Annali d'Italia, vol. 4 - 74

ciò, aspettava assaissimi altri legni da varie parti dell'Italia, capaci
di una altra armata. Spedì ancora suoi uffiziali in Germania per far
gente, e muovere que' principi, ed anche il re d'Ungheria, alla
crociata, offerendo a tutti passaggio e danaro pel suo regno. Insomma
pare ch'egli operasse daddovero fin qui per l'esecuzion delle sue
promesse. Ma si doleva di saper di certo che niun soccorso si potea
sperare dalla Francia ed Inghilterra, ch'erano in guerra fra loro; e
fors'anche ricusavano di accudire alla sacra impresa, che finora era
costata la vita di tante centinaia di migliaia d'uomini, e tanti tesori
ai cristiani, con sì poco frutto in fine della cristianità. Intanto
_Giovanni re_ di Gerusalemme, ito in Ispagna, s'indusse a prendere in
moglie _Berengaria_ sorella del re di Castiglia. Non dovette già piacere
all'Augusto Federigo un tal matrimonio, dacchè per isperanza di
ereditare il di lui regno s'era indotto agli sponsali colla figlia del
medesimo re Giovanni. E fin qui era durata la guerra in Sicilia contra
de' Saraceni ribelli, che, afforzati nelle montagne, mostravano poca
paura dell'armi cristiane. Tuttavia nell'anno presente furono così
stretti, che finalmente la maggior parte d'essi implorò perdono, che ben
volentieri concedette loro l'Augusto Federigo. Ma affinchè non
inquietassero in avvenire la Sicilia, e cessasse ancora il pericolo che
costoro tirassero un dì dall'Africa dei rinforzi della loro setta, prese
Federigo lo spediente di trasportarli in Puglia, lungi dal mare, con dar
loro ad abitare nella provincia di Capitanata la città di Nocera
disabitata, che da lì innanzi fu appellata _Nocera de' Pagani_ a
distinzion d'altre Nocere. Scrive Giovanni Villani[2849] che furono _più
di venti mila Saraceni da arme_ condotti colà: il che mi sembra
esorbitante numero, considerando le lor famiglie che non sarebbono
capite in Nocera. Ebbe anche Federigo la mira, colla fondazion di questa
colonia maomettana, di tenere in briglia i Pugliesi. Col tempo ne fece
doglianza la corte di Roma. Non mancano scrittori che credono succeduto
molti anni dappoi un tal trasporto. Certo è che non finì qui la guerra
coi Saraceni, e ne restò almeno in Sicilia un'altra parte di tuttavia
contumaci[2850]. Federigo si servì di questo pretesto per chiamare in
Sicilia Ruggieri dall'Aquila, Jacopo da San Severino, e il figliuolo del
conte di Tricarico, fingendo di volersene valere contra d'essi Saraceni.
Andarono que' baroni; furono messi in prigione; e sulle lor terre i
regii uffiziali stesero le griffe. Il perchè non viene espresso. Tolse
ancora alla contessa di Molise le sue terre, ed impose delle nuove
gravezze ai popoli. S'egli fosse lodato per questo non occorre ch'io il
dica.
