Annali d'Italia, vol. 4 - 85
avvedersi che in Fiorenzuola (Fiorentino era appellato quel luogo) dovea
trovarlo la morte. Questo racconto ha cera d'una fandonia, dedotta forse
dal non essere egli entrato per qualche accidente in quelle città.
Aggiugne Ricordano che Manfredi suo figliuolo bastardo, per voglia _di
avere il tesoro di Federigo suo padre e la signoria del regno di
Sicilia_, con un guanciale postogli sulla bocca l'affogò. Anche questa
può essere una ciarla. Niuno degli autori più antichi ne parla; nè è
punto ciò verisimile, perciocchè Federigo avea de' figliuoli legittimi,
chiamati al regno, nè Manfredi vi potea allora aspirare; e se questi
avesse occupato i tesori del padre, ne avrebbe renduto buon conto al re
Corrado. Finalmente scrive che Federigo II_ morì scomunicato e senza
penitenza_. Lo stesso viene asserito da Pietro da Curbio, cappellano di
papa Innocenzo IV, e scrittore della sua Vita[3286], e dal Monaco
Padovano[3287]. Eppure Guglielmo dal Poggio, storico di questi
tempi[3288], Alberto Stadense[3289], scrittore parimente contemporaneo,
e Matteo Paris (non già il suo Continuatore), che scriveva anche egli
allora le sue storie[3290], affermano esser egli morto compunto e
penitente, con aver ricevuta l'assoluzione de' suoi peccati
dall'arcivescovo di Salerno. E lo stesso si vede confermato da una
lettera scritta da Manfredi al _re Corrado_ suo fratello, pubblicata dal
Baluzio[3291]. Il cattivo concetto, in cui era Federigo, facea che
solamente si pensasse e credesse il male di lui. In quest'anno ancora
aveva egli spedito al sultano per la liberazione del re di Francia
prigioniere. Dai malevoli suoi fu interpretato che la spedizione fosse
tutta a fine contrario. Per altro a Federigo non mancarono delle rare
doti, accennate da Niccolò da Jamsilla[3292], affezionato partigiano di
Manfredi suo figliuolo; cioè gran cuore, grande intendimento ed
accortezza, amore delle lettere, ch'egli fu il primo a richiamare e
dilatare nel suo regno; amore della giustizia, per cui fece molti bei
regolamenti, conoscenza di varie lingue, ed altre prerogative. Ma questi
suoi pregi furono di troppo offuscati dalla sfrenata sua ambizione, per
cui si mise in pensiero di abbattere la libertà de' Lombardi, senza mai
volere ammettere la pace di Costanza, e di abbassare sconciamente anche
l'autorità e potenza del romano pontefice e degli altri ecclesiastici.
La religione, che in lui era ben poca, veniva perciò bene spesso
calpestata dalla sua politica. Quindi le discordie e guerre, e da esse
la necessità di scorticare i sudditi, e il pretesto d'affliggere con
ismoderate gravezze le persone ecclesiastiche e le chiese. Colla sua
crudeltà, colla sua lussuria diede ancora frequenti occasioni di
sparlare di lui; e principalmente la doppiezza sua, e il non attener
parola, gli tirarono addosso la solita pena, che non gli era creduto
neppur quando parlava di cuore e daddovero. Insomma lasciò egli dopo di
sè fama e nome piuttosto abbominevole, di cui non si cancellerà sì di
leggeri la memoria. Fece testamento, in cui dichiarò suo erede nel regno
di Sicilia _Corrado_ re dei Romani e di Germania. V'ha chi scrive, aver
egli lasciata la Sicilia e Calabria ad _Arrigo_ fanciullo, a lui
partorito da Isabella d'Inghilterra sua terza moglie. Non così parla il
suo testamento. Costituì ancora balio ossia governatore del regno in
lontananza d'esso Corrado, _Manfredi_ suo figliuolo bastardo, a cui
lasciò in retaggio il principato di Taranto con quattro altri contadi.
Ordinò che si restituissero alla Chiesa tutti i suoi Stati e diritti,
purchè anch'essa restituisse quelli dell'impero. Le altre sue
disposizioni si leggono nel suo testamento, pubblicato in questi ultimi
tempi da varie persone.
NOTE:
[3270] Joinvill.
[3271] Nangius, Matth. Paris, et alii.
[3272] Giovanni Villani, Istor., lib. 6, cap. 36.
[3273] Annal. Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Ital. Chron. Parmense,
tom. 9 Rer. Ital. Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[3274] Annales Mediolanenses, tom. 16 Rer. Ital.
[3275] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3276] Monachus Patavinus, in Chron. Memorial. Potest. Regiens.
[3277] Antonio Campo, Istor. di Cremona.
[3278] Sigon., de Regno Ital., lib. 18.
[3279] Annal. Mediol., tom. 8 Rer. Ital. Gualvan. Flamma, in Manipul.
Flor., cap. 284.
[3280] Rolandinus, lib. 6, cap. 3 et seq.
[3281] Petrus de Curbio, Vit. Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3282] Caffari, Annal. Genuens. Monach. Patavinus, in Chron., tom. 8
Rer. Ital. Albertus Stadensis. Ricordano Malaspina et alii.
[3283] Ricordano Malaspina, Istor., cap. 147.
[3284] Giovanni Villani, Istor., lib. 6.
[3285] Saba Malaspina, Histor., lib. 1, cap. 2.
[3286] Petrus de Curbio, in Vit. Innocentii IV, cap. 29.
[3287] Monach. Patavinus, in Chron., tom. 8 Rer. Italic.
[3288] Guillelmus de Podio, apud Du-Chesne, cap. 49.
[3289] Albertus Stadensis, in Chron.
[3290] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3291] Baluz., tom. 1 Miscellan.
[3292] Nicolaus de Jamsilla, Hist., tom. 8 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCLI. Indizione IX.
INNOCENZO IV papa 9.
Imperio vacante.
Se fosse con disgusto o piacere intesa in Lione da papa _Innocenzo_ la
morte di _Federigo II_, non ha bisogno il lettore che io lo decida. Dirò
bensì che egli più che mai non solo si accinse a promuovere in Germania
gli affari del _re Guglielmo_ sua creatura, e a deprimere, por quanto
gli era possibile, il _re Corrado_, non meno odiato da lui che il suo
padre Federigo, con iscomunicarlo ancora, e dichiararlo decaduto da ogni
diritto sopra i regni; ma eziandio più che, mai senza risparmio
d'indulgenze plenarie e di crociate[3293], si diede a commuovere i
vescovi, baroni e popoli della Germania, Sicilia e Puglia contra di lui.
Tutto ciò s'ha dagli Annali Ecclesiastici del Rinaldi e da Matteo Paris.
