Annali d'Italia, vol. 4 - 83

delle castella di Anoale e di Mestre, e vi fece fabbricar dei gironi,
specie di fortezze usate in que' tempi. Le tolse ai Trivisani, a' quali
ancora sul finire dell'anno fu occupato Castelfranco da Guglielmo da
Compo San Piero. Anche dalla città di Reggio[3193], per ordine del re
Enzo, furono cacciati e banditi i Roberti, quei da Fogliano, i Lupisini,
i Bonifazii, quei da Palude, ed altri di fazione guelfa, insieme coi
Parmigiani, che s'erano ritirati in quella città. Vedremo che anche
Tommaso da Fogliano Reggiano era nipote di papa Innocenzo IV. Aggiungono
gli Annali vecchi di Modena[3194] che in Reggio ne' primi giorni
dell'anno vennero all'armi i Guelfi e i Ghibellini, e che nel dì 3 dì
luglio si tornò a combattere; ma entrato Simone de' Manfredi e Marione
de' Bonici con gran gente, ed uniti col popolo, cacciarono fuori i
Roberti e gli altri Guelfi. Parimente da Verona furono forzati ad uscire
quei che vi restavano di fazione guelfa, e questi si ricoverarono a
Bologna. In essi Annali finalmente si legge che anche la città di
Firenze si mosse a rumore, e toccò ai Guelfi di abbandonar la patria:
tutto per opera e maneggio di Federigo. Secondo Ricordano
Malaspina[3195], questa novità di Firenze pare succeduta solamente
nell'anno 1248. Tolomeo da Lucca[3196] di ciò parla all'anno 1247, e va
con lui d'accordo la Cronica di Siena[3197]. Ma è da preferire
Ricordano, del cui parere sono ancora altre storie. L'Ammirato
differisce fino ai 1249 l'uscita de' Guelfi da quella città.
NOTE:
[3180] Petrus de Curbio, Vita Innocent. IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3181] Raynald., in Annal. Eccl.
[3182] Roland., lib. 5, cap. 13.
[3183] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[3184] Matth. Paris, Hist. Anglic.
[3185] Raynaldus, in Annal. Eccl. Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom.
6 Rer. Italic.
[3186] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital. Gualv. Flamm., in Manipul.
Flor.
[3187] Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[3188] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6.
[3189] Gualvan. Flamma, cap. 279.
[3190] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3191] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3192] Roland., lib. 5, cap. 15.
[3193] Memorial. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
[3194] Annal. Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Ital.
[3195] Ricordano Malaspina, Storia Fiorent., cap. 137.
[3196] Ptolom. Lucens., in Annal. brev.
[3197] Chronic. Senense, tom. 15 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCXLVI. Indizione IV.
INNOCENZO IV papa 4.
FEDERIGO II imperadore 27.

