Annali d'Italia, vol. 4 - 57
non poche turbolenze, e molti che l'odiavano. Sarebbe da desiderare che
le antiche storie ci avessero lasciate notizie più copiose della real
casa di Savoia, perciocchè non bastano le moderne a darci de' sicuri e
sufficienti lumi. Abbiam veduto all'anno 1155 che Federigo probabilmente
avea tolto degli Stati anche ad Umberto conte di Morienna; ma quali non
sappiamo. Nella lettera suddetta del Sarisberiense è scritto che
Federigo prometteva ad esso conte _restitutionem ablatorum_; ma quali
Stati fossero a lui tolti non apparisce. Il Guichenon[2168], che
dimenticò di parlare all'anno presente, di questo passaggio di Federigo
per la Savoia, e dell'avvenimento di Susa, scrive che Federigo irritato
contra d'esso Umberto pel suo attaccamento a papa Alessandro III, diede
in feudo ai vescovi di Torino, di Morienna, di Tarantasia, di Genova,
ec. quelle città. Veggasi ancora l'Ughelli[2169], che rapporta un
diploma d'esso Federigo in favore del vescovo di Torino, e le liti poi
sopravvenute. Quel che è certo, brutta scena fu quella dell'uscita di
Federigo imperadore, dico, al cui cenno dianzi tremavano tutte le città
italiane, e che già per decisione dei vanissimi dottori di que' tempi,
era stato dichiarato _padrone del mondo_, si vide in fine ridotto a
fuggirsene vergognosamente d'Italia sotto un abito di vil famiglio
_contra imperatoriam dignitatem_, come dice Gotifredo Monaco[2170],
tardi conoscendo che più colla clemenza e mansuetudine, che colla
crudeltà ed alterigia, si suol far guadagno, e che per voler troppo,
bene spesso tutto si perde.
Dopo un vigoroso assedio cadde in potere dei collegati lombardi la terra
di Biandrate. Furono ricuperati gli ostaggi quivi detenuti, e tagliati a
pezzi quasi tutti i Tedeschi che v'erano di guarnigione[2171]. Dieci
d'essi nobilissimi e ricchissimi vennero consegnati alla moglie del
nobile Bresciano fatto impiccare da Federigo, acciocchè ne facesse
vendetta, o ne ricavasse un grosso riscatto. In questo anno[2172] nel
giovedì santo, cioè a dì 28 di marzo, per le istanze di Galdino
arcivescovo di Milano, e per paura di mali maggiori, il popolo di Lodi
abiurò l'antipapa Pasquale, e ridottosi all'ubbidienza di Alessandro
papa, elesse per suo vescovo Alberto proposto della chiesa di Lodi.
Intanto cresciuti gli animi dei popoli collegati della Lombardia per la
fuga dell'imperador Federigo, si accinsero questi alla guerra contra de'
Pavesi e del marchese di Monferrato, che soli in quelle parti restavano
più che mai attaccati al partito d'esso Augusto. Per maggiormente
angustiare Pavia, venne loro in capo un grandioso pensiero, cioè quello
di fabbricar di pianta una nuova città ai confini del Pavese e del
Monferrato. Però i Milanesi, Cremonesi e Piacentini nel dì primo di
maggio[2173] unitamente si portarono fra Asti e Pavia in una bella e
feconda pianura, circondata da tre fiumi, e quivi piantarono le
fondamenta della nuova città, obbligando gli abitatori di sette terre di
quelle parti, e fra l'altre Gamondio, Marengo, Roveredo, Solera ed
Ovilia a portarsi ed abitare colà. Poscia in onore di papa Alessandro
III, e dispregio di Federigo, le posero il nome d'_Alessandria_. Perchè
la fretta era grande, e mancavano i materiali al bisogno, furono i tetti
di quelle case per la maggior parte coperti di paglia: dal che venne che
i Pavesi ed altri emuli cominciarono a chiamarla _Alessandria dalla
paglia_; nome che dura tuttavia. Ottone da San Biagio[2174] mette sotto
l'anno 1170 l'origine di questa città, forse perchè non ne dovette sì
presto prendere la forma. Ma è scorretta in questi tempi la di lui
cronologia. Il continuatore di Caffaro[2175] anche egli ne parla
all'anno presente. Lo stesso abbiam da Sicardo e da altri autori. Certo
nondimeno è che di buoni bastioni e profonde fosse fu cinta quella
nascente città, ed essere stato tale il concorso della gente a piantarvi
casa, che da lì a non molto arrivò essa a metter insieme quindici mila
persone, parte di cavalleria e parte di fanteria, atte all'armi e
bellicose. E nell'anno seguente i consoli della medesima città,
portatisi a Benevento, la misero sotto il dominio e protezione de'
romani pontefici, con obbligarsi a pagar loro un annuo censo o tributo.
Tutto ciò fu di somma gloria a papa Alessandro. Attaccato fin qui era
stato _Obizzo_ marchese _Malaspina_, potente signore in Lunigiana, ed
anche possessore di varii Stati in Lombardia, al partito di Federigo. Ma
dacchè egli vide tracollati i di lui affari, non fu pigro ad unirsi
colla lega lombarda contra di lui. Egli fu che coi Parmigiani e
Piacentini nel dì 12 marzo, secondo Sire Raul[2176], introdusse il
disperso popolo di Tortona nella desolata loro città, la quale perciò
tornò a risorgere. Andò intanto crescendo la lega delle città lombarde,
entrandovi or questa or quella, chi per ricuperare la perduta libertà ed
autorità, e chi per non esservi astretta dalla forza e potenza
dell'altre. Il suddetto Sire Raul nomina le città confederate con quella
di Milano, cioè le città della Marca, capo d'esse _Verona, Brescia,
Mantova, Bergamo, Lodi, Novara, Vercelli, Piacenza, Parma, Reggio,
Modena, Bologna, Ferrara_. Confessa il continuatore di Caffaro[2177] che
anche i Genovesi furono invitati ad entrare in questa lega, ed eziandio
spedirono i lor deputati per trattarne, ma senza che tal negoziato
avesse effetto.