Nè andarono a voto i maneggi del pontefice. Ribellaronsi[3294] le città
di Foggia, Andria e Barletta, e, quel che è più, Napoli e Capoa; e
questo esempio fu seguitato dai conti di Caserta e Cerra della casa di
Aquino, che possedevano allora quasi tutto il paese posto tra il
Garigliano e il Volturno. Papa Innocenzo IV promise a tutti dei gran
privilegii e gagliarda assistenza di soccorsi. Manfredi, giovane allora
d'anni dieciotto, ma savio e grazioso, che avea preso le redini del
governo a nome del re Corrado suo fratello, non perdè tempo ad accorrere
con quante forze potè contra de' sollevati, e gli riuscì di ridurre alla
primiera ubbidienza le tre prime città, e di assicurarsi di quelle di
Avellino ed Aversa. Mise poi l'assedio a Napoli, e diede il guasto a
quel territorio; ma per quanto egli si studiasse di tirar fuori della
città i Napoletani per dar loro battaglia, essi, più accorti di lui, si
tennero sempre alla sola difesa delle mura. Una Cronica di Sicilia[3295]
aggiugne che anche Messina, Castello San Giovanni ed altri luoghi si
ribellarono a Corrado in Sicilia. Intanto il pontefice Innocenzo, omai
libero dalla paura di Federigo, per dar più calore alle sollevazioni
della Puglia e agli altri affari dell'Italia, dopo Pasqua si mosse da
Lione, e, venuto a Marsilia, per la Provenza e per la riviera del mare
felicemente arrivò a Genova patria sua[3296]. Trovò quella città in gran
festa e magnificenza, non solamente per la venuta sua, ma ancora perchè
le città di Albenga e Savona con altri luoghi dianzi ribelli, scorgendo
la difficoltà di potersi sostenere, dappoichè era mancata la vita e
potenza di Federigo imperadore, erano tornate all'antica ubbidienza del
comune di Genova. Quivi scomunicò il re Corrado[3297], i Pavesi,
Cremonesi, ed alcuni popoli del partito imperiale. Sciolse dalla
scomunica _Tommaso di Savoia_ già conte di Fiandra, e gli diede per
moglie una sua nipote con ricca dote. Concorsero alla città di Genova i
podestà e gli ambasciatori di tutte le città e dei principi che erano
del suo partito, e particolarmente quei di Milano, Brescia, Mantova e
Bologna. Diede loro il papa benigna udienza; e perchè desideravano
ch'egli passasse per le loro città, determinò di compiacerli. Sul fine
dunque di giugno venuto a Gavi e Capriata, fu quivi accolto dalla
milizia milanese[3298], e scortato, perchè Vercelli tuttavia seguitava
la parte imperiale, e nel dì 7 del mese suddetto entrò in Milano,
accoltovi con grandioso e mirabil incontro e somma divozione da quel
popolo, e prese alloggio nel monistero di Sant'Ambrosio. E perciocchè
era morto in Genova il loro podestà, ne diede loro un nuovo, cioè
Gherardo dei Rangoni da Modena. Fermossi poi por varii affari il
pontefice in quella città lo spazio di sessantaquattro giorni. È lecito
il credere che uno de' più importanti fosse quello di staccare dal
partito ghibellino la vicina città di Lodi. Nata in quella città
discordia fra due famiglie potenti[3299], cioè fra i Vistarini e gli
Averganghi, questi ultimi ricorsi a Cremona, v'introdussero un presidio
ghibellino. Mise per questo il papa l'interdetto in quella città, perchè
allora si contava per delitto da gastigar coll'armi spirituali il
seguitar la fazione imperiale. Ciò udito i Milanesi, senza farsi molto
pregar da Sozzo de' Vistarini, mossero il loro esercito, ed entrarono
anch'essi in Lodi, e cominciarono a disputarne il possesso ai Cremonesi.
V'era anche _Eccelino_ da Romano con Buoso da Doara, se crediamo agli
storici di Milano; ma, secondo la Cronica Veronese[3300], v'intervennero
solamente gli ambasciatori di quel tiranno, cioè Federigo dalla Scala e
Rinieri dalla Isola. E secondo la Cronica di Matteo Griffone[3301],
Buoso solamente nell'ottobre di quest'anno fu rilasciato dalle carceri
di Bologna. Finalmente i Cremonesi, non potendo resistere alla forza dei
Milanesi, voltarono le spalle, e Lodi restò in potere d'essi Milanesi,
che ne diedero il dominio per dieci anni a Sozzo de' Vistarini, e vi
diruparono il castello dell'imperadore. Scrivono i suddetti storici
milanesi che nel mese d'aprile di quest'anno fu stabilita una pace
perpetua fra le città di Milano e Pavia. Della verità di questo fatto è
da dubitare; imperciocchè Parisio da Cereta asserisce che i Pavesi
continuarono nella lega de' Cremonesi ghibellini, e con essi ancora si
trovarono all'assedio di Lodi.
Ricuperarono i Milanesi in questo anno il castello di Caravaggio, e, in
pena della ribellione, lo distrussero. Da Milano passò dipoi papa
Innocenzo a Brescia nel mese di settembre, e di là a Bologna, dove nel
dì 8 di ottobre consecrò la chiesa di San Domenico. Oltre a Pietro da
Curbio[3302], gli Annali vecchi di Modena[3303] mettono il suo cammino
per Brescia, Mantova, Ferrara e Bologna, con poscia soggiugnere che
passò anche per Modena: il che pare che non ben si accordi. Nella
Cronica di Reggio[3304] si ha ch'egli da Mantova venne a San Benedetto
di Polirone, poscia a Ferrara e a Bologna. Ricobaldo scrive[3305], che
essendo egli fanciullo, il vide predicare al popolo in Ferrara nella
festa di san Francesco di ottobre. Andò finalmente il pontefice,
passando per la Romagna, a posarsi e a fissare la sua residenza in
Perugia, perchè non si fidava di Roma, dove bollivano molle fazioni, nè
vi mancavano partigiani dell'imperio. Presero in quest'anno i Cremonesi
il castello di Brescello sul Po, che era de' Parmigiani[3306], e ne
condussero prigionieri a Cremona i soldati che vi stavano in guardia.
Continuò la guerra fra il popolo e i nobili fuorusciti di Piacenza.
S'impadronirono questi ultimi della rocca di Bardi, e disfecero un corpo
di fanti e cavalli, che colà venivano per soccorso. Unitosi coi popolari
di Piacenza il _marchese Oberto_ Pelavicino, e colla milizia cremonese,
andò ai danni de' Parmigiani, e prese le castella di Rivalgario e di
Raglio, che poi diede alle fiamme: nel qual tempo il popolo di Piacenza
distrusse il ponte sul Po per paura di Milano. Tolsero ancora essi
popolari piacentini alcune altre castella ai nobili, con isfogare la lor
rabbia contra le insensate mura. In questo medesimo anno Eccelino da
Romano colla milizia di Verona, Padova, Vicenza e Trento, per venti
giorni stette nel distretto di Mantova, spogliando e guastando il
paese[3307]. Ma ecco nel mese di ottobre calare in Italia _Corrado re_
di Germania. Bisogna ben credere che si fossero molto rinvigoriti ed
assicurati i suoi affari in essa Germania, ed abbassati quei del _re
Guglielmo_ d'Olanda, dacchè esso Corrado si potè arrischiare a venirsene
di qua dalle Alpi. E veramente Matteo Paris[3308] fa abbastanza
intendere che Guglielmo cominciò ad essere in dispregio presso i
principi tedeschi. Arrivato che fu Corrado a Verona, ricevè quante
dimostrazioni di gioia e rispetto potea mai desiderare da Eccelino.
Passò dipoi coll'esercito suo di Tedeschi, e con quello dei Veronesi,
Padovani e Vicentini di là dal Mincio, ed accampatosi al castello di
Goito, quivi tenne un parlamento coi Cremonesi, Pavesi, Piacentini, ed
altri popoli del suo partito. Dopo quindici giorni ritornato a Verona,
continuò il suo viaggio con disegno di passar a buona stagione per mare
in Puglia. Tanto il Monaco Padovano che Parisio da Cereta ed altri
storici[3309] scrivono che in quest'anno il principe Rinaldo figliuolo
di _Azzo VII_ marchese d'Este, che già per ostaggio fu mandato in Puglia
da Federigo II imperadore, terminò i suoi giorni in quelle contrade.
Papa Innocenzo IV in una lettera[3310] scritta nel giugno di quest'anno
a _Pietro cardinale_ legato per indurre Manfredi a voler sottomettere e
cedere il regno alla Chiesa romana, fra le altre cose gli raccomanda la
liberazione del suddetto Rinaldo. Alcuni scrittori tengono che Manfredi
o per iniqua sua politica, o per ordine del re Corrado, se ne sbrigasse
col veleno. Chi ci può assicurar della verità in tempi di tante dicerie
e calunnie? Quel che è certo, restò di lui un picciolo figliuolo, a cui
fu posto il nome d'_Obizzo_. Giacchè le cattive congiunture de' tempi
aveano privato il marchese del caro suo figliuolo, si fece egli portare
a Ferrara il nipotino, e, riconoscendo in esso le fattezze e lo spirito
del defunto figliuolo, il dichiarò poi suo erede; e noi a suo tempo il
vedremo padrone di Ferrara e d'altre città. In questi tempi Eccelino da
Romano più che mai seguitò ad infierire contra dei Padovani. Le di lui
crudeltà minutamente vengono riferite da Rolandino[3311] testimonio di
veduta. Sul principio di questo anno nel dì 7 di gennaio il popolo di
Firenze[3312], dacchè ebbe intesa la morte di Federigo II, si mosse a
rumore; e rimise in città la fazione guelfa fuoruscita, e fece loro far
pace coi Ghibellini. Ma poco andò ch'essi Ghibellini furono forzati a
ritirarsi fuori di città. Fecero poi oste i Fiorentini nel mese di
luglio a Pistoia, che si reggeva in questi tempi a parte ghibellina. I
Pistojesi, venuti con loro a battaglia, ne rimasero sconfitti a Monte
Robolino. Ebbero i medesimi Fiorentini guerra ancora coi Sanesi[3313],
perchè questi ricettarono i lor banditi, ed erano in lega coi Pisani e
Pistoiesi di fazion ghibellina. Abbiamo dalla Cronica di Reggio[3314]
che gli Alessandrini e Milanesi una tal rotta diedero al popolo di
Tortona, che la maggior parte d'esso restò prigioniere.