Di gran maneggi avea già fatto il pontefice _Innocenzo_ coi principi
della Germania, affinchè si venisse all'elezione d'un nuovo re, senza
neppure avere riguardo a _Corrado_ figliuolo di _Federigo_, che non era
nè scomunicato nè deposto. Alieni da questa risoluzione essendosi
trovati il re di Boemia, i duchi di Baviera, Sassonia, Brunsvich e
Brabante, e i marchesi di Misnia e di Brandeburgo[3198]: ne scrisse loro
il papa lettere efficaci. Tanto innanzi andò l'affare, che finalmente fu
eletto _re Arrigo langravio_ di Turingia dagli arcivescovi di Magonza,
di Colonia e di Treveri, e da alcuni altri principi[3199]: nuova che
sommamente rallegrò il papa per la conceputa speranza che col braccio di
questo principe egli schianterebbe Federigo e tutta la sua casa. Mandò
_Filippo vescovo_ di Ferrara per suo legato in Germania con un buon
rinforzo di danari al re novello, e con ordine di forzar tutti gli
ecclesiastici a riconoscerlo per tale. Scrisse parimente ai principi
secolari, pregandoli ed esortandoli a far lo stesso, con dispensar loro
per questo l'indulgenza plenaria di tutti i loro peccati. Volle inoltre
che i soldati del nuovo re prendessero la croce, e godessero di tutte le
indulgenze ed immunità, come se andassero a militare contro ai Turchi e
agli altri infedeli: il che servì di cattivo esempio per li tempi
susseguenti, con vedersi la religione servire alla politica. Intanto il
re Corrado figliuolo di Federigo, alla cui rovina ancora tendeva tutta
questa novità, raunato un forte esercito, marciò alla volta di
Francoforte per disturbar la dieta che ivi dovea tenere il
langravio[3200]. Venuto alle mani coll'armata del nemico re, ne restò
totalmente disfatto, di maniera che si giudicava come ridotto a
fuggirsene in Italia, se il duca di Baviera non avesse imbracciato lo
scudo per lui. Furono creati nello stesso tempo dal pontefice due
cardinali legati, acciocchè facessero un'armata, e commovessero la
Puglia e Sicilia contra di Federigo[3201]. E perciocchè occorrevano di
grandi spese per sostenere sì strepitosi impegni, s'imposero alle chiese
di Francia, Italia, Inghilterra e d'altri paesi non poche gravezze, per
cagione delle quali uscirono poi molte doglianze degl'Inglesi, riferite
da Matteo Paris[3202], essendo ben probabile che anche gli ecclesiastici
degli altri paesi si lamentassero forte che il loro danaro avesse da
servire in uso tale. Infatti si cominciarono varie congiure contra di
Federigo nella Puglia. Ne erano autori Teobaldo Francesco, Pandolfo
Riccardo, la casa de' conti di San Severino, ed altri non pochi baroni.
Per attestato del Continuatore di Caffaro[3203], la volevano anche
contra la vita d'esso imperadore. Fu in questi tempi, oppure molto più
tardi, come altri vogliono, i quali sembrano più veritieri, che anche
Pietro dalle Vigne, gran cancelliere di Federigo e suo favorito in
addietro, cadde dalla sua grazia. Chi scrisse, perchè trovato che avesse
parte nelle suddette congiure; chi perchè nel concilio di Lione non
articolasse parola in favore del suo padrone; chi perchè lo avesse
voluto avvelenare: del che fu convinto. Dei segreti dei principi ognun
vuol dire la sua. Quel che è certo, Federigo il fece abbacinare, lo
spogliò di tutti i suoi beni, e confinollo in una prigione, dove dicono
che da lì a tre anni egli stesso disperato, con dar della testa nel
muro, si abbreviò le miserie e insieme la vita. Abbiamo da Matteo Paris,
che trovandosi Federigo assediato da tanti turbini da tutte le parti,
ricorse al santo re di Francia _Lodovico IX_, acciocchè s'interponesse
col papa per la concordia, con esibirsi di passare in Terra santa colle
sue forze per ricuperare quel regno, e quivi terminare i suoi giorni,
purchè fosso rimesso in grazia della Chiesa. Lodovico, perchè avea già
presa la croce, voglioso d'impiegar le sue armi in Oriente in pro della
cristianità, parendogli questa un'offerta di sommo rilievo, per poter
unitamente con Federigo promuovere gli interessi di Terra santa, e
perchè conosceva che, durante la discordia fra la Chiesa e l'imperio,
nulla di bene potea sperare in Oriente; cercò di abboccarsi col sommo
pontefice, e l'abboccamento seguì nel monistero di Clugnì. Per quanto si
affaticasse il re a far gustare al papa questa proposizione, nulla potè
mai ottenere, persistendo Innocenzo IV in dire che non si dovea più
fidar di Federigo, principe tante volte provato mancator di parola. Poco
aggustato se ne tornò il re Lodovico alla sua residenza. Del suo ardore
per questa pace ne siamo anche assicurati dal Rinaldi annalista
pontificio.