Ho io dato alla luce[2178] l'atto della concordia seguita nel dì 3 di
maggio dell'anno presente fra il suddetto marchese _Obizzo_ e i consoli
di _Cremona, Milano, Verona, Padova, Mantova, Parma, Piacenza, Brescia,
Bergamo, Lodi, Como_ (degno è di osservazione che ancora i consoli
comaschi aveano abbracciata la lega), _Novara, Vercelli, Asti, Tortona,
Alessandria, nuova città_, e _Bologna_. Leggonsi ivi i patti stabiliti
fra loro e i nomi de' deputati di cadauna città. Fu guerra in quest'anno
fra i pisani e Lucchesi[2179]. Erano gli ultimi collegati coi Genovesi,
e, secondo il concerto fatto con essi, verso la metà di maggio andarono
ad assediare il castello di Asciano, e, dategli varie battaglie, se ne
impadronirono. Accorsero i Pisani, ma non a tempo, e venuti ad un
combattimento, ebbero la peggio, con restarvi molti di loro prigioni, i
quali furono mandati dai Lucchesi nelle carceri di Genova: il che venne
creduto cosa infame e degna dell'odio di tutti[2180]. Gl'impetrarono i
Genovesi per potere col cambio riavere altri loro prigioni detenuti in
Pisa. Continuò tuttavia la guerra fra i Pisani e Genovesi, e contuttochè
molto si adoperasse _Villano arcivescovo_ di Pisa, che era tornato al
possesso della sua chiesa, per metter pace fra queste due sì accanite
città, pure non gli venne fatto: tanto predominava in cuor di que'
popoli l'ambizione d'essere soli in mare, e soli nel commercio e
guadagno. Aveano fin qui i predetti Genovesi tenuto come sequestrato
nelle loro città il vanerello re di Sardegna Barisone, sperando ch'egli
arrivasse pure a soddisfar pel danaro sborsato a conto di lui. Ma un
soldo mai non si vide. Il perchè i Genovesi si contentarono di condurlo
in Sardegna, dove diede speranza di pagare. Andarono, e fecero raccolta
di danaro; ma perchè molto vi mancò a soddisfare i debiti contratti,
ricondussero a Genova quel fantasma di re. In questi tempi i Romani
mossero guerra al popolo d'Albano[2181], perchè era stato in favore di
Federigo contra di loro, e tanto fecero che distrussero da' fondamenti
quella città, ancorchè fosse in quelle parti _Cristiano_ eletto
arcivescovo di Magonza, mandatovi da Federigo per sostenervi il suo
partito. Rodeva i Romani un pari, anzi maggior desiderio di vendicarsi
de' Tuscolani, per cagion de' quali aveano patita sì fiera rotta
nell'anno precedente, e recarono loro anche gran danno; ma non
consentendo la Chiesa ai loro sforzi, desisterono per allora da tale
impresa. Tornò parimente in quest'anno _Manuello_ Comneno imperador de'
Greci ad inviare ambasciatori a Benevento, dove era il pontefice
Alessandro; e, siccome ben informato delle rotture che passavano fra
esso papa e Federigo, si figurò facile di poter ottenere il suo intento:
cioè di far privare della corona Federigo, e che questa fosse poi
conferita a lui e a' suoi successori. Per ismuovere la corte pontificia,
venne cogli ambasciatori un'immensa quantità d'oro. Ma Alessandro,
pontefice de' più prudenti che s'abbia avuto la Chiesa di Dio, ringraziò
forte il greco Augusto per la sua buona volontà e divozione; ma per
conto della corona imperiale fece lor conoscere che troppe difficoltà
s'incontravano, nè conveniva a lui il trattarne, per esser uffizio suo
il cercare la pace, e non già la guerra. Pertanto rimandò indietro essi
ambasciatori colla lor pecunia, e spedì con tale occasione due cardinali
alla corte di Costantinopoli. Abbiamo da Giovanni da Ceccano[2182], da
Romoaldo Salernitano[2183] e da altri storici che l'antipapa Pasquale
III, ossia Guido da Crema, mentre stava nella basilica di san Pietro
fuori di Roma, fu chiamato da Dio al rendimento de' conti. Morì egli
impenitente nel dì 20 di settembre. Pareva che lo scisma con la morte di
costui avesse affatto a cessare, perchè niuno più restava de' cardinali
scismatici, e gli antipapi d'allora non soleano crearne dei nuovi,
siccome vedremo fatto nel grande scisma del secolo XIV. Tuttavia gli
scismatici non si quetarono, e si trovò un Giovanni abbate di Struma,
uomo apostata e pieno di vizii, che si fece innanzi ed accettò il falso
papato, con assumere il nome di Callisto III. Costui era stato eletto
vescovo tuscolano da papa Alessandro, e fece dipoi una miserabil figura
fra quei della sua screditata fazione.
NOTE:
[2164] S. Thomas Cantuariensis, lib. 2, ep. 66, edit. Lupi.
[2165] Baron., in Annal. Ecclesiast.
[2166] Sire Raul, in Histor. tom. 6 Rer. Ital.
[2167] Otto de S. Blasio, in Chron.
[2168] Guichenon, Histoire de la Mais. de Savoye, tom. 1.
[2169] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4 in Archiepisc. Taurinens.
[2170] Godefridus Monachus, in Chron.
[2171] Johann. Sarisberiensis, in Epist.
[2172] Continuator Acerbi Morenae.
[2173] Cardin. de Aragon., in Vit. Alexandri III, P. I, tom. 3 Rer.
Italic.
[2174] Otto de S. Blasio, in Chron.
[2175] Caffari, Annal. Genuens., tom. 6 Rer. Ital.
[2176] Sire Raul, Hist., tom. 6 Rer. Ital.
[2177] Continuat. Caffari, Annal. Genuens., lib. 3, tom. 6 Rer. Ital.
[2178] Antiquit. Ital., Dissert. XLVIII.
[2179] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Italic.
[2180] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2.
[2181] Cardinal. de Aragon., in Vit. Alexandri III, P. I, tom. 3 Rer.
Italic.
[2182] Johannes de Ceccano, Chron. Fossaenovae.
[2183] Romualdus Salernit., in Chron., tom. 6 Rer. Italic.
Anno di CRISTO MCLXIX. Indizione II.
ALESSANDRO III papa 11.
FEDERIGO I re 18, imper. 15.
Spese l'imperador Federigo in Germania l'anno presente in istabilire ed
ingrandire i suoi figliuoli[2184]. Nelle feste di Pentecoste tenne una
gran dieta in Bamberga, dove comparvero i legati dell'antipapa Callisto.
In essa di comune consenso de' principi fece eleggere re di Germania e
d'Italia il suo primogenito _Arrigo_, e coronarlo per mano di _Filippo
arcivescovo_ di Colonia. Al secondo de' suoi figliuoli, cioè a
_Federigo_, giacchè era mancato di vita _Federigo duca_ di Suevia,
chiamato di Rotimburgo, l'Augusto imperadore diede quel ducato. Rimasto
senza eredi il vecchio duca _Guelfo_ della linea estense di Germania,
per la morte del figliuolo accaduta nell'anno 1167 in Italia, aveva egli
dichiarato suo erede _Arrigo il Leone_ duca di Baviera e Sassonia, suo
nipote, di tutti i suoi Stati e beni posti nella Suevia, a condizione di
ricavarne una buona somma di danaro. Ma procrastinando il duca Arrigo di
pagare, figurandosi che per l'età avanzata dello zio la morte gli
risparmierebbe un tale sborso, il duca Guelfo rinunziò tutto a Federigo
Augusto, che pagò il danaro pattuito. A _Corrado_ suo terzogenito
conferì poi il ducato della Franconia con altri beni. Al quartogenito
_Ottone_ diede il regno d'Arles, ossia della Borgogna. L'ultimo suo
figliuolo _Filippo_ era allora in fasce. Altri acquisti, annoverati da
Ottone da San Biagio, fece Federigo per ben arricchir la sua prole; e in
quest'anno ancora s'impadronì dell'arcivescovato di Salisburgo, facendo
colare quanti mai potè de' feudi delle chiese in essi suoi figliuoli, e
comperando ed acquistando diritti e beni, ovunque poteva. La Sicilia
nell'anno presente, correndo il dì 4 di febbraio, soffrì un fierissimo
eccidio per un orribile tremuoto che desolò varie città[2185]. Quella
sopra tutto di Catania, città allora ricchissima, tutta fu rovesciata a
terra colla morte di circa quindici mila persone, e del vescovo (uomo
per altro cattivo, e salito in alto colla simonia) e di quasi tutti i
monaci, senza che vi restasse una casa in piedi. La stessa disavventura
provò la nobil terra di Lentino. Danneggiata di molto restò anche
Siracusa con assai altre castella. Negli Annali Pisani[2186] sta scritto
che _a Catania usque ad Plassa undecim inter civitates et castella et
villas cum multis hominibus in via et agro oppressis a dicto terraemotu
perierunt_. Attesero i Cremonesi a cignere di buone mura la loro
città[2187]. Nè riposavano i Milanesi in fabbricar case, e fortificare
la rinata loro città. Degno è d'attenzione ciò che ha Niceta
Coniate[2188]: cioè che _Manuello_ imperador de' Greci per l'apprensione
dell'armi di Federigo Augusto, massimamente dappoichè questi aveva
tentato di torgli Ancona, somministrò grossi aiuti, cioè di danaro, ai
Milanesi, affinchè rifabbricassero la loro città, e si mettessero in
istato di poter far fronte ad un imperadore che meditava la rovina di
tutti. Certo è che Manuello era in lega col papa, col re di Sicilia e
coi Lombardi contro di Federigo. Abbiamo anche da Galvano Fiamma[2189],
che le pie donne di Milano venderono tutti i loro anelli e gioielli, per
impiegarne il prezzo nella riedificazione della chiesa metropolitana di
santa Maria. Guerra fu in quest'anno nella Romagna[2190]. Aveano i
Bolognesi, assistiti da' Ravegnani, assediata la città di Faenza.
