Annali d'Italia, vol. 4 - 34
conte_ di Sicilia, che ammessi all'udienza del papa, posero ai di lui
piedi mille oncie d'oro. Animato da questi impulsi ed aiuti il
pontefice, spedì l'esercito contra di Guiberto. Dimorava costui nella
città d'Alba, e sostenne per qualche tempo l'assedio d'essa. Veggendo
poi disperato il caso, ebbe maniera di scampare, e di ritirarsi in un
forte castello; ma quivi all'improvviso la morte il colse, e mancò di
vita ostinato nel suo scisma, pentito più volte d'avere assunto il
titolo di pontefice romano, senza però mai pentirsi daddovero per
riconciliarsi col vero vicario di Cristo, e far penitenza de' suoi
enormi eccessi. Colla morte sua restò liberata la Chiesa di Dio da una
gran peste, da un terribil nemico. Non restò essa nondimeno
immediatamente quieta; imperciocchè i seguaci di esso Guiberto in luogo
di lui elessero papa un certo _Alberto_, che nello stesso giorno fu
dispapato. Laonde passarono all'elezion di un certo _Teodorico_; e
questi per più di tre mesi fece fra' suoi aderenti una ridicola figura
di sommo pontefice. Ma i Romani, o pure i Normanni misero le mani
addosso a que' mostri, e confinarono il primo in san Lorenzo d'Aversa,
l'altro nel monistero della Cava presso Salerno. Saltò su col tempo
anche il terzo, appellato _Maginolfo_, che nel dì 2 di novembre fu da'
suoi parziali promosso al pontificato e prese il nome di Silvestro IV.
Sigeberto nella Cronica sua[1362] secondo l'edizion del Mireo scrive,
che essendosi costui ritirato in una fortezza, _Berto caput et rector
romanae militiae cum expeditione cleri et populi eum inde extraxit, et
ad Warnerum principem Anconae in tiburtinam urbem adduxit_, dove fu
dagli scismatici creato papa, ma per attestato del medesimo scrittore,
costui _non multo post reprobatur a Romanis, et fama nominis ejus
evanuit_. Di ciò riparleremo all'anno 1106. Sicchè neppur dopo la morte
di Guiberto pervenne ad una intera quiete papa Pasquale. Nè si dee
tralasciar senza osservazione che in questi tempi la marca d'Ancona, non
diversa da quella che tempo fa era denominata marca di Camerino o di
Fermo, ubbidiva allora all'imperadore Arrigo IV. Ne era marchese
_Guarnieri_, da cui probabilmente, o da' suoi discendenti che portarono
lo stesso nome, fu quel paese poscia chiamato la _marca di Guarnieri_; e
questi riconosceva per suo signore il suddetto Arrigo, come costa da un
pezzo di lettera da lui scritta al medesimo Augusto presso di Sigeberto.
Che se questo Guarnieri teneva, siccome abbiam veduto, _Tivoli_,
anch'egli dovea recar delle molestie a Roma e al pontefice Pasquale.
Abbiamo dal soprallodato Pandolfo Pisano che il papa, non so se
nell'anno presente, oppure nel susseguente, ricuperò colla forza
dell'armi Città Castellana. Mosse anche guerra a Pietro dalla Colonna
(il primo che s'incontri di questa nobilissima famiglia nelle storie),
perchè aveva occupata la terra di Cavi, spettante alla Chiesa romana.
Tolta fu non solamente ad esso Pietro la terra suddetta, ma eziandio
Colonna e Zagarolo, che erano di suo diritto: il che ci fa intendere che
non cominciava allora la nobiltà di quella casa, ed esserle venuto il
cognome dal dominio della terra di Colonna, che fu poi loro restituita.
Poco potè godere del suo nuovo regno di Gerusalemme, e delle nuove
conquiste da lui fatte, l'inclito e piissimo _re Gotifredo_ di Buglione.
Caduto egli infermo nell'anno presente, passò a miglior vita nel dì 18
di luglio, lasciando dopo di sè una memoria piena di benedizioni[1363].