Oltre a ciò, per dar animo ai ribelli di Puglia, si fece correr voce che
Federigo era morto in Toscana; ma Federigo, accorso colà, dissipò non
solamente questa diceria, ma eziandio i sollevati colla prigionia
d'alcuni; contra de' quali poscia, e contra de' parenti, e infine contra
chiunque fu o provato o sospettato complice egli poscia con atrocissimi
tormenti infierì. In una sua lettera scritta al re di Inghilterra nel dì
15 d'aprile del presente anno, parla egli de' congiurati depressi, con
aggiugnere[3204] che nel dì ultimo di marzo essendo venuto il cardinal
Rinieri col popolo di Perugia e d'Assisi per assalire Marino da Ebolo
suo capitano nel ducato di Spoleti, questi gli avea data una rotta; e
che, oltre agli uccisi, da cinque mila n'erano restati prigionieri. C'è
licenza di credere molto meno. Negli Annali vecchi di Modena si leggono
queste parole:_ Eodem anno 1246 Perusini conflicti fuerunt a Federico
imperatore_[3205]. Da una lettera poi di Guglielmo da Ocra abbiamo che
Federigo fece in quest'anno pace coi Romani e i Veneziani. Niuna
menzione di ciò s'ha dalla Cronica del Dandolo[3206] da cui bensì
sappiamo che circa questi tempi tornò sotto la signoria di Venezia la
città di Zara. Non parlano le Croniche di fatto alcuno riguardevole
accaduto in quest'anno in Lombardia. Ricavasi solamente da quelle di
Piacenza[3207] che il _re Enzo_ venne colle genti di Parma e Cremona sul
Piacentino ad istanza di Alberto da Fontana, che gli avea promesso di
dargli la città. Seguì ancora un conflitto fra lui e i Piacentini. Colle
mani vote se ne tornò il re Enzo a Cremona. In Parma[3208] i ministri
dell'imperadore occuparono il palazzo e la torre del vescovo, e tutte le
rendite del vescovato, con imporre eziandio delle gravissime taglie e
contribuzioni a tutti i beni della Chiesa: mestiere nello stesso tempo
praticato da Federigo in Puglia, e negli altri paesi posti sotto il suo
giogo. _Obizzo_ e _Corrado_ marchesi Malaspina si dichiararono in
quest'anno per la lega di Lombardia[3209]; ma, secondo l'uso de'
marchesi di quelle parti, Corrado da lì a non poco tornò ad abbracciar
il partito di Federigo. Prosperarono in quest'anno gli affari di
_Eccelino_ da Romano[3210], coll'essere venuti alle sue mani
Castelfranco, Triville e Campreto, castella de' Trivisani. Ebbe anche
per forza il castello di Mussolento. Costui in Verona fece morire i
nobili da Lendenara, e molti altri in Padova per sospetti di congiura,
che si dicea tramata contra di lui. Negli Annali Veronesi[3211], i quali
in questi tempi si trovano mancanti e i confusi, vien riferita una
battaglia accaduta di là dal Mincio fra Eccelino e i Veronesi dall'una
parte, e il _conte Ricciardo_ da San Bonifazio coi Mantovani e
fuorusciti veronesi, ed _Azzo VII_ marchese d'Este coi Ferraresi,
dall'altra. Niuno restò vincitore, ma molti furono i morti e prigioni, e
non pochi cavalli pel troppo caldo vi rimasero soffocati. A qual anno
appartenga tal combattimento nol so dire: probabilmente all'anno
seguente, come osservò il Sigonio.
NOTE:
[3198] Raynald., in Annal. Eccles.
[3199] Albert. Stadens., in Chron.
[3200] Monach. Patavin., in Chron., tom. 8 Rer. Ital.
[3201] Raynald., in Annal. Eccl.
[3202] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3203] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[3204] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3205] Annales Veteres Mutinenses, tom, 11 Rer. Ital.