Ricorsero i Faentini per soccorso, ai Forlivesi, che accorsi ed
attaccata battaglia verso il fiume Senio, misero in rotta il campo
bolognese, con farvi quattrocento prigioni. Il Ghirardacci rapporta
questa sconfitta de' suoi, ma pretende che i Bolognesi fossero iti in
aiuto de' Ravegnani lor collegati, a' danni dei quali s'erano portati i
Faentini e Forlivesi. Veniva in questi tempi agitata da interne guerre
civili la città di Genova[2191]. Tanto si adoperò _Ugo arcivescovo_
unito coi consoli, che si conchiuse concordia e pace fra i cittadini.
Seguitando intanto la guerra già incominciata fra i Pisani e Lucchesi,
perchè i primi s'erano fatti forti coll'aiuto de' popoli della
Garfagnana e Versiglia, richiesero gli altri di aiuto i Genovesi, che
non mancarono di accorrere per sostenerli. Si trattò poscia di pace, ma
senza che potessero venire ad accordo alcuno. Per questa cagione
continuarono i Pisani e Genovesi a farsi guerra gli uni agli altri in
mare, prendendo chi potea più legni de' nemici.
NOTE:
[2184] Otto de S. Blasio, in Chron. Chronic. Reichersperg.
[2185] Hugo Falcandus, in Chron. Romualdus Salernitanus, in Chron., tom.
7 Rer. Ital.
[2186] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Ital.
[2187] Sicard., in Chron., tom. 6 Rer. Ital.
[2188] Niceta, Histor., lib. 7.
[2189] Gualvan. Flamma, in Manipul. Flor.
[2190] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 5. Sigonius, de Regno Ital., lib.
14. Ghirardacci, Istor. di Bologna, lib. 3.
[2191] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2.
Anno di CRISTO MCLXX. Indizione III.
ALESSANDRO III papa 12.
FEDERIGO I re 19, imper. 16.
Tentò in quest'anno l'_imperador Federigo_ d'introdurre trattato di pace
con _papa Alessandro_ III dimorante tuttavia in Benevento[2192]. Spedì a
questo fine in Italia il vescovo di Bamberga _Everardo_, con ordine
d'abboccarsi col pontefice, ma di non entrare negli Stati del re di
Sicilia. Alessandro, che stava all'erta, e per tempo s'avvide ove
tendeva l'astuzia di Federigo, cioè a mettere della mala intelligenza
fra esso papa e i collegati lombardi, non tardò punto ad avvisarne la
lega, acciocchè gli spedissero un deputato per assistere a quanto fosse
per riferire il vescovo suddetto. Dappoichè fu questi venuto, si
trasferì il pontefice in Campania a Veroli, per quivi dare udienza al
legato cesareo. Voleva questi parlargli da solo a solo; il che
maggiormente accrebbe i sospetti di qualche furberia. Benchè con
ripugnanza, fu ammesso ad una segreta udienza, dove espose essere
Federigo disposto ad approvar tutte le ordinazioni da esso pontefice
fatte; ma intorno al papato, e all'ubbidienza dovuta al vicario di
Cristo, ne parlò egli con molta ambiguità, e senza osare di spiegarsi.
Comunicò papa Alessandro cotali proposizioni al sacro collegio e al
deputato della lega. La risposta ch'egli poi diede al vescovo Bamberga,
fu di maravigliarsi, come egli avesse preso a portare una siffatta
ambasciata, che nulla conteneva di quel che più importava. Che quanto ad
esso papa, egli era pronto ad onorare sopra tutti i principi Federigo, e
ad amarlo, purchè anch'esso mostrasse la filial sua divozione dovuta
alla Chiesa sua madre; e con questo il licenziò. Mentre il pontefice
dimorava in Veroli, i Romani pieni di rabbia contro l'odiata città di
Tuscolo, le faceano aspra guerra. Rainone signore di essa città,
veggendosi a mal partito, trattò d'accordo con Giovanni, lasciato
prefetto di Roma dall'imperador Federigo, e gli cedette quella città,
con riceverne in contraccambio Monte Fiascone e il borgo di San
Flaviano, senza farne parola col papa, da cui pure egli riconosceva
quella città, e con assolvere dal giuramento i Tuscolani, i quali si
crederono col nuovo padrone di esentarsi dalle molestie de' Romani. Ma
questi più vigorosamente che mai continuarono la guerra contra di essa
città, di maniera che quel popolo, fatto ricorso al papa, si mise sotto
il dominio e patrocinio di lui. Alla stessa corte pontificia tardò poco
a comparire il suddetto Rainone pentito del contratto, perchè quei di
Montefiascone vituperosamente l'aveano cacciato dalla lor terra; ed
anch'egli, implorata la misericordia del papa, fece una donazion della
terra di Tuscolo alla Chiesa romana: il che la preservò per allora
dall'ira e dalle forze del popolo romano. Rapporta il Guichenon[2193]
una bolla di papa Alessandro, dato in quest'anno _Laterani_ in favore
della badia di Fruttuaria. Non può stare, perchè il papa non fu in
questi tempi in Roma. Persistendo tuttavia Manuello imperador de' Greci
nel vano pensiero di ricuperar la corona imperiale di Roma, per farsi
del partito in quella città, mandò nel presente anno una sua nipote per
moglie di Ottone Frangipane[2194], la cui nobilissima famiglia era in
questi tempi attaccatissima al pontefice Alessandro. Fu essa condotta
con accompagnamento magnifico di vescovi e nobili greci, e con gran
somma di danaro a Veroli, dove il papa gli sposò: dopo di che Ottone
condusse la novella moglie a Roma. Ardevano i Bolognesi di voglia di
vendicarsi della rotta loro data nel precedente anno dai Faentini. Però
col maggior loro sforzo e col carroccio, che per la prima volta fu da
essi usato, s'inviarono contra della città di Faenza, e l'assediarono.
Il Ghirardacci scrive[2195] che sconfissero l'armata de' Faentini. Le
vecchie storie di Bologna[2196] parlano solamente dell'assedio; e di più
non ne dice Girolamo Rossi[2197], che mette all'anno seguente un tal
fatto, ed aggiugne, essersi uniti i Ravegnati ed Imolesi col popolo di
Bologna contra di Faenza. Concordano poi tutti gli autori in dire che
seguì la pace fra questi popoli, con essersi restituiti i prigioni ai
Bolognesi. Accenna il suddetto Rossi una battaglia accaduta in
quest'anno fra essi Faentini dall'una parte, e i Forlivesi e i Ravennati
dall'altra, colla sconfitta degli ultimi. Ma non s'intende come il
popolo di Forlì, ausiliario de' Faentini nel precedente anno fosse già
divenuto loro nemico. Oltre di che, non è molto da fidarsi degli storici
moderni, qualora mancano le croniche vecchie. Tre ambasciatori del greco
imperadore Manuello Comneno approdarono in quest'anno a Genova per
trattar di concordia con quel popolo[2198], portando con seco cinquanta
sei mila, oppur ventotto mila perperi (monete d'oro dei Greci); ma non
fu loro data udienza, se non dappoichè fu ritornato da Costantinopoli
Amico da Murta, ambasciatore d'essi Genovesi. Perchè si trovò gran
divario fra la esposizion d'Amico e quella de' legati greci, licenziati
questi senza accordo, si riportarono indietro i lor danari. Seguitò
ancora nell'anno presente la guerra fra i Pisani e i Lucchesi, colla
peggio degli ultimi, che rimasero sconfitti presso Motrone, e lasciarono
in poter de' Pisani una gran quantità di prigioni[2199]. Nè cessarono le
vicendevoli prede fra essi Pisani e i Genovesi per mare. Fra l'altre
prede, venne fatto ai Genovesi di prendere una nave, dove era Carone,
uno de' consoli pisani.