NOTE:
[3293] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3294] Nicolaus de Jamsilla, Hist., tom. 8 Rer. Ital.
[3295] Chronic. Sicil., cap. 26, tom. 10 Rer. Ital.
[3296] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[3297] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3298] Annales Mediol., tom. 14 Rer. Ital.
[3299] Gualvan. Flamma, Manipul. Flor., cap. 285.
[3300] Paris de Cereta, Annal. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3301] Matth. de Griffonibus, Memor., tom. 18 Rer. Ital.
[3302] Petrus de Curbio, Vita Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3303] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[3304] Memoriale Potest. Regiens., toro. 8 Rer. Italic.
[3305] Richobald., in Pomar., tom. 9 Rer Ital.
[3306] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3307] Paris de Cereta, Chron. Veron., tom. 8 Rer. Ital.
[3308] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3309] Monach. Patavinus, in Chron., tom. 8 Rer. Ital. Paris de Cereta,
Annal. Veron, Annal. Mediol. et alii.
[3310] Raynald., in Annal. Eccles.
[3311] Roland., lib. 6, cap. 15.
[3312] Ricordano Malaspina, Istor., cap. 144.
[3313] Chron. Senense, tom. 15 Rer. Ital.
[3314] Memoriale Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
Anno di CRISTO MCCLII. Indizione X.
INNOCENZO IV papa 10.
Imperio vacante.
Abbiamo di certo che il _re Corrado_ nel dì 4 di dicembre dell'anno
precedente si partì da Verona, e, fatto il viaggio per Vicenza e Padova,
s'imbarcò in mare coll'aiuto di Eccelino, e passò a Porto Naone[3315]. I
conti suoi erano di poter giugnere in Puglia per mare in pochi giorni,
con risoluzione di tenere in Foggia per la festa del Natale un general
parlamento. In qual tempo precisamente vi arrivasse egli, non è ben
chiaro. Niccolò da Jamsilla[3316] scrive ch'egli sbarcò a Siponto
nell'anno presente senza specificarne il giorno. Altrettanto abbiamo
dalla Cronica Cavense[3317]. Non può certamente stare ciò che si legge
nel Diario di Matteo Spinelli[3318]: cioè che _alli 27 d'agosto 1251
venne lo re Corrado coll'armata de' Veneziani, e sbarcò a Pescara, o
alla montagna di Sant'Angelo_. Nel tempo suddetto Corrado neppur era
giunto in Lombardia. E il Continuatore di Caffaro[3319] scrive ch'egli
non già si servì di legni veneziani, ma _transiens per Marchiam venit in
partibus Istriae et Sclavoniae, ibique sexdecim galeas regni, quae serie
paratae erant, ipsum regem cum sua comitiva levaverunt, et ipsum in
Apuliam traduxerunt_. Giunto questo principe in Puglia, ricevè gli
ossequii e il giuramento di fedeltà dai baroni, e specialmente fece
buona accoglienza a Manfredi principe di Taranto suo fratello, con
lodare la sua condotta, e prendere da lui tutte le necessarie
informazioni dello stato presente degli affari. Avendo poscia, o
mostrando premura della grazia di papa _Innocenzo_[3320], che avea già
fulminata la scomunica contra di lui e di tutti i suoi aderenti, gli
spedì Bartolommeo marchese di Hoemburgo Tedesco, l'arcivescovo di Trani,
e Guglielmo da Ocra suo cancelliere, suoi ambasciatori, per ottener
l'investitura del regno di Sicilia e Puglia, e la succession
nell'imperio, con esibirsi pronto a far quello che avesse il papa
ordinato. Furono questi cortesemente accolti; ma nulla fruttarono i lor
maneggi, stando saldo il pontefice a pretendere che quel regno, per li
reati di Federigo suo padre, fosse decaduto alla Chiesa romana. Da ciò
irritato Corrado, non guardò più misura alcuna, ed attese a debellar
chiunque s'era ribellato ed avea alzato le bandiere del romano
pontefice. Le armi sue adunque, rinforzate dai Saraceni di Nocera e
Sicilia, piombarono addosso ai conti d'Aquino, con ispogliarli di tutte
le loro terre[3321], e con prendere e saccheggiare Arpino, Sezza,
Aquino, Sora, San Germano, ed altri luoghi che prima s'erano dati al
papa. Verso la festa di san Martino ostilmente s'inviò l'esercito suo
contra di Capoa; ma quella terra senza fare resistenza, e con rendersi,
schivò l'eccidio delle persone. Altro non vi restava che la città di
Napoli, la quale negasse ubbidienza. Questa, confidata nella sua
situazione, nelle forti mura, e nella speranza de' soccorsi del papa, si
accinse ad una gagliarda difesa. Passò dunque lo sdegnato re all'assedio
di quella città nel dì primo di dicembre, secondochè è scritto nel
Diario di Matteo Spinelli[3322], dove nondimeno si truovano slogati gli
anni. Egli dice del 1251, ma ha da essere il presente 1252. Nella
Cronica Cavense[3323] è scritto che fu dato principio all'assedio di
Napoli nel dì 18 di giugno dell'anno seguente. Non può stare. Invece di
giugno sarà ivi scritto gennaio. Durò di molti mesi quell'assedio. Ma in
questi tempi si raffreddò non poco il re Corrado verso del fratello
Manfredi, anzi concepì astio contra di lui, non ben si sa, se per
sospetti conceputi in vederlo sì savio ed amato dai popoli, oppure per
mali uffizii fatti contra di lui dai malevoli, fra' quali specialmente
si distinse Matteo Ruffo, nato nella città di Tropea in Calabria, che di
povera fortuna, per la sua abilità, era arrivato sotto l'imperador
Federigo II ai primi gradi della corte, e da lui fu lasciato aio del
figliuolo _Arrigo_ e vicebalio della Sicilia. Era questi nemico
dichiarato di Manfredi. Ma non mancò prudenza a Manfredi per navigare in
mezzo a tanti scogli. Destramente rinunziò a Corrado i contadi di
Gravina, Tricarico e Montescaglioso. Ed ancorchè il re gli sminuisse
anche la giurisdizione nel principato di Taranto, che solo gli restò, e
tuttochè Corrado ordinasse che Galvano e Federigo Lancia, e Bonifazio
d'Anglone, parenti dal lato materno di Manfredi, uscissero del regno,
pure Manfredi non ne mostrò risentimento alcuno, e seguitò con allegria
e fedeltà ad aiutare il re suo fratello in tutte le di lui imprese.
Intanto in Lombardia, cessato il timore di Federigo II, che teneva uniti
in più città gli animi de' cittadini, e succeduta la troppa libertà,
questa cominciò a generar la discordia. Soprattutto in Milano insorsero
gare e dissensioni fra il popolo e i nobili. Nel dì 6 di aprile, sabato
in albis dell'anno presente[3324], nel venire da Como a Milano _fra
Pietro_ da Verona dell'ordine de' Predicatori, inquisitore ed uomo di
santa vita, fu da Carino, sicario degli eretici, in vicinanza di
Barlassina sacrilegamente ucciso, e poi nel seguente anno canonizzato e
posto nel catalogo de' martiri da papa Innocenzo IV. Preso il sicario, e
messo nelle mani di Pietro Avvocato da Como, allora podestà di
Milano[3325], dopo dieci giorni di prigionia, fu lasciato fuggire. Gran
sollevazione per questo sorse in Milano; fu imprigionato il podestà,
dato il sacco al suo palazzo, ed appena potè egli ottenere in grazia la
vita. Allora i nobili proposero di dare il dominio della città a _Leone
de Perego_ arcivescovo. Non solamente si opposero i popolari, ma
suscitarono anzi una lor pretensione: cioè, che non ai soli nobili, ma
anche a quei dell'ordine popolare si conferissero le dignità e i
canonicati della metropolitana. Si venne alla forza; fu cacciato di
città l'arcivescovo, svaligiato il suo palazzo, e maggiormente per
questo crebbe la rissa fra il popolo e la nobiltà. Capo del popolo fu
Martino dalla Torre, e de' nobili Paolo da Soresina. Allora il popolo
chiamò per suo capitano il _marchese Manfredi_ Lancia, che venne con
mille cavalli al suo servigio. Così gli Annali di Milano[3326]. Ma
Galvano Fiamma, differisce fino all'anno 1256 questa perniciosa novità,
e ne tornano a parlare allora gli stessi Annali. _Gregorio da
Montelungo_, legato apostolico[3327], in ricompensa de' tanti servigi da
lui prestati alla Chiesa romana negli anni addietro, promosso al
patriarcato d'Aquileia, nel mese di gennaio andò a prenderne il
possesso. Morì all'incontro in Brescia _Ricciardo_ conte di San
Bonifazio, lasciando dopo di sè un glorioso nome, e un figliuolo
appellato Lodovico, che in prodezza non si lasciò vincere dal padre.
