Annali d'Italia, vol. 4 - 51

Federigo, con aver ottenuta la corona, e nulla operato in favore di chi
l'avea coronato.
Finita questa scena, un'altra ne ebbe principio in Puglia. Avrebbe
desiderato esso imperadore, allorchè fu in Roma, di portar la guerra in
quelle parti; ma l'esercito suo, in cui si vedeano cader malati tanti di
loro, troppa ripugnanza ne avea dimostrato. Pertanto i baroni fuorusciti
altro far non poterono se non impetrar delle patenti da esso imperadore,
come inviati da lui a que' popoli. Ricorsero ancora a papa Adriano, che
promise loro ogni aiuto, anzi fu egli il principal promotore di quelle
ribellioni, come accennano Romoaldo Salernitano[2022], Guglielmo
Tirio[2023] ed altri. Fra i principali che armati congiurarono contra
del re _Guglielmo_, vi fu _Roberto_ già principe di Capoa, _Andrea_
conte di Rupecanina, e _Riccardo_ dall'Aquila. Anche _Roberto_ di
Bissavilla conte di Loritello, benchè cugino germano del re Guglielmo,
entrò in quella congiura, anzi ne fu il capo, dacchè il perfido
ammiraglio Maione, favorito del re, l'avea messo in disgrazia di
lui[2024]. Mossero pertanto questi baroni una fiera sollevazione in
Puglia contra del re Guglielmo. Al principe Roberto riuscì di ricuperare
Capoa col suo principato; all'altro Roberto di prendere Suessa, Tiano e
la città di Bari, il cui castello fece egli spianare. Il conte Andrea
s'impadronì del contado d'Alife. Aveano essi baroni sul principio tenuto
trattato con _Manuello imperadore_ di Costantinopoli, per tirarlo in
questa guerra: occasione da lui sospirata molti anni addietro[2025]. Vi
entrò egli dunque a braccia aperte, e spedì in Puglia Michele Paleologo,
quel medesimo che in Ancona fece l'ambasciata all'imperadore Federigo,
con gran somma di danaro al conte Roberto e agli altri baroni, acciocchè
assoldassero gente e facessero guerra al re Guglielmo. Mandò inoltre una
flotta comandata da un Sebasto, la quale s'impossessò di Brindisi, a
riserva del castello. Tutte le altre città marittime s'accordarono coi
Greci e col suddetto Roberto conte di Loritello. In somma si sostennero
in sì fiera tempesta alla divozione del re Guglielmo solamente Napoli,
Amalfi, Surrento, Troia, Melfi, e poche altre città e castella forti.
Per accalorar maggiormente questa impresa mosse da Roma _papa
Adriano_[2026], accompagnato da molte schiere d'armati, e circa la festa
di san Michele di settembre arrivò a san Germano, dove Roberto, di nuovo
principe di Capoa, e gli altri baroni gli giurarono fedeltà ed omaggio.
Di là passò a Benevento, e per tutte quelle parti fu riconosciuta la di
lui sovranità. Intanto dugento cavalli milanesi con dugento fanti,
appena partito da Piacenza Federigo[2027], entrarono nella distrutta
città di Tortona, e vi si afforzarono il meglio che poterono.
V'accorsero i Pavesi colla loro armata[2028]; ma o perchè non si
attentarono, o perchè il marchese di Monferrato per suoi segreti fini li
dissuase, se ne tornarono indietro colle pive nel sacco. Ciò udito dai
Milanesi, che dianzi aveano richiamato da Tortona quel corpo di gente
senza essere stati ubbiditi, sentendosi animati a soccorrere una città
che per loro amore s'era sacrificata, nacque in loro gran voglia di
rifabbricarla, e a questo fine spedirono colà le genti di Porta Ticinese
e Vercellina, che si diedero a rimettere in piedi le mura.
