Annali d'Italia, vol. 4 - 79
Montechiaro con tutte le lor forze, e furono quasi sull'orlo di
affrontarsi coll'esercito nemico di Federigo, ma infine giudicarono
meglio di star sulla difesa, che di azzardarsi alle offese[3037]. Che
Federigo venisse anche a Parma, s'ha dagli Annali vecchi di Modena. Era
per questo anno stato eletto podestà e rettore di Vicenza _Azzo VII_
marchese d'Este, il più appassionato di tutti per la parte guelfa e per
la lega di Lombardia[3038]. Mandò egli un bando che niuno osasse di
nominar l'imperadore, ed avendo esso Augusto inviati a Vicenza i suoi
messi con lettere, nè quelli nè queste volle ricevere. Avea il marchese,
prima che calasse Federigo in Italia, tentato col conte di San Bonifazio
di scacciar da Verona la parte di Eccelino; ma costui più accorto di
lui, siccome già accennai, prevenne il colpo, e spinse fuori di Verona
il conte coi suoi parziali. Ciò saputosi in Padova, Vicenza e Trivigi,
que' popoli in armi diedero un terribil guasto alle terre e ville di
Eccelino. Ora mentre l'imperadore dimorava in Cremona, minacciando i
Milanesi e Piacentini, non vollero star colle mani alla cintola il
marchese d'Este, i Padovani, Trivisani e Vicentini. Col maggior loro
sforzo, nel dì 3 di ottobre, che Rolandino[3039] osservò essere stato
giorno egiziaco, cioè di mal augurio, si portarono all'assedio di
Rivalta, castello dei Veronesi, con fare nello stesso tempo delle
scorrerie nel distretto di Verona, e guastare il paese[3040]. Eccelino
uscì in campagna con quella gente che potè raunare, e per quindici dì si
fermò nella villa della Tomba dall'altra parte dell'Adige, osservando i
nemici che poco profitto faceano sotto Rivalta, valorosamente difesa da
quel presidio. Tuttavia, veggendo il pericolo del castello, e crescer il
guasto del Veronese, scrisse all'imperador caldamente dimandando
soccorso. Allora Federigo, montato a cavallo, mosse la sua cavalleria
con una marcia sì sforzata, che in un dì e in una notte arrivò da
Cremona sin vicino al castello di San Bonifazio. Dato ivi un poco di
rinfresco alla gente e ai cavalli, sollecitamente continuò il suo
viaggio. L'avviso dell'improvvisa ed inaspettata venuta dell'imperadore
mise tale spavento negli assediatori di Rivalta, che se ne ritirarono in
fretta, con lasciar ivi parte delle tende e dell'equipaggio, e le
macchine da guerra. Lo esercito imperiale venendo per la più corta,
prima che arrivasse quel di Padova, giunse alle porte di Vicenza. Non
avendo voluto rendersi i Vicentini alla chiamata dell'imperadore, con
tal furore, e verisimilmente coll'aiuto di qualche traditore, la sua
gente co' Veronesi venne all'assalto: entrati per le mura, ed aperta una
porta, diedero immantinente un orrido sacco alla misera città,
commettendo, senza perdonare a sesso o grado, tutte quelle crudeltà ed
iniquità che in tali occasioni si possono facilmente immaginare.
Entrarono in Vicenza gli imperiali nella notte avanti la festa
dell'Ognisanti, e tutto il dì seguente si sfogò la lor rabbia, avarizia
e libidine nell'infelice città, a cui in fine diedero fuoco.
Considerando poi Federigo che male era anche per li suoi interessi il
perdere la popolazione di così nobil città, da lì a pochi giorni perdonò
a tutti, rilasciò ad ognuno il possesso de' loro stabili, con ordinare
ad Eccelino e al conte Gaboardo di Suevia, suo capitan generale, di
trattar bene il popolo di Vicenza. Risoluta la sua partenza, racconta
Antonio Godio[3041] che Federigo, il qual sempre seco menava una mano di
strologhi, e nulla facea senza il loro consiglio, diede ad indovinare ad
uno d'essi, per qual porta egli uscirebbe la seguente mane. Il furbo
strologo scrisse un biglietto, e sigillatolo pregò l'imperadore di non
aprirlo, se non dappoichè fosse uscito di città. La notte Federigo fece
rompere un pezzo del muro della città, e per quella breccia uscì dipoi.
Aperto il biglietto, vi trovò queste parole: _Il re uscirà per porta
nuova_. Non ci volle di più, perchè Federigo da lì innanzi si tenesse
ben caro questo grande indovino. Passò poi coi suoi armati esso
Augusto[3042] sul Padovano, facendo grave danno dovunque passava;
distrusse la terra di Carturio; ed arrivato sul Trevisano, si fermò
alquanti dì al luogo di Fontanella, sperando che Trivigi se gli
rendesse. Ma dentro v'era per podestà Pietro Tiepolo, nobile veneziano,
personaggio molto savio, che tenne in concordia il popolo, e
massimamente perchè i Padovani aveano inviati dugento cavalieri in aiuto
di quella città. Perciò defraudato delle sue speranze Federigo, dopo
aver licenziato Eccelino, e lasciata a lui e al conte Gaboardo la
maggior parte delle sue truppe, e la custodia di Verona e Vicenza,
seguitò frettolosamente il suo viaggio alla volta della Germania, o
perchè dubitava che vi si tramasse qualche congiura, di cui sempre
incolpava il papa, oppure unicamente per atterrare il duca d'Austria,
contra di cui fumava di sdegno. Nella vigilia del santo Natale di
quest'anno[3043] Ricciardo conte di San Bonifazio, che s'era ritirato a
Mantova, con quel popolo segretamente ito a Marcheria, ricuperò quella
terra, con uccidervi molti Cremonesi che vi erano di guarnigione, e
condurre il resto prigione a Mantova. I Padovani intanto, riflettendo
all'incendio che s'andava appressando alla loro città, tuttodì erano in
consiglio per cercarvi riparo, ma senza nulla conchiudere[3044].
Finalmente elessero sedici dei maggiori della città, con dar loro balìa
per prendere quegli spedienti che si credessero più proprii. Fecero
anche venire il marchese d'Este, al quale, perchè veniva considerato per
la maggiore e più nobile persona della marca trivisana, nel pieno
parlamento della città diedero il gonfalone, pregandolo di voler essere
lo scudo della marca in quelle pericolose contingenze. Secondo gli
Annali di Milano[3045], in quest'anno i Pavesi, animati dalla venuta e
dalle forze di Federigo Augusto, mettendosi sotto i piedi il giuramento
di fedeltà prestato ai Milanesi, si dichiararono aderenti
all'imperadore, nè solamente ricusarono di distruggere il ponte di
Ticino, ma uscirono ancora in armi contra dei Milanesi, i quali ben
presto li misero in fuga. Galvano Fiamma e il Corio nulla dicono di
questo. Abbiamo anche da Riccardo da San Germano[3046] che nell'anno
presente Pietro Frangipane in Roma, sostenendo il partito
dell'imperadore contra del papa e contra del senatore, commosse ad una
gran sedizione il popolo di quella città. E intanto moltiplicavano le
querele del pontefice e dell'imperadore, lamentandosi l'uno dell'altro,
come s'ha dagli Annali Ecclesiastici[3047]. Andarono ostilmente in
quest'anno i Faentini ad infestare il territorio di Ravenna fin cinque
miglia presso a quella città[3048]. Contra d'essi uscirono i Ravennati
con rinforzo di gente ricevuto da Rimini, Forlì, e Bertinoro, credendosi
d'ingoiare i nemici; ma ne riportarono una buona rotta, per cui restò
prigioniera la maggior parte de' Forlivesi.
NOTE:
[3028] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3029] Raynald., in Annal. Eccles.
[3030] Cardin. de Aragon., in Vita Gregorii IX.
[3031] Godefrid. Monachus, in Chronico.