Negli Annali di Verona[3328] la sua morte si fa accaduta nel febbraio
dell'anno susseguente. Senza inorridire non si possono leggere nelle
Storie di Rolandino[3329], del Monaco Padovano e di Parisio da Cereta le
crudeltà praticate in questi tempi dal tiranno _Eccelino_ da Romano
contra de' cittadini di Verona e di Padova. Fecero nell'anno presente i
Parmigiani oste contro il castello di Medesano[3330]; e quantunque
_Oberto marchese_ Pelavicino co' fuorusciti di Parma e coi Cremonesi
accorresse in aiuto degli assediati, tuttavia s'impadronirono di esso
castello, e similmente di quei di Berceto e Miaro. Abbiamo da Matteo
Paris[3331] che i Romani elessero per loro senatore per l'anno vegnente
Brancaleone di Andalò Bolognese, uomo giusto, di gran petto, ma di non
minor rigidezza, il quale ricusò di accettare, se non gli veniva
accordata cotal dignità per tre anni, non ostante lo statuto di Roma.
Nella Vita di papa Innocenzo[3332] vien dipinto Brancaleone per un gran
Ghibellino e nemico del papa. Con questa condizione fu accettato, e ito
poscia a Roma, tenne in esercizio le forche e le mannaie per castigar la
gente troppo sediziosa, ed avvezza a non rispettar le leggi. In
quest'anno poi, secondo il suddetto Paris, oppure nel 1254, secondo
Pietro da Curbio (che sembra meritar in ciò maggior credenza), i Romani,
disgustati della superbia ed insolenza del popolo di Tivoli,
coll'esercito si portarono contro quella città. La presero e diroccarono
con fiero esterminio; e se quei cittadini vollero salvar la vita,
convenne che andassero scalzi e colle corde al collo a chiedere
misericordia in Roma. Per quello nondimeno che vedremo all'anno 1254,
non sussiste questa rovina di Tivoli. Guerra grande fu del pari in
Toscana[3333] tra i Fiorentini, Lucchesi ed Orvietani Guelfi, e i Sanesi
e Pisani Ghibellini. Ebbero gli ultimi una rotta a Montalcino.
NOTE:
[3315] Sigon., de Regn. Ital., lib. 19.
[3316] Nicolaus de Jamsilla, tom. 8 Rer. Ital.
[3317] Chron. Cavense, tom. 7 Rer. Ital.
[3318] Matteo Spinelli, Diario, tom. 7 Rer. Ital.
[3319] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[3320] Petrus de Curbio, Vita Innocent. IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3321] Nicolaus de Jamsilla, Histor.
[3322] Matteo Spinelli, Diario.
[3323] Chron. Cavense.
[3324] Bolland., in Act. Sanct. ad diem 29 april.
[3325] Gualvan. Flamma, in Manip. Flor., cap. 286.
[3326] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[3327] Monachus Patavinus, in Chron., tom. 8 Rer. Italic.
[3328] Paris de Cereta, Annal. Veronens, tom. 8 Rer. Ital.
[3329] Roland., lib. 6, cap. 17 et seq.
[3330] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3331] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3332] Petrus de Curbio, Vit. Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3333] Ricord. Malasp., cap. 152. Chron. Senens., tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCLIII. Indizione XI.
INNOCENZO IV papa 11.
Imperio vacante.
Continuò il _re Corrado_ con gran vigore l'assedio di Napoli, avendo
condotto colà un copioso apparato di quelle macchine[3334], colle quali
si faceva allora guerra alle città e fortezze. E perciocchè v'entravano
di quando in quando dei rinfreschi per mare, sul principio di maggio
serrò ancora quel passo con un possente stuolo di galee, fatto venir di
Sicilia[3335]. Volle ben egli che si desse un generale assalto a quella
città nel dì 25 d'aprile, con promessa di tre paghe a quella nazione che
prima v'entrasse. Ma vi restarono morti da secento Saraceni, e poco men
di Tedeschi; laonde non più si pensò a soggiogar Napoli colla forza, ma
bensì colla fame. Si ridussero infatti que' cittadini[3336] a nutrirsi
ancora co' più vili e laidi cibi; nè più potendo, si renderono infine a
discrezione nel fine di settembre, come ha il Diario dello Spinelli,
oppure nel dì 10 di ottobre, come si legge nella Cronica Cavense. Alcuni
scrivono che a forza di mine fu espugnata quella città, e che, entrato
l'esercito tedesco, vi sparse gran sangue degli abitanti. Lo Spinelli
anch'egli scrive che Corrado _vi fece gran giustizia e grande
uccisione_. È da stupire come Pietro da Curbio e Saba Malaspina,
scrittori pontificii, non parlino di questo macello di gente, che certo
non dovea scappare alla lor penna. Ma ne parla bene Bortolomeo da
Neocastro[3337], autore di questo secolo; e per questo i Napoletani
concepirono un odio implacabile contro la casa di Suevia. La Cronica del
monistero cavense ha solamente, che egli mandò in esilio molti de'
Napoletani ed è fuor di dubbio che fece abbattere e spianare le belle
mura di Napoli e di Capoa, affinchè non venisse più voglia a que' popoli
di ribellarsi. Passò dipoi Corrado a Melfi, e quivi, celebrata la festa
del santo Natale, tenne un parlamento dei baroni del regno. Queste
prosperità di Corrado furono cagione che il pontefice colla sua corte
cominciasse in questo anno una tela nuova in rovina della casa di
Suevia: cioè spedì in Inghilterra[3338] Alberto da Parma, uno de' suoi
familiari, ad offerir la corona di Sicilia a _Riccardo conte_ di
Cornovaglia, fratello di quel _re Arrigo_, e ricco principe. Insorsero
trovarlo la morte. Questo racconto ha cera d'una fandonia, dedotta forse
dal non essere egli entrato per qualche accidente in quelle città.
Aggiugne Ricordano che Manfredi suo figliuolo bastardo, per voglia _di
avere il tesoro di Federigo suo padre e la signoria del regno di
Sicilia_, con un guanciale postogli sulla bocca l'affogò. Anche questa
può essere una ciarla. Niuno degli autori più antichi ne parla; nè è
punto ciò verisimile, perciocchè Federigo avea de' figliuoli legittimi,
chiamati al regno, nè Manfredi vi potea allora aspirare; e se questi
avesse occupato i tesori del padre, ne avrebbe renduto buon conto al re
Corrado. Finalmente scrive che Federigo II_ morì scomunicato e senza
penitenza_. Lo stesso viene asserito da Pietro da Curbio, cappellano di
papa Innocenzo IV, e scrittore della sua Vita[3286], e dal Monaco
Padovano[3287]. Eppure Guglielmo dal Poggio, storico di questi
tempi[3288], Alberto Stadense[3289], scrittore parimente contemporaneo,
e Matteo Paris (non già il suo Continuatore), che scriveva anche egli
allora le sue storie[3290], affermano esser egli morto compunto e
penitente, con aver ricevuta l'assoluzione de' suoi peccati
dall'arcivescovo di Salerno. E lo stesso si vede confermato da una
lettera scritta da Manfredi al _re Corrado_ suo fratello, pubblicata dal
Baluzio[3291]. Il cattivo concetto, in cui era Federigo, facea che
solamente si pensasse e credesse il male di lui. In quest'anno ancora
aveva egli spedito al sultano per la liberazione del re di Francia
prigioniere. Dai malevoli suoi fu interpretato che la spedizione fosse
tutta a fine contrario. Per altro a Federigo non mancarono delle rare
doti, accennate da Niccolò da Jamsilla[3292], affezionato partigiano di
Manfredi suo figliuolo; cioè gran cuore, grande intendimento ed
accortezza, amore delle lettere, ch'egli fu il primo a richiamare e
dilatare nel suo regno; amore della giustizia, per cui fece molti bei
regolamenti, conoscenza di varie lingue, ed altre prerogative. Ma questi
suoi pregi furono di troppo offuscati dalla sfrenata sua ambizione, per
cui si mise in pensiero di abbattere la libertà de' Lombardi, senza mai
volere ammettere la pace di Costanza, e di abbassare sconciamente anche
l'autorità e potenza del romano pontefice e degli altri ecclesiastici.
