremonesi; nè di più vi volle, perchè il
marchese, abbandonato il cavamento, si ritirasse con poco garbo a
Milano. Essendo stata bruciata in Parma nel dì 19 di ottobre per
sentenza dell'inquisitore una donna nomata Todesca, come eretica,
una mano di cattivi uomini corse al convento dei frati predicatori,
diede il sacco a quel luogo, percosse e ferì molti di quei religiosi,
ed uno ne uccise vecchio e cieco: per la quale violenza i frati la
mattina seguente colla croce inalberata se ne andarono da Parma a
Firenze, per lamentarsene col _cardinale Latino_ legato apostolico.
Tennero lor dietro a Reggio, Modena e Bologna il podestà, il capitano,
gli anziani e i canonici di Parma, sempre scongiurandoli di tornare
indietro, promettendo di rifar loro qualunque danno che asserissero
loro fatto; ma a nulla giovò. Processarono i Parmigiani tutti quei
malfattori, e li gastigarono con varie pene; rifecero ancora tutti i
danni. Ciò non ostante, e quantunque il comune di Parma niuna ingerenza
avesse avuta nel misfatto, pure il cardinal Latino citò il podestà,
il capitano, gli anziani e il consiglio con dodici de' principali di
Parma, a comparire davanti a lui in Firenze in un determinato tempo.
Spedirono i Parmigiani il capitano del popolo con sei ambasciatori
colà; ma per quanto sapessero dire in iscusa del comune, niun conto
fu fatto delle loro ragioni, e si fulminò la scomunica contra gli
uffiziali del pubblico, e la città fu aggravata coll'interdetto. Così
si operava in questi tempi. Essendo stata tolta ai Reggiani[343] da
Tommasino da Gorzano, e dai signori da Banzola la Pietra di Bismantoa,
celebre per la menzione che ne fanno Donizone e Dante, nel mese di
maggio il popolo di Reggio coll'aiuto dei Parmigiani, Modenesi e
Bolognesi la strinse d'assedio, e dopo quindici dì a buoni patti la
ricuperò. La città d'Asti anch'essa riebbe alcune centinaia dei suoi
cittadini che erano prigioni in Provenza, con promettere a _Carlo re_
di Sicilia il pagamento di trentacinque mila lire d'imperiali, pel
quale si fecero mallevadori alcuni ricchi genovesi[344]. Del resto nel
primo dì di maggio dell'anno presente una terribile scossa di tremuoto
si sentì per quasi tutta l'Italia. Il maggior danno ch'essa recò, fu
nella marca di Ancona, dove due parti di Camerino andarono a terra,
e vi perirono molte persone. Fabriano, Matelica, Cagli, San Severino,
Cingoli, Nocera, Foligno, Spello ed altre terre ne risentirono un grave
nocumento.
NOTE:
[329] Matth. de Griffonib., tom. 18 Rer. Italic. Sigonius, de Regno
Ital. Ghirardacci, Istor. di Bologna.
[330] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[331] Sigonius, de Regno Ital., lib. 20.
[332] Richob., in Pom., tom. 9 Rer. Ital.
[333] Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[334] Matth. de Griffonibus, Histor. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[335] Pipinus, Chron. Bononiens., tom. 9 Rer. Italic.
[336] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[337] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[338] Chron. Forolivien., tom. 22 Rer. Ital.
[339] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[340] Gualv. Flamma, in Manip. Flor., cap. 316. Annales Mediolanenses,
tom. 61 Rer. Ital. Memorial. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
[341] Ventura, Chron. Astense, cap. 13, tom. 11 Rer. Ital.
[342] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCLXXX. Indiz. VIII.
NICCOLÒ III papa 4.
RIDOLFO re de' Romani 8.

Le lettere scritte nel gennaio di questo anno dal pontefice _Niccolò
III_ a _Bertoldo Orsino_ suo fratello e conte della Romagna, e
rapportate dal Rinaldi[345], ci assicurano che nel dicembre antecedente
era seguita l'espulsion de' Lambertazzi da Bologna. In esse a lui e al
cardinale Latino legato apostolico ordina il papa di cercare rimedio
al disordine accaduto, di punire i delinquenti, e di ristabilire la
pace fra le discordi fazioni. Ma di fieri intoppi si trovarono: cotanto
erano inaspriti ed infelloniti fra di loro gli animi de' Geremii
dominanti in Bologna e dei Lambertazzi esclusi[346]. Fece il conte
Bertoldo venire a Ravenna i sindachi dell'una e dell'altra parte, e
rigorosi comandamenti impose a tutti. È da stupire come il Ghirardacci,
che ne rapporta gli atti fatti sotto l'anno presente, non si accorgesse
che la cacciata dei Lambertazzi dovea essere seguita nel precedente
dicembre. Ma mentre il pontefice era tutto pieno di gran pensieri per
regolare il mondo cristiano a modo suo, eccoti l'inesorabil falce
della morte che troncò tutti i suoi vasti disegni[347]. Trovavasi
egli nella terra di Soriano presso Viterbo, e colpito da un accidente
apopletico, senza poter ricevere i sacramenti della Chiesa, chiuse
gli occhi alla vita presente nel dì 22 d'agosto. Era preceduta in
Roma una terribil inondazione del Tevere, che, secondo gli stolti,
fu poi creduta indizio della morte futura del papa. La fresca di lui
età e il temperato modo del suo vivere aveano fatto credere che la
sua vita si stenderebbe a moltissimi anni avvenire; ma fallaci troppo
sono i prognostici de' mortali; e fu assai che non corresse sospetto
di veleno in così inaspettata e subitanea morte, sapendosi che l'aver
egli con tanta altura esercitato il governo suo, gli avea tirato
addosso l'odio di parecchi, e massimamente di _Carlo re_ di Sicilia.