[3032] Annales Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3033] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3034] Monac. Patavinus, in Chron.
[3035] Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital. Annal. Veteres
Mutinens., tom. 11 Rer. Ital.
[3036] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[3037] Mattheus Paris, Histor. Angl.
[3038] Gerard. Maurisius, Histor. Rolandinus, lib. 3, cap. 9. Monachus
Patavinus, in Chron. Godius, in Chron.
[3039] Roland., lib. 3, cap. 9.
[3040] Annales Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3041] Antonius Godius, in Chron.
[3042] Roland., lib. 3, cap. 10.
[3043] Gualvan. Flam., in Manip. Flor., cap. 269. Memor. Potest.
Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[3044] Roland., lib. 3, cap. 11.
[3045] Annales Mediol., tom. 16 Rer. Ital.
[3046] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3047] Raynaldus, in Annal. Eccl.
[3048] Annal. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXXXVII. Indizione X.
GREGORIO IX papa 11.
FEDERIGO II imperadore 18.
Gli affanni di papa _Gregorio_ lievi non erano in questi tempi, non
tanto per li danni già inferiti alla Lombardia dall'imperador Federigo,
quanto per li maggiori che si conoscevano imminenti se continuava la
guerra[3049]. Più che mai dunque seguitò a trattar di concordia,
facendone istanze a Federigo, e ordinando alle città collegate d'inviare
a Mantova i loro plenipotenziarii, con isperanza che l'imperadore
darebbe luogo a qualche convenevole aggiustamento[3050]. Spedì esso
Augusto nel gennaio del presente anno alla corte pontificia il gran
mastro dell'ordine teutonico, e Pietro delle Vigne, famoso suo
cancelliere, e, in vece di mostrarsi inclinato ad accordo alcuno,
raccomandava al papa di prestargli aiuto e favore per domare i Lombardi
ribelli e ricettatori degli eretici[3051]. Trovavasi allora Federigo in
gran fasto ed auge di fortuna, perchè avea quasi ridotto agli estremi
_Federigo duca_ d'Austria (principe per altro degno di perdere tutto),
con avergli portate le chiavi i cittadini della nobil città di Vienna.
Gloriavasi pertanto di aver guadagnato all'imperio uno Stato che
fruttava ogni anno sessanta mila marche d'argento, cioè l'Austria e la
Stiria: vanti nondimeno che durarono ben poco, perchè tornato che fu
l'imperadore in Italia, il duca rialzò il capo, e giunse nell'anno
seguente a ricuperar tutto il perduto[3052]. Nella suddetta città di
Vienna fece Federigo eleggere in quest'anno re de' Romani _Corrado_ suo
secondogenito. L'atto d'essa elezione ci è stato conservato da frate
Francesco Pipino dell'ordine de' Predicatori[3053], da cui apparisce che
non per anche ai soli sette elettori era riserbato il diritto
dell'elezione. La città di Padova[3054] in questi tempi, priva di
consiglio e di coraggio, non sapeva a qual partito appigliarsi. I sedici
di Balìa, creati da quel consiglio, si scoprì che teneano segrete
corrispondenze con Eccelino da Romano. Accortosene il podestà, ordinò
bene che andassero a' confini a Venezia; ma eglino, senza passar colà,
si ribellarono al comune di Padova. Nel febbraio venne a quella città
per nuovo podestà Marino Badoero, che inviò tosto dugento cavalieri a
Carturio, perchè corse voce che Eccelino e il conte Gaboardo aveano mira
sopra Monselice[3055]. Non fu falsa la nuova. Arrivò l'armata imperiale
verso il fine di febbraio a Carturio, ed espugnato quel luogo, mise ne'
ferri tutta quella guarnigione (e v'erano ben cento nobili padovani), e
poscia, passata a Monselice, ebbe a man salva quella nobil terra. Allora
fu che Eccelino e il conte Gaboardo fecero venire a Monselice _Azzo VII_
marchese d'Este, per sapere s'egli voleva essere amico o nemico
dell'imperadore. Veggendo il marchese che niun capitale potea più farsi
di Padova, dove ogni di più s'aumentava il disordine, rispose che
sarebbe ai servigi dell'imperadore, purchè niuna angaria s'imponesse
alla sua gente nè a' suoi Stati. Ciò fatto, gl'imperiali conobbero
d'avere oramai in pugno la città di Padova. Nè andò fallita la loro
speranza. Trattarono coi loro corrispondenti padovani, e in fine tra per
la paura dell'armi cesaree, e pel desiderio di riavere i loro prigioni,
fu conchiuso in Padova di pacificamente ammettere gli uffiziali
dell'imperadore. Infatti nel dì 25 di febbraio Eccelino col conte
Gaboardo e con un corpo di truppe imperiali fece l'entrata in Padova, e
fu osservato che quando egli arrivò alla porta, diede un bacio ad essa:
il che dalla gente stolta fu interpretato in bene della città. Ne fu
preso il possesso a nome dell'imperadore: il che inteso dal comune di
Trivigi, si suggettò anche esso alle di lui arme vittoriose. Eccelino
intanto facea lo schivo in Padova, ma niuna determinazione del consiglio
valeva, se non veniva da lui approvata. Ricusò ancora l'uffizio di
podestà, contentandosi di quel che più importava, cioè d'aver ottenuto
da Federigo il vicariato della marca di Trivigi, ossia di Verona. E per
isbrigarsi anche del conte Gaboardo, il consigliò di passare in Germania
a ragguagliar l'imperadore di questi felici avvenimenti, fra' quali non
è da tacere che anche _Salinguerra_ sottomise in questo oppure nel
precedente anno a' voleri dell'imperadore la città di Ferrara[3056]. Nè
stette molto Eccelino a dar principio alla sua memorabil tirannia in
Padova, con richiedere ostaggi e mandar prigioni in Puglia ed altrove
coloro che gli erano sospetti, e ch'egli credeva amici del marchese
d'Este, trovando continuamente pretesti per accusar esso marchese, come
sprezzatore degli ordini dell'imperadore. Poi circa il principio di
luglio coll'esercito de' Padovanie Veronesi andò a mettere l'assedio al
castello di San Bonifazio, dove fece un gran guasto di case coi mangani
e coi trabucchi; ma senza poter far di più, perchè dentro v'era Leonisio
figliuolo del conte Ricciardo, a cui, benchè di tenera età, non mancò il
coraggio per una gagliarda difesa. Intanto i Lombardi s'erano
impadroniti del castello di Peschiera.
Passata la metà d'agosto, arrivò di nuovo in Italia l'imperador
Federigo, e fece incontanente dismettere l'assedio di San
Bonifazio[3057], por attendere a maggiori imprese, e specialmente perchè
cominciò ad intavolarsi un trattato del suddetto conte Ricciardo e de'
Mantovani con esso Augusto. Verso il fine d'agosto egli passò il fiume
Mincio[3058], e si accampò coll'esercito a Goito, avendo seco i
Padovani, Veronesi e Vicentini, due mila cavalli tedeschi e molti
Trentini. Quivi si fermò alquanti giorni per unire gli altri soccorsi
ch'egli aspettava. Fece venir di Puglia sette mila Saraceni arcieri.