La religione, che in lui era ben poca, veniva perciò bene spesso
calpestata dalla sua politica. Quindi le discordie e guerre, e da esse
la necessità di scorticare i sudditi, e il pretesto d'affliggere con
ismoderate gravezze le persone ecclesiastiche e le chiese. Colla sua
crudeltà, colla sua lussuria diede ancora frequenti occasioni di
sparlare di lui; e principalmente la doppiezza sua, e il non attener
parola, gli tirarono addosso la solita pena, che non gli era creduto
neppur quando parlava di cuore e daddovero. Insomma lasciò egli dopo di
sè fama e nome piuttosto abbominevole, di cui non si cancellerà sì di
leggeri la memoria. Fece testamento, in cui dichiarò suo erede nel regno
di Sicilia _Corrado_ re dei Romani e di Germania. V'ha chi scrive, aver
egli lasciata la Sicilia e Calabria ad _Arrigo_ fanciullo, a lui
partorito da Isabella d'Inghilterra sua terza moglie. Non così parla il
suo testamento. Costituì ancora balio ossia governatore del regno in
lontananza d'esso Corrado, _Manfredi_ suo figliuolo bastardo, a cui
lasciò in retaggio il principato di Taranto con quattro altri contadi.
Ordinò che si restituissero alla Chiesa tutti i suoi Stati e diritti,
purchè anch'essa restituisse quelli dell'impero. Le altre sue
disposizioni si leggono nel suo testamento, pubblicato in questi ultimi
tempi da varie persone.
NOTE:
[3270] Joinvill.
[3271] Nangius, Matth. Paris, et alii.
[3272] Giovanni Villani, Istor., lib. 6, cap. 36.
[3273] Annal. Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Ital. Chron. Parmense,
tom. 9 Rer. Ital. Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[3274] Annales Mediolanenses, tom. 16 Rer. Ital.
[3275] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3276] Monachus Patavinus, in Chron. Memorial. Potest. Regiens.
[3277] Antonio Campo, Istor. di Cremona.
[3278] Sigon., de Regno Ital., lib. 18.
[3279] Annal. Mediol., tom. 8 Rer. Ital. Gualvan. Flamma, in Manipul.
Flor., cap. 284.
[3280] Rolandinus, lib. 6, cap. 3 et seq.
[3281] Petrus de Curbio, Vit. Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3282] Caffari, Annal. Genuens. Monach. Patavinus, in Chron., tom. 8
Rer. Ital. Albertus Stadensis. Ricordano Malaspina et alii.
[3283] Ricordano Malaspina, Istor., cap. 147.
[3284] Giovanni Villani, Istor., lib. 6.
[3285] Saba Malaspina, Histor., lib. 1, cap. 2.
[3286] Petrus de Curbio, in Vit. Innocentii IV, cap. 29.
[3287] Monach. Patavinus, in Chron., tom. 8 Rer. Italic.
[3288] Guillelmus de Podio, apud Du-Chesne, cap. 49.
[3289] Albertus Stadensis, in Chron.
[3290] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3291] Baluz., tom. 1 Miscellan.
[3292] Nicolaus de Jamsilla, Hist., tom. 8 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCLI. Indizione IX.
INNOCENZO IV papa 9.
Imperio vacante.
Se fosse con disgusto o piacere intesa in Lione da papa _Innocenzo_ la
morte di _Federigo II_, non ha bisogno il lettore che io lo decida. Dirò
bensì che egli più che mai non solo si accinse a promuovere in Germania
gli affari del _re Guglielmo_ sua creatura, e a deprimere, por quanto
gli era possibile, il _re Corrado_, non meno odiato da lui che il suo
padre Federigo, con iscomunicarlo ancora, e dichiararlo decaduto da ogni
diritto sopra i regni; ma eziandio più che, mai senza risparmio
d'indulgenze plenarie e di crociate[3293], si diede a commuovere i
vescovi, baroni e popoli della Germania, Sicilia e Puglia contra di lui.
Tutto ciò s'ha dagli Annali Ecclesiastici del Rinaldi e da Matteo Paris.
Nè andarono a voto i maneggi del pontefice. Ribellaronsi[3294] le città
di Foggia, Andria e Barletta, e, quel che è più, Napoli e Capoa; e
questo esempio fu seguitato dai conti di Caserta e Cerra della casa di
Aquino, che possedevano allora quasi tutto il paese posto tra il
Garigliano e il Volturno. Papa Innocenzo IV promise a tutti dei gran
privilegii e gagliarda assistenza di soccorsi. Manfredi, giovane allora
d'anni dieciotto, ma savio e grazioso, che avea preso le redini del
governo a nome del re Corrado suo fratello, non perdè tempo ad accorrere
con quante forze potè contra de' sollevati, e gli riuscì di ridurre alla
primiera ubbidienza le tre prime città, e di assicurarsi di quelle di
Avellino ed Aversa. Mise poi l'assedio a Napoli, e diede il guasto a
quel territorio; ma per quanto egli si studiasse di tirar fuori della
città i Napoletani per dar loro battaglia, essi, più accorti di lui, si
tennero sempre alla sola difesa delle mura. Una Cronica di Sicilia[3295]
aggiugne che anche Messina, Castello San Giovanni ed altri luoghi si
ribellarono a Corrado in Sicilia. Intanto il pontefice Innocenzo, omai
libero dalla paura di Federigo, per dar più calore alle sollevazioni
della Puglia e agli altri affari dell'Italia, dopo Pasqua si mosse da
Lione, e, venuto a Marsilia, per la Provenza e per la riviera del mare
felicemente arrivò a Genova patria sua[3296]. Trovò quella città in gran
festa e magnificenza, non solamente per la venuta sua, ma ancora perchè
le città di Albenga e Savona con altri luoghi dianzi ribelli, scorgendo
la difficoltà di potersi sostenere, dappoichè era mancata la vita e
potenza di Federigo imperadore, erano tornate all'antica ubbidienza del
comune di Genova. Quivi scomunicò il re Corrado[3297], i Pavesi,
Cremonesi, ed alcuni popoli del partito imperiale. Sciolse dalla
scomunica _Tommaso di Savoia_ già conte di Fiandra, e gli diede per
moglie una sua nipote con ricca dote. Concorsero alla città di Genova i
podestà e gli ambasciatori di tutte le città e dei principi che erano
del suo partito, e particolarmente quei di Milano, Brescia, Mantova e
Bologna. Diede loro il papa benigna udienza; e perchè desideravano
ch'egli passasse per le loro città, determinò di compiacerli. Sul fine
dunque di giugno venuto a Gavi e Capriata, fu quivi accolto dalla
milizia milanese[3298], e scortato, perchè Vercelli tuttavia seguitava
la parte imperiale, e nel dì 7 del mese suddetto entrò in Milano,
accoltovi con grandioso e mirabil incontro e somma divozione da quel
popolo, e prese alloggio nel monistero di Sant'Ambrosio. E perciocchè
era morto in Genova il loro podestà, ne diede loro un nuovo, cioè
Gherardo dei Rangoni da Modena. Fermossi poi por varii affari il
pontefice in quella città lo spazio di sessantaquattro giorni. È lecito
il credere che uno de' più importanti fosse quello di staccare dal
partito ghibellino la vicina città di Lodi. Nata in quella città
discordia fra due famiglie potenti[3299], cioè fra i Vistarini e gli
Averganghi, questi ultimi ricorsi a Cremona, v'introdussero un presidio
ghibellino. Mise per questo il papa l'interdetto in quella città, perchè
allora si contava per delitto da gastigar coll'armi spirituali il
seguitar la fazione imperiale. Ciò udito i Milanesi, senza farsi molto
pregar da Sozzo de' Vistarini, mossero il loro esercito, ed entrarono
anch'essi in Lodi, e cominciarono a disputarne il possesso ai Cremonesi.