[3206] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[3207] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3208] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3209] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6. tom. 6, Rer. Ital.
[3210] Roland., lib. 3, cap. 16.
[3211] Paris de Cereta, Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCXLVII. Indizione V.
INNOCENZO IV papa 5
FEDERIGO II imperadore 28.

Non so io qual fede meriti Matteo Paris in un fatto, di cui non
apparisce vestigio presso gli storici tedeschi, benchè, per vero dire,
la Germania non ha in questi tempi storico alcuno che ci dia sicuro lume
dei suoi avvenimenti. Scrive egli adunque[3212], che mentre l'eletto _re
Arrigo_ langravio di Turingia si disponeva per ricevere solennemente la
corona germanica, il _re Corrado_ figliuolo di _Federigo_ con quindici
mila combattenti si mise in agguato, e, venuto a battaglia con lui,
sbaragliò la di lui gente con istrage di moltissimi, e prigionia di
molti più, e colla presa di tutto il tesoro inviatogli dal papa. Per
questo colpo caduto Arrigo in una grave malinconia, s'infermò e diede
fine a' suoi giorni. Scrive il Sigonio[3213] ch'egli _ictu sagittae
saucius fugam arripere coactus, haud ita multo post dolore confectus
interiit_. Avrà egli presa tale notizia da Tritemio[3214], o dal
Nauclero, che scrivono ciò succeduto nell'assedio d'Ulma. Gli altri
storici dicono che esso re Arrigo morì nel suo letto cristianamente per
disenteria. Quante ciarle mai si saranno fatte per tal morte in tempi sì
sconvolti, tempi sì pieni di bugie, di falsi giudizii e di
strabocchevoli passioni, interpretando ognuno a suo talento i naturali
avvenimenti delle cose, come ancora si dovette fare a' tempi di papa
Gregorio VII per simili avvenimenti. Non si perdè d'animo per questo il
pontefice Innocenzo, ma, spedito in Germania il _cardinal Pietro_
Capoccio nel dì 4 d'ottobre dell'anno presente[3215], fece eleggere re
di Germania _Guglielmo conte_ d'Olanda, giovane prode e generoso in età
di circa venti anni, il qual poi essendosi colla forza impadronito di
Aquisgrana nell'anno seguente, quivi nella festa d'Ognisanti fu
solennemente coronato da _Guglielmo cardinale_ vescovo sabinense. Gli
mandò tosto il papa un rinforzo di trenta mila marche d'argento, che
felicemente arrivò alle di lui mani. Ma non ebbe già questa felicità la
spedizione di quattordici altre mila marche d'argento, che il papa,
stando tuttavia in Lione avea consegnato ad _Ottaviano cardinale_ di
Santa Maria in Via lata, insieme con un corpo di soldatesche per
soccorso dei Milanesi e degli altri collegati di Lombardia. Il
Continuatore di Caffaro scrive[3216] che erano mille e cinquecento
cavalli che il papa avea fatto assoldare in Lione. _Amedeo conte di
Savoia_[3217], perchè amico di Federigo, benchè si mostrasse parziale
del papa, trovò tante scuse, che il cardinale per quasi tre mesi fu
costretto a fermarsi e a consumare il danaro nel soldo di quegli armati,
i quali in fine licenziati se ne tornarono alle lor case; ed egli, se
volle passar in Italia, dovette colla sola sua famiglia guadagnarsi il
transito per vie inospite e dirupate. Quetati i rumori della Puglia,
venne in quest'anno Federigo a Pisa, e di là in Lombardia, senza
commettere ostilità veruna. Portossi dipoi a Torino, se crediamo a
Matteo Paris, per andare alla volta di Lione _cum innumerabili
exercitu_, con timore de' buoni ch'egli pensasse a far qualche brutto
scherzo al papa e ai cardinali soggiornanti in quella città. Ma questo
esercito, ed esercito innumerabile, è una frottola spacciata dal buon
Paris. Particolarità di tanto rilievo non l'avrebbe omessa nella vita di
papa Innocenzo IV Pietro da Curbio, che si trovava allora in Lione.