Riccardo da San Germano[3059] ne conta dieci mila. I Reggiani e Modenesi
colle lor forze accorsero colà. Lo stesso fecero i Cremonesi
e i Parmigiani coi lor carrocci[3060]. Stando Federigo in
quell'accampamento, a' suoi piedi si presentarono gli ambasciatori di
Mantova, che si offerirono ai di lui servigi col conte Ricciardo da San
Bonifazio. Gli accolse egli con volto allegro, perdonò loro le passate
ingiurie ed offese, e confermò con suo diploma i privilegii e le
consuetudini della loro città. Anche il marchese Azzo Estense comparve
colà, e fu ben ricevuto da Federigo. Vi si portarono i cardinali legati
del papa per avere udienza da lui[3061]. Insuperbito Federigo per
l'acquisto di Mantova, neppur volle ascoltarli, di modo che se ne
tornarono assai scontenti di lui a Roma. Mossa dipoi la poderosa armata,
entrò nel territorio di Brescia, con dare il sacco e il guasto
dappertutto, e nel dì 7 di ottobre intraprese l'assedio della forte e
ricca terra di Montechiaro. L'aveano i Bresciani eletta per lor
antemurale; e però posto ivi un grosso e valoroso presidio, che si
difese finchè potè, ma finalmente nel dì 22 del suddetto mese fece
istanza di capitolare. Restò prigioniera tutta la guarnigione, e fu
inviata a Cremona; ma con grave biasimo di Federigo, perciocchè, per
attestato di Rolandino[3062] e di Jacopo Malvezzi[3063], avea loro
promessa la libertà, se rendevano la terra, e non osservò loro la fede.
Andò tutto l'infelice luogo a ruba, ed appresso fu consegnato alle
fiamme. Nel dì 2 di novembre vennero in potere di Federigo[3064] le
castella di Gambara, Gotolengo, Prà Alboino e Pavone; di queste ancora
fu fatto un falò. Passò dipoi Federigo coll'imperiale armata al castello
di Pontevico con disegno di portarsi di là dal fiume Oglio, ma ritrovò
l'esercito milanese[3065], rinforzato dagli Alessandrini, Vercellini e
Novaresi, accampato nell'opposta riva, e risoluto di contrastargli il
passaggio. In questo mentre i Bolognesi[3066], prevalendosi della
lontananza de' Modenesi che erano iti all'oste dell'imperadore,
occuparono Castel Leone, ossia Castiglione, fabbricato da essi Modenesi
in faccia a Castelfranco, e talmente lo distrussero, che appena oggidì
ne rimane vestigio. Nelle prigioni di Bologna furono condotti tutti i
soldati che quivi si trovarono. Presero anche il ponte di Navicello, e
fecero scorrerie per varie ville del Modenese. Per molti giorni stettero
le due armate dell'imperadore e de' Milanesi separate dal fiume Oglio,
l'una l'altra guardandosi[3067]. Ma o sia che per le pioggie e per gli
disagi della stagione i Milanesi fossero forzati a decampare; oppure che
prestassero fede ad una voce fatta spargere da Federigo, cioè che
tornasse indietro l'esercito cesareo, e veramente alcuni degli
ausiliarii erano stati licenziati dal campo; certo è ch'essi Milanesi si
misero in viaggio per tornarsene a casa. A questo avviso Federigo ebbe
maniera di passare il fiume colle sue milizie, e raggiunse nel dì 27 di
novembre a Corte Nuova l'esercito nemico, che con poca disciplina facea
viaggio, nè si aspettava d'avere da combattere[3068]. I primi ad
assalire l'oste milanese furono i Saraceni, ma ne restarono assaissimi
di essi estinti sul campo. Entrato in battaglia il nerbo dell'esercito
cesareo, ne seguì un asprissimo combattimento con grande strage dell'una
e dell'altra parte. Finalmente piegò e prese la fuga il popolo di
Milano; e allora fu che molte migliaia di essi rimasero prigioni.
Vi restò nondimeno da superare il corpo di battaglia che era alla
guardia del carroccio milanese, tutta gioventù forte ed animosa, che,
per quanto sforzo facessero gl'imperiali, tenne saldo il suo posto, e
rispinse sempre i nemici, finchè arrivò la notte che fece fine alla
battaglia. Gran gloria era, come ho già detto di sopra, il prendere il
carroccio ai nemici[3069]. Lo stesso Federigo conduceva anch'egli il
suo, ma sul dorso d'un elefante col gonfalone in mezzo, con quattro
bandiere negli angoli, ed alcuni Saraceni e cristiani ben armati in
esso. Dacchè non era riuscito a Federigo di conquistar quel carro
trionfale de' Milanesi, ansioso pur di questa gran lode, lasciò bensì
riposar nel tempo della notte la gente sua, ma senza che si spogliassero
dell'armatura, per essere pronti la seguente mane ad assalir di nuovo
gli ostinati difensori del carroccio. Trovò poi, fatto giorno, che i
Milanesi s'erano ritirati, lasciando il carroccio spogliato e sfasciato
fra la massa dell'altre carrette, giacchè le strade fangose non aveano
permesso loro di condurlo in salvo. Federigo, principe sommamente
vanaglorioso sparse per tutta Italia ed Oltramonti questa sua insigne
vittoria[3070], in cui, secondo i suoi conti, facili in tali casi ad
essere alterati, e certamente diversi da quei degli storici di Milano e
di Cesena, rimasero circa dieci mila Milanesi tra morti e prigioni. Fra
questi ultimi si contarono moltissimi nobili di Milano, Alessandria,
Novara e Vercelli; e specialmente Pietro Tiepolo, figliuolo del doge di
Venezia, che era allora podestà di Milano. Questi poi con altri nobili
condotto in Puglia, fu, per ordine di Federigo, fatto barbaramente e
pubblicamente impiccare sulla riva del mare[3071]: la quale onta ed
iniquità irritò sì fattamente il popolo di Venezia, che infine si
dichiarò apertamente contra di lui. Inoltre perchè passava ottima
intelligenza tra Federigo e il popolo romano, il quale anche nel
suddetto mese di novembre gli avea spedito degli ambasciatori, mandò
esso imperadore fino a Roma lo sguarnito carroccio preso ai Milanesi
coll'iscrizione in versi riportata da Ricobaldo[3072] e da altri,
acciocchè questo gran trofeo fosse collocato nel più augusto luogo
dell'Italia, cioè nel Campidoglio. E a' dì nostri s'è trovata anche
memoria di questo in Roma, siccome ho io dimostrato altrove[3073]. Passò
dipoi il vittorioso Federigo a Cremona, e di là a Lodi, città che venne
alla sua divozione, ed ivi celebrò il santo Natale. Godifredo
Monaco[3074] scrive che lo solennizzò in Pavia. Varie furono in
quest'anno le vicende di papa Gregorio IX[3075]. Duravano le differenze
d'esso pontefice col senato romano. Creato senatore Giovanni da Poli nel
mese di maggio, insorse una sedizione contro di lui, che maggiormente si
riaccese nel seguente luglio, talmente che fu deposto esso Giovanni, e
sostituito in suo luogo Giovanni di Cencio: per la qual cagione si venne
alle armi, e ne seguì molto sangue. Poscia nell'ottobre, essendo
prevaluta la fazione pontificia contro l'imperiale in Roma, papa
Gregorio fu, dopo lungo tempo di lontananza, richiamato. Con grande
onore si trovò accolto dai Romani; ma siccome nulla v'era di stabile in
tempi sì sconcertati, quando egli si credette in porto, si trovò,
siccome prima, in tempesta, perchè non tardò quel senato a fargli
provare di nuovi disgusti, massimamente col tenere aperta corrispondenza
coll'imperadore[3076]. Si aggiunse che il popolo di Viterbo, dianzi
sostenuto e colmato di favori dal papa, dacchè il vide amicato co'
Romani, cominciò a voltargli le spalle e ad occupare i diritti della
Chiesa. Nè volendo cedere alle ammonizioni, in fine obbligò il pontefice
a fulminar contro di loro le sacre censure. Erano antiche le ragioni
della Chiesa romana sopra la Sardegna. In quest'anno ancora i giudici, o
vogliam dire i regoli di Gallura, di Turri e d'Arborea, cioè di tre
parti di quell'isola, prestarono il giuramento di fedeltà al legato di
papa Gregorio IX: il che è da avvertire per quello che poscia
succedette. Gli atti di questo affare si leggono nelle mie Antichità
Italiane.
NOTE:
[3049] Raynaldus, in Annal. Eccl.
[3050] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3051] Godefridus Monachus, in Chron.