Insorsero in quest'anno ancora delle brighe fra i nobili e popolari di
Piacenza a cagion d'un omicidio[2851]; e di nuovo la nobiltà prese la
risoluzione di ritirarsi fuori di città. Anche in Modena[2852] cominciò
a metter piede la discordia in quest'anno fra i cittadini, e le fazion
furono in armi. L'una d'esse prese la torre maggiore di San Geminiano, e
vi si afforzò: laonde il podestà fece di molte condanne. Scritto è negli
stessi Annali di Modena che _Guglielmo marchese_ di Monferrato con
grande accompagnamento di nobili lombardi andò in _Alemagna_, dove da lì
a due anni mori. In vece di _Alemanniam_, s'ha quivi da scrivere
_Romaniam_. Abbiamo da Benvenuto da San Giorgio[2853] che questo
principe, lasciandosi trasportar dalla voglia di ricuperare il regno di
Tessalia, che era stato da _Teodoro Lascari_ tolto a _Demetrio_ suo
fratello, fece grande ammasso di gente, e specialmente di nobili suoi
amici per quella impresa, ch'egli concepiva molto facile. Ma,
mancandogli il danaro occorrente per tante spese, passò nell'anno
presente in Sicilia affine d'impetrarne dall'imperador Federigo. Ottenne
infatti da lui sette mila marche di argento al peso di Colonia, ciascuna
delle quali pesava mezz'oncia, ma con dargli in pegno la maggior parte
delle sue terre e dei suoi vassalli di Monferrato, tutte e tutti ad un
per uno annoverati nello strumento riferito da esso Benvenuto; il che è
una prodigiosa quantità. Potrebbe sospettarsi errore in quel _sette
mila_, parendo troppo poco rispetto al pegno. Nè solamente impegnò a
Federigo quegli Stati, ma gliene diede il possesso e le rendite da
godersi finchè fosse restituita tutta la somma di esso danaro. Lo
strumento di tale sborso e pegno fu fatto in Catania nel dì 24 di marzo
dell'anno presente. Andò il marchese col fratello Demetrio e con
_Bonifazio_ suo figliuolo a Salonichi, e pare che riavesse quella ricca
città; ma nel seguente anno vi lasciò la vita attossicato, per quanto fu
creduto, dai Greci. Dopo aver perduta quasi tutta la sua armata, suo
figliuolo Bonifazio se ne tornò in Italia, e Demetrio suo zio poco
stette a venirsene anch'egli, cacciato di nuovo dai Greci. Questo
infelice fine ebbe la spedizion del marchese Guglielmo. Come poi
Bonifazio suo figliuolo disimpegnasse le terre suddette non l'ho ben
saputo discernere.
La frode fatta in Ferrara l'anno 1222 da _Salinguerra_ ad _Azzo VII_
marchese d'Este, e la morte di Tisolino da Campo San Piero, che era de'
più cari amici di esso marchese, stavano fitte nel cuore di questo
principe[2854]. Egli perciò nell'anno presente, raunato un buon esercito
dei suoi Stati, e degli amici di Mantova, Padova e Verona, volendone far
vendetta, ritornò all'assedio di Ferrara. Tanto seppe fare e dire con
lettere ed ambasciate affettuose l'astuto Salinguerra, che indusse il
conte Riccardo da San Bonifazio con una certa quantità d'uomini a
cavallo ad entrare in Ferrara, sotto specie di conchiudere un amichevole
accordo. Ma, entrato, fu ben tosto fatto prigione con tutti i suoi, e
però il marchese d'Este deluso si ritirò da quell'assedio. È da stupire
come signori savii, i quali doveano essere abbastanza addottrinati dal
precedente inganno, si lasciassero di bel nuovo attrappolare da quel
solenne mancator di parola. Adirato per questo successo il marchese
Azzo, si portò all'assedio del castello della Fratta, de' più cari che
si avesse Salinguerra; e tanto vi stette sotto, che a forza di fame se
ne impadronì, con infierir poi barbaramente contra que' difensori ed
abitanti. Di ciò scrisse Salinguerra ad Eccelino da Romano suo cognato
con amarezza; ed amendue cominciarono più che mai da lì innanzi a
studiar le maniere di abbattere la fazion guelfa, di cui capo era il
marchese d'Este. Negli Annali vecchi di Modena[2855] si legge che i
Veronesi, Mantovani e Ferraresi furono all'assedio del Bondeno, e se ne
partirono con poco gusto ed onore. I Ferraresi uniti co' Veronesi
dovettero essere i fuorusciti, aderenti al marchese d'Este. Mossero in
quest'anno guerra gli Alessandrini ai Genovesi[2856] per cagion della
terra di Capriata, pretesa da essi di loro ragione. Ricavati molti aiuti
dai Tortonesi, Vercellini e Milanesi, uscirono in campagna contra di
quella terra. Non furono lenti ad accorrere alla difesa i Genovesi, alla
vista de' quali batterono gli Alessandrini la ritirata. Restò preso ed
incendiato Montaldello, castello degli Alessandrini, e Tessaruolo,
castello de' Genovesi. Tornaronsi dopo queste baruffe le armate ai lor
quartieri. Secondo gli Annali di Bologna[2857], passò in quest'anno per
quella città Giovanni di Brenna re di Gerusalemme colla moglie, di
ritorno dalla Germania.