Accorso a Gerusalemme _Baldovino_ suo fratello, fu con universale
consentimento eletto re, ed anche solennemente coronato nel dì del santo
Natale: funzione da cui s'era astenuto il buon re Gotifredo. Landolfo
juniore[1364], storico milanese, scrive che _Anselmo IV_ arcivescovo di
Milano predicò la crociata per la Lombardia, facendo cantare una canzone
che cominciava _Ultreja_, forse franzese, e probabilmente significante
_Oltre già sono iti i Franchi_, ec. Unì egli con ciò una grossa armata
di Lombardi; e dopo aver creato e lasciato suo vicario in Milano
_Crisolao_ (appellato volgarmente _Grossolano_), che poco prima era
stato eletto e consecrato vescovo di Savona, alla testa di
quell'esercito s'inviò alla volta di Costantinopoli[1365]. Seco andarono
il vescovo di Pavia e Alberto da Biandrate potentissimo Lombardo. Non
per mare da Genova passò questa gente, come si pensò Tristano
Calco[1366], ma bensì per terra, attestandolo l'Abbate Urspergense[1367]
e l'Annalista Sassone[1368] con dire sotto quest'anno: _Ex Langobardis
cum Mediolanensi et Papiensi Episcopis quinquaginta millia ad
Hierosolymitanam profectionem signati, in Bulgariae civitatibus
hyemaverunt_. Rapporta il padre Bacchini[1369] un'insigne donazione
fatta in quest'anno dalla contessa Matilda, mentre era in Guastalla, al
monistero di san Benedetto di Gonzaga, e scritta _anno ab Incarnatione
Domini millesimo centesimo, Indictione decima, kalendis junii_. Ma non
può convenire a quest'anno l'_indizione X_, e dal Fiorentini[1370]
sappiamo che la contessa dimorava in Toscana nel dì 7 di giugno
dell'anno presente. Dimorava anche in Firenze _in palatio domus_ (cioè
del duomo) _sancti Johannis_, dove tenne un placito nel dì 2 di marzo,
da me dato alla luce. Però sembra verisimile che quel documento
appartenga all'anno 1102, in cui veramente Matilda si trovò in
Lombardia. Secondochè scrive Romoaldo Salernitano[1371], in quest'anno
_Ruggieri duca_ di Puglia assediò e prese la città di Canosa, ch'egli
durante l'assedio avea fatto cignere tutta all'intorno con delle reti.
_Boamondo principe_ d'Antiochia suo fratello restò nel presente anno
prigione dei Turchi: il che riuscì di grave danno agl'interessi del
cristianesimo in Oriente.
NOTE:
[1361] Pandulfus Pisanus, in Vit. Paschal. II, P. I, tom. 3 Rer. Italic.
[1362] Sigebertus, in Chron. edit. Miraei.
[1363] Guillelmus Tyr. Abbas Urspergensis. Fulcherius Carnotens.
Bernardus Thesaur. et alii.
[1364] Landulfus de S. Paulo, Histor. Mediolan., tom. 5 Rer. Ital.
[1365] Orderic. Vitalis. Radulfus Cadomens.
[1366] Tristan. Calchus, Hist. Med.
[1367] Abbas Urspergensis, in Chron.
[1368] Annalista Saxo.
[1369] Bacchini, Ist. di Poliron. App., pag. 46.
[1370] Fiorentini, Memorie di Matilda, lib. 2.
[1371] Romualdus Salernit., tom. 7 Rer. Italic.
Anno di CRISTO MCI. Indizione IX.
PASQUALE II papa 3.
ARRIGO IV re 46, imper. 18.
Funestato fu l'anno presente dalla morte di due illustri principi nello
stesso mese di luglio. L'uno fu _Corrado_ re di Italia, figliuolo di
Arrigo IV, e l'altro _Ruggieri_ conte di Sicilia. Quanto a Corrado, non
si sazia l'Abbate Urspergense[1372] con altri storici di esaltare le di
lui virtù. Niuno gli andava avanti nella pietà, nella mansuetudine,
nella continenza, di maniera che pareva un angelo in carne. Eppure
questo buon principe provò anch'egli poco buona fortuna presso la
contessa Matilda, donna che in questi tempi senza titolo regale faceva
volentieri da regina in Italia. Che disgusti ella desse all'ottimo
giovane Corrado, non si sa; ma gliene diede. Dappoichè Arrigo suo padre
non ebbe più forze in Italia, neppur ella ebbe più bisogno di Corrado. E
non seppe tacer Donizone che è pure il panegirista della contessa,
questa verità, scrivendo[1373]:
_Infra Conradus longobardos comitatus_
_Dum staret, discors a Mathildi fuit ipso_
_Tempore. Duravit modicum discordia talis._
_Nam petiit partes tuscanas rex. Ibi tamdem_
_Nobilibus quidam facientibus expulit iram._
Che Matilda non solamente signoreggiasse in Toscana e in parte della
Lombardia, ma stendesse anche la sua autorità in Milano, si può
raccogliere da Landolfo di san Paolo[1374]. Quivi fu eletto arcivescovo
_Matildis comitissae favore_ Landolfo da Badagio; decaduto questo, restò
eletto consecrato Anselmo IV da Baiso, il quale _virgae pastorali per
munus Matildis abhatissae_ (dovrebbe essere _comitissae_) _adhaesit_.