[3052] Chron. Augustan. apud Freherum.
[3053] Pipinus, Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[3054] Roland., lib. 3, cap. 11.
[3055] Gerardus Maurisius, Hist., tom. 8 Rer. Italic.
[3056] Roland., lib. 4, cap. 3.
[3057] Annales Veronens., tom 8 Rer. Ital. Memorial. Potest. Regiens.,
tom. eodem.
[3058] Roland, lib. 4, cap. 4.
[3059] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3060] Annal. Veronens., tono. 8 Rer. Ital. Chron. Placent., tom. 9 Rer.
Ital.
[3061] Richardus de S. Germano, in Chron. Card. de Aragon., in Vita
Gregorii IX, P. I, tom. 3 Rer. Italic.
[3062] Roland., lib. 4, cap. 4.
[3063] Malvec., Chron. Brixian., cap. 125, tom. 14 Rer. Ital.
[3064] Memorial. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
[3065] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Italic.
[3066] Chron. Bononiens. tom. 18 Rer. Ital.
[3067] Annales Mediolanenses, tom. 16 Rer. Ital. Gualv. Flamma, in
Manipul. Flor. Godefridus Monachus, in Chron.
[3068] Matth. Paris., Hist. Anglic.
[3069] Memor. Potest. Regiens.
[3070] Matth. Paris. Richardus de S. Germano, in Chron.
[3071] Annal. Veronenses, tom. 8 Rer. Italic.
[3072] Richobald., in Pomar., tom. 9 Rer. Ital.
[3073] Antiq. Ital., Dissert. XXVI.
[3074] Godefridus Monachus, in Chron.
[3075] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3076] Raynald., in Annal. Eccl.
Anno di CRISTO MCCXXXVIII. Indiz. XI.
GREGORIO IX papa 12.
FEDERIGO II imperadore 19.
O per la festa del Natale dell'anno precedente, o nel gennaio presente,
_Federigo_ imperadore fu in Pavia. Servì la vicinanza sua ad indurre il
popolo di Vercelli a sottomettersi al di lui dominio[3077]. Trovossi
egli in essa città di Vercelli nel dì 11 di febbraio. Venne anche alla
divozione di lui tutto il paese da Pavia sino a Susa, e cominciò a
pagargli tributo. Da tanta prosperità di Federigo mossi i Milanesi, che
oramai restavano coi soli Bresciani, Piacentini e Bolognesi esposti
all'ira di lui[3078], gli spedirono ambasciatori per essere rimessi in
sua grazia, offerendo fedeltà e denaro, e facendo altre esibizioni,
quali si giudicarono più grate a lui. Trovaronlo inesorabile; li voleva
a discrezione, nè volle intendere di condizione alcuna, pieno solo
d'astio e di vendetta, e dimentico affatto della clemenza, una delle
virtù più luminose de' principi saggi. Vedremo bene che Dio seppe
abbassare e confondere quest'orgoglioso principe, nè lasciò impunita
cotanta sua superbia. Il popolo di Milano, udite sì crude risposte, ben
conoscendo di che fosse capace l'animo barbarico di un tale Augusto,
allora determinò di morir piuttosto colla spada alla mano, che di
mettersi nelle forze, cioè nelle prigioni e sotto le mannaie di questo
da lor chiamato tiranno. Inoltre, per attestato di Matteo Paris, cagione
fu questo suo fiero contegno che molti popoli cominciarono a guardarlo
di mal occhio, e a sospirar la sua rovina. Fece dipoi Federigo[3079]
nella primavera una scappata in Germania, per trarre di là in Italia un
buon rinforzo di soldatesche, ed ordinò al _re Corrado_ suo figliuolo di
condurle in persona di qua da' monti. Tornossene di poi a Verona nel
mese d'aprile. Ebbe egli, siccome principe libidinoso e poco timoroso di
Dio, in uso di tener sempre alla maniera turchesca più concubine, senza
curar punto la fede maritale, e però non mancavano a lui bastardi e
bastarde. Una di queste appellata Selvaggia[3080] comparve nel presente
anno nel dì 22 di maggio a Verona con bella comitiva. Per maggiormente
assodare nel suo servigio Eccelino da Romano, sì zelante e profittevol
ministro suo, glie la diede in moglie nel dì della Pentecoste, ed egli
ne celebrò con gran pompa le nozze. Ebbe ancora Federigo fra gli altri
bastardi suoi figliuoli uno, a sè molto caro, che portava il nome
d'_Arrigo_, ma che è già conosciuto nella storia con quello d'_Enzio_.
Gli cercò egli in questo anno buona fortuna, con procurargli in moglie
_Adelasia_, ossia _Adelaide_, erede in Sardegna dei due giudicati, o
vogliam dire principati di Turri e Gallura[3081]. Forse la Sardegna
venne per tali nozze a poco a poco tutta in potere di lui. Fuor di
dubbio è ch'egli ne fu creato re dal padre, il quale unì quel regno
all'imperio, con gravissimi richiami nondimeno della corte romana, che
lo pretendeva suo, sostenendo Federigo in contrario, ch'era di antico
diritto del romano imperio, ed allegando l'obbligo suo di ricuperare il
perduto. Non cessava egli intanto di ammassar gente per l'accesa voglia
di soggiogar Milano e Brescia. Molti ne fece venir di Puglia. Il re
Corrado suo figliuolo nel mese di luglio[3082] arrivò a Verona con molti
principi e un fiorito esercito di Tedeschi. Fino il re d'Inghilterra suo
cognato gl'inviò[3083] cento uomini a cavallo, tutti ben montati e
guerniti, e, quel ch'è più, colla giunta di una gran somma di danaro in
dono. I Reggiani[3084] vi spedirono ducento cavalieri e mille fanti. I
Cremonesi con tutte le lor forze, i Bergamaschi, i Pavesi ed altri
popoli concorsero ad ingrossar la cesarea armata. Era già egli passato a
Goito nel dì 28 di giugno, per quivi far la massa di tutta la
gente[3085]. Determinò poscia col consiglio d'Eccelino, giacchè gli
restavano due ossi duri, cioè Milano e Brescia, di sbrigarsi da quello
che era creduto più facile, cioè da Brescia, per la cui caduta veniva
poi Milano a restar bloccato da tutte le parti. E perciò mosse
l'esercito alla volta di Brescia, saccheggiando e ardendo dovunque
arrivava, e nel dì 3 d'agosto strinse d'assedio quella città.