Successivamente vi mandarono i soldati di due altre porte. Ma eccoti nel
dì 25 di maggio l'esercito pavese venire a trovarli. Uscirono in
campagna i Milanesi, e si affrontarono co' nemici; ma infine toccò loro
la mala fortuna, e il dare alle gambe, con lasciare in preda de' Pavesi
tutto il loro equipaggio, oltre a molti uccisi o presi. In questo fatto
d'armi coi Milanesi si trovò lo stesso Ottone Morena istorico. Nel dì
seguente diedero i Pavesi un fiero assalto alla città, e v'entrarono
anche due bandiere d'essi, ma furono respinti con bravura. Essendo poi
tornati a Pavia i nemici, attesero i Milanesi a rifar le mura e le fosse
di Tortona, tutte alle loro spese. E questo passava in Italia. Dacchè fu
in Germania l'Augusto Federigo[2029], alla metà d'ottobre tenne una gran
dieta in Ratisbona, dove diede il possesso della Baviera ad _Arrigo
Leone_ estense-guelfo duca di Sassonia, e ammise all'udienza _Tebaldo
vescovo_ di Verona, inviato dalla sua città a scusarsi ed umiliarsi. Nè
vi andò indarno. _In gratiam_, dice Ottone da Frisinga, _recepta est
Verona. Nam et magnam pecuniam dedit ac militiam, quam habere posset,
contra Mediolanenses ducere sacramento firmavit_.
NOTE:
[2001] Romuald. Salern., in Chron., tom. 7 Rer. Italic.
[2002] Anonymus Casin., tom. 5 Rer. Ital.
[2003] Card. de Aragon., in Vit. Adrian. IV.
[2004] Otto Frisingens., de Gest. Frider. I.
[2005] Saxius, in Notis ad Ottonem Morenam.
[2006] Annal. Astens., tom. 11 Rer. Ital.
[2007] Otto Morena, Hist. Laudens., tom. 6 Rer. Italic.
[2008] Sire Raul, Hist., tom. 6 Rer. Ital.
[2009] Otto Frisingensis, de Gest. Friderici I, lib. 2, cap. 21.
[2010] Anecdot. Latin., tom. 2.
[2011] Sigonius, de Regno Ital., lib. 12.
[2012] Saxius, in Notis ad Sigonium.
[2013] Ghirardacci, Istor. di Bologna, lib. 3.
[2014] Cardin. de Aragon., in Vit. Adriani IV.
[2015] Otto Frisingens., de Gest. Friderici I, lib. 2, cap. 21.
[2016] Antiquit. Ital., Dissert. IV. pag. 117.
[2017] Otto Frisingensis, lib. 2, cap. 22.
[2018] Otto Frisingens., lib. 2, cap. 24.
[2019] Cardinal. de Aragon., in Vit. Adrian. IV.
[2020] Vit. S. Ubaldi, in Actis Sanct., ad diem 16 maii.
[2021] Antiquit. Italic., Dissert. XXVII, pag. 591.
[2022] Romualdus Salern., in Chron.
[2023] Guillelmus Tyrius, lib. 18, cap. 2. Cardin. de Aragon., in Vit.
Adrian. IV, P. I, tom. 3 Rer. Ital. Anonym. Casinens., in Chron.
[2024] Hugo Falcandus, in Chron.
[2025] Romualdus Salernit., in Chron., tom. 7 Rer. Ital.
[2026] Cardin. de Aragon., in Vit. Adriani IV.
[2027] Sire Raul, Hist., tom. 6 Rer. Ital.
[2028] Otto Morena, Hist. Landens., tom. 6 Rer. Italic.
[2029] Otto Frisingens., de Gest. Frider. I, lib. 2, cap. 29.


Anno di CRISTO MCLVI. Indizione IV.
ADRIANO IV papa 3.
FEDERIGO I re 5, imperad. 2.