Altro non dice questo autore, se non che Federigo venne a Torino,_ ubi
cum comite Sabaudiae, et aliis quibusdam baronibus sibi adhaerentibus
nequiter machinans contra summum pontificem, ipsum Lugduni circumvenire
fraudulentissime procurabat_. Profittò di questa congiuntura il conte di
Savoia per farsi consegnare da Federigo il castello di Rivoli. Secondo
il suddetto autore, si teneva in Lione che Federigo fosse venuto per
ingannar con qualche frode, e non già per opprimere colla forza
dell'armi il pontefice. Per lo contrario, Federigo in una lettera,
rapportata dallo annalista Rinaldi scrisse che la risoluzione da lui
presa di portarsi a Lione gli era venuta da Dio, affine di terminar le
discordie, e giustificarsi appresso il papa e i Franzesi, per quanto io
vo credendo, dell'imputazione datagli d'essere un eretico e miscredente.
Se fosse vera o finta questa sua intenzione, non saprei dirlo io: ben so
che non sarebbe mai convenuta a lui una protesta sì fatta, quando egli
avesse condotto seco un esercito smisurato, capace di accusarlo presso
d'ognuno, non già di pacifici, ma bensì di perniciosi disegni. Così
dall'Annalista di Genova impariamo ch'egli venne in Lombardia mansueto
come un agnello, e diceva di voler ubbidire agli ordini del papa, e dar
pace al mondo; e ciò ad istanza del re di Francia. Comunque sia, eccoti
disturbati i di lui o buoni o perversi disegni dall'avviso d'una novità,
che il fece smaniar per la collera, e tornare ben tosto indietro.
I parenti di papa Innocenzo scacciati da Parma[3218], cioè i Rossi, i
Correggeschi, i Lupi ed altri, tenendo buona intelligenza in quella
città, nel dì 16 di giugno, giorno di domenica, con grosso corpo
d'armati vennero alla volta di Parma. Arrigo Testa da Arezzo, che quivi
era podestà per l'imperadore, ciò presentito, andò loro incontro fino al
fiume Taro colla milizia di Parma, e venne con loro a battaglia. O così
portasse la fortuna dell'armi, oppure perchè il popolo di Parma facesse
due diverse figure, restò egli morto in quell'azione, i suoi sbandati se
ne tornarono alla città, dove entrarono anche i nobili fuorusciti col
seguito loro. Gherardo da Correggio a voce di popolo fu immantinente
proclamato podestà, furono prese le torri e il palazzo del comune, con
iscacciarne gli uffiziali e soldati dell'imperadore. Trovavasi allora il
re Enzo all'assedio di Quinzano, castello de' Bresciani[3219]. Appena
ebbe intesa questa nuova, che, senza perdere un momento di tempo, venne
coll'armata sua a portarsi alle rive del Taro, per impedire i soccorsi a
Parma. Non per questo rimasero i Milanesi di spedirvi mille uomini
d'armi, ciascuno de' quali, secondo gli Annali di Milano[3220], avea
quattro cavalli. Secento ancora (forse _ducento_, secondo la Cronica di
Piacenza) ne mandarono i Piacentini[3221]. Fu condotta questa brigata
per la montagna da Gregorio di Montelungo legato apostolico, e da
Bernardo figliuolo d'Orlando Rosso, e felicemente arrivò in Parma con
somma consolazione di quel popolo. Essendo volata anche a Torino questa
novità, Federigo, ben conoscente delle conseguenze che seco portava,
perchè a lui tagliava la comunicazione con Reggio e Modena, città a lui
fedeli, e colla Toscana, precipitosamente venne alla volta di Parma, e
in vicinanza d'essa cominciò a trincierarsi. Attesero anche i Parmigiani
a far fossi, e a fabbricar palancati e bitifredi per lor difesa. Ordinò
Federigo al comune di Reggio di far prigioni quanti Parmigiani si
trovavano in quella città; e fu ubbidito. Un pari comandamento andò a