Fra i popoli d'Italia portarono sempre mai i Bresciani il vanto d'essere
uomini di gran valore e costanza, e questa volta ancora ne diedero un
illustre saggio. Trattavasi dell'ultimo eccidio della lor patria e di sè
stessi; però, dopo aver dianzi ben provveduta la città del bisognevole,
senza far caso d'oste sì sterminata, si accinsero animosamente alla
difesa, risoluti, se così avesse portato il caso, di vendere almeno caro
le loro vite. Fece Federigo mettere in esercizio contra della città
tutte le macchine allora usate per espugnar fortezze, cioè torri di
legno, mangani, manganelle, trabucchi ed altre specie di petriere. Ma di
queste ancora non penuriavano i Bresciani. Per buona ventura aveano essi
colto un ingegnere spagnuolo, uomo di gran perizia in fabbricar macchine
da guerra, che veniva di Alemagna al servigio dell'imperadore. Scoperto
il suo mestiere, ed intimatagli la morte, se non soccorreva esattamente
ai bisogni della città, servì loro di tutto punto. Non ignorando
Federigo l'esecrabil trovato dell'avolo suo Federigo I all'assedio di
Crema, anche egli, fatti venir da Cremona i prigioni bresciani, di mano
in mano lifacea legare davanti alle sue macchine, affinchè gli
assediati, per pietà de' lor cittadini e parenti, non osassero di tirar
contra di quelle per romperle. Non restarono per questo i Bresciani di
affrontarsi coll'esercito nemico di Federigo, ma infine giudicarono
meglio di star sulla difesa, che di azzardarsi alle offese[3037]. Che
Federigo venisse anche a Parma, s'ha dagli Annali vecchi di Modena. Era
per questo anno stato eletto podestà e rettore di Vicenza _Azzo VII_
marchese d'Este, il più appassionato di tutti per la parte guelfa e per
la lega di Lombardia[3038]. Mandò egli un bando che niuno osasse di
nominar l'imperadore, ed avendo esso Augusto inviati a Vicenza i suoi
messi con lettere, nè quelli nè queste volle ricevere. Avea il marchese,
prima che calasse Federigo in Italia, tentato col conte di San Bonifazio
di scacciar da Verona la parte di Eccelino; ma costui più accorto di
lui, siccome già accennai, prevenne il colpo, e spinse fuori di Verona
il conte coi suoi parziali. Ciò saputosi in Padova, Vicenza e Trivigi,
que' popoli in armi diedero un terribil guasto alle terre e ville di
Eccelino. Ora mentre l'imperadore dimorava in Cremona, minacciando i
Milanesi e Piacentini, non vollero star colle mani alla cintola il
marchese d'Este, i Padovani, Trivisani e Vicentini. Col maggior loro
sforzo, nel dì 3 di ottobre, che Rolandino[3039] osservò essere stato
giorno egiziaco, cioè di mal augurio, si portarono all'assedio di
Rivalta, castello dei Veronesi, con fare nello stesso tempo delle
scorrerie nel distretto di Verona, e guastare il paese[3040]. Eccelino
uscì in campagna con quella gente che potè raunare, e per quindici dì si
fermò nella villa della Tomba dall'altra parte dell'Adige, osservando i
nemici che poco profitto faceano sotto Rivalta, valorosamente difesa da
quel presidio. Tuttavia, veggendo il pericolo del castello, e crescer il
guasto del Veronese, scrisse all'imperador caldamente dimandando
soccorso. Allora Federigo, montato a cavallo, mosse la sua cavalleria
con una marcia sì sforzata, che in un dì e in una notte arrivò da
Cremona sin vicino al castello di San Bonifazio. Dato ivi un poco di
rinfresco alla gente e ai cavalli, sollecitamente continuò il suo
viaggio. L'avviso dell'improvvisa ed inaspettata venuta dell'imperadore
mise tale spavento negli assediatori di Rivalta, che se ne ritirarono in
fretta, con lasciar ivi parte delle tende e dell'equipaggio, e le
macchine da guerra. Lo esercito imperiale venendo per la più corta,
prima che arrivasse quel di Padova, giunse alle porte di Vicenza. Non
avendo voluto rendersi i Vicentini alla chiamata dell'imperadore, con
tal furore, e verisimilmente coll'aiuto di qualche traditore, la sua
gente co' Veronesi venne all'assalto: entrati per le mura, ed aperta una
porta, diedero immantinente un orrido sacco alla misera città,
commettendo, senza perdonare a sesso o grado, tutte quelle crudeltà ed
iniquità che in tali occasioni si possono facilmente immaginare.
Entrarono in Vicenza gli imperiali nella notte avanti la festa
dell'Ognisanti, e tutto il dì seguente si sfogò la lor rabbia, avarizia
e libidine nell'infelice città, a cui in fine diedero fuoco.
Considerando poi Federigo che male era anche per li suoi interessi il
perdere la popolazione di così nobil città, da lì a pochi giorni perdonò
a tutti, rilasciò ad ognuno il possesso de' loro stabili, con ordinare
ad Eccelino e al conte Gaboardo di Suevia, suo capitan generale, di
trattar bene il popolo di Vicenza. Risoluta la sua partenza, racconta
Antonio Godio[3041] che Federigo, il qual sempre seco menava una mano di
strologhi, e nulla facea senza il loro consiglio, diede ad indovinare ad
uno d'essi, per qual porta egli uscirebbe la seguente mane. Il furbo
strologo scrisse un biglietto, e sigillatolo pregò l'imperadore di non
aprirlo, se non dappoichè fosse uscito di città. La notte Federigo fece
rompere un pezzo del muro della città, e per quella breccia uscì dipoi.
Aperto il biglietto, vi trovò queste parole: _Il re uscirà per porta
nuova_. Non ci volle di più, perchè Federigo da lì innanzi si tenesse
ben caro questo grande indovino. Passò poi coi suoi armati esso
Augusto[3042] sul Padovano, facendo grave danno dovunque passava;
distrusse la terra di Carturio; ed arrivato sul Trevisano, si fermò
alquanti dì al luogo di Fontanella, sperando che Trivigi se gli
rendesse. Ma dentro v'era per podestà Pietro Tiepolo, nobile veneziano,
personaggio molto savio, che tenne in concordia il popolo, e
massimamente perchè i Padovani aveano inviati dugento cavalieri in aiuto
di quella città. Perciò defraudato delle sue speranze Federigo, dopo
aver licenziato Eccelino, e lasciata a lui e al conte Gaboardo la
maggior parte delle sue truppe, e la custodia di Verona e Vicenza,
seguitò frettolosamente il suo viaggio alla volta della Germania, o
perchè dubitava che vi si tramasse qualche congiura, di cui sempre
incolpava il papa, oppure unicamente per atterrare il duca d'Austria,
contra di cui fumava di sdegno. Nella vigilia del santo Natale di
quest'anno[3043] Ricciardo conte di San Bonifazio, che s'era ritirato a
Mantova, con quel popolo segretamente ito a Marcheria, ricuperò quella
terra, con uccidervi molti Cremonesi che vi erano di guarnigione, e
condurre il resto prigione a Mantova. I Padovani intanto, riflettendo
all'incendio che s'andava appressando alla loro città, tuttodì erano in
consiglio per cercarvi riparo, ma senza nulla conchiudere[3044].
Finalmente elessero sedici dei maggiori della città, con dar loro balìa
per prendere quegli spedienti che si credessero più proprii. Fecero
anche venire il marchese d'Este, al quale, perchè veniva considerato per
la maggiore e più nobile persona della marca trivisana, nel pieno
parlamento della città diedero il gonfalone, pregandolo di voler essere
lo scudo della marca in quelle pericolose contingenze. Secondo gli
Annali di Milano[3045], in quest'anno i Pavesi, animati dalla venuta e
dalle forze di Federigo Augusto, mettendosi sotto i piedi il giuramento
di fedeltà prestato ai Milanesi, si dichiararono aderenti
all'imperadore, nè solamente ricusarono di distruggere il ponte di
Ticino, ma uscirono ancora in armi contra dei Milanesi, i quali ben
presto li misero in fuga. Galvano Fiamma e il Corio nulla dicono di
questo. Abbiamo anche da Riccardo da San Germano[3046] che nell'anno
presente Pietro Frangipane in Roma, sostenendo il partito
dell'imperadore contra del papa e contra del senatore, commosse ad una
gran sedizione il popolo di quella città. E intanto moltiplicavano le
querele del pontefice e dell'imperadore, lamentandosi l'uno dell'altro,
come s'ha dagli Annali Ecclesiastici[3047]. Andarono ostilmente in
quest'anno i Faentini ad infestare il territorio di Ravenna fin cinque
miglia presso a quella città[3048]. Contra d'essi uscirono i Ravennati
con rinforzo di gente ricevuto da Rimini, Forlì, e Bertinoro, credendosi
d'ingoiare i nemici; ma ne riportarono una buona rotta, per cui restò
prigioniera la maggior parte de' Forlivesi.
NOTE:
[3028] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[3029] Raynald., in Annal. Eccles.
[3030] Cardin. de Aragon., in Vita Gregorii IX.
[3031] Godefrid. Monachus, in Chronico.
[3032] Annales Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3033] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3034] Monac. Patavinus, in Chron.
[3035] Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital. Annal. Veteres
Mutinens., tom. 11 Rer. Ital.