NOTE:
[2192] Cardin. de Aragon., in Vita Alexandri III.
[2193] Guichenon, Bibliot. Sebus., Centur. II, cap. 35.
[2194] Johann. de Ceccano, Chron. Fossaenovae.
[2195] Ghirardacci, Istor. di Bologna, lib. 3.
[2196] Cron. di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2197] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 6.
[2198] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2, tom. 6 Rer. Ital.
[2199] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCLXXI. Indizione IV.
ALESSANDRO III papa 13.
FEDERIGO I re 20, imper. 17.
Somma era stata l'occupazion di _papa Alessandro_ negli anni addietro
per rimettere in grazia di _Arrigo re_ d'Inghilterra, e nel possesso
della sua chiesa _Tommaso arcivescovo_ di Cantorberì, ed aveva avuta la
consolazione di veder terminato così scabroso affare. Ma non fu minore
il suo affanno nel principio del presente anno, perchè vennero le nuove
che al santo prelato era stata da empii sicarii levata la vita nel dì 29
del precedente dicembre: laonde meritò di essere onorato da Dio con
varii miracoli, e poi registrato nel catalogo dei martiri. Ebbe perciò
il pontefice da faticar tuttavia non poco per eseguir ciò che la
disciplina ecclesiastica prescrive in simili casi[2200]. Trovavasi egli
in Tuscolo nel dì 25 di marzo, allorchè arrivarono gli ambasciatori del
re Arrigo, venuti per discolparlo, e protestare ch'egli non avea avuta
mano in quel sacrilego fatto. A tutta prima non li volle il papa vedere;
ma dopo qualche maneggio gli ammise, e dipoi spedì in Inghilterra due
cardinali per formare il processo, e conoscere se il re era innocente o
reo. Continuarono ancora in quest'anno con gran vigore i Milanesi a
rialzare l'abbattuta loro città; nè contenti di questo, ne ampliarono
con nuove mura il circuito chiudendo in essa le basiliche di santo
Ambrosio, di san Lorenzo, di san Nazario e di sant'Eusebio, di maniera
che le disgrazie loro servirono a maggiormente nobilitare la per altro
nobilissima patria loro. Ne resta tuttavia la memoria in un antico marmo
rapportato dal Puricelli[2201], dove ancora si leggono i nomi de'
consoli milanesi di quest'anno. Due d'essi specialmente sono da notare,
cioè _Ardericus de la Turre, Obertus de Orto_; il secondo celebre fra i
legisti, per la raccolta delle consuetudini feudali; e il primo, perchè
da lui verisimilmente discende l'illustre casa della Torre, ossia
Torriana, che signoreggiò dipoi in Milano. Pubblicò nell'anno 1708 il
famoso Stefano Baluzio la Storia genealogica della casa della Torre
d'Alvernia, ossia dei duchi di Buglione, per cui ebbe di molti guai. Sì
egli, come altri han creduto una medesima famiglia quella de' Torriani
milanesi e l'altra de' franzesi. Quando non si adducano pruove più
sicure di tal connessione, difficile sarà il credere sì fatta unione di
sangue. Noi qui a buon conto troviamo un _Arderico della Torre_ console
in Milano, e perciò buon cittadino di Milano: ma ch'egli, o i suoi
maggiori fossero venuti di Francia, non si dee senza buone pruove
asserire.
Cercarono i Lucchesi e Genovesi collegati di tirar nella loro alleanza
altri popoli, per poter con più fortuna rintuzzare i Pisani. Riuscì loro
di guadagnare i Sanesi e Pistoiesi, e al conte Guido signor potente in
Toscana. Fu ciò cagione che anche i Pisani stabilirono lega coi
Fiorentini per quaranta anni avvenire. Gli Annali pisani, in vece di
anticipar di un anno i successi di questi tempi per accomodarsi all'era
pisana, che nove mesi prima dell'era volgare comincia l'anno nuovo, li
pospongono di un anno: e però non si può stare alla cronologia d'essa
storia. Abbiamo gli Annali genovesi in questo più esatti[2202].
Fabbricarono nel presente anno i Lucchesi coll'aiuto de' Genovesi
Viareggio al mare. Verso l'autunno arrivò in Lombardia all'improvviso
_Cristiano arcivescovo_ eletto di Magonza, inviato dall'imperador
Federigo, per assistere agl'interessi dell'Italia, e massimamente della
Toscana, che tuttavia teneva il partito imperiale. Passò egli
intrepidamente per mezzo le città lombarde nemiche, ma con gran fretta;
e valicando il fiume Tanaro presso Alessandria, si trasferì a Genova,
dove per rispetto dell'imperadore fu onorevolmente accolto. Se l'ebbero
forte a male i collegati lombardi, e però pubblicarono un bando che
niuno avesse da condurre grani e altre vettovaglie a Genova: il che
cagionò una gran carestia in quella città. Tornarono ancora in
quest'anno essi Genovesi a condurre in Sardegna il _re Barisone_,
sequestrato da essi per debiti, e pare che soddisfatti del loro avere,
quivi il lasciassero a scorticare i suoi popoli per le colpe della sua
vanità. Aveva l'imperadore Manuello Comneno cacciato da Costantinopoli i
Pisani. In quest'anno venuto con essi a concordia, restituì loro i
fondachi e il maltolto. Obbligossi egli di pagare per quindici anni
avvenire al comune di Pisa cinquecento bisanti (monete d'oro) e due
pallii, o un pallio ancora all'arcivescovo di Pisa. Vennero gli
ambasciatori di lui a Pisa, e nel dì 13 di dicembre furono segnati i
capitoli della concordia. Essendo mancato di vita _Guido arcivescovo_ di
Ravenna[2203], succedette in quella chiesa _Gherardo_, il quale, al pari
dei suoi antecessori usò il titolo di _esarco_, cioè di padron temporale
di Ravenna e dell'esarcato, per le concessioni loro fatte
dagl'imperadori. Papa Alessandro III con sua bolla data in Tuscolo gli
confermò la superiorità sopra i vescovati di Bologna e Parma, per li
quali forse era stata in que' tempi qualche controversia. Tolte furono
ai Veneziani da _Stefano re_ d'Ungheria le città di Spalatro, Sebenico,
Zara e Traù[2204]. Il doge _Vitale Michele_ ricuperò Zara. Ma contra de'
Veneziani mosse maggior tempesta Manuello imperador de' Greci. Mostrossi
egli tutto benevolo verso questa nazione, e l'invitò a passare in
Levante colle lor merci, sicchè moltissimi uomini e navigli v'andarono
sotto la buona fede. Poscia spediti gli ordini per tutto il suo imperio,
nel dì 22 di marzo fece prendere tutti i legni e l'avere de' Veneziani.
Portatane la nuova a Venezia, ne' generosi petti di que' cittadini tanto
ardore di giusto risentimento s'accese, che in poco più di tre mesi
parte prepararono, parte fabbricarono cento galee e venti navi da
trasporto per portare la guerra in Grecia. Vi s'imbarcò lo stesso doge,
e mossa nel mese di settembre la poderosa flotta, ricuperò per forza
Traù, con darle poscia il sacco, e diroccarne una parte. Costrinse
Ragusi a sottomettersi al dominio di Venezia. Passò dipoi a Negroponte,
e imprese l'assedio di quella capitale. Fu allora dai Greci mossa parola
di pace, e il comandante di quella città inviò persone apposta a
Costantinopoli col vescovo d'Equilio, pratico della lingua greca, per
parte de' Veneziani. Finchè venissero le risposte, portatosi il doge a
Scio, s'impadronì di quella città e dell'isola tutta, e quivi determinò
di svernare coll'armata: il che gli fu di gravissimo danno, siccome fra
poco si dirà.
NOTE:
[2200] Cardin. de Aragon., in Vita Alexandri III, P. I, tom. 3 Rer.
Ital.
[2201] Puricell., Monum. Basilic. Ambr.