Collo stendere così le fimbre della sua autorità, dovea Matilda
annientar quella del re; forse anche non somministrava quanto occorreva
pel decente suo trattamento. Però forte in collera il real giovane si
ritirò a Firenze, dove sorpreso da maligna febbre, nel luglio di
quest'anno diede fine alla sua vita. Per testimonianza dell'Urspergense
corse qualche voce che così immatura morte fosse provenuta da veleno; e
forse ne fu dai maligni incolpata la medesima contessa Matilda,
scrivendo il soprammentovato Landolfo: _Quum pervenisset Florentiam rex
ipse prudens et sapiens, atque decorus facie (proh dolor!) adolescens,
accepta potione ab Aviano medico Matildis comitissae, vitam finivit_. Le
virtù di Matilda tali furono, che non può cadere sopra di lei un sì nero
sospetto. Per quel che riguarda _Ruggieri_ conte di Sicilia[1375],
anch'egli nel medesimo mese fu rapito dalla morte; principe valoroso e
glorioso al pari di Roberto Guiscardo suo fratello sopra la terra, ma
più di lui religioso, clemente liberale, e specialmente memorabile per
aver liberata la Sicilia dal giogo dei Saraceni, e restituito in essa il
culto del vero Dio colla fondazione di tanti vescovadi, spedali e templi
del Signore. Lasciò dopo di sè due piccioli figliuoli, _Simone_
primogenito, che fu riconosciuto tosto conte di Sicilia e di Calabria, e
_Ruggieri_ nato nell'anno 1097, che divenne col tempo re di Sicilia:
amendue sotto il governo della contessa _Adelaide_ loro madre, donna che
coll'alterigia univa una gran sete del danaro altrui, e però cagione che
in que' principii della sua tutela succedessero non poche sedizioni fra
i sudditi suoi. Non parlo di un terzo figliuolo appellato _Goffredo_,
probabilmente bastardo, perchè forse era premorto al padre.
In quest'anno sul principio d'aprile _Guelfo IV duca_ di Baviera, per
redimer i suoi peccati, imprese il viaggio di terra santa, e si unì con
_Guglielmo duca_ d'Aquitania[1376]. Conducevano seco questi due principi
un'armata di cento sessanta mila crociati. A questa precedeva l'altra
de' Lombardi, che dicemmo incamminata con _Anselmo arcivescovo_ di
Milano, il cui disegno fatto sulle dita, per quanto ne correa la voce,
era di voler conquistare Babilonia, come se quella fosse una bicocca. Ma
tanti castelli in aria andarono ben presto a finire in nulla. Passata
che fu sì gran moltitudine di gente nell'Asia[1377], per tradimento
dell'_imperadore Alessio_, che passava d'intelligenza coi Turchi, parte
per gli stenti e mancanze de' viveri, parte per le sciable e frecce
nemiche, perì quasi tutta. Fra gli altri principi che lasciarono la vita
in sì sfortunata spedizione[1378], uno fu il suddetto arcivescovo di
Milano, ossia che egli morisse in una zuffa co' Turchi, oppure che
ferito fuggisse a Costantinopoli, dove Landolfo da san Paolo scrive che
succedette la sua morte. Salvossi dopo la rovina del suo esercito il
duca Guelfo, e per mezzo ad infiniti travagli ebbe almen la consolazione
di arrivare a Gerusalemme. Soddisfatto ch'ebbe ivi alla sua divozione,
se ne tornava questo principe per mare a casa; ma giunto all'isola di
Pafo, oppure di Cipri, e colto da una mortale infermità, quivi finì di
vivere, e trovò la sua sepoltura o nel presente o nel susseguente anno:
principe glorioso per tante sue militari imprese, e massimamente per
aver piantata in Germania e lasciata quivi in gran potenza una linea di
principi estensi, la qual tuttavia più che mai fiorisce nella insigne
casa di Brunswich, Wolfembuttel e Luneburgo, dominanti anche sul trono
dell'Inghilterra. Restarono di lui due figliuoli maschi, cioè _Guelfo V_
marito della gran contessa Matilda, ma da lei separato, ed _Arrigo_,
appellato per soprannome _il Nero_. Succedette _Guelfo V_ nel ducato
della Baviera, e questi poi si segnalò colle doti della pietà, del
valore e della liberalità, come s'ha dalla Cronica di Weingart. In qual
anno egli terminasse i suoi giorni resta tuttavia allo scuro. Certo è,
che vivente ancora esso Guelfo, _Arrigo_ suo fratello portò il titolo di
_duca_, e ne vedremo una pruova all'anno 1107. Truovasi nel maggio del
presente anno la _contessa Matilda_ in Governolo sul Mantovano[1379],
dove restituisce al monistero di san Benedetto di Polirone l'isola di
Revere con altri beni. Si accinse ella in questi medesimi tempi a
ricuperar la città di Ferrara, che tanti anni prima le si era ribellata;
e fatto un gran preparamento di soldatesche, chiamati anche in aiuto i
Veneziani[1380] e i Ravennati, che vi accorsero per Po con una squadra
di navi, nell'autunno passò all'assedio di quella città.