NOTE:
[2847] Godefridus Monachus, in Chron.
[2848] Raynaldus, Annal. Eccl.
[2849] Giovanni Villani, Chron., lib. 6, cap. 14.
[2850] Richardus de S. Germano, in Chron.
[2851] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Italic.
[2852] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[2853] Benvenuto da San Giorgio, Storia del Monferrato.
[2854] Roland., Chron., lib. 2, cap. 4. Chronicon Estense, tom. 14 Rer.
Italic. Monachus Patavinus, in Chron.
[2855] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[2856] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Ital.
[2857] Chron. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCCXXV. Indizione XIII.
ONORIO III papa 10.
FEDERIGO II imperadore 6.

Tali vessazioni ebbe in quest'anno papa _Onorio III_ da Parenzio,
senatore di Roma, e dal senato romano, che fu necessitato a partirsi da
quella città con passare ad abitare in Tivoli[2858]. Era venuto in
questo mentre da oltramonti _Giovanni re_ di Gerusalemme colla moglie
_Berengaria_. Prese stanza in Capoa, ben accolto e trattato d'ordine
dell'imperadore. Quivi gli partorì la regina una figliuola. Andò poi a
Melfi ad aspettar l'imperadore, il quale in questi tempi chiamò tutti i
baroni e vassalli di Puglia, per continuar la guerra ai Saraceni. Ma
perciocchè cominciava ad avvicinarsi il tempo de' due anni pattuiti,
dopo i quali s'era obbligato a fare il passaggio di Terra santa, nè egli
avea gran voglia di passare quel sì gran fosso, inviò il re Giovanni a
papa Onorio per ottener nuove dilazioni. Era il pontefice in Rieti;
ascoltò benignamente le dimande e scuse di _Federigo_, e poscia spedì a
San Germano _Pelagio_ vescovo d'Albano, e Guala cardinale di San
Martino, acciocchè stabilissero con lui una nuova convenzione. Colà
comparve ancora Federigo, e fu risoluto che egli nell'agosto dell'anno
1227 irremissibilmente passerebbe in aiuto di Terra santa, e militerebbe
per due anni in quelle contrade con mille uomini d'armi da tre cavalli
l'uno, e cento legni da trasporto, e cinquanta galee ben armate. In
questo mezzo egli darebbe il passaggio a due mila uomini d'armi coi lor
famigli. Se non eseguiva, gli era intimata la scomunica papale; ed egli
fece giurare _Rinaldo_ duca di Spoleti nell'anima sua, che compierebbe
la promessa fatta. Dava non poco da pensare ad esso imperadore il
contegno de' Milanesi, che fin qui non lo aveano voluto riconoscere per
re, nè per imperadore. Perciò spedì lettere circolari ai principi di
Germania e di Lombardia, e ai podestà delle città libere d'Italia,
acciocchè comparissero per la Pasqua di Risurrezione dell'anno seguente
a Cremona, dove pensava di tenere un gran parlamento. Intanto insorsero
delle amarezze fra lui e papa Onorio. Ne fu la cagione l'avere il
pontefice provveduto di vescovi le chiese vacanti di Salerno, Capoa,
Consa ed Aversa, senza che ne sapesse parola Federigo. Stimò egli questo
di grave pregiudizio alla sua corona, e però vietò il possesso di quelle
chiese a quei prelati. Venuto poscia il mese di novembre, arrivò
felicemente a Brindisi _Jolanta_ figliuola di _Giovanni re_ di
Gerusalemme; e in quella città si celebrarono solennemente le di lei
nozze con Federigo. Scrisse il Sigonio[2859] con altri che queste nozze
furono fatte in Roma, ed aveva il pontefice coronata Jolanta nel