[2202] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2.
[2203] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 6.
le antiche storie ci avessero lasciate notizie più copiose della real
casa di Savoia, perciocchè non bastano le moderne a darci de' sicuri e
sufficienti lumi. Abbiam veduto all'anno 1155 che Federigo probabilmente
avea tolto degli Stati anche ad Umberto conte di Morienna; ma quali non
sappiamo. Nella lettera suddetta del Sarisberiense è scritto che
Federigo prometteva ad esso conte _restitutionem ablatorum_; ma quali
Stati fossero a lui tolti non apparisce. Il Guichenon[2168], che
dimenticò di parlare all'anno presente, di questo passaggio di Federigo
per la Savoia, e dell'avvenimento di Susa, scrive che Federigo irritato
contra d'esso Umberto pel suo attaccamento a papa Alessandro III, diede
in feudo ai vescovi di Torino, di Morienna, di Tarantasia, di Genova,
ec. quelle città. Veggasi ancora l'Ughelli[2169], che rapporta un
diploma d'esso Federigo in favore del vescovo di Torino, e le liti poi
sopravvenute. Quel che è certo, brutta scena fu quella dell'uscita di
Federigo imperadore, dico, al cui cenno dianzi tremavano tutte le città
italiane, e che già per decisione dei vanissimi dottori di que' tempi,
era stato dichiarato _padrone del mondo_, si vide in fine ridotto a
fuggirsene vergognosamente d'Italia sotto un abito di vil famiglio
_contra imperatoriam dignitatem_, come dice Gotifredo Monaco[2170],
tardi conoscendo che più colla clemenza e mansuetudine, che colla
crudeltà ed alterigia, si suol far guadagno, e che per voler troppo,
bene spesso tutto si perde.
Dopo un vigoroso assedio cadde in potere dei collegati lombardi la terra
di Biandrate. Furono ricuperati gli ostaggi quivi detenuti, e tagliati a
pezzi quasi tutti i Tedeschi che v'erano di guarnigione[2171]. Dieci
d'essi nobilissimi e ricchissimi vennero consegnati alla moglie del
nobile Bresciano fatto impiccare da Federigo, acciocchè ne facesse
vendetta, o ne ricavasse un grosso riscatto. In questo anno[2172] nel
giovedì santo, cioè a dì 28 di marzo, per le istanze di Galdino
arcivescovo di Milano, e per paura di mali maggiori, il popolo di Lodi
abiurò l'antipapa Pasquale, e ridottosi all'ubbidienza di Alessandro
papa, elesse per suo vescovo Alberto proposto della chiesa di Lodi.
Intanto cresciuti gli animi dei popoli collegati della Lombardia per la
fuga dell'imperador Federigo, si accinsero questi alla guerra contra de'
Pavesi e del marchese di Monferrato, che soli in quelle parti restavano
più che mai attaccati al partito d'esso Augusto. Per maggiormente
angustiare Pavia, venne loro in capo un grandioso pensiero, cioè quello
di fabbricar di pianta una nuova città ai confini del Pavese e del
Monferrato. Però i Milanesi, Cremonesi e Piacentini nel dì primo di
maggio[2173] unitamente si portarono fra Asti e Pavia in una bella e
feconda pianura, circondata da tre fiumi, e quivi piantarono le
fondamenta della nuova città, obbligando gli abitatori di sette terre di
quelle parti, e fra l'altre Gamondio, Marengo, Roveredo, Solera ed
Ovilia a portarsi ed abitare colà. Poscia in onore di papa Alessandro
III, e dispregio di Federigo, le posero il nome d'_Alessandria_. Perchè
la fretta era grande, e mancavano i materiali al bisogno, furono i tetti
di quelle case per la maggior parte coperti di paglia: dal che venne che
i Pavesi ed altri emuli cominciarono a chiamarla _Alessandria dalla
paglia_; nome che dura tuttavia. Ottone da San Biagio[2174] mette sotto
l'anno 1170 l'origine di questa città, forse perchè non ne dovette sì
presto prendere la forma. Ma è scorretta in questi tempi la di lui
cronologia. Il continuatore di Caffaro[2175] anche egli ne parla
all'anno presente. Lo stesso abbiam da Sicardo e da altri autori. Certo
nondimeno è che di buoni bastioni e profonde fosse fu cinta quella
nascente città, ed essere stato tale il concorso della gente a piantarvi
casa, che da lì a non molto arrivò essa a metter insieme quindici mila
persone, parte di cavalleria e parte di fanteria, atte all'armi e
bellicose. E nell'anno seguente i consoli della medesima città,
portatisi a Benevento, la misero sotto il dominio e protezione de'
romani pontefici, con obbligarsi a pagar loro un annuo censo o tributo.
Tutto ciò fu di somma gloria a papa Alessandro. Attaccato fin qui era
stato _Obizzo_ marchese _Malaspina_, potente signore in Lunigiana, ed
anche possessore di varii Stati in Lombardia, al partito di Federigo. Ma
dacchè egli vide tracollati i di lui affari, non fu pigro ad unirsi
colla lega lombarda contra di lui. Egli fu che coi Parmigiani e
Piacentini nel dì 12 marzo, secondo Sire Raul[2176], introdusse il
disperso popolo di Tortona nella desolata loro città, la quale perciò
tornò a risorgere. Andò intanto crescendo la lega delle città lombarde,
entrandovi or questa or quella, chi per ricuperare la perduta libertà ed
autorità, e chi per non esservi astretta dalla forza e potenza
dell'altre. Il suddetto Sire Raul nomina le città confederate con quella
di Milano, cioè le città della Marca, capo d'esse _Verona, Brescia,
Mantova, Bergamo, Lodi, Novara, Vercelli, Piacenza, Parma, Reggio,
Modena, Bologna, Ferrara_. Confessa il continuatore di Caffaro[2177] che
anche i Genovesi furono invitati ad entrare in questa lega, ed eziandio
spedirono i lor deputati per trattarne, ma senza che tal negoziato
avesse effetto.