[3036] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[3037] Mattheus Paris, Histor. Angl.
[3038] Gerard. Maurisius, Histor. Rolandinus, lib. 3, cap. 9. Monachus
Patavinus, in Chron. Godius, in Chron.
[3039] Roland., lib. 3, cap. 9.
[3040] Annales Veronens., tom. 8 Rer. Ital.
[3041] Antonius Godius, in Chron.
[3042] Roland., lib. 3, cap. 10.
[3043] Gualvan. Flam., in Manip. Flor., cap. 269. Memor. Potest.
Regiens., tom. 8 Rer. Ital.
[3044] Roland., lib. 3, cap. 11.
[3045] Annales Mediol., tom. 16 Rer. Ital.
[3046] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3047] Raynaldus, in Annal. Eccl.
[3048] Annal. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCXXXVII. Indizione X.
GREGORIO IX papa 11.
FEDERIGO II imperadore 18.
Gli affanni di papa _Gregorio_ lievi non erano in questi tempi, non
tanto per li danni già inferiti alla Lombardia dall'imperador Federigo,
quanto per li maggiori che si conoscevano imminenti se continuava la
guerra[3049]. Più che mai dunque seguitò a trattar di concordia,
facendone istanze a Federigo, e ordinando alle città collegate d'inviare
a Mantova i loro plenipotenziarii, con isperanza che l'imperadore
darebbe luogo a qualche convenevole aggiustamento[3050]. Spedì esso
Augusto nel gennaio del presente anno alla corte pontificia il gran
mastro dell'ordine teutonico, e Pietro delle Vigne, famoso suo
cancelliere, e, in vece di mostrarsi inclinato ad accordo alcuno,
raccomandava al papa di prestargli aiuto e favore per domare i Lombardi
ribelli e ricettatori degli eretici[3051]. Trovavasi allora Federigo in
gran fasto ed auge di fortuna, perchè avea quasi ridotto agli estremi
_Federigo duca_ d'Austria (principe per altro degno di perdere tutto),
con avergli portate le chiavi i cittadini della nobil città di Vienna.
Gloriavasi pertanto di aver guadagnato all'imperio uno Stato che
fruttava ogni anno sessanta mila marche d'argento, cioè l'Austria e la
Stiria: vanti nondimeno che durarono ben poco, perchè tornato che fu
l'imperadore in Italia, il duca rialzò il capo, e giunse nell'anno
seguente a ricuperar tutto il perduto[3052]. Nella suddetta città di
Vienna fece Federigo eleggere in quest'anno re de' Romani _Corrado_ suo
secondogenito. L'atto d'essa elezione ci è stato conservato da frate
Francesco Pipino dell'ordine de' Predicatori[3053], da cui apparisce che
non per anche ai soli sette elettori era riserbato il diritto
dell'elezione. La città di Padova[3054] in questi tempi, priva di
consiglio e di coraggio, non sapeva a qual partito appigliarsi. I sedici
di Balìa, creati da quel consiglio, si scoprì che teneano segrete
corrispondenze con Eccelino da Romano. Accortosene il podestà, ordinò
bene che andassero a' confini a Venezia; ma eglino, senza passar colà,
si ribellarono al comune di Padova. Nel febbraio venne a quella città
per nuovo podestà Marino Badoero, che inviò tosto dugento cavalieri a
Carturio, perchè corse voce che Eccelino e il conte Gaboardo aveano mira
sopra Monselice[3055]. Non fu falsa la nuova. Arrivò l'armata imperiale
verso il fine di febbraio a Carturio, ed espugnato quel luogo, mise ne'
ferri tutta quella guarnigione (e v'erano ben cento nobili padovani), e
poscia, passata a Monselice, ebbe a man salva quella nobil terra. Allora
fu che Eccelino e il conte Gaboardo fecero venire a Monselice _Azzo VII_
marchese d'Este, per sapere s'egli voleva essere amico o nemico
dell'imperadore. Veggendo il marchese che niun capitale potea più farsi
di Padova, dove ogni di più s'aumentava il disordine, rispose che
sarebbe ai servigi dell'imperadore, purchè niuna angaria s'imponesse
alla sua gente nè a' suoi Stati. Ciò fatto, gl'imperiali conobbero
d'avere oramai in pugno la città di Padova. Nè andò fallita la loro
speranza. Trattarono coi loro corrispondenti padovani, e in fine tra per
la paura dell'armi cesaree, e pel desiderio di riavere i loro prigioni,
fu conchiuso in Padova di pacificamente ammettere gli uffiziali
dell'imperadore. Infatti nel dì 25 di febbraio Eccelino col conte
Gaboardo e con un corpo di truppe imperiali fece l'entrata in Padova, e
fu osservato che quando egli arrivò alla porta, diede un bacio ad essa:
il che dalla gente stolta fu interpretato in bene della città. Ne fu
preso il possesso a nome dell'imperadore: il che inteso dal comune di
Trivigi, si suggettò anche esso alle di lui arme vittoriose. Eccelino
intanto facea lo schivo in Padova, ma niuna determinazione del consiglio
valeva, se non veniva da lui approvata. Ricusò ancora l'uffizio di
podestà, contentandosi di quel che più importava, cioè d'aver ottenuto
da Federigo il vicariato della marca di Trivigi, ossia di Verona. E per
isbrigarsi anche del conte Gaboardo, il consigliò di passare in Germania
a ragguagliar l'imperadore di questi felici avvenimenti, fra' quali non
è da tacere che anche _Salinguerra_ sottomise in questo oppure nel
precedente anno a' voleri dell'imperadore la città di Ferrara[3056]. Nè
stette molto Eccelino a dar principio alla sua memorabil tirannia in
Padova, con richiedere ostaggi e mandar prigioni in Puglia ed altrove
coloro che gli erano sospetti, e ch'egli credeva amici del marchese
d'Este, trovando continuamente pretesti per accusar esso marchese, come
sprezzatore degli ordini dell'imperadore. Poi circa il principio di
luglio coll'esercito de' Padovanie Veronesi andò a mettere l'assedio al
castello di San Bonifazio, dove fece un gran guasto di case coi mangani
e coi trabucchi; ma senza poter far di più, perchè dentro v'era Leonisio
figliuolo del conte Ricciardo, a cui, benchè di tenera età, non mancò il
coraggio per una gagliarda difesa. Intanto i Lombardi s'erano
impadroniti del castello di Peschiera.
Passata la metà d'agosto, arrivò di nuovo in Italia l'imperador
Federigo, e fece incontanente dismettere l'assedio di San
Bonifazio[3057], por attendere a maggiori imprese, e specialmente perchè
cominciò ad intavolarsi un trattato del suddetto conte Ricciardo e de'
Mantovani con esso Augusto. Verso il fine d'agosto egli passò il fiume
Mincio[3058], e si accampò coll'esercito a Goito, avendo seco i
Padovani, Veronesi e Vicentini, due mila cavalli tedeschi e molti
Trentini. Quivi si fermò alquanti giorni per unire gli altri soccorsi
ch'egli aspettava. Fece venir di Puglia sette mila Saraceni arcieri.