Vaticano. Riccardo da San Germano, autore contemporaneo, chiaramente
attesta che tal funzione seguì in Brindisi. Circa questi tempi i
Milanesi ed altre città di Lombardia cominciarono a rinnovar la lega
lombarda, già nata sotto Federigo I Augusto. Vedevano essi che Federigo
II era principe che in Sicilia e Puglia aggravati tenea, bassi e in
briglia i suoi popoli e baroni, voleva anche comandare a bacchetta per
mezzo de' suoi uffiziali in Lombardia; insomma facea paura a tutti,
siccome principe di gran potenza, di non minore attività, ambizione ed
accortezza, ma di poca fede. Se vogliam credere a Gotifredo
Monaco[2860], papa Onorio III, neppur egli fidandosi di Federigo, fu il
promotore della rinnovazion della lega di Lombardia. Abbiamo poi da
Rolandino[2861], che i rettori di Lombardia (il che vuol dire della
lega) tanto si adoperarono, che fecero mettere in libertà Riccardo conte
di San Bonifazio con tutti i suoi, fraudolentemente presi nell'anno
addietro in Ferrara da Salinguerra. Tornossene egli alla sua città di
Verona[2862]; ma pochi mesi passarono che molti nobili e potenti della
sua fazione in essa città, corrotti dal danaro di Salinguerra, si
unirono coi Montecchi ghibellini della fazione contraria, e il
cacciarono da Verona. Allora fu che Eccelino da Romano, il quale
unitissimo con Salinguerra tenne mano a questi trattati, corse a Verona
in rinforzo de' Montecchi, e incominciò a prendere un po' di dominio in
quella città. Si ricoverò il conte Riccardo in Mantova, città che
l'amava forte, e sua protettrice fu sempre. Ma dispiacendo queste civili
rotture ai rettori della lega lombarda, in tempo ch'era cotanto
necessaria l'unione per resistere ai disegni dell'imperador Federigo,
impiegarono sì vigorosamente i loro uffizii, che per ora pace seguì, e
il conte ritornò a Verona.
Perchè continuavano le discordie fra i cittadini di Modena[2863], il
marchese Cavalcabò, podestà d'essa città, fece atterrar tutte le torri
de' nobili, per levar loro il comodo di farsi guerra l'uno all'altro
dalle medesime torri. Altrettanto si praticò in altre città in varii
tempi pel medesimo fine. Per attestato di Galvano Fiamma[2864], cessò in
quest'anno la divisione fra i nobili e popolari di Milano. Il suono
della vicina venuta dell'imperador Federigo persuase loro la pace ed
unione per evitare i pericoli di perdere la lor libertà. Nè si dee
tacere, che in questo anno ebbe principio la nimistà fra esso imperadore
e il suocero suo Giovanni re di Gerusalemme. Avea Giovanni conseguito il
titolo di re per avere sposata la principessa _Maria_ erede del regno
gerosolimitano. Da questo matrimonio essendo nata un'unica figliuola,
cioè _Jolanta_, divenuta moglie di Federigo II Augusto, certo è che la
medesima portava seco in eredità lo stesso regno; nè Federigo tardò
molto ad aggiugnere nei suoi sigilli e diplomi il _Rex Hierusalem_, e
mandò anche uffiziali a prenderne il possesso; cosa che fu mal sentita
da tutti. Giovanni, principe per altro di gran valore e senno, che non
avea pensato a premunirsi contra di questo colpo, immaginandosi che la
figliuola e il genero gli lascerebbono godere, finchè egli vivesse, quel
per altro troppo lacerato regno, perchè della maggior parte erano
possessori i Saraceni, trovandosi ora deluso, la ruppe con Federigo
nell'anno vegnente, e mosse da lì innanzi cielo e terra contra di lui.