_Contra quam gentes numero sine duxit et enses,_
_Tuscos, Romanos, Longobardos galeatos,_
_Et Ravennates, quorum sunt maxime naves._
_Circumstant equidem multae maris atque carinae_
_A duce praeclaro trasmissae venetiano._
Son versi di Donizone[1381], che soggiugne, avere i Ferraresi alla vista
di tanto sforzo presa la risoluzione di arrendersi: con che senza
spargimento di sangue tornò quella città sotto il dominio della
contessa.
NOTE:
[1372] Abbas Ursperg., in Chron. Annalista Saxo.
[1373] Donizo, in Vit. Mathild., lib. 2, cap. 13.
[1374] Landulfus junior, Hist. Mediolan. cap. 2.
[1375] Romualdus Salernitanus, in Chron.
[1376] Chron. Weingart. apud Leibnit. Abbas Urspergens., in Chron.
[1377] Radulphus Cadomensis, de gestis Tancredi.
[1378] Landulf. junior, Hist. Mediolan., cap. 2.
[1379] Bacchini, Stor. di Polirone, lib. 3.
[1380] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15
Rer. Ital.
[1381] Donizo, in Vit. Mathildis, lib. 2, cap. 13.
Anno di CRISTO MCII. Indizione X.
PASQUALE II papa 4.
ARRIGO IV re 47, imperad. 19.
Celebrò in quest'anno _papa Pasquale_ un solenne concilio in Roma nella
basilica lateranense[1382], in cui rinnovò la scomunica contra dello
scismatico imperadore _Arrigo IV_, e confermò i decreti de' precedenti
sommi pontefici intorno alla disciplina ecclesiastica. In Germania esso
Arrigo sul principio di quest'anno, o sul fine del precedente, raunati
in una dieta i principi di quelle contrade, trattò con essi di levar lo
scisma, e di restituir la pace alla Chiesa e ai popoli. Fu consigliato
da tutti i saggi di riconoscere il romano pontefice Pasquale, ed egli
anche promise di portarsi a Roma, dove in un concilio si esaminasse
tanto la sua quanto la causa del papa, e ne seguisse concordia. Ma
l'infelice principe non attenne dipoi la parola; anzi si seppe ch'egli
andava tuttavia macchinando di creare un nuovo antipapa: il che non gli
venne fatto per difetto non già di volontà, ma di potere. Aveva papa
Pasquale inviato per suo nunzio e vicario residente presso la contessa
Matilda _Bernardo_ cardinale della santa romana Chiesa, ed abbate di
Vallombrosa, uomo di rara probità e prudenza. Fra gli altri affari che
egli trattò colla contessa, uno de' principali fu l'ottener da essa la
rinnovazion della donazione di tutti i suoi beni alla Chiesa romana. Gli
aveva essa donati alla medesima Chiesa fin sotto papa Gregorio VII, ma
per le gravi turbolenze dipoi insorte s'era smarrito lo strumento della
medesima donazione. Però stando essa Matilda nella rocca di Canossa nel
dì 17 di novembre dell'anno presente confermò e rinnovò[1383], _per
manum Bernardi cardinalis et legati ejusdem romanae Ecclesiae_, la
donazione di tutti i suoi beni, tanto posseduti quanto da possedersi, e
tanto di qua quanto di là da' monti, in favore della Chiesa romana. Lo
strumento tuttavia esistente si legge in fine del poema di Donizone. Era
la medesima contessa in quest'anno nel dì 4 di giugno _in loco, qui
dicitur Mirandula_, e quivi fece un aggiustamento[1384] con _Imelda_
badessa di san Sisto di Piacenza per conto del castello e della corte di
Guastalla. Apparteneva quella nobil terra, oggidì città, al monistero
suddetto di san Sisto fino dai tempi dell'_imperadrice Angilberga_
fondatrice del medesimo. Dovea Matilda averlo occupato, e gliel restituì
nell'anno presente.