Riccardo da San Germano[3059] ne conta dieci mila. I Reggiani e Modenesi
colle lor forze accorsero colà. Lo stesso fecero i Cremonesi
e i Parmigiani coi lor carrocci[3060]. Stando Federigo in
quell'accampamento, a' suoi piedi si presentarono gli ambasciatori di
Mantova, che si offerirono ai di lui servigi col conte Ricciardo da San
Bonifazio. Gli accolse egli con volto allegro, perdonò loro le passate
ingiurie ed offese, e confermò con suo diploma i privilegii e le
consuetudini della loro città. Anche il marchese Azzo Estense comparve
colà, e fu ben ricevuto da Federigo. Vi si portarono i cardinali legati
del papa per avere udienza da lui[3061]. Insuperbito Federigo per
l'acquisto di Mantova, neppur volle ascoltarli, di modo che se ne
tornarono assai scontenti di lui a Roma. Mossa dipoi la poderosa armata,
entrò nel territorio di Brescia, con dare il sacco e il guasto
dappertutto, e nel dì 7 di ottobre intraprese l'assedio della forte e
ricca terra di Montechiaro. L'aveano i Bresciani eletta per lor
antemurale; e però posto ivi un grosso e valoroso presidio, che si
difese finchè potè, ma finalmente nel dì 22 del suddetto mese fece
istanza di capitolare. Restò prigioniera tutta la guarnigione, e fu
inviata a Cremona; ma con grave biasimo di Federigo, perciocchè, per
attestato di Rolandino[3062] e di Jacopo Malvezzi[3063], avea loro
promessa la libertà, se rendevano la terra, e non osservò loro la fede.
Andò tutto l'infelice luogo a ruba, ed appresso fu consegnato alle
fiamme. Nel dì 2 di novembre vennero in potere di Federigo[3064] le
castella di Gambara, Gotolengo, Prà Alboino e Pavone; di queste ancora
fu fatto un falò. Passò dipoi Federigo coll'imperiale armata al castello
di Pontevico con disegno di portarsi di là dal fiume Oglio, ma ritrovò
l'esercito milanese[3065], rinforzato dagli Alessandrini, Vercellini e
Novaresi, accampato nell'opposta riva, e risoluto di contrastargli il
passaggio. In questo mentre i Bolognesi[3066], prevalendosi della
lontananza de' Modenesi che erano iti all'oste dell'imperadore,
occuparono Castel Leone, ossia Castiglione, fabbricato da essi Modenesi
in faccia a Castelfranco, e talmente lo distrussero, che appena oggidì
ne rimane vestigio. Nelle prigioni di Bologna furono condotti tutti i
soldati che quivi si trovarono. Presero anche il ponte di Navicello, e
fecero scorrerie per varie ville del Modenese. Per molti giorni stettero
le due armate dell'imperadore e de' Milanesi separate dal fiume Oglio,
l'una l'altra guardandosi[3067]. Ma o sia che per le pioggie e per gli
disagi della stagione i Milanesi fossero forzati a decampare; oppure che
prestassero fede ad una voce fatta spargere da Federigo, cioè che
tornasse indietro l'esercito cesareo, e veramente alcuni degli
ausiliarii erano stati licenziati dal campo; certo è ch'essi Milanesi si
misero in viaggio per tornarsene a casa. A questo avviso Federigo ebbe
maniera di passare il fiume colle sue milizie, e raggiunse nel dì 27 di
novembre a Corte Nuova l'esercito nemico, che con poca disciplina facea
viaggio, nè si aspettava d'avere da combattere[3068]. I primi ad
assalire l'oste milanese furono i Saraceni, ma ne restarono assaissimi
di essi estinti sul campo. Entrato in battaglia il nerbo dell'esercito
cesareo, ne seguì un asprissimo combattimento con grande strage dell'una
e dell'altra parte. Finalmente piegò e prese la fuga il popolo di
Milano; e allora fu che molte migliaia di essi rimasero prigioni.
Vi restò nondimeno da superare il corpo di battaglia che era alla
guardia del carroccio milanese, tutta gioventù forte ed animosa, che,
per quanto sforzo facessero gl'imperiali, tenne saldo il suo posto, e
rispinse sempre i nemici, finchè arrivò la notte che fece fine alla
battaglia. Gran gloria era, come ho già detto di sopra, il prendere il
carroccio ai nemici[3069]. Lo stesso Federigo conduceva anch'egli il
suo, ma sul dorso d'un elefante col gonfalone in mezzo, con quattro
bandiere negli angoli, ed alcuni Saraceni e cristiani ben armati in
esso. Dacchè non era riuscito a Federigo di conquistar quel carro
trionfale de' Milanesi, ansioso pur di questa gran lode, lasciò bensì
riposar nel tempo della notte la gente sua, ma senza che si spogliassero
dell'armatura, per essere pronti la seguente mane ad assalir di nuovo
gli ostinati difensori del carroccio. Trovò poi, fatto giorno, che i
Milanesi s'erano ritirati, lasciando il carroccio spogliato e sfasciato
fra la massa dell'altre carrette, giacchè le strade fangose non aveano
permesso loro di condurlo in salvo. Federigo, principe sommamente
vanaglorioso sparse per tutta Italia ed Oltramonti questa sua insigne
vittoria[3070], in cui, secondo i suoi conti, facili in tali casi ad
essere alterati, e certamente diversi da quei degli storici di Milano e
di Cesena, rimasero circa dieci mila Milanesi tra morti e prigioni. Fra
questi ultimi si contarono moltissimi nobili di Milano, Alessandria,
Novara e Vercelli; e specialmente Pietro Tiepolo, figliuolo del doge di
Venezia, che era allora podestà di Milano. Questi poi con altri nobili
condotto in Puglia, fu, per ordine di Federigo, fatto barbaramente e
pubblicamente impiccare sulla riva del mare[3071]: la quale onta ed
iniquità irritò sì fattamente il popolo di Venezia, che infine si
dichiarò apertamente contra di lui. Inoltre perchè passava ottima
intelligenza tra Federigo e il popolo romano, il quale anche nel
suddetto mese di novembre gli avea spedito degli ambasciatori, mandò
esso imperadore fino a Roma lo sguarnito carroccio preso ai Milanesi
coll'iscrizione in versi riportata da Ricobaldo[3072] e da altri,
acciocchè questo gran trofeo fosse collocato nel più augusto luogo
dell'Italia, cioè nel Campidoglio. E a' dì nostri s'è trovata anche
memoria di questo in Roma, siccome ho io dimostrato altrove[3073]. Passò
dipoi il vittorioso Federigo a Cremona, e di là a Lodi, città che venne
alla sua divozione, ed ivi celebrò il santo Natale. Godifredo
Monaco[3074] scrive che lo solennizzò in Pavia. Varie furono in
quest'anno le vicende di papa Gregorio IX[3075]. Duravano le differenze
d'esso pontefice col senato romano. Creato senatore Giovanni da Poli nel
mese di maggio, insorse una sedizione contro di lui, che maggiormente si
riaccese nel seguente luglio, talmente che fu deposto esso Giovanni, e
sostituito in suo luogo Giovanni di Cencio: per la qual cagione si venne
alle armi, e ne seguì molto sangue. Poscia nell'ottobre, essendo
prevaluta la fazione pontificia contro l'imperiale in Roma, papa
Gregorio fu, dopo lungo tempo di lontananza, richiamato. Con grande
onore si trovò accolto dai Romani; ma siccome nulla v'era di stabile in
tempi sì sconcertati, quando egli si credette in porto, si trovò,
siccome prima, in tempesta, perchè non tardò quel senato a fargli
provare di nuovi disgusti, massimamente col tenere aperta corrispondenza
coll'imperadore[3076]. Si aggiunse che il popolo di Viterbo, dianzi
sostenuto e colmato di favori dal papa, dacchè il vide amicato co'
Romani, cominciò a voltargli le spalle e ad occupare i diritti della
Chiesa. Nè volendo cedere alle ammonizioni, in fine obbligò il pontefice
a fulminar contro di loro le sacre censure. Erano antiche le ragioni
della Chiesa romana sopra la Sardegna. In quest'anno ancora i giudici, o
vogliam dire i regoli di Gallura, di Turri e d'Arborea, cioè di tre
parti di quell'isola, prestarono il giuramento di fedeltà al legato di
papa Gregorio IX: il che è da avvertire per quello che poscia
succedette. Gli atti di questo affare si leggono nelle mie Antichità
Italiane.
NOTE:
[3049] Raynaldus, in Annal. Eccl.
[3050] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3051] Godefridus Monachus, in Chron.
[3052] Chron. Augustan. apud Freherum.