V'era anche _Eccelino_ da Romano con Buoso da Doara, se crediamo agli
storici di Milano; ma, secondo la Cronica Veronese[3300], v'intervennero
solamente gli ambasciatori di quel tiranno, cioè Federigo dalla Scala e
Rinieri dalla Isola. E secondo la Cronica di Matteo Griffone[3301],
Buoso solamente nell'ottobre di quest'anno fu rilasciato dalle carceri
di Bologna. Finalmente i Cremonesi, non potendo resistere alla forza dei
Milanesi, voltarono le spalle, e Lodi restò in potere d'essi Milanesi,
che ne diedero il dominio per dieci anni a Sozzo de' Vistarini, e vi
diruparono il castello dell'imperadore. Scrivono i suddetti storici
milanesi che nel mese d'aprile di quest'anno fu stabilita una pace
perpetua fra le città di Milano e Pavia. Della verità di questo fatto è
da dubitare; imperciocchè Parisio da Cereta asserisce che i Pavesi
continuarono nella lega de' Cremonesi ghibellini, e con essi ancora si
trovarono all'assedio di Lodi.
Ricuperarono i Milanesi in questo anno il castello di Caravaggio, e, in
pena della ribellione, lo distrussero. Da Milano passò dipoi papa
Innocenzo a Brescia nel mese di settembre, e di là a Bologna, dove nel
dì 8 di ottobre consecrò la chiesa di San Domenico. Oltre a Pietro da
Curbio[3302], gli Annali vecchi di Modena[3303] mettono il suo cammino
per Brescia, Mantova, Ferrara e Bologna, con poscia soggiugnere che
passò anche per Modena: il che pare che non ben si accordi. Nella
Cronica di Reggio[3304] si ha ch'egli da Mantova venne a San Benedetto
di Polirone, poscia a Ferrara e a Bologna. Ricobaldo scrive[3305], che
essendo egli fanciullo, il vide predicare al popolo in Ferrara nella
festa di san Francesco di ottobre. Andò finalmente il pontefice,
passando per la Romagna, a posarsi e a fissare la sua residenza in
Perugia, perchè non si fidava di Roma, dove bollivano molle fazioni, nè
vi mancavano partigiani dell'imperio. Presero in quest'anno i Cremonesi
il castello di Brescello sul Po, che era de' Parmigiani[3306], e ne
condussero prigionieri a Cremona i soldati che vi stavano in guardia.
Continuò la guerra fra il popolo e i nobili fuorusciti di Piacenza.
S'impadronirono questi ultimi della rocca di Bardi, e disfecero un corpo
di fanti e cavalli, che colà venivano per soccorso. Unitosi coi popolari
di Piacenza il _marchese Oberto_ Pelavicino, e colla milizia cremonese,
andò ai danni de' Parmigiani, e prese le castella di Rivalgario e di
Raglio, che poi diede alle fiamme: nel qual tempo il popolo di Piacenza
distrusse il ponte sul Po per paura di Milano. Tolsero ancora essi
popolari piacentini alcune altre castella ai nobili, con isfogare la lor
rabbia contra le insensate mura. In questo medesimo anno Eccelino da
Romano colla milizia di Verona, Padova, Vicenza e Trento, per venti
giorni stette nel distretto di Mantova, spogliando e guastando il
paese[3307]. Ma ecco nel mese di ottobre calare in Italia _Corrado re_
di Germania. Bisogna ben credere che si fossero molto rinvigoriti ed
assicurati i suoi affari in essa Germania, ed abbassati quei del _re
Guglielmo_ d'Olanda, dacchè esso Corrado si potè arrischiare a venirsene
di qua dalle Alpi. E veramente Matteo Paris[3308] fa abbastanza
intendere che Guglielmo cominciò ad essere in dispregio presso i
principi tedeschi. Arrivato che fu Corrado a Verona, ricevè quante
dimostrazioni di gioia e rispetto potea mai desiderare da Eccelino.
Passò dipoi coll'esercito suo di Tedeschi, e con quello dei Veronesi,
Padovani e Vicentini di là dal Mincio, ed accampatosi al castello di
Goito, quivi tenne un parlamento coi Cremonesi, Pavesi, Piacentini, ed
altri popoli del suo partito. Dopo quindici giorni ritornato a Verona,
continuò il suo viaggio con disegno di passar a buona stagione per mare
in Puglia. Tanto il Monaco Padovano che Parisio da Cereta ed altri
storici[3309] scrivono che in quest'anno il principe Rinaldo figliuolo
di _Azzo VII_ marchese d'Este, che già per ostaggio fu mandato in Puglia
da Federigo II imperadore, terminò i suoi giorni in quelle contrade.
Papa Innocenzo IV in una lettera[3310] scritta nel giugno di quest'anno
a _Pietro cardinale_ legato per indurre Manfredi a voler sottomettere e
cedere il regno alla Chiesa romana, fra le altre cose gli raccomanda la
liberazione del suddetto Rinaldo. Alcuni scrittori tengono che Manfredi
o per iniqua sua politica, o per ordine del re Corrado, se ne sbrigasse
col veleno. Chi ci può assicurar della verità in tempi di tante dicerie
e calunnie? Quel che è certo, restò di lui un picciolo figliuolo, a cui
fu posto il nome d'_Obizzo_. Giacchè le cattive congiunture de' tempi
aveano privato il marchese del caro suo figliuolo, si fece egli portare
a Ferrara il nipotino, e, riconoscendo in esso le fattezze e lo spirito
del defunto figliuolo, il dichiarò poi suo erede; e noi a suo tempo il
vedremo padrone di Ferrara e d'altre città. In questi tempi Eccelino da
Romano più che mai seguitò ad infierire contra dei Padovani. Le di lui
crudeltà minutamente vengono riferite da Rolandino[3311] testimonio di
veduta. Sul principio di questo anno nel dì 7 di gennaio il popolo di
Firenze[3312], dacchè ebbe intesa la morte di Federigo II, si mosse a
rumore; e rimise in città la fazione guelfa fuoruscita, e fece loro far
pace coi Ghibellini. Ma poco andò ch'essi Ghibellini furono forzati a
ritirarsi fuori di città. Fecero poi oste i Fiorentini nel mese di
luglio a Pistoia, che si reggeva in questi tempi a parte ghibellina. I
Pistojesi, venuti con loro a battaglia, ne rimasero sconfitti a Monte
Robolino. Ebbero i medesimi Fiorentini guerra ancora coi Sanesi[3313],
perchè questi ricettarono i lor banditi, ed erano in lega coi Pisani e
Pistoiesi di fazion ghibellina. Abbiamo dalla Cronica di Reggio[3314]
che gli Alessandrini e Milanesi una tal rotta diedero al popolo di
Tortona, che la maggior parte d'esso restò prigioniere.
NOTE:
[3293] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3294] Nicolaus de Jamsilla, Hist., tom. 8 Rer. Ital.
[3295] Chronic. Sicil., cap. 26, tom. 10 Rer. Ital.
[3296] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[3297] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3298] Annales Mediol., tom. 14 Rer. Ital.
[3299] Gualvan. Flamma, Manipul. Flor., cap. 285.
[3300] Paris de Cereta, Annal. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3301] Matth. de Griffonibus, Memor., tom. 18 Rer. Ital.
[3302] Petrus de Curbio, Vita Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3303] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[3304] Memoriale Potest. Regiens., toro. 8 Rer. Italic.
[3305] Richobald., in Pomar., tom. 9 Rer Ital.
[3306] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3307] Paris de Cereta, Chron. Veron., tom. 8 Rer. Ital.
[3308] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3309] Monach. Patavinus, in Chron., tom. 8 Rer. Ital. Paris de Cereta,
Annal. Veron, Annal. Mediol. et alii.
[3310] Raynald., in Annal. Eccles.
[3311] Roland., lib. 6, cap. 15.
[3312] Ricordano Malaspina, Istor., cap. 144.
[3313] Chron. Senense, tom. 15 Rer. Ital.
[3314] Memoriale Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
Anno di CRISTO MCCLII. Indizione X.
INNOCENZO IV papa 10.
Imperio vacante.