Lasciò, come già di sopra accennammo, _Anselmo arcivescovo_ di Milano,
allorchè intraprese il viaggio di terra santa, per suo vicario in quella
città e diocesi _Crisolao_, chiamato _Grossolano_ dal popolo, a cui quel
nome greco dovette parere alquanto straniero. Egli era vescovo di
Savona[1385], uomo assai dotto, sapea predicare al popolo, e
nell'esteriore affettava grande mortificazione, sommo sprezzo del mondo,
usando vesti grosse e plebee, e cibi vili dopo molta astinenza. Un dì
quel prete Liprando, a cui gli scismatici aveano tagliato il naso e gli
orecchi, persona di gran credito non meno nella sua patria che in Roma
stessa, l'esortò a cavarsi di dosso quel sì orrido mantello, e a
prenderne uno più conveniente al suo grado. Gli rispose Grossolano di
non aver danaro. Esibitone a lui in prestito, replicò che egli sprezzava
il mondo, nè volea mutare registro. Allora Liprando gli disse: _In
questa città ogni persona civile usa pelli di vaio, di griso, di
martora, ed altri ornamenti e cibi preziosi. Con questi vostri
grossolani abiti vedendovi i forestieri, ne vien disonore a noi altri_:
il che si dee osservare come una volta fosse in uso e credito in Italia
il vestirsi di preziose pellicce; probabilmente Grossolano era qualche
Calabrese che sapea bene il suo conto, ed anche fu intendente della
greca favella. Intesasi poi la morte dell'arcivescovo Anselmo, si raunò
il clero e popolo di Milano per eleggere il successore. Concorrevano
molti in due Landolfi canonici ordinarii della metropolitana. Grossolano
si oppose per motivo che fossero lontani, perchè erano iti in terra
santa. Allora _Arialdo abbate_ di s. Dionisio con una gran moltitudine
della plebe e de' nobili proclamò arcivescovo il medesimo Grossolano,
che con tutto il suo sprezzo del mondo corse subito a mettersi nella
sedia archiepiscopale. Spedì la parte che non concorreva a tale elezione
i suoi messi a Roma per impedire che non fosse accettato per varii
motivi. Ma ricorsi i fautori di Grossolano a _Bernardo cardinale_ e
vicario del papa in Lombardia, questi ne trattò colla contessa, e fu
risoluto di ammettere la persona di Grossolano, il quale alcuni van
sospettando (non so se con valevole fondamento) che fosse prima, al pari
di Bernardo cardinale, monaco vallombrosano. Però in fretta se n'andò
esso Bernardo a Milano, e portò la stola (cioè il pallio), che fu
ricevuto da Grossolano fra lo strepitoso plauso del popolo. Salito lo
scaltro Grossolano dove egli mirava, allora cominciò ad usar cibi
delicati e vesti preziose. Ma poco passò che Liprando cogli altri gli
mosse guerra, trattandolo da simoniaco, e perciò da pastore illegittimo.
Secondo che si ha dal Catalogo degli abbati di Nonantola[1386], e dal
Sigonio, la suddetta contessa, mentre era nel castello di Panzano,
allora del distretto di Modena, nel dì 15 di novembre, correndo
l'_indizione XI_, donò al monistero di Nonantola sul Modonese, con
licenza di Bernardo cardinale e vicario generale del papa in Lombardia,
Castel Tealdo posto in Ferrara colla chiesa di san Giovanni Batista. E
ciò in remissione de' suoi peccati, e in ricompensa del tesoro di quel
monistero, di cui s'era essa servita ne' bisogni delle passate guerre.
Fu questo l'ultimo anno della vita di _Vitale Michele_ doge di
Venezia[1387]. Ebbe per successore _Ordelafo Faledro_.