[3053] Pipinus, Chron., tom. 9 Rer. Ital.
[3054] Roland., lib. 3, cap. 11.
[3055] Gerardus Maurisius, Hist., tom. 8 Rer. Italic.
[3056] Roland., lib. 4, cap. 3.
[3057] Annales Veronens., tom 8 Rer. Ital. Memorial. Potest. Regiens.,
tom. eodem.
[3058] Roland, lib. 4, cap. 4.
[3059] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3060] Annal. Veronens., tono. 8 Rer. Ital. Chron. Placent., tom. 9 Rer.
Ital.
[3061] Richardus de S. Germano, in Chron. Card. de Aragon., in Vita
Gregorii IX, P. I, tom. 3 Rer. Italic.
[3062] Roland., lib. 4, cap. 4.
[3063] Malvec., Chron. Brixian., cap. 125, tom. 14 Rer. Ital.
[3064] Memorial. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.
[3065] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Italic.
[3066] Chron. Bononiens. tom. 18 Rer. Ital.
[3067] Annales Mediolanenses, tom. 16 Rer. Ital. Gualv. Flamma, in
Manipul. Flor. Godefridus Monachus, in Chron.
[3068] Matth. Paris., Hist. Anglic.
[3069] Memor. Potest. Regiens.
[3070] Matth. Paris. Richardus de S. Germano, in Chron.
[3071] Annal. Veronenses, tom. 8 Rer. Italic.
[3072] Richobald., in Pomar., tom. 9 Rer. Ital.
[3073] Antiq. Ital., Dissert. XXVI.
[3074] Godefridus Monachus, in Chron.
[3075] Richardus de S. Germano, in Chron.
[3076] Raynald., in Annal. Eccl.
Anno di CRISTO MCCXXXVIII. Indiz. XI.
GREGORIO IX papa 12.
FEDERIGO II imperadore 19.
O per la festa del Natale dell'anno precedente, o nel gennaio presente,
_Federigo_ imperadore fu in Pavia. Servì la vicinanza sua ad indurre il
popolo di Vercelli a sottomettersi al di lui dominio[3077]. Trovossi
egli in essa città di Vercelli nel dì 11 di febbraio. Venne anche alla
divozione di lui tutto il paese da Pavia sino a Susa, e cominciò a
pagargli tributo. Da tanta prosperità di Federigo mossi i Milanesi, che
oramai restavano coi soli Bresciani, Piacentini e Bolognesi esposti
all'ira di lui[3078], gli spedirono ambasciatori per essere rimessi in
sua grazia, offerendo fedeltà e denaro, e facendo altre esibizioni,
quali si giudicarono più grate a lui. Trovaronlo inesorabile; li voleva
a discrezione, nè volle intendere di condizione alcuna, pieno solo
d'astio e di vendetta, e dimentico affatto della clemenza, una delle
virtù più luminose de' principi saggi. Vedremo bene che Dio seppe
abbassare e confondere quest'orgoglioso principe, nè lasciò impunita
cotanta sua superbia. Il popolo di Milano, udite sì crude risposte, ben
conoscendo di che fosse capace l'animo barbarico di un tale Augusto,
allora determinò di morir piuttosto colla spada alla mano, che di
mettersi nelle forze, cioè nelle prigioni e sotto le mannaie di questo
da lor chiamato tiranno. Inoltre, per attestato di Matteo Paris, cagione
fu questo suo fiero contegno che molti popoli cominciarono a guardarlo
di mal occhio, e a sospirar la sua rovina. Fece dipoi Federigo[3079]
nella primavera una scappata in Germania, per trarre di là in Italia un
buon rinforzo di soldatesche, ed ordinò al _re Corrado_ suo figliuolo di
condurle in persona di qua da' monti. Tornossene di poi a Verona nel
mese d'aprile. Ebbe egli, siccome principe libidinoso e poco timoroso di
Dio, in uso di tener sempre alla maniera turchesca più concubine, senza
curar punto la fede maritale, e però non mancavano a lui bastardi e
bastarde. Una di queste appellata Selvaggia[3080] comparve nel presente
anno nel dì 22 di maggio a Verona con bella comitiva. Per maggiormente
assodare nel suo servigio Eccelino da Romano, sì zelante e profittevol
ministro suo, glie la diede in moglie nel dì della Pentecoste, ed egli
ne celebrò con gran pompa le nozze. Ebbe ancora Federigo fra gli altri
bastardi suoi figliuoli uno, a sè molto caro, che portava il nome
d'_Arrigo_, ma che è già conosciuto nella storia con quello d'_Enzio_.
Gli cercò egli in questo anno buona fortuna, con procurargli in moglie
_Adelasia_, ossia _Adelaide_, erede in Sardegna dei due giudicati, o
vogliam dire principati di Turri e Gallura[3081]. Forse la Sardegna
venne per tali nozze a poco a poco tutta in potere di lui. Fuor di
dubbio è ch'egli ne fu creato re dal padre, il quale unì quel regno
all'imperio, con gravissimi richiami nondimeno della corte romana, che
lo pretendeva suo, sostenendo Federigo in contrario, ch'era di antico
diritto del romano imperio, ed allegando l'obbligo suo di ricuperare il
perduto. Non cessava egli intanto di ammassar gente per l'accesa voglia
di soggiogar Milano e Brescia. Molti ne fece venir di Puglia. Il re
Corrado suo figliuolo nel mese di luglio[3082] arrivò a Verona con molti
principi e un fiorito esercito di Tedeschi. Fino il re d'Inghilterra suo
cognato gl'inviò[3083] cento uomini a cavallo, tutti ben montati e
guerniti, e, quel ch'è più, colla giunta di una gran somma di danaro in
dono. I Reggiani[3084] vi spedirono ducento cavalieri e mille fanti. I
Cremonesi con tutte le lor forze, i Bergamaschi, i Pavesi ed altri
popoli concorsero ad ingrossar la cesarea armata. Era già egli passato a
Goito nel dì 28 di giugno, per quivi far la massa di tutta la
gente[3085]. Determinò poscia col consiglio d'Eccelino, giacchè gli
restavano due ossi duri, cioè Milano e Brescia, di sbrigarsi da quello
che era creduto più facile, cioè da Brescia, per la cui caduta veniva
poi Milano a restar bloccato da tutte le parti. E perciò mosse
l'esercito alla volta di Brescia, saccheggiando e ardendo dovunque
arrivava, e nel dì 3 d'agosto strinse d'assedio quella città.
Fra i popoli d'Italia portarono sempre mai i Bresciani il vanto d'essere
uomini di gran valore e costanza, e questa volta ancora ne diedero un
illustre saggio. Trattavasi dell'ultimo eccidio della lor patria e di sè
stessi; però, dopo aver dianzi ben provveduta la città del bisognevole,
senza far caso d'oste sì sterminata, si accinsero animosamente alla
difesa, risoluti, se così avesse portato il caso, di vendere almeno caro
le loro vite. Fece Federigo mettere in esercizio contra della città
tutte le macchine allora usate per espugnar fortezze, cioè torri di
legno, mangani, manganelle, trabucchi ed altre specie di petriere. Ma di
queste ancora non penuriavano i Bresciani. Per buona ventura aveano essi
colto un ingegnere spagnuolo, uomo di gran perizia in fabbricar macchine
da guerra, che veniva di Alemagna al servigio dell'imperadore. Scoperto
il suo mestiere, ed intimatagli la morte, se non soccorreva esattamente
ai bisogni della città, servì loro di tutto punto. Non ignorando
Federigo l'esecrabil trovato dell'avolo suo Federigo I all'assedio di
Crema, anche egli, fatti venir da Cremona i prigioni bresciani, di mano
in mano lifacea legare davanti alle sue macchine, affinchè gli
assediati, per pietà de' lor cittadini e parenti, non osassero di tirar
contra di quelle per romperle. Non restarono per questo i Bresciani di
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