Ho io dato alla luce[2178] l'atto della concordia seguita nel dì 3 di
maggio dell'anno presente fra il suddetto marchese _Obizzo_ e i consoli
di _Cremona, Milano, Verona, Padova, Mantova, Parma, Piacenza, Brescia,
Bergamo, Lodi, Como_ (degno è di osservazione che ancora i consoli
comaschi aveano abbracciata la lega), _Novara, Vercelli, Asti, Tortona,
Alessandria, nuova città_, e _Bologna_. Leggonsi ivi i patti stabiliti
fra loro e i nomi de' deputati di cadauna città. Fu guerra in quest'anno
fra i pisani e Lucchesi[2179]. Erano gli ultimi collegati coi Genovesi,
e, secondo il concerto fatto con essi, verso la metà di maggio andarono
ad assediare il castello di Asciano, e, dategli varie battaglie, se ne
impadronirono. Accorsero i Pisani, ma non a tempo, e venuti ad un
combattimento, ebbero la peggio, con restarvi molti di loro prigioni, i
quali furono mandati dai Lucchesi nelle carceri di Genova: il che venne
creduto cosa infame e degna dell'odio di tutti[2180]. Gl'impetrarono i
Genovesi per potere col cambio riavere altri loro prigioni detenuti in
Pisa. Continuò tuttavia la guerra fra i Pisani e Genovesi, e contuttochè
molto si adoperasse _Villano arcivescovo_ di Pisa, che era tornato al
possesso della sua chiesa, per metter pace fra queste due sì accanite
città, pure non gli venne fatto: tanto predominava in cuor di que'
popoli l'ambizione d'essere soli in mare, e soli nel commercio e
guadagno. Aveano fin qui i predetti Genovesi tenuto come sequestrato
nelle loro città il vanerello re di Sardegna Barisone, sperando ch'egli
arrivasse pure a soddisfar pel danaro sborsato a conto di lui. Ma un
soldo mai non si vide. Il perchè i Genovesi si contentarono di condurlo
in Sardegna, dove diede speranza di pagare. Andarono, e fecero raccolta
di danaro; ma perchè molto vi mancò a soddisfare i debiti contratti,
ricondussero a Genova quel fantasma di re. In questi tempi i Romani
mossero guerra al popolo d'Albano[2181], perchè era stato in favore di
Federigo contra di loro, e tanto fecero che distrussero da' fondamenti
quella città, ancorchè fosse in quelle parti _Cristiano_ eletto
arcivescovo di Magonza, mandatovi da Federigo per sostenervi il suo
partito. Rodeva i Romani un pari, anzi maggior desiderio di vendicarsi
de' Tuscolani, per cagion de' quali aveano patita sì fiera rotta
nell'anno precedente, e recarono loro anche gran danno; ma non
consentendo la Chiesa ai loro sforzi, desisterono per allora da tale
impresa. Tornò parimente in quest'anno _Manuello_ Comneno imperador de'
Greci ad inviare ambasciatori a Benevento, dove era il pontefice
Alessandro; e, siccome ben informato delle rotture che passavano fra
esso papa e Federigo, si figurò facile di poter ottenere il suo intento:
cioè di far privare della corona Federigo, e che questa fosse poi
conferita a lui e a' suoi successori. Per ismuovere la corte pontificia,
venne cogli ambasciatori un'immensa quantità d'oro. Ma Alessandro,
pontefice de' più prudenti che s'abbia avuto la Chiesa di Dio, ringraziò
forte il greco Augusto per la sua buona volontà e divozione; ma per
conto della corona imperiale fece lor conoscere che troppe difficoltà
s'incontravano, nè conveniva a lui il trattarne, per esser uffizio suo
il cercare la pace, e non già la guerra. Pertanto rimandò indietro essi
ambasciatori colla lor pecunia, e spedì con tale occasione due cardinali
alla corte di Costantinopoli. Abbiamo da Giovanni da Ceccano[2182], da
Romoaldo Salernitano[2183] e da altri storici che l'antipapa Pasquale
III, ossia Guido da Crema, mentre stava nella basilica di san Pietro
fuori di Roma, fu chiamato da Dio al rendimento de' conti. Morì egli
impenitente nel dì 20 di settembre. Pareva che lo scisma con la morte di
costui avesse affatto a cessare, perchè niuno più restava de' cardinali
scismatici, e gli antipapi d'allora non soleano crearne dei nuovi,
siccome vedremo fatto nel grande scisma del secolo XIV. Tuttavia gli
scismatici non si quetarono, e si trovò un Giovanni abbate di Struma,
uomo apostata e pieno di vizii, che si fece innanzi ed accettò il falso
papato, con assumere il nome di Callisto III. Costui era stato eletto
vescovo tuscolano da papa Alessandro, e fece dipoi una miserabil figura
fra quei della sua screditata fazione.
NOTE:
[2164] S. Thomas Cantuariensis, lib. 2, ep. 66, edit. Lupi.
[2165] Baron., in Annal. Ecclesiast.
[2166] Sire Raul, in Histor. tom. 6 Rer. Ital.
[2167] Otto de S. Blasio, in Chron.
[2168] Guichenon, Histoire de la Mais. de Savoye, tom. 1.
[2169] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4 in Archiepisc. Taurinens.
[2170] Godefridus Monachus, in Chron.
[2171] Johann. Sarisberiensis, in Epist.
[2172] Continuator Acerbi Morenae.
[2173] Cardin. de Aragon., in Vit. Alexandri III, P. I, tom. 3 Rer.
Italic.
[2174] Otto de S. Blasio, in Chron.
[2175] Caffari, Annal. Genuens., tom. 6 Rer. Ital.
[2176] Sire Raul, Hist., tom. 6 Rer. Ital.
[2177] Continuat. Caffari, Annal. Genuens., lib. 3, tom. 6 Rer. Ital.
[2178] Antiquit. Ital., Dissert. XLVIII.
[2179] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Italic.
[2180] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2.
[2181] Cardinal. de Aragon., in Vit. Alexandri III, P. I, tom. 3 Rer.
Italic.
[2182] Johannes de Ceccano, Chron. Fossaenovae.
[2183] Romualdus Salernit., in Chron., tom. 6 Rer. Italic.
Anno di CRISTO MCLXIX. Indizione II.
ALESSANDRO III papa 11.
FEDERIGO I re 18, imper. 15.
Spese l'imperador Federigo in Germania l'anno presente in istabilire ed
ingrandire i suoi figliuoli[2184]. Nelle feste di Pentecoste tenne una
gran dieta in Bamberga, dove comparvero i legati dell'antipapa Callisto.
In essa di comune consenso de' principi fece eleggere re di Germania e
d'Italia il suo primogenito _Arrigo_, e coronarlo per mano di _Filippo
arcivescovo_ di Colonia. Al secondo de' suoi figliuoli, cioè a
_Federigo_, giacchè era mancato di vita _Federigo duca_ di Suevia,
chiamato di Rotimburgo, l'Augusto imperadore diede quel ducato. Rimasto
senza eredi il vecchio duca _Guelfo_ della linea estense di Germania,
per la morte del figliuolo accaduta nell'anno 1167 in Italia, aveva egli
dichiarato suo erede _Arrigo il Leone_ duca di Baviera e Sassonia, suo
nipote, di tutti i suoi Stati e beni posti nella Suevia, a condizione di
ricavarne una buona somma di danaro. Ma procrastinando il duca Arrigo di
pagare, figurandosi che per l'età avanzata dello zio la morte gli
risparmierebbe un tale sborso, il duca Guelfo rinunziò tutto a Federigo
Augusto, che pagò il danaro pattuito. A _Corrado_ suo terzogenito
conferì poi il ducato della Franconia con altri beni. Al quartogenito
_Ottone_ diede il regno d'Arles, ossia della Borgogna. L'ultimo suo
figliuolo _Filippo_ era allora in fasce. Altri acquisti, annoverati da
Ottone da San Biagio, fece Federigo per ben arricchir la sua prole; e in
quest'anno ancora s'impadronì dell'arcivescovato di Salisburgo, facendo
colare quanti mai potè de' feudi delle chiese in essi suoi figliuoli, e
comperando ed acquistando diritti e beni, ovunque poteva. La Sicilia
nell'anno presente, correndo il dì 4 di febbraio, soffrì un fierissimo
eccidio per un orribile tremuoto che desolò varie città[2185]. Quella
sopra tutto di Catania, città allora ricchissima, tutta fu rovesciata a
terra colla morte di circa quindici mila persone, e del vescovo (uomo
per altro cattivo, e salito in alto colla simonia) e di quasi tutti i
monaci, senza che vi restasse una casa in piedi. La stessa disavventura
provò la nobil terra di Lentino. Danneggiata di molto restò anche
Siracusa con assai altre castella. Negli Annali Pisani[2186] sta scritto
che _a Catania usque ad Plassa undecim inter civitates et castella et
villas cum multis hominibus in via et agro oppressis a dicto terraemotu
perierunt_. Attesero i Cremonesi a cignere di buone mura la loro
città[2187]. Nè riposavano i Milanesi in fabbricar case, e fortificare
la rinata loro città. Degno è d'attenzione ciò che ha Niceta
Coniate[2188]: cioè che _Manuello_ imperador de' Greci per l'apprensione
dell'armi di Federigo Augusto, massimamente dappoichè questi aveva
tentato di torgli Ancona, somministrò grossi aiuti, cioè di danaro, ai
Milanesi, affinchè rifabbricassero la loro città, e si mettessero in
istato di poter far fronte ad un imperadore che meditava la rovina di
tutti. Certo è che Manuello era in lega col papa, col re di Sicilia e
coi Lombardi contro di Federigo. Abbiamo anche da Galvano Fiamma[2189],
che le pie donne di Milano venderono tutti i loro anelli e gioielli, per
impiegarne il prezzo nella riedificazione della chiesa metropolitana di
santa Maria. Guerra fu in quest'anno nella Romagna[2190]. Aveano i
Bolognesi, assistiti da' Ravegnani, assediata la città di Faenza.