Le Croniche di Bologna[2865] riferiscono a quest'anno il divieto fatto
da Federigo Augusto dello studio generale di Bologna, acciocchè gli
scolari andassero a quel di Napoli, istituito veramente da lui nel
precedente anno, per testimonianza di Riccardo da San Germano[2866], con
invitar colà da tutte le parti insigni professori dell'arti e delle
scienze. Più probabile è, che questa percossa arrivasse a Bologna
solamente nell'anno seguente: percossa gravissima, se fosse durata a
quella città, perchè dall'università degli studii colavano in Bologna
immense ricchezze, che poi servivano a renderla sì orgogliosa e manesca
contra di tutti i vicini. Vi furono degli anni, nei quali si contarono
dieci mila scolari in Bologna. Tutti vi portavano buone somme di denaro.
E forse circa questi tempi ebbe principio l'università di Padova pel
divieto fatto nell'anno presente, o, per dir meglio, nel seguente, dal
suddetto imperador Federigo[2867]. Procurò parimente esso Augusto che il
sommo pontefice si interponesse per ridurre al loro dovere i Milanesi ed
altri popoli di Lombardia, i quali più che mai si faceano conoscere
alieni d'animo dall'imperadore, e gli negavano ubbidienza per antico
odio contro la casa di Suevia, e per nuovi sospetti, che Federigo
pensasse a mettergli in ischiavitù. Scrisse il papa delle forti lettere
ma i Lombardi, o perchè sapevano che non le avea scritte di buon cuore,
o perchè queste non furono bastanti ad affidarli, continuarono a far de'
preparativi per difendersi dai di lui attentati. Seguitò in quest'anno
ancora la guerra fra gli Alessandrini e Tortonesi dall'un canto, e i
Genovesi ed Astigiani comperati con danaro dall'altro[2868]. Fecero i
Genovesi lega ancora con _Tommaso conte_ di Savoia, che si obbligò di
mantenere in lor favore ducento uomini d'armi, cadauno con un donzello
armato e due scudieri. Si fece anch'egli ben pagare. I Milanesi,
all'incontro, e i Vercellini spedirono dei rinforzi agli Alessandrini.
Diedersi i loro eserciti varie spelazzate, ma si guardarono di decider
le liti con una giornata campale. Abbiamo nondimeno dalla Cronica
d'Asti[2869] che circa la metà di giugno gli Astigiani, ad istanza de'
Genovesi, uscirono in campagna, e presso a Quatorda venuti alle mani
cogli Alessandrini, voltarono infine le spalle, con lasciarvi circa
dugento prigioni. Tornarono poscia in campo, e vicino a Calamandrona,
attaccata di nuovo battaglia cogli Alessandrini, nel dì 7 di settembre
ne riportarono una rotta più sonora, per cui circa ottocento de' loro
soldati rimasti prigionieri stettero nelle carceri di Alessandria con
incredibili patimenti per quasi due anni e mezzo, e molti vi morirono.
Ebbero gli Astigiani per questa guerra danno per più di ducento mila
lire. Di tali svantaggi non si vede parola negli Annali di Genova,
secondo il costume degli storici che tacciono o infrascano i sinistri
loro avvenimenti, ed ingrandiscono ed esaltano i prosperosi. In Milano,
per saggio maneggio di Aveno da Mantova podestà, si formò nuova
concordia fra i nobili e popolari. Il Corio[2870] ne rapporta lo
strumento colle note cronologiche, poco esattamente, a mio credere,
copiate, dove si leggono tutte le condizioni dell'accordo.
NOTE:
[2858] Richardus de S. Germano.
[2859] Sigon., de Regno Ital., lib. 17.
[2860] Godefridus Monachus, in Chron.
[2861] Rolandinus, Chron., lib. 2, cap. 4.
[2862] Monachus Patavinus, in Chron.
[2863] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[2864] Gualv. Flamm., in Manipul. Flor., cap. 258.
[2865] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Italic.
[2866] Richardus de S. German., in Chron.
[2867] Raynaldus, in Annal. Eccles.