Nella primavera di quest'anno l'_imperador Federigo_ celebrò in
Wirtzburg le sue nozze con _Beatrice_ figliuola di _Rinaldo conte_ di
Borgogna[2030], che gli portò in dote molti Stati. Vennero in questi
tempi gli ambasciatori del greco Augusto _Manuello Comneno_, ma non
furono ammessi. Curioso è il motivo che ci vien qui narrato da Ottone
Frisingense, per cui svanì tutta la precedente amicizia e confidenza che
passava tra i due imperii occidentale ed orientale. Sia verità o bugia,
fu rappresentato a Federigo che i Greci, allorchè egli passò da Ancona,
aveano destramente colta una lettera sigillata col sigillo d'esso
imperador Federigo (quasichè niuna di queste lettere si conservasse
nella corte di Costantinopoli), e s'erano serviti di quel sigillo
applicato ad altra carta, fingendo che Federigo avesse conceduta al
greco Augusto la Campania e la Puglia, per tirar dalla sua i popoli di
quelle contrade. Con questa frode e con gran profusione d'oro guadagnati
non pochi baroni della Puglia, s'erano fatti padroni di un gran tratto
di paese, e specialmente di Bari capital della provincia, dove era morto
Michele Paleologo, condottiere di quella impresa. Corse anche voce in
Germania che _Guglielmo re_ di Sicilia fosse o mancato di vita o
impazzito. E infatti abbiamo da Ugone Falcando[2031] che Guglielmo
nell'anno addietro, per artifizio del suo disleale favorito ed
ammiraglio Maione, se ne stette come chiuso nelle stanze del suo palazzo
in Palermo, senza dar udienza a chi che sia, fuorchè ad esso Maione e ad
_Ugone arcivescovo_ di quella città. Ora, benchè Federigo odiasse non
poco il re Guglielmo, pure più rabbia in lui cagionava il vedere che i
Greci, potenza maggiore e capace di far maggiori progressi in Italia,
avessero usurpata la Puglia; e però, chiamandoli traditori, già si
disponeva a tornare in Italia per muovere guerra contra di loro. Ma
dacchè intese che Guglielmo era vivo e sano di mente, e che altra faccia
aveano presa gli affari di Puglia, siccome dirò fra poco, smontò da quel
disegno, e solamente rivolse i suoi pensieri contra de' Milanesi, che
erano in sua disgrazia, con fare i preparamenti necessarii per tale
impresa.
Ora è da sapere che, per attestato del suddetto Ugone Falcando, molte
trame furono fatte dal menzionato Maione contra di non pochi baroni
della Sicilia, i quali giunsero a ribellarsi con gran confusione di cose
in Palermo e in altri luoghi. Servirono tali sconcerti a svegliare
l'addormentato _Guglielmo_, che non arrivò già per questo a conoscere
qual mostro egli tenesse appresso nella persona di Maione. Risaputo
bensì finalmente il grave sfasciamento de' suoi affari in Puglia, si
applicò tosto al riparo. Il suo primo tentativo fu quello di rimettersi,
se potea, in grazia di _papa Adriano_[2032], e tanto più perchè si venne
a sapere che l'imperador greco facea proposizioni ingorde di danaro al
medesimo pontefice per ottener tre città marittime, con promettere
ancora di dargli tali forze di gente e d'oro da poter cacciare Guglielmo
dalla Sicilia. Venuto dunque a Salerno, inviò al papa il vescovo eletto
di Catania ed altri della sua corte, con plenipotenza di far pace colla
Chiesa romana, offerendole il danaro esibito dai Greci, tre terre per li
danni dati, omaggio ed ubbidienza, e la libertà delle chiese. Non prestò
fede a tutta prima il pontefice Adriano a queste proposizioni, e per
chiarirsene inviò a Salerno _Ubaldo cardinale_ di santa Prassede.