Abbiamo di certo che il _re Corrado_ nel dì 4 di dicembre dell'anno
precedente si partì da Verona, e, fatto il viaggio per Vicenza e Padova,
s'imbarcò in mare coll'aiuto di Eccelino, e passò a Porto Naone[3315]. I
conti suoi erano di poter giugnere in Puglia per mare in pochi giorni,
con risoluzione di tenere in Foggia per la festa del Natale un general
parlamento. In qual tempo precisamente vi arrivasse egli, non è ben
chiaro. Niccolò da Jamsilla[3316] scrive ch'egli sbarcò a Siponto
nell'anno presente senza specificarne il giorno. Altrettanto abbiamo
dalla Cronica Cavense[3317]. Non può certamente stare ciò che si legge
nel Diario di Matteo Spinelli[3318]: cioè che _alli 27 d'agosto 1251
venne lo re Corrado coll'armata de' Veneziani, e sbarcò a Pescara, o
alla montagna di Sant'Angelo_. Nel tempo suddetto Corrado neppur era
giunto in Lombardia. E il Continuatore di Caffaro[3319] scrive ch'egli
non già si servì di legni veneziani, ma _transiens per Marchiam venit in
partibus Istriae et Sclavoniae, ibique sexdecim galeas regni, quae serie
paratae erant, ipsum regem cum sua comitiva levaverunt, et ipsum in
Apuliam traduxerunt_. Giunto questo principe in Puglia, ricevè gli
ossequii e il giuramento di fedeltà dai baroni, e specialmente fece
buona accoglienza a Manfredi principe di Taranto suo fratello, con
lodare la sua condotta, e prendere da lui tutte le necessarie
informazioni dello stato presente degli affari. Avendo poscia, o
mostrando premura della grazia di papa _Innocenzo_[3320], che avea già
fulminata la scomunica contra di lui e di tutti i suoi aderenti, gli
spedì Bartolommeo marchese di Hoemburgo Tedesco, l'arcivescovo di Trani,
e Guglielmo da Ocra suo cancelliere, suoi ambasciatori, per ottener
l'investitura del regno di Sicilia e Puglia, e la succession
nell'imperio, con esibirsi pronto a far quello che avesse il papa
ordinato. Furono questi cortesemente accolti; ma nulla fruttarono i lor
maneggi, stando saldo il pontefice a pretendere che quel regno, per li
reati di Federigo suo padre, fosse decaduto alla Chiesa romana. Da ciò
irritato Corrado, non guardò più misura alcuna, ed attese a debellar
chiunque s'era ribellato ed avea alzato le bandiere del romano
pontefice. Le armi sue adunque, rinforzate dai Saraceni di Nocera e
Sicilia, piombarono addosso ai conti d'Aquino, con ispogliarli di tutte
le loro terre[3321], e con prendere e saccheggiare Arpino, Sezza,
Aquino, Sora, San Germano, ed altri luoghi che prima s'erano dati al
papa. Verso la festa di san Martino ostilmente s'inviò l'esercito suo
contra di Capoa; ma quella terra senza fare resistenza, e con rendersi,
schivò l'eccidio delle persone. Altro non vi restava che la città di
Napoli, la quale negasse ubbidienza. Questa, confidata nella sua
situazione, nelle forti mura, e nella speranza de' soccorsi del papa, si
accinse ad una gagliarda difesa. Passò dunque lo sdegnato re all'assedio
di quella città nel dì primo di dicembre, secondochè è scritto nel
Diario di Matteo Spinelli[3322], dove nondimeno si truovano slogati gli
anni. Egli dice del 1251, ma ha da essere il presente 1252. Nella
Cronica Cavense[3323] è scritto che fu dato principio all'assedio di
Napoli nel dì 18 di giugno dell'anno seguente. Non può stare. Invece di
giugno sarà ivi scritto gennaio. Durò di molti mesi quell'assedio. Ma in
questi tempi si raffreddò non poco il re Corrado verso del fratello
Manfredi, anzi concepì astio contra di lui, non ben si sa, se per
sospetti conceputi in vederlo sì savio ed amato dai popoli, oppure per
mali uffizii fatti contra di lui dai malevoli, fra' quali specialmente
si distinse Matteo Ruffo, nato nella città di Tropea in Calabria, che di
povera fortuna, per la sua abilità, era arrivato sotto l'imperador
Federigo II ai primi gradi della corte, e da lui fu lasciato aio del
figliuolo _Arrigo_ e vicebalio della Sicilia. Era questi nemico
dichiarato di Manfredi. Ma non mancò prudenza a Manfredi per navigare in
mezzo a tanti scogli. Destramente rinunziò a Corrado i contadi di
Gravina, Tricarico e Montescaglioso. Ed ancorchè il re gli sminuisse
anche la giurisdizione nel principato di Taranto, che solo gli restò, e
tuttochè Corrado ordinasse che Galvano e Federigo Lancia, e Bonifazio
d'Anglone, parenti dal lato materno di Manfredi, uscissero del regno,
pure Manfredi non ne mostrò risentimento alcuno, e seguitò con allegria
e fedeltà ad aiutare il re suo fratello in tutte le di lui imprese.
Intanto in Lombardia, cessato il timore di Federigo II, che teneva uniti
in più città gli animi de' cittadini, e succeduta la troppa libertà,
questa cominciò a generar la discordia. Soprattutto in Milano insorsero
gare e dissensioni fra il popolo e i nobili. Nel dì 6 di aprile, sabato
in albis dell'anno presente[3324], nel venire da Como a Milano _fra
Pietro_ da Verona dell'ordine de' Predicatori, inquisitore ed uomo di
santa vita, fu da Carino, sicario degli eretici, in vicinanza di
Barlassina sacrilegamente ucciso, e poi nel seguente anno canonizzato e
posto nel catalogo de' martiri da papa Innocenzo IV. Preso il sicario, e
messo nelle mani di Pietro Avvocato da Como, allora podestà di
Milano[3325], dopo dieci giorni di prigionia, fu lasciato fuggire. Gran
sollevazione per questo sorse in Milano; fu imprigionato il podestà,
dato il sacco al suo palazzo, ed appena potè egli ottenere in grazia la
vita. Allora i nobili proposero di dare il dominio della città a _Leone
de Perego_ arcivescovo. Non solamente si opposero i popolari, ma
suscitarono anzi una lor pretensione: cioè, che non ai soli nobili, ma
anche a quei dell'ordine popolare si conferissero le dignità e i
canonicati della metropolitana. Si venne alla forza; fu cacciato di
città l'arcivescovo, svaligiato il suo palazzo, e maggiormente per
questo crebbe la rissa fra il popolo e la nobiltà. Capo del popolo fu
Martino dalla Torre, e de' nobili Paolo da Soresina. Allora il popolo
chiamò per suo capitano il _marchese Manfredi_ Lancia, che venne con
mille cavalli al suo servigio. Così gli Annali di Milano[3326]. Ma
Galvano Fiamma, differisce fino all'anno 1256 questa perniciosa novità,
e ne tornano a parlare allora gli stessi Annali. _Gregorio da
Montelungo_, legato apostolico[3327], in ricompensa de' tanti servigi da
lui prestati alla Chiesa romana negli anni addietro, promosso al
patriarcato d'Aquileia, nel mese di gennaio andò a prenderne il
possesso. Morì all'incontro in Brescia _Ricciardo_ conte di San
Bonifazio, lasciando dopo di sè un glorioso nome, e un figliuolo
appellato Lodovico, che in prodezza non si lasciò vincere dal padre.
Negli Annali di Verona[3328] la sua morte si fa accaduta nel febbraio
dell'anno susseguente. Senza inorridire non si possono leggere nelle
Storie di Rolandino[3329], del Monaco Padovano e di Parisio da Cereta le
crudeltà praticate in questi tempi dal tiranno _Eccelino_ da Romano
contra de' cittadini di Verona e di Padova. Fecero nell'anno presente i
Parmigiani oste contro il castello di Medesano[3330]; e quantunque
_Oberto marchese_ Pelavicino co' fuorusciti di Parma e coi Cremonesi
accorresse in aiuto degli assediati, tuttavia s'impadronirono di esso
castello, e similmente di quei di Berceto e Miaro. Abbiamo da Matteo
Paris[3331] che i Romani elessero per loro senatore per l'anno vegnente
Brancaleone di Andalò Bolognese, uomo giusto, di gran petto, ma di non
minor rigidezza, il quale ricusò di accettare, se non gli veniva
accordata cotal dignità per tre anni, non ostante lo statuto di Roma.