[2868] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Italic.
[2869] Chron. Astense, tom. 11 Rer. Ital.
[2870] Corio, Istor. di Milano.


Anno di CRISTO MCCXXVI. Indiz. XIV.
ONORIO III papa 11.
FEDERIGO II imperadore 7.

Il minor pensiero, che si avesse in questi tempi l'imperador _Federigo_,
era quello della spedizione in Terra santa. Unicamente gli stava a cuore
la Lombardia, in cui collegatisi i Milanesi con altri popoli, davano
abbastanza a conoscere di non volere che egli mettesse loro il giogo.
Per altro erano in Italia de' cattivi umori in volta. Federigo
sospettava che il papa segretamente lavorasse delle mine contra di lui,
e tenesse buone corrispondenze coi Lombardi. All'incontro al papa non
mancavano dei gravi motivi d'essere disgustato di Federigo, che
dispoticamente taglieggiava non meno i laici che gli ecclesiastici del
suo regno, per adunar tesori, da impiegare non già in soccorso della
cristianità in Levante, ma per opprimere i Lombardi. Taccio altri
motivi, nell'esame de' quali io non oso entrare, perchè i gabinetti de'
principi son chiusi agli occhi miei. Ma non si può far di meno di non
riconoscere che in questi tempi era forte imbrogliata la politica colla
religione, e che Federigo II specialmente anteponeva la prima alla
seconda. Fuor di dubbio è, che[2871] esso Federigo scrisse con
dell'alterigia una mano di doglianze al sommo pontefice, il quale gli
rispose in buona forma, tacciandolo d'ingratitudine verso la santa Sede
e verso il re Giovanni, di maniera che esso imperadore tornò poi a
scrivere delle lettere meglio concertate ed umili, perchè conobbe di
quanto pregiudizio gli potesse essere il romperla colla corte di Roma.
Abbiamo da Riccardo da San Germano[2872] che sul principio di questo
anno Federigo, ben lontano dal voler passare in Levante, e
dall'adempiere le promesse e i giuramenti, intimò a tutti i baroni e
vassalli di tenersi pronti per la spedizione di Lombardia a Pescara nel
dì 6 di marzo. Lasciata poi l'imperadrice in Terracina di Salerno, al
divisato giorno fu in Pescara; e di là, mosso l'esercito, venne nel
ducato di Spoleti, dove comandò ai popoli di quella contrada di
accompagnarlo coll'armi in Lombardia. Ricusarono essi di ubbidirlo senza
espresso ordine del papa, di cui erano sudditi. Replicò lettere più
vigorose colla minaccia delle pene; e que' popoli le inviarono al papa,
il quale risentitamente ne scrisse a lui, lamentandosi di un tale
aggravio. Allora fu che corsero innanzi e indietro le querele di sopra
accennate. Questo ci fa ben intender quai giusti motivi si avessero
allora di sospettare che questo principe fosse dietro a calpestar
gl'Italiani, dacchè niun riguardo avea neppure pel sommo pontefice. Come
poterono, il meglio vi provvidero i Lombardi, col rinforzar maggiormente
la loro lega. Nel dì 2 di marzo nella chiesa di San Zenone nella terra
di Mosio, distretto di Mantova, fu stipulato lo strumento di essa lega
pubblicato dal Sigonio[2873], in cui i deputati di Milano, Bologna,
Piacenza, Verona, Brescia, Faenza, Mantova, Vercelli, Lodi, Bergamo,
Torino, Alessandria, Vicenza, Padova e Trivigi, stabilirono fra loro una
stretta alleanza di difesa ed offesa per venticinque anni avvenire, in
vigore della concession loro fatta da Federigo I Augusto di poter fare e
rinnovar leghe per la propria difesa. Dalle lettere di papa Onorio III
apprendiamo[2874] che anche il marchese di Monferrato, Crema, Ferrara, i