Accertossi egli tutto essere vero; e il papa, trovandovi del vantaggio,
inclinava forte alla concordia, se non che gli si oppose la maggior
parte de' cardinali che macinavano nella lor mente delle inusate
grandezze, in maniera che disturbarono tutto il negoziato. Ebbero bene a
pentirsi della lor ingordigia, e a provare che chi si esalta sarà
umiliato, e chi si umilia verrà esaltato. Il re Guglielmo, messo insieme
un poderoso esercito per mare e per terra[2033], andò alla volta di
Brindisi, occupato da' Greci, da dove si ritirò _Roberto conte_ di
Loritello, con venire a Benevento. Si teneva tuttavia il castello pel
re. Assediata quella città, i Greci co' Pugliesi uscirono in campo
aperto, e diedero battaglia. Durò un pezzo dubbioso il combattimento; ma
in fine la vittoria si dichiarò in favore di Guglielmo. Molta nobiltà
de' Greci fu ivi presa ed inviata nelle carceri di Palermo; gran bottino
di danaro e di navi fu fatto, e riacquistata la città nel dì 28 di
maggio. A non pochi ancora de' baroni pugliesi ribelli toccò la
disgrazia di cader nelle mani del re. Tolta fu ad alcuni la vita, ad
altri la vista. Ciò fatto, marciò alla volta di Bari col vittorioso
esercito. Uscirono i cittadini ad incontrarlo senz'armi e in abito di
penitenza, chiedendo misericordia. Altro non ottennero al re, troppo
sdegnato per lo smantellamento della sua cittadella, se non spazio di
due giorni per uscir della città con quanto poteano asportare. Dopo di
che spianate prima le mura, fu quella dianzi sì superba, sì popolata e
ricca città ridotta in un mucchio di pietre, e diviso il suo popolo in
varie ville. Un sì lagrimevole spettacolo fece che non tardarono le
altre città della Puglia perdute a rimettersi in grazia e sotto il
dominio del re Guglielmo, il quale continuò il viaggio sino a Benevento,
dove i più de' baroni suoi ribelli s'erano rifugiati.
Tal paura mise il suo avvicinamento _a Roberto principe_ di Capoa,
dimorante in essa città di Benevento, che non credendosi sicuro, prese
la fuga. Ma nel passare il Garigliano, tesogli un agguato da _Riccardo_
dell'Aquila conte di Fondi, fu preso e poi consegnato a Guglielmo. Con
questo tradimento Riccardo rientrò in grazia del re; e Roberto inviato
prigione a Palermo, ed abbacinato, finì poco appresso nelle miserie la
sua vita. S'interpose il pontefice Adriano, che si trovava in Benevento
anche egli, per salvare Roberto conte di Loritello, Andrea conte di
Rupecanina, ed altri baroni che erano presso di lui chiusi in quella
città; ed il re si contentò di non molestarli, purchè uscissero fuori
del regno: grazia di cui non tardarono a prevalersi. E allora fu che
esso pontefice, chiarito delle umane vicende, e pensando al suo stato,
mandò egli stesso a ricercar quella pace, per cui pochi mesi prima era
stato supplicato. Inviò dunque i cardinali _Ubaldo_ di santa Prassede,
_Giulio_ di san Marcello e _Rolando_ di san Marco al re Guglielmo, per
avvertirlo da parte di san Pietro di non offendere Benevento, di
soddisfare per li danni dati, e di conservare i suoi diritti alla Chiesa
romana. Furono essi benignamente accolti dal re, intavolarono il
trattato della pace, e dopo molti dibattimenti fu essa conchiusa.
Mediatore fra gli altri ne fu _Romoaldo arcivescovo_ di Salerno, quel
medesimo che ci ha lasciata la sua Storia, da me data alla luce.
Rapporta il cardinal Baronio[2034] il diploma del _re Guglielmo_, che
contiene le condizioni dell'accordo, e con esso s'ha a confrontare ciò
che ne scrivono alcuni moderni. Si obbligò il papa di concedere al re
l'investitura del regno di Sicilia, del ducato di Puglia, del principato
di Capoa, Napoli, Salerno e Melfi, siccome ancora della Marca e
dell'altro paese ch'egli dovea avere di qua da Marsi. E il re si obbligò
a prestargli omaggio contro ogni persona, e il giurargli fedeltà, con
pagare ogni anno il censo di seicento schifati per la Puglia e Calabria,
e cinquecento per la Marca: cose tutte eseguite dipoi nella chiesa di
san Marciano fuori di Benevento, dove alla presenza di molta nobiltà e
popolo diede Guglielmo il giuramento a' piedi del papa, e ricevette
l'investitura. Sotto il nome di _Marca_ è da vedere che paese fosse
allora disegnato. Forse quella di Chieti, non osando io spiegar ciò
della marca di Camerino, che è la stessa con quella d'Ancona e di Fermo.