Ricorsero i Faentini per soccorso, ai Forlivesi, che accorsi ed
attaccata battaglia verso il fiume Senio, misero in rotta il campo
bolognese, con farvi quattrocento prigioni. Il Ghirardacci rapporta
questa sconfitta de' suoi, ma pretende che i Bolognesi fossero iti in
aiuto de' Ravegnani lor collegati, a' danni dei quali s'erano portati i
Faentini e Forlivesi. Veniva in questi tempi agitata da interne guerre
civili la città di Genova[2191]. Tanto si adoperò _Ugo arcivescovo_
unito coi consoli, che si conchiuse concordia e pace fra i cittadini.
Seguitando intanto la guerra già incominciata fra i Pisani e Lucchesi,
perchè i primi s'erano fatti forti coll'aiuto de' popoli della
Garfagnana e Versiglia, richiesero gli altri di aiuto i Genovesi, che
non mancarono di accorrere per sostenerli. Si trattò poscia di pace, ma
senza che potessero venire ad accordo alcuno. Per questa cagione
continuarono i Pisani e Genovesi a farsi guerra gli uni agli altri in
mare, prendendo chi potea più legni de' nemici.
NOTE:
[2184] Otto de S. Blasio, in Chron. Chronic. Reichersperg.
[2185] Hugo Falcandus, in Chron. Romualdus Salernitanus, in Chron., tom.
7 Rer. Ital.
[2186] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Ital.
[2187] Sicard., in Chron., tom. 6 Rer. Ital.
[2188] Niceta, Histor., lib. 7.
[2189] Gualvan. Flamma, in Manipul. Flor.
[2190] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 5. Sigonius, de Regno Ital., lib.
14. Ghirardacci, Istor. di Bologna, lib. 3.
[2191] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2.
Anno di CRISTO MCLXX. Indizione III.
ALESSANDRO III papa 12.
FEDERIGO I re 19, imper. 16.
Tentò in quest'anno l'_imperador Federigo_ d'introdurre trattato di pace
con _papa Alessandro_ III dimorante tuttavia in Benevento[2192]. Spedì a
questo fine in Italia il vescovo di Bamberga _Everardo_, con ordine
d'abboccarsi col pontefice, ma di non entrare negli Stati del re di
Sicilia. Alessandro, che stava all'erta, e per tempo s'avvide ove
tendeva l'astuzia di Federigo, cioè a mettere della mala intelligenza
fra esso papa e i collegati lombardi, non tardò punto ad avvisarne la
lega, acciocchè gli spedissero un deputato per assistere a quanto fosse
per riferire il vescovo suddetto. Dappoichè fu questi venuto, si
trasferì il pontefice in Campania a Veroli, per quivi dare udienza al
legato cesareo. Voleva questi parlargli da solo a solo; il che
maggiormente accrebbe i sospetti di qualche furberia. Benchè con
ripugnanza, fu ammesso ad una segreta udienza, dove espose essere
Federigo disposto ad approvar tutte le ordinazioni da esso pontefice
fatte; ma intorno al papato, e all'ubbidienza dovuta al vicario di
Cristo, ne parlò egli con molta ambiguità, e senza osare di spiegarsi.
Comunicò papa Alessandro cotali proposizioni al sacro collegio e al
deputato della lega. La risposta ch'egli poi diede al vescovo Bamberga,
fu di maravigliarsi, come egli avesse preso a portare una siffatta
ambasciata, che nulla conteneva di quel che più importava. Che quanto ad
esso papa, egli era pronto ad onorare sopra tutti i principi Federigo, e
ad amarlo, purchè anch'esso mostrasse la filial sua divozione dovuta
alla Chiesa sua madre; e con questo il licenziò. Mentre il pontefice
dimorava in Veroli, i Romani pieni di rabbia contro l'odiata città di
Tuscolo, le faceano aspra guerra. Rainone signore di essa città,
veggendosi a mal partito, trattò d'accordo con Giovanni, lasciato
prefetto di Roma dall'imperador Federigo, e gli cedette quella città,
con riceverne in contraccambio Monte Fiascone e il borgo di San
Flaviano, senza farne parola col papa, da cui pure egli riconosceva
quella città, e con assolvere dal giuramento i Tuscolani, i quali si
crederono col nuovo padrone di esentarsi dalle molestie de' Romani. Ma
questi più vigorosamente che mai continuarono la guerra contra di essa
città, di maniera che quel popolo, fatto ricorso al papa, si mise sotto
il dominio e patrocinio di lui. Alla stessa corte pontificia tardò poco
a comparire il suddetto Rainone pentito del contratto, perchè quei di
Montefiascone vituperosamente l'aveano cacciato dalla lor terra; ed
anch'egli, implorata la misericordia del papa, fece una donazion della
terra di Tuscolo alla Chiesa romana: il che la preservò per allora
dall'ira e dalle forze del popolo romano. Rapporta il Guichenon[2193]
una bolla di papa Alessandro, dato in quest'anno _Laterani_ in favore
della badia di Fruttuaria. Non può stare, perchè il papa non fu in
questi tempi in Roma. Persistendo tuttavia Manuello imperador de' Greci
nel vano pensiero di ricuperar la corona imperiale di Roma, per farsi
del partito in quella città, mandò nel presente anno una sua nipote per
moglie di Ottone Frangipane[2194], la cui nobilissima famiglia era in
questi tempi attaccatissima al pontefice Alessandro. Fu essa condotta
con accompagnamento magnifico di vescovi e nobili greci, e con gran
somma di danaro a Veroli, dove il papa gli sposò: dopo di che Ottone
condusse la novella moglie a Roma. Ardevano i Bolognesi di voglia di
vendicarsi della rotta loro data nel precedente anno dai Faentini. Però
col maggior loro sforzo e col carroccio, che per la prima volta fu da
essi usato, s'inviarono contra della città di Faenza, e l'assediarono.
Il Ghirardacci scrive[2195] che sconfissero l'armata de' Faentini. Le
vecchie storie di Bologna[2196] parlano solamente dell'assedio; e di più
non ne dice Girolamo Rossi[2197], che mette all'anno seguente un tal
fatto, ed aggiugne, essersi uniti i Ravegnati ed Imolesi col popolo di
Bologna contra di Faenza. Concordano poi tutti gli autori in dire che
seguì la pace fra questi popoli, con essersi restituiti i prigioni ai
Bolognesi. Accenna il suddetto Rossi una battaglia accaduta in
quest'anno fra essi Faentini dall'una parte, e i Forlivesi e i Ravennati
dall'altra, colla sconfitta degli ultimi. Ma non s'intende come il
popolo di Forlì, ausiliario de' Faentini nel precedente anno fosse già
divenuto loro nemico. Oltre di che, non è molto da fidarsi degli storici
moderni, qualora mancano le croniche vecchie. Tre ambasciatori del greco
imperadore Manuello Comneno approdarono in quest'anno a Genova per
trattar di concordia con quel popolo[2198], portando con seco cinquanta
sei mila, oppur ventotto mila perperi (monete d'oro dei Greci); ma non
fu loro data udienza, se non dappoichè fu ritornato da Costantinopoli
Amico da Murta, ambasciatore d'essi Genovesi. Perchè si trovò gran
divario fra la esposizion d'Amico e quella de' legati greci, licenziati
questi senza accordo, si riportarono indietro i lor danari. Seguitò
ancora nell'anno presente la guerra fra i Pisani e i Lucchesi, colla
peggio degli ultimi, che rimasero sconfitti presso Motrone, e lasciarono
in poter de' Pisani una gran quantità di prigioni[2199]. Nè cessarono le
vicendevoli prede fra essi Pisani e i Genovesi per mare. Fra l'altre
prede, venne fatto ai Genovesi di prendere una nave, dove era Carone,
uno de' consoli pisani.