Modena, e quivi fu presa la cinquantina de' cavalieri di Parma, già
venuta in soccorso di Modena, acciocchè i Bolognesi non impedissero il
raccolto de' grani; e tutti inoltre gli scolari di Parma, che erano allo
studio delle leggi in Modena, città anche allora provveduta di buoni
lettori per la lor gara col popolo di Bologna. Furono tutti condotti a
Federigo, ed incarcerati. Fu anche sconfitta dal re Enzo la cavalleria
di Parma verso Montecchio, con restarvi molti di essi prigioni. Tra
questi ed altri presi in diversi luoghi, ebbe Federigo da mille prigioni
parmigiani, de' quali barbaramente cominciò a farne morir quattro in un
giorno in faccia alla città, e due nel dì seguente; ed era per seguitar
questa barbarie, se il popolo di Pavia mosso a compassione non avesse
chiesta in dono la loro vita, facendogli conoscere che la loro morte
nulla serviva a prendere la città, e solamente potea rendere lui odioso
a tutto il mondo. Il solo Colorno si tenne saldo in quelle congiunture;
tutto il resto del distretto ebbe il guasto, e venne in potere di
Federigo, il quale a quell'assedio avea ben dieci mila cavalli, e una
quantità innumerabile di fanteria di varie città, con alcune migliaia di
Saraceni balestrieri. Distruggevano costoro tutte le case, e ne
asportavano al campo imperiale tutti i mattoni e i coppi, co' quali,
d'ordine di Federigo, si andò fabbricando una città verso l'occidente in
faccia a Parma, con fosse, steccati, bitifredi, baltresche, ponti
levatori e mulini. Le fu posto il nome di Vittoria, per far buon augurio
all'imperadore, risoluto di non muoversi di là senza aver presa la
nemica città. Della nuova sua fece egli il disegno[3222], dopo aver
fatto prendere da' suoi strologhi l'ascendente più favorevole; e fu da
essi ben servito, siccome vedremo.
L'assedio di Parma commosse ben tosto al soccorso i circonvicini
collegati della Chiesa. _Ricciardo conte_ di San Bonifazio v'entrò con
una squadra d'armati. I Mantovani si scagliarono addosso ai Cremonesi,
saccheggiando e bruciando tutto sino a Casalmaggiore. _Azzo VII_
marchese d'Este coi Ferraresi, i fuorusciti di Reggio, Bianchino da
Camino, e infin Alberico da Romano, fratello di Eccelino, con una mano
di Trivisani, accorsero all'aiuto dell'assediata città. Anche i Genovesi
v'inviarono quattrocento cinquanta balestrieri, e trecento i conti di
Lavagna nipoti del papa. Fece all'incontro Federigo venire alla sua
armata _Eccelino_ da Romano co' Padovani, Vicentini e Veronesi. Allorchè
egli giunse alla villa di Gazoldo, passando pel Mantovano, il marchese
d'Este coi Mantovani nel mese di giugno assalitolo, diedero una
spelazzata alla sua gente, e massimamente ai Veronesi, che aveano la
retroguardia. Fu anche spedito dal papa il _cardinale Ottaviano_ degli
Ubaldini, il quale coi Milanesi, Bresciani, Mantovani, Veneziani e
Ferraresi si accampò nella Tagliata di Parma. Cresceva intanto ogni dì
più la fame in Parma per la mancanza de' viveri. Fecero i Mantovani e
Ferraresi venire una gran copia di barche per Po; e perciocchè al loro
passaggio si opponeva un ponte fabbricato dal re Enzo su quel fiume, i
collegati della Chiesa lo sforzarono e vinsero[3223]: dopo di che
introdussero animosamente in Parma una gran quantità di frumento,
melica, spelta, orzo, sale ed altre vettovaglie, delle quali abbisognava
l'afflitta città. Non istettero oziosi in questo tempo i Bolognesi,
profittando della lontananza de' Modenesi, iti al campo imperiale[3224].