Confermò papa Adriano IV con sua bolla, riferita parimente dal cardinal
Baronio, la concordia suddetta; concordia nondimeno che dispiacque ad
alcuni de' cardinali, e molto più all'imperador Federigo, che si vedea
precluso con ciò l'adito alla meditata guerra di Puglia. Di grandi
regali in oro, argento e drappi di seta lasciò il re Guglielmo al papa,
ai cardinali e a tutta la corte pontificia[2035], e poi se ne andò. Da
Benevento venne il papa alla volta di Roma, con passare per Monte Casino
e per le montagne di Marsi. E perciocchè la città d'Orvieto, per
lunghissimo tempo sottratta alla giurisdizione della Chiesa romana, era
tornata alla sua ubbidienza, volle il buon pontefice consolar quei
popoli colla sua presenza. Con singolar onore quivi ricevuto, alla
venuta poi del verno passò alla volta dell'ameno e popolato castello di
Viterbo, e di là a Roma, dove pacificamente alloggiò nel palazzo
lateranense. Nell'anno presente i Milanesi, ricevuto qualche rinforzo di
gente da Brescia, continuarono la guerra contro ai Pavesi[2036]. Presero
loro varii luoghi, e fra gli altri il forte castello di Ceredano, non
avendo osato i Pavesi e Novaresi, benchè usciti in campagna con tutto il
loro sforzo, di venire ad alcun fatto d'armi, nè di tentar di soccorrere
quella terra, che poi fu spianata. Andarono ancora i Milanesi nella
valle di Lugano, e suggettarono circa venti di quelle castella. Seguì
ancora un conflitto fra essi e i Pavesi, in cui ebbero la peggio gli
ultimi. Studiaronsi in questi tempi i Piacentini[2037] di fortificar la
loro città con buone mura, torri e fosse, ben prevedendo i malanni che
sovrastavano alla Lombardia per la ribellion de' Milanesi. Intanto diede
fine a' suoi giorni _Domenico Morosini_ doge di Venezia[2038], in cui
luogo fu sostituito _Vitale Michele II_, il quale non tardò a far pace
coi Pisani. Nell'anno presente ancora, se è da prestar fede alla Cronica
di Jacopo Malvezzi[2039], i Bresciani, per cagion delle castella di
Volpino e Ceretello, mossero guerra ai Bergamaschi. Vennero alle mani
coll'esercito d'essi nel mese di marzo vicino a Palusco, e insigne
vittoria ne riportarono col far prigioni due mila e cinquecento
Bergamaschi, e prendere il loro principal gonfalone, che, portato nella
chiesa de' santi Faustino e Giovita, ogni anno nella gran solennità si
spiegava. All'incontro fecero i Genovesi pace e concordia con Guglielmo
re di Sicilia[2040], e lor ne venne molto vantaggio ed onore.
NOTE:
[2030] Otto Frisingens., de Gest. Friderici I, lib. 2, cap. 30.
[2031] Hugo Falcandus, in Chron.
[2032] Cardin. de Aragon., in Vita Adriani IV.
[2033] Romualdus Salernit., in Chron. Anonym. Casinens., in Chron.
Johann. de Ceccano.
[2034] Baron., Annales, ad hunc annum.
[2035] Cardin. de Aragon., in Vita Eugenii IV.
[2036] Sire Raul, Hist., tom. 6 Rer. Ital.
[2037] Annales Placentini, tom. 16 Rer. Ital.
[2038] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2039] Malveccius, Chron. Brixian., tom. 14 Rer. Italic.
[2040] Caffari, Annal. Genuens., lib. 1, tom. 6 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MCLVII. Indizione V.
ADRIANO IV papa 4.
FEDERIGO I re 6, imperad. 3.