NOTE:
[2192] Cardin. de Aragon., in Vita Alexandri III.
[2193] Guichenon, Bibliot. Sebus., Centur. II, cap. 35.
[2194] Johann. de Ceccano, Chron. Fossaenovae.
[2195] Ghirardacci, Istor. di Bologna, lib. 3.
[2196] Cron. di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2197] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 6.
[2198] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2, tom. 6 Rer. Ital.
[2199] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCLXXI. Indizione IV.
ALESSANDRO III papa 13.
FEDERIGO I re 20, imper. 17.
Somma era stata l'occupazion di _papa Alessandro_ negli anni addietro
per rimettere in grazia di _Arrigo re_ d'Inghilterra, e nel possesso
della sua chiesa _Tommaso arcivescovo_ di Cantorberì, ed aveva avuta la
consolazione di veder terminato così scabroso affare. Ma non fu minore
il suo affanno nel principio del presente anno, perchè vennero le nuove
che al santo prelato era stata da empii sicarii levata la vita nel dì 29
del precedente dicembre: laonde meritò di essere onorato da Dio con
varii miracoli, e poi registrato nel catalogo dei martiri. Ebbe perciò
il pontefice da faticar tuttavia non poco per eseguir ciò che la
disciplina ecclesiastica prescrive in simili casi[2200]. Trovavasi egli
in Tuscolo nel dì 25 di marzo, allorchè arrivarono gli ambasciatori del
re Arrigo, venuti per discolparlo, e protestare ch'egli non avea avuta
mano in quel sacrilego fatto. A tutta prima non li volle il papa vedere;
ma dopo qualche maneggio gli ammise, e dipoi spedì in Inghilterra due
cardinali per formare il processo, e conoscere se il re era innocente o
reo. Continuarono ancora in quest'anno con gran vigore i Milanesi a
rialzare l'abbattuta loro città; nè contenti di questo, ne ampliarono
con nuove mura il circuito chiudendo in essa le basiliche di santo
Ambrosio, di san Lorenzo, di san Nazario e di sant'Eusebio, di maniera
che le disgrazie loro servirono a maggiormente nobilitare la per altro
nobilissima patria loro. Ne resta tuttavia la memoria in un antico marmo
rapportato dal Puricelli[2201], dove ancora si leggono i nomi de'
consoli milanesi di quest'anno. Due d'essi specialmente sono da notare,
cioè _Ardericus de la Turre, Obertus de Orto_; il secondo celebre fra i
legisti, per la raccolta delle consuetudini feudali; e il primo, perchè
da lui verisimilmente discende l'illustre casa della Torre, ossia
Torriana, che signoreggiò dipoi in Milano. Pubblicò nell'anno 1708 il
famoso Stefano Baluzio la Storia genealogica della casa della Torre
d'Alvernia, ossia dei duchi di Buglione, per cui ebbe di molti guai. Sì
egli, come altri han creduto una medesima famiglia quella de' Torriani
milanesi e l'altra de' franzesi. Quando non si adducano pruove più
sicure di tal connessione, difficile sarà il credere sì fatta unione di
sangue. Noi qui a buon conto troviamo un _Arderico della Torre_ console
in Milano, e perciò buon cittadino di Milano: ma ch'egli, o i suoi
maggiori fossero venuti di Francia, non si dee senza buone pruove
asserire.
Cercarono i Lucchesi e Genovesi collegati di tirar nella loro alleanza
altri popoli, per poter con più fortuna rintuzzare i Pisani. Riuscì loro
di guadagnare i Sanesi e Pistoiesi, e al conte Guido signor potente in
Toscana. Fu ciò cagione che anche i Pisani stabilirono lega coi
Fiorentini per quaranta anni avvenire. Gli Annali pisani, in vece di
anticipar di un anno i successi di questi tempi per accomodarsi all'era
pisana, che nove mesi prima dell'era volgare comincia l'anno nuovo, li
pospongono di un anno: e però non si può stare alla cronologia d'essa
storia. Abbiamo gli Annali genovesi in questo più esatti[2202].
Fabbricarono nel presente anno i Lucchesi coll'aiuto de' Genovesi
Viareggio al mare. Verso l'autunno arrivò in Lombardia all'improvviso
_Cristiano arcivescovo_ eletto di Magonza, inviato dall'imperador
Federigo, per assistere agl'interessi dell'Italia, e massimamente della
Toscana, che tuttavia teneva il partito imperiale. Passò egli
intrepidamente per mezzo le città lombarde nemiche, ma con gran fretta;
e valicando il fiume Tanaro presso Alessandria, si trasferì a Genova,
dove per rispetto dell'imperadore fu onorevolmente accolto. Se l'ebbero
forte a male i collegati lombardi, e però pubblicarono un bando che
niuno avesse da condurre grani e altre vettovaglie a Genova: il che
cagionò una gran carestia in quella città. Tornarono ancora in
quest'anno essi Genovesi a condurre in Sardegna il _re Barisone_,
sequestrato da essi per debiti, e pare che soddisfatti del loro avere,
quivi il lasciassero a scorticare i suoi popoli per le colpe della sua
vanità. Aveva l'imperadore Manuello Comneno cacciato da Costantinopoli i
Pisani. In quest'anno venuto con essi a concordia, restituì loro i
fondachi e il maltolto. Obbligossi egli di pagare per quindici anni
avvenire al comune di Pisa cinquecento bisanti (monete d'oro) e due
pallii, o un pallio ancora all'arcivescovo di Pisa. Vennero gli
ambasciatori di lui a Pisa, e nel dì 13 di dicembre furono segnati i
capitoli della concordia. Essendo mancato di vita _Guido arcivescovo_ di
Ravenna[2203], succedette in quella chiesa _Gherardo_, il quale, al pari
dei suoi antecessori usò il titolo di _esarco_, cioè di padron temporale
di Ravenna e dell'esarcato, per le concessioni loro fatte
dagl'imperadori. Papa Alessandro III con sua bolla data in Tuscolo gli
confermò la superiorità sopra i vescovati di Bologna e Parma, per li
quali forse era stata in que' tempi qualche controversia. Tolte furono
ai Veneziani da _Stefano re_ d'Ungheria le città di Spalatro, Sebenico,
Zara e Traù[2204]. Il doge _Vitale Michele_ ricuperò Zara. Ma contra de'
Veneziani mosse maggior tempesta Manuello imperador de' Greci. Mostrossi
egli tutto benevolo verso questa nazione, e l'invitò a passare in
Levante colle lor merci, sicchè moltissimi uomini e navigli v'andarono
sotto la buona fede. Poscia spediti gli ordini per tutto il suo imperio,
nel dì 22 di marzo fece prendere tutti i legni e l'avere de' Veneziani.
Portatane la nuova a Venezia, ne' generosi petti di que' cittadini tanto
ardore di giusto risentimento s'accese, che in poco più di tre mesi
parte prepararono, parte fabbricarono cento galee e venti navi da
trasporto per portare la guerra in Grecia. Vi s'imbarcò lo stesso doge,
e mossa nel mese di settembre la poderosa flotta, ricuperò per forza
Traù, con darle poscia il sacco, e diroccarne una parte. Costrinse
Ragusi a sottomettersi al dominio di Venezia. Passò dipoi a Negroponte,
e imprese l'assedio di quella capitale. Fu allora dai Greci mossa parola
di pace, e il comandante di quella città inviò persone apposta a
Costantinopoli col vescovo d'Equilio, pratico della lingua greca, per
parte de' Veneziani. Finchè venissero le risposte, portatosi il doge a
Scio, s'impadronì di quella città e dell'isola tutta, e quivi determinò
di svernare coll'armata: il che gli fu di gravissimo danno, siccome fra
poco si dirà.
NOTE:
[2200] Cardin. de Aragon., in Vita Alexandri III, P. I, tom. 3 Rer.
Ital.
[2201] Puricell., Monum. Basilic. Ambr.
[2202] Caffari, Annal. Genuens., lib. 2.
[2203] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 6.
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