conti di Biandrate, ed altri luoghi e signori furono di questa lega. Da
Spoleti si trasferì l'Augusto Federigo II a Ravenna, dove celebrò la
santa Pasqua nel dì 19 d'aprile; e perciocchè Bologna e Faenza gli erano
contrarie, passò lungi da esse città, e venne a postarsi coll'armata a
San Giovanni in Persiceto. Di là portossi ad Imola, e tanto vi si fermò,
che, come prima, fu cinta di bastioni e fosse quella città per dispetto
de' Bolognesi. Andava egli differendo la sua venuta a Cremona, per
tenervi la progettata dieta, sulla speranza che il _re Arrigo_ suo
figliuolo, chiamato dalla Germania, coll'esercito tedesco e molti
principi di quel regno calassero. Ma questi, secondo l'attestato di
Gotifredo Monaco[2875], venuti fino a Trento, per sei settimane furono
astretti a fermarsi colà, perchè i Veronesi aveano presa ed armata la
Chiusa nella valle dell'Adige, nè lasciavano passar persona che andasse
o venisse dalla Germania. Perciò il re Arrigo co' suoi, senza poter
vedere l'Augusto suo padre, se ne tornò indietro, con lasciar nondimeno
in Trento una trista memoria della sua venuta; perciocchè nella di lui
partenza accidentalmente attaccatosi il fuoco a quella città, la ridusse
quasi tutta in un mucchio di pietre. Venne poscia l'imperador Federigo
sino a Parma, e quivi s'accorse che poche città in Lombardia, oltre a
Modena, Reggio, Parma, Cremona, Asti e Pavia, erano per lui. E portatosi
di là a Cremona, vi tenne ben la dieta[2876], ma non già col concorso di
gente ch'egli sperava, e senza che alcuno v'intervenisse della lega
lombarda. Vi spedirono i Genovesi il loro podestà Pecoraio da Verona con
una nobil comitiva. I Lucchesi, i Pisani e i marchesi Malaspina si
fecero anch'essi conoscere fedeli ad esso Augusto. Amareggiato al sommo
Federigo dall'avere scoperto maggiore di quel che credeva il numero dei
collegati contra di lui, e tutti preparati a ripulsare coll'armi le
offese, sen venne a Borgo San Donnino, dove mise al bando dello imperio
e dichiarò ree di lesa maestà le città della lega, cassando i lor
privilegii. Fece anche fulminar dal vescovo d'Ildesein la scomunica
contra di que' popoli, che ne dovettero ben fare una risata.
Era egli nel mese di giugno in essa terra di Borgo San Donnino, siccome
costa da tre suoi diplomi[2877], spediti in favore della città di
Modena. Nel primo conferma i suoi privilegii e diritti ad essa città,
concedendole ancora la facoltà di batter moneta. Nel secondo annulla
l'ingiusto laudo già proferito da Ubertino podestà di Bologna intorno ai
confini tra il Modonese e Bolognese, con dichiarare minutamente essi
confini con dei nomi, oggidì difficili ad intendersi, ma con apparir
chiaramente che la potenza di Bologna col tempo usurpò non poco
territorio al popolo di Modena. Il terzo è una conferma della concordia
seguita fra i Modonesi e Ferraresi, Costituì l'imperadore suo legato in
Italia _Tommaso conte_ di Savoia[2878]; ed avvenne che i popoli di
Savona, di Albenga e di altri luoghi della riviera di Ponente,
sottrattisi dall'ubbidienza de' Genovesi, si diedero al medesimo conte
di Savoia, e gli giurarono fedeltà: il che sommamente turbò il popolo di
Genova. Trovato che ebbe l'imperador Federigo sì mal disposti contra di
lui gli animi di tante città di Lombardia, e di non aver seco forze da
potersi far rispettare e temere, se ne tornò malcontento in Puglia.