Dappoichè _papa Adriano_ avea fatte coll'Augusto _Federigo_ tante
doglianze di _Guglielmo re_ di Sicilia, ed era restato con lui in
concerto di fargli guerra; cosa che Federigo non avea potuto eseguire
dopo aver presa la corona imperiale a cagion delle malattie entrate
nell'esercito suo; restò forte esacerbato esso imperadore all'udire
nell'anno precedente la pace data dal papa a Guglielmo con accordargli
il titolo di re, senza participazione alcuna ed assenso suo. Adirato
perciò fin da allora, cominciò a far conoscere il suo mal talento contro
d'esso Adriano col difficultare agli ecclesiastici del regno germanico
di passare alla corte pontificia per ottener benefizii o per altri
affari. Mosso da questa non picciola novità Adriano spedì nell'anno
presente due cardinali, cioè _Rolando_ cancelliere e _Bernardo_ del
titolo di san Clemente, alla corte cesarea[2041]. Correva il mese
d'ottobre, e Federigo Augusto s'era portato a Besanzone per farsi
riconoscere padrone del regno della Borgogna, siccome in fatti ottenne,
avendo in persona o per lettere prestata a lui ubbidienza gli
arcivescovi di _Lione, Vienna, Arles_, i vescovi di _Valenza_,
d'_Avignone_ e d'altre città. Era concorsa a Besanzone gran foresteria
per veder l'imperadore, e per affari. V'erano Romani, Pugliesi,
Veneziani, Lombardi, Franzesi, Inglesi e Spagnuoli. Furono ricevuti
onorevolmente i legati apostolici, i quali presentarono a Federigo una
lettera del papa, conceputa con gravi risentimenti, perch'esso
imperadore non avesse finora gastigato quegli scellerati di Germania che
aveano preso e messo in prigione _Esquilo arcivescovo_ di Lunden in
Isvezia (e non già di Londra, come immaginò il Baronio) nel ritorno di
Roma, con ricordargli appresso la prontezza con cui esso pontefice gli
avea conferita l'imperial corona; del che non era pentito, nè si
pentirebbe, quando anche _majora beneficia excellentia tua de manu
nostra suscepisset_. Letta la lettera, e spiegata a chi non sapeva il
latino, si alzò un gran bisbiglio nell'assemblea a cagione de' termini
forti in essa adoperati, ma principalmente per quella parola di
_beneficia_, che fu presa in senso rigoroso, quasichè adoperata nel
senso de' legisti, presso i quali significa _feudo_, volesse il
pontefice far sapere che l'imperadore dalle mani del papa riceveva in
feudo l'imperio. Diede motivo a tale interpretazione l'aver veduto in
Roma una pittura, rappresentante nel palazzo lateranense l'_imperador
Lottario_ ai piedi del papa, con questi due versi sotto:
REX VENIT ANTE FORES, IVRANS PRIVS VRBIS HONORES,
POST HOMO FIT PAPAE, SVMIT QVO DANTE CORONAM.
Quell'_homo_ vuol dire _vassallo_. Ne fu fatta doglianza collo stesso
papa Adriano che avea promesso di farlo cancellare. Uscirono parole
calde su questo nell'assemblea, e s'aumentò il fuoco, perchè dicono
avere risposto uno dei legati: _A quo ergo habet, si a domino papa non
habet imperium_? A tali parole poco mancò che _Ottone conte_ palatino di
Baviera, sguainata la spada, non gli tagliasse il capo. Quetò Federigo
il tumulto, e poi diede ordine che i legati fossero messi in sicuro,
acciocchè nel dì seguente per la più corta se ne tornassero a Roma.
Notificò poi esso imperadore quest'avvenimento con sua lettera sparsa
per tutta la Germania, lamentandosi del fatto dei legati, e del poco
rispetto a lui mostrato dal papa, con aggiugnere essersi trovati presso
quei legati non pochi fogli in bianco sigillati, per potere a loro
arbitrio scrivervi quel che volevano, per accumular danari e spogliar le
chiese del regno. Si vede che tanto il papa, quanto l'imperadore erano
inclinati alla rottura. L'avere il papa dalla sua il potente re di
Sicilia, il facea parlar alto; ma questa loro concordia quella appunto
era che a Federigo maggiormente movea la bile. Nè mancavano i baroni
pugliesi rifugiati colà di accenderla vieppiù, con isparlar dappertutto
del papa. Ottone da San Biagio[2042] mette l'avvenimento suddetto sotto
l'anno 1156, ma Radevico, scrittore di maggior peso, sotto il presente.