Molte furono le di lui virtù, e massimamente la magnificenza[348],
da cui spinto fabbricò un suntuoso palagio per li pontefici presso
San Pietro, con un ampio e vago giardino, cinto di mura e torri a
guisa d'una città, e un altro in Montefiascone. Rinnovò egli quasi
tutta la basilica vaticana. L'epitafio suo si legge nella Cronica
di frate Francesco Pipino[349]. Ma restò aggravata la di lui memoria
dalla soverchia ansietà d'ingrandire ed arricchire i proprii parenti.
Spogliò di varie terre i nobili[350], e massimamente di Soriano i
suoi signori, imputati d'eresia, per investirne i proprii nipoti.
Tolse alla Chiesa Castello Sant'Angelo, e diello ad Orso suo nipote.
Creò più cardinali suoi parenti, e Bertoldo Orsino, suo fratello,
conte di Romagna. Faceva eleggere tutti i suoi congiunti per podestà
in varie città. Fu anche detto[351] che le grandiose sue fabbriche
furono fatte col danaro raccolto dalle decime ordinate in soccorso di
Terra santa, e ch'egli segretamente avesse mano nel trattato contra
del re Carlo per la ribellion di Sicilia, siccome appresso diremo.
Ma il suo più gran progetto di novità (se pure è vero) fu quello
di cui dicono[352] ch'egli trattò col _re Ridolfo_: cioè di formar
quattro regni del romano imperio. Il primo era quello della Germania,
che dovea passare in retaggio a tutti i discendenti d'esso Ridolfo
re de' Romani. Il secondo il regno viennese, ossia arelatense, che
abbracciava il delfinato e parte della antica Borgogna. Questo dovea
essere dotate di _Clemenza_ figliuola d'esso re Ridolfo, maritata
dipoi con _Carlo Martello_ nipote di _Carlo re_ di Sicilia, e de' suoi
discendenti. Il terzo della Toscana, e il quarto della Lombardia:
i quai due ultimi regni egli meditava di conferire ai suoi nipoti
Orsini. Questo pontefice, che facea tremar tutti, s'era anche fatto
dichiarar senatore perpetuo del popolo romano, ed avea posto dipoi per
suo vicario in quell'uffizio Orso suo nipote. Ma appena s'intese la
certezza di sua morte[353], che gli Annibaldeschi, famiglia potente
in Roma, si sollevarono coi loro aderenti, e vollero per forza aver
parte nel senatorato, di modo che uopo fu di crear due senatori, l'uno
Orsino, e l'altro Annibaldesco, sotto il governo dei quali succederono
poscia molti omicidii, dissensioni e malanni; e tutti questi impuniti.
Parimente allora il popolo di Viterbo discacciò vergognosamente dalla
sua podesteria Orso degli Orsini, nipote del defunto papa, e passò
all'assedio di un castello. Ma venuto il conte Bertoldo con assai
soldatesche, e con quelle ancora di Todi, li fece dare alle gambe,
e prese molti uomini e tutte le lor tende. Durò poi la vacanza del
pontificato quasi sei mesi.
In quest'anno, a mio credere, accaddero le disgrazie della città di
Faenza, e non già nel seguente, come ha il Sigonio[354] (se pure son di
lui, e non giunte fatte a lui, le memorie di questi tempi), e come ha
la Cronica Miscella di Bologna[355], e dopo essa il Ghirardacci[356],
il quale imbrogliò la Storia sua con differire sino ad esso anno
1281 la ripatriazione de' Lambertazzi, e la loro seconda cacciata.
Seguito io qui l'autore della Cronica di Reggio[357], che fioriva
in questi tempi, e la Cronica antica di Modena[358], di Parma[359] e
l'Estense[360], e la Bolognese di Matteo Griffoni[361]. Per attestato
di tali scrittori, Tibaldello da Faenza della casa nobile de' Zambrasi,
ma spurio, essendo malcontento de' Lambertazzi rifugiati in Faenza
(dicono a cagione di una porchetta a lui rubata), si mise in pensiero
di sterminarli. Con questo mal animo ito a Bologna, concertò coi
Geremii di tradire la patria, e di darne loro la tenuta. Infatti una
notte ebbe maniera il traditore di aprir una porta, per cui entrato
l'esercito bolognese e ravegnano, s'impadronì della piazza, e poi si