Oltre all'aver anch'essi inviato all'armata della Chiesa in difesa di
Parma mille e quattrocento soldati, a tradimento, cioè per via di
danari, tolsero nel mese di luglio ai Modenesi[3225] il castello di
Bazzano. Diversamente scrive il Sigonio[3226], che quel popolo si
arrendè a patti di buona guerra. In aiuto de' Modenesi accorse allora
Eccelino da Romano; e però andarono ad accamparsi vicino a Bazzano a
fronte del campo bolognese, con aspettar anche un rinforzo d'uomini
d'armi dal re Enzo. Vennero poscia alle mani coi Bolognesi nel dì 23 di
luglio, e vi fu molta perdita di gente dall'una parte e dall'altra,
colla peggio nondimeno del campo bolognese. Ancor qui il Sigonio
discorda dai nostri Annali. Contuttociò essi Bolognesi s'impadronirono
dipoi anche di Montalto, di Savignano, e d'altri luoghi del Modenese.
Jacopino, e Guglielmo suo nipote, de' Rangoni da Modena, erano dianzi
passati al servigio del re Enzo con venticinque uomini d'armi. Senza
licenza dell'imperadore si partirono dall'assedio di Parma, e però
furono banditi da Modena con tutta la fazione guelfa, appellata degli
Aigoni. Loro diedero i Bolognesi il castello di Savignano da abitare. In
quest'anno i popoli della Lunigiana e Garfagnana si ribellarono
all'imperadore[3227], ed imprigionarono il di lui vicario nel castello
di Groppo San Pietro. Allora Obizzo marchese Malaspina ricuperò le sue
terre di Lunigiana. Vennero anche alla divozion de' Genovesi molte
terre, che dianzi si erano rivoltate, ma non già Savona, città ostinata
nella sua ribellione. Presero essi Genovesi una galea di Federigo
vegnente in Puglia, che conduceva tre nobili milanesi della casa
Pietrasanta, destinati da esso imperadore a far cambio con dei prigioni
bergamaschi detenuti in Milano. Fecero in essa galea prigioni ducento
uomini con Rubaconte, uno de' principali bergamaschi. Per attestato di
Matteo Paris[3228], in quest'anno l'imperador Federigo diede una sua
figlia per moglie a _Tommaso_ della casa di Savoia, già conte di
Fiandra, fratello di Amedeo IV, conte di Savoia, di Guglielmo
arcivescovo di Cantorberì, e d'altri degni personaggi di quella
nobilissima casa. Gli assegnò in dote Torino e Vercelli colle adiacenze,
affinchè impedisse il passo al papa e agli aderenti di lui per quelle.
Questo matrimonio è negato dal Guichenon[3229], e non senza ragione,
perchè lo stesso Paris afferma che il papa nel 1251 maritò con lui una
sua nipote. Chi sa che non si trovasse qualche fondamento allora per
disciogliere il matrimonio contratto con una figliuola d'un imperadore
scomunicato e morto? Intanto questo patto di Matteo Paris viene a
mettere in dubbio il dirsi dal suddetto Guichenone, che la città di
Torino nel 1245 riconobbe per suo signore Amedeo conte di Savoia.
NOTE:
[3212] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3213] Sigonius, de Regno Ital., lib. 18.
[3214] Trithemius, Annal. Hirsang.
[3215] Raynaldus, in Annal. Ecclesiast. Albertus Stadens., in Chron.
Petrus de Curbio, Vita Innocentii IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[3216] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[3217] Matth. Paris. Hist. Angl., Petrus de Curbio, in Vita Innocentii
IV, cap. 23.
[3218] Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.
[3219] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[3220] Annales Mediol., tom. 16 Rer. Ital.