Durando tuttavia la guerra in Lombardia, i Milanesi, fatto un grande
sforzo contra dei Pavesi, con qualche aiuto ancora de' Bresciani, e dato
il comando dell'armata a _Guido conte_ di Biandrate, nel mese di giugno
si portarono alla volta di Vigevano, terra insigne de' Pavesi, alla cui
difesa s'erano posti _Guglielmo marchese_ di Monferrato, _Obizzo
Malaspina_ marchese, che dovea aver cangiata casacca, ed altri
baroni[2043]. Distrussero il castello di Gambalò, assediarono dipoi
Vigevano, e tanto lo tennero stretto, che per mancanza di viveri lo
strinsero alla resa, e dipoi lo spianarono. Seguì in tal congiuntura un
accordo fra i Milanesi e Pavesi, che durò ben poco. Ottone Morena scrive
per colpa de' Milanesi, e Sire Raul per mancamento de' Pavesi. Perciò il
popolo di Milano, che era tornato a casa, di nuovo uscì in campagna, e
passato in Lomellina, fertilissimo paese già tolto dai Pavesi ai nobili
conti palatini di Lombardia, si diedero a rifabbricar la terra di
Lomello, capitale allora di quella provincia. Nel medesimo tempo
maggiormente accalorarono il rifacimento e le fortificazioni di Tortona,
di Gagliate, Trecate e d'altri luoghi, fecero di buone fosse a Milano,
di maniera che, per attestato di Sire Raul, in tali fatture e nel
rimettere dei fortissimi ponti sopra i fiumi Ticino ed Adda, spesero più
di cinquanta mila marche di argento purissimo. Si mossero contra di loro
in quest'anno i Cremonesi; ma senza alcuna impresa di rilievo se ne
ritornarono alla loro città. Intanto gl'infelici Lodigiani, secondo
l'asserzione di Ottone Morena, storico contemporaneo di quella città,
furono con aggravii nuovi maggiormente afflitti dal popolo di Milano.
Non si sa che in quest'anno il re di Sicilia _Guglielmo_ alcuna impresa
facesse. Perduto ne' piaceri, e ritirato nel suo palagio di Palermo,
lasciava le redini all'indegno Maione suo ammiraglio, il quale gli dovea
lodar la vita ritirata e lussuriosa dei sultani turcheschi, per farla
egli intanto da re e per continuare in questi tempi la persecuzione
contra di qualunque barone siciliano che fosse o paresse contrario ai
suoi voleri e disegni. Ma nel mese di novembre _Andrea conte_ di
Rupecanina[2044], uno de' baroni di Puglia ribelli, che dianzi era
fuggito fuori del regno, vi tornò per voglia massimamente di vendicare
il tradimento fatto a _Roberto principe_ di Capoa da _Riccardo_
dall'Aquila conte di Fondi. Unì egli una picciola armata di Romani,
Greci e Pugliesi, e con essa entrato nel contado di Fondi, lo prese
insieme colla città d'Acquino, e bruciò il traghetto dove tradito fu il
suddetto principe di Capoa. Confermò papa Adriano in questo anno _IV
idus novembris_, stando nel palazzo lateranense, i privilegii a
_Guifredo abbate_ del monistero di san Dionisio di Milano, come costa da
sua bolla da me data alla luce[2045].
NOTE:
[2041] Radevicus, de Gestis Frider. I, lib. 1, cap. 8.
[2042] Otto de Sancto Blasio, in Chron.
[2043] Sire Raul, Hist., tom. 6 Rer. Ital. Otto Morena, Histor. Laudens.
[2044] Anonymus Casinensis, in Chron. Johan. de Ceccano, in Chron.
Fossaenovae.
[2045] Antiquit. Italic., Dissert. LXX.


Anno di CRISTO MCLVIII. Indizione VI.
ADRIANO IV papa 5.
FEDERIGO I re 7, imperad. 4.