Nella Vita di papa Innocenzo[3332] vien dipinto Brancaleone per un gran
Ghibellino e nemico del papa. Con questa condizione fu accettato, e ito
poscia a Roma, tenne in esercizio le forche e le mannaie per castigar la
gente troppo sediziosa, ed avvezza a non rispettar le leggi. In
quest'anno poi, secondo il suddetto Paris, oppure nel 1254, secondo
Pietro da Curbio (che sembra meritar in ciò maggior credenza), i Romani,
disgustati della superbia ed insolenza del popolo di Tivoli,
coll'esercito si portarono contro quella città. La presero e diroccarono
con fiero esterminio; e se quei cittadini vollero salvar la vita,
convenne che andassero scalzi e colle corde al collo a chiedere
misericordia in Roma. Per quello nondimeno che vedremo all'anno 1254,
non sussiste questa rovina di Tivoli. Guerra grande fu del pari in
Toscana[3333] tra i Fiorentini, Lucchesi ed Orvietani Guelfi, e i Sanesi
e Pisani Ghibellini. Ebbero gli ultimi una rotta a Montalcino.
NOTE:
[3315] Sigon., de Regn. Ital., lib. 19.
[3316] Nicolaus de Jamsilla, tom. 8 Rer. Ital.
[3317] Chron. Cavense, tom. 7 Rer. Ital.
[3318] Matteo Spinelli, Diario, tom. 7 Rer. Ital.
[3319] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[3320] Petrus de Curbio, Vita Innocent. IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3321] Nicolaus de Jamsilla, Histor.
[3322] Matteo Spinelli, Diario.
[3323] Chron. Cavense.
[3324] Bolland., in Act. Sanct. ad diem 29 april.
[3325] Gualvan. Flamma, in Manip. Flor., cap. 286.
[3326] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[3327] Monachus Patavinus, in Chron., tom. 8 Rer. Italic.
[3328] Paris de Cereta, Annal. Veronens, tom. 8 Rer. Ital.
[3329] Roland., lib. 6, cap. 17 et seq.
[3330] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3331] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3332] Petrus de Curbio, Vit. Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3333] Ricord. Malasp., cap. 152. Chron. Senens., tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCLIII. Indizione XI.
INNOCENZO IV papa 11.
Imperio vacante.
Continuò il _re Corrado_ con gran vigore l'assedio di Napoli, avendo
condotto colà un copioso apparato di quelle macchine[3334], colle quali
si faceva allora guerra alle città e fortezze. E perciocchè v'entravano
di quando in quando dei rinfreschi per mare, sul principio di maggio
serrò ancora quel passo con un possente stuolo di galee, fatto venir di
Sicilia[3335]. Volle ben egli che si desse un generale assalto a quella
città nel dì 25 d'aprile, con promessa di tre paghe a quella nazione che
prima v'entrasse. Ma vi restarono morti da secento Saraceni, e poco men
di Tedeschi; laonde non più si pensò a soggiogar Napoli colla forza, ma
bensì colla fame. Si ridussero infatti que' cittadini[3336] a nutrirsi
ancora co' più vili e laidi cibi; nè più potendo, si renderono infine a
discrezione nel fine di settembre, come ha il Diario dello Spinelli,
oppure nel dì 10 di ottobre, come si legge nella Cronica Cavense. Alcuni
scrivono che a forza di mine fu espugnata quella città, e che, entrato
l'esercito tedesco, vi sparse gran sangue degli abitanti. Lo Spinelli
anch'egli scrive che Corrado _vi fece gran giustizia e grande
uccisione_. È da stupire come Pietro da Curbio e Saba Malaspina,
scrittori pontificii, non parlino di questo macello di gente, che certo
non dovea scappare alla lor penna. Ma ne parla bene Bortolomeo da
Neocastro[3337], autore di questo secolo; e per questo i Napoletani
concepirono un odio implacabile contro la casa di Suevia. La Cronica del
monistero cavense ha solamente, che egli mandò in esilio molti de'
Napoletani ed è fuor di dubbio che fece abbattere e spianare le belle
mura di Napoli e di Capoa, affinchè non venisse più voglia a que' popoli
di ribellarsi. Passò dipoi Corrado a Melfi, e quivi, celebrata la festa
del santo Natale, tenne un parlamento dei baroni del regno. Queste
prosperità di Corrado furono cagione che il pontefice colla sua corte
cominciasse in questo anno una tela nuova in rovina della casa di
Suevia: cioè spedì in Inghilterra[3338] Alberto da Parma, uno de' suoi
familiari, ad offerir la corona di Sicilia a _Riccardo conte_ di
Cornovaglia, fratello di quel _re Arrigo_, e ricco principe. Insorsero
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 4 - 01
- Annali d'Italia, vol. 4 - 02
- Annali d'Italia, vol. 4 - 03
- Annali d'Italia, vol. 4 - 04
- Annali d'Italia, vol. 4 - 05
- Annali d'Italia, vol. 4 - 06
- Annali d'Italia, vol. 4 - 07
- Annali d'Italia, vol. 4 - 08
- Annali d'Italia, vol. 4 - 09
- Annali d'Italia, vol. 4 - 10
- Annali d'Italia, vol. 4 - 11
- Annali d'Italia, vol. 4 - 12
- Annali d'Italia, vol. 4 - 13
- Annali d'Italia, vol. 4 - 14
- Annali d'Italia, vol. 4 - 15
- Annali d'Italia, vol. 4 - 16
- Annali d'Italia, vol. 4 - 17
- Annali d'Italia, vol. 4 - 18
- Annali d'Italia, vol. 4 - 19
- Annali d'Italia, vol. 4 - 20
- Annali d'Italia, vol. 4 - 21
- Annali d'Italia, vol. 4 - 22
- Annali d'Italia, vol. 4 - 23
- Annali d'Italia, vol. 4 - 24
- Annali d'Italia, vol. 4 - 25
- Annali d'Italia, vol. 4 - 26
- Annali d'Italia, vol. 4 - 27
- Annali d'Italia, vol. 4 - 28
- Annali d'Italia, vol. 4 - 29
- Annali d'Italia, vol. 4 - 30
- Annali d'Italia, vol. 4 - 31
- Annali d'Italia, vol. 4 - 32
- Annali d'Italia, vol. 4 - 33
- Annali d'Italia, vol. 4 - 34
- Annali d'Italia, vol. 4 - 35
- Annali d'Italia, vol. 4 - 36
- Annali d'Italia, vol. 4 - 37
- Annali d'Italia, vol. 4 - 38
- Annali d'Italia, vol. 4 - 39
- Annali d'Italia, vol. 4 - 40
- Annali d'Italia, vol. 4 - 41
- Annali d'Italia, vol. 4 - 42
- Annali d'Italia, vol. 4 - 43
- Annali d'Italia, vol. 4 - 44
- Annali d'Italia, vol. 4 - 45
- Annali d'Italia, vol. 4 - 46
- Annali d'Italia, vol. 4 - 47
- Annali d'Italia, vol. 4 - 48
- Annali d'Italia, vol. 4 - 49
- Annali d'Italia, vol. 4 - 50
- Annali d'Italia, vol. 4 - 51
- Annali d'Italia, vol. 4 - 52
- Annali d'Italia, vol. 4 - 53
- Annali d'Italia, vol. 4 - 54
- Annali d'Italia, vol. 4 - 55
- Annali d'Italia, vol. 4 - 56
- Annali d'Italia, vol. 4 - 57
- Annali d'Italia, vol. 4 - 58
- Annali d'Italia, vol. 4 - 59
- Annali d'Italia, vol. 4 - 60
- Annali d'Italia, vol. 4 - 61
- Annali d'Italia, vol. 4 - 62
- Annali d'Italia, vol. 4 - 63
- Annali d'Italia, vol. 4 - 64
- Annali d'Italia, vol. 4 - 65
- Annali d'Italia, vol. 4 - 66
- Annali d'Italia, vol. 4 - 67
- Annali d'Italia, vol. 4 - 68
- Annali d'Italia, vol. 4 - 69
- Annali d'Italia, vol. 4 - 70
- Annali d'Italia, vol. 4 - 71
- Annali d'Italia, vol. 4 - 72
- Annali d'Italia, vol. 4 - 73
- Annali d'Italia, vol. 4 - 74
- Annali d'Italia, vol. 4 - 75
- Annali d'Italia, vol. 4 - 76
- Annali d'Italia, vol. 4 - 77
- Annali d'Italia, vol. 4 - 78
- Annali d'Italia, vol. 4 - 79
- Annali d'Italia, vol. 4 - 80
- Annali d'Italia, vol. 4 - 81
- Annali d'Italia, vol. 4 - 82
- Annali d'Italia, vol. 4 - 83
- Annali d'Italia, vol. 4 - 84
- Annali d'Italia, vol. 4 - 85
- Annali d'Italia, vol. 4 - 86
- Annali d'Italia, vol. 4 - 87
- Annali d'Italia, vol. 4 - 88