Quivi, scorgendo che era tempo di trattar soavemente col pontefice
Onorio, ammise alle lor chiese gli arcivescovi e vescovi di Salerno,
Brindisi, Consa, Aversa ed altri, già creati senza suo consentimento; ed
insinuò al medesimo papa di voler lui per arbitro delle differenze che
passavano fra la persona sua e le città lombarde. Niuna difficoltà
ebbero le stesse città di rimettersi anch'elleno nel sommo pontefice; e
però spedirono a Roma i lor deputati[2879]. Federigo del pari inviò colà
per suoi plenipotenziarii gli arcivescovi di Reggio, di Calabria e di
Tiro; e il gran mastro dell'ordine de' Teutonici. Sentenziò poscia il
papa che Federigo concedesse il perdono alle città e persone collegate,
e cassasse tutti i processi e le sentenze emanate contra di loro, e
nominatamente quella dello Studio e degli scolari di Bologna; e facesse
confermar tutto dal _re Arrigo_ suo figliuolo. Obbligò le città
collegate a somministrar quattrocento uomini d'armi all'imperadore in
sussidio di Terra santa; e che si restituissero tutti i prigioni, e che
esse facessero pace colle città aderenti all'imperadore, con altre
condizioni ch'io tralascio. Si accomodò a tutto Federigo per non potere
allora di meno; ma covando nel medesimo tempo un fiero rancore, da lì
innanzi andò ruminando le maniere di vendicarsi. E ben se l'immaginavano
i Lombardi: perlochè seguitarono a vegliare e a fortificarsi per tutto
quello che potesse occorrere. In questa occasione fu che i Bolognesi
fabbricarono ai confini del Modonese[2880] Castelfranco, e i Modonesi
all'incontro d'esso castello fabbricarono Castello Leone. Le Croniche di
Bologna[2881] mettono la fondazion di questi castelli all'anno seguente.
Passò a miglior vita in quest'anno nel dì 4 di ottobre il mirabil servo
di Dio _san Francesco_ d'Assisi nella patria sua, con aver veduto in sua
vita l'ordine suo già dilatato per tutta quasi la cristianità. Seguì
nell'anno presente pace fra i nobili e popolari di Piacenza[2882]. E i
Bolognesi mandarono a Mantova in servigio de' collegati lombardi[2883]
ducento cinquanta cavalieri e cinquanta balestrieri, forse per sospetti
che potesse calar gente di Germania, o per sopire qualche discordia in
quella città. Dagli Annali di Asti[2884] abbiamo che in questi tempi
cominciarono gli Astigiani a prestare ad usura in Francia e in altri
paesi d'oltramonti, e vi fecero dei gran guadagni; ma col tempo di molti
guai soffrirono nelle persone e nella roba. Questo iniquo e scandaloso
traffico (ed è ben da notare) era in questi tempi il più favorito
mestiere d'altri Lombardi; ma sopra gli altri vi si applicavano e in
esso s'ingrassavano i prestatori ed usurai fiorentini, ed altri Toscani
sparsi per Francia ed Inghilterra. Dal che, a mio credere, ebbe
principio la potenza del popolo fiorentino. Di così pestilente costume
ho io trattato altrove[2885]. Benvenuto da Imola ne' suoi Commenti sopra
Dante[2886] scriveva circa il 1390, che anche a' suoi tempi gli
Astigiani erano ricchissimi perchè tutti usurai.
NOTE:
[2871] Raynaldus, Annal. Ecclesiast.
[2872] Richardus de S. Germano, in Chron.
[2873] Sigonius, de Regno Ital., lib. 17.
[2874] Raynaldus, in Annal. Eccles.
[2875] Godefridus Monachus, in Chron.
[2876] Chron. Cremonens., tom. 7 Rer. Ital.
[2877] Antiquit. Italic., Dissert. XXVII, pag. 705, et XLVII, et XLIX.
[2878] Caffari, Annal. Genuens., lib. 6, tom. 6 Rer. Italic.
[2879] Richardus de S. Germano.
[2880] Annales Veteres Mutinens., tom. 11 Rer. Italic.
[2881] Chron. Bononiense, tom. 18 Rer. Ital.
[2882] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[2883] Matth. de Griffonibus, Chron. Bonon., tom. 18 Rer. Ital.