L'anno fu questo in cui _Federigo imperadore_ determinò la seconda sua
venuta in Italia, per domare i Milanesi, Bresciani e Piacentini, ribelli
alla sua corona. A questo fine mise insieme un potentissimo esercito, e
ne fece la massa ne' contorni d'Augusta. Erano già tornati a Roma i due
cardinali legati, rimandati indietro dall'imperador Federigo[2046], ed
aveano riempiuta la corte pontificia di lamenti per l'affronto lor fatto
in Germania. Fu diviso il clero romano: l'una parte accusava di mala
condotta i legati, con dar ragione all'imperadore; e l'altra sosteneva
il loro operato. Sopra di ciò _papa Adriano_ scrisse una lettera agli
arcivescovi e vescovi di Germania, gravida bensì di lamenti per lo
strapazzo fatto ai suoi legati, ma con raccomandarsi che placassero e
mettessero in miglior sentiero l'imperadore. All'incontro quei prelati
gl'inviarono una risposta assai vigorosa in difesa della dignità
imperiale, rilevando sopra tutto l'insolenza di que' versi, e di quella
dipintura che dicono osservata nel palazzo lateranense, la quale dovea
per anche essere stata abolita, toccando anche gli abusi ed aggravii
introdotti nelle chiese della Germania dai ministri della curia romana.
Perciò il saggio pontefice, udendo che Federigo si preparava per tornare
coll'armi in Italia, giudicò meglio di smorzare il nato incendio con
inviare in Germania due altri legati più prudenti, cioè _Arrigo
cardinale_ de' santi Nereo ed Achilleo, e _Giacinto cardinale_ di santa
Maria della scuola greca, che per viaggio furono presi, spogliati e
posti in prigione da due conti del Tirolo. Furono poi rilasciati, ed
_Arrigo il Leone_ duca di Baviera e Sassonia fece poi un'esemplare
vendetta di que' nobili masnadieri. Trovarono questi legati Federigo ne'
contorni d'Augusta, ed ammessi all'udienza, gli parlarono con gran
riverenza, e presentarongli una lettera mansueta del papa. In essa egli
spiegava la parola _beneficium_, dichiarando di aver non mai preteso che
l'imperio fosse un feudo. Bastò questo a calmare l'ira di Federigo; ed
avendo egli poscia dato buon sesto ad alcune altre differenze che
passavano fra lui e la corte di Roma, fu ristabilita la pace, e i legati
contenti e nobilmente regalati se ne ritornarono a Roma. Avea già
l'Augusto Federigo spediti in Italia per precursori alla sua venuta
_Rinaldo_ suo cancelliere e _Ottone conte_ del palazzo. Questi verso la
Chiusa sull'Adige s'impadronirono del castello di Rivola, importante per
la sicurezza del passaggio dell'armata. Giunti a Cremona, quivi tennero
un gran parlamento, al quale intervennero gli arcivescovi di Milano e di
Ravenna, quindici vescovi, e molti marchesi, conti e consoli delle
città. Visitarono dipoi l'esarcato di Ravenna, e nell'andare alla volta
d'Ancona, scoprirono che i Greci, allora dominanti in quella città,
assoldavano gente sotto pretesto di volere far guerra a _Guglielmo re_
di Sicilia, ma infatti con disegno d'impadronirsi di altre città
marittime dell'Adriatico. A man larga spendevano costoro, e però vi
concorrea popolo da tutte le bande. I legati incontratisi nel cammino
con _Guglielmo Maltraverser_ (vuol dire Radevico _da Traversara_), il
più nobile dei Ravennati, gli fecero tal paura, che non pensò più a
trattar coi Greci. Arrivati poi nelle vicinanze d'Ancona con un
drappello d'armati, ne chiamarono fuori i ministri del greco Augusto, e
fecero loro una calda ripassata con varie minaccie, in guisa tale che i
medesimi stentarono ad iscusarsi. Dopo ciò, sen vennero que' legati a
riposare in Modena. Diviso in varii corpi l'immenso suo esercito,
Federigo parte ne inviò in Italia pel Friuli, parte pel Mongivì, altri
per Chiavenna e pel lago di Como. Calò egli stesso per la valle di
Trento col fiore dell'armata, seco conducendo _Uladislao duca_ di