[3221] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3222] Rolandinus, lib. 5, cap. 21.
[3223] Annales Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3224] Chron. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital.
[3225] Annales Veter. Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[3226] Sigonius, de Regno Ital., lib. 18.
[3227] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Italic.
[3228] Matth. Paris, Hist. Angl.
[3229] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.


Anno di CRISTO MCCXLVIII. Indizione VI.
INNOCENZO IV papa 6.
FEDERIGO II imperadore 29.

Memorabile fu quest'anno per la gloriosa liberazion di Parma. Avea la
rigida stagion del verno fatto ritirare ai quartieri buona parte degli
eserciti pontificio e cesareo, esistenti sotto Parma[3230], Federigo
nondimeno stette costante all'assedio nella sua città di Vittoria. Nel
gennaio dell'anno presente la cavalleria de' Parmigiani a Collecchio
restò sconfitta dai fuorusciti di Parma. Perchè restò preso nella zuffa
Bernardo de' Rossi, fu poscia da essi iniquamente ucciso, ma ne fecero
lo stesso dì un'esecranda vendetta i Parmigiani col dar morte a quattro
de' più nobili della fazione imperiale. Ebbero essi un'altra
disavventura. Erano venuti i Mantovani con sette grosse navi
incastellate su per Po, per vietare a' Cremonesi la fabbrica d'un ponte
su quel fiume. Passarono al dispetto de' Cremonesi; ma venuto loro
addosso il re Enzo, abbandonarono quelle navi, e si diedero alla fuga,
restandovi molti d'essi prigioni. Federigo, gran vantatore delle cose
prospere, e solito ad impicciolir le contrarie (costume nondimeno
familiare di tutti i tempi), in una sua lettera[3231] scrisse che erano
state prese cento navi tra grandi e picciole in questa occasione. Tali
perdite furono in breve ben compensate. Passata la metà di febbraio in
un giorno di martedì, cioè nel dì 18 di quel mese, per quanto io vo
conghietturando (la Cronica di Reggio[3232] dice _XII exeunte februario_
che in quell'anno bissestile vien ad essere il dì 18), un soldato
milanese, secondochè vien raccontato da Rolandino[3233], per nome
Basalupo, persuase al legato pontificio Gregorio da Montelungo, a
Filippo Visdomini Piacentino podestà di Parma, e agli altri baroni
difensori di Parma, che s'avea da assalire la città Vittoria
dell'imperadore, avendo egli osservato che ne era molto sminuita la
guarnigione, e che Federigo ogni dì di buon tempo ne usciva per
sollazzarsi alla caccia del falcone, suo favorito esercizio[3234]. Fu
risoluta l'impresa, ed uscito l'esercito collegato andò vigorosamente a
dar l'assalto alla nemica città. Se ne stavano sbadigliando
gl'imperiali, non mai imaginandosi una tal visita; e quantunque fossero
superiori di numero e ben fortificati, pure talmente s'invilirono, che
dopo qualche contrasto presero la fuga. Entrati i vittoriosi pontificii,
fecero man bassa contra dei Pugliesi, e principalmente contra de'
Saraceni; a moltissimi de' Lombardi diedero quartiere. Vi restò fra gli
altri ucciso Taddeo da Sessa, quello stesso che nel concilio avea fatto
da avvocato di Federigo. Lasciovvi anche la vita il marchese Lancia. Il
tesoro trovato nella camera imperiale in danaro, gioielli, vasi d'oro,
d'argento, corone, ed altre cose preziose, fu inestimabile. Circa
duemila si contarono di uccisi, più di tremila furono i prigioni. Preso
anche il carroccio de' Cremonesi tenuto per gioia di gran prezzo,
trionfalmente fu condotto a Parma. Berta era il nome d'esso carroccio.
Federigo, che si trovava alla caccia tre miglia lungi di là,
ragguagliato del fatto, senza pensarvi molto, spronò coi suoi alla volta