NOTE:
[1382] Labbe, Concil., tom. 10.
[1383] In Append. ad Donizonem, in Vit. Mathildis.
[1384] Antiquit. Italic., Dissert. LXXI.
[1385] Landulfus junior, Hist. Mediol., cap. 4.
[1386] Catalogus Abbat. Nonantul. Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[1387] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCIII. Indizione XI.
PASQUALE II papa 5.
ARRIGO IV re 48, imper. 20.
Avea celebrato _Arrigo IV_ Augusto la festa del santo Natale in
Magonza[1388], e pubblicamente fatto sapere ai principi e al popolo
ch'egli avea intenzione di lasciare il governo del regno ad _Arrigo V_
re suo figliuolo, e di voler in persona andare al santo Sepolcro. Questa
voce gli guadagnò l'affetto universale de' Tedeschi sì ecclesiastici che
laici, e moltissimi si disposero ad accompagnarlo in quel viaggio. Ma il
tempo fece vedere ch'egli non dovea aver parlato di cuore, perchè nulla
effettuò di quanto avea promesso. Certo è che all'anno presente si dee
riferire uno strepitoso avvenimento della città di Milano, diffusamente
narrato da Landolfo iuniore[1389], storico di quella città e di questi
tempi. Era già stato creato arcivescovo _Crisolao_ ossia _Grossolano_.
Il soprammentovato prete Liprando continuò a sostenere ch'egli
simoniacamente era entrato in quella chiesa, e si esibì di provarlo col
giudizio del fuoco, che quantunque non mai approvato dalla Chiesa, pure
in questi secoli sconcertati non mancava di fautori. Fece istanza
Grossolano che Liprando desse le pruove di tale accusa; ma non apparisce
che il prete ne producesse alcuna: il che fa conoscere l'irregolarità
del suo procedere. Venne egli in fine alla pruova dal fuoco; ed alzata
nella piazza di santo Ambrosio una gran catasta di legna, lunga dieci
braccia, ed alta e larga quattro braccia più dell'ordinaria statura
degli uomini, allorchè essa fu ben accesa, Liprando vi passò per mezzo,
e ne uscì salvo, senza che nulla si bruciasse neppur delle vesti
sacerdotali ch'egli portò in quella congiuntura, con acclamazione di
tutti gli spettatori. Veggendosi Grossolano come vinto, giudicò bene di
ritirarsi e di andarsene a Roma, dove fu graziosamente accolto da _papa
Pasquale_. La risoluzion di Liprando era già stata disapprovata da
alcuni vescovi suffraganei di Grossolano, che si trovavano allora in
Milano; molto più dispiacque alla saggia corte di Roma, che sempre
riprovò i giudizii di Dio non canonici, siccome invenzioni umane da
tentar Dio. E perciocchè si trovò che essendo restato il prete Liprando
leso in una mano e in un piede nella pruova suddetta, benchè si
attribuisse ciò ad altre cagioni, pure fu messa in dubbio nella stessa
città di Milano la pruova da lui fatta, e ne succedette del tumulto
colla morte di molti. Trovossi nel dì 19 di novembre la _contessa
Matilda in palatio florentino_[1390], dove concedette un privilegio ai
monaci di Vallombrosa. Circa questi tempi _Adelaide_ vedova di Ruggieri
conte di Sicilia, e tutrice di _Simone_ suo figliuolo, veggendo
sprezzato da' Siciliani il suo governo[1391], pensò a fortificarlo col
chiamare colà dalla Borgogna _Roberto_, principe non men valoroso che
prudente, a cui diede in moglie una sua figliuola. Il dichiarò poscia
tutore del figliuolo e governatore dell'isola: il che servì a tenere in
briglia le teste calde di quelle contrade.
NOTE:
[1388] Abbas Urspergens., in Chron. Otto Frisingens., Hist., lib. 7,
cap. 8.
[1389] Landulfus S. Paulo, Hist. Mediolan., cap. 9 et seq. tom. 5 Rer.
Ital.
[1390] Mabill., Annal. Benedictin. ad hunc ann.
[1391] Orderic. Vitalis, Hist. Eccles., lib. 13.
Anno di CRISTO MCIV. Indizione XII.
PASQUALE II papa 6.
ARRIGO IV re 49, imper. 21.
Secondochè osservò il padre Pagi[1392], abbiamo dalla Cronica di un
anonimo di Treveri[1393] che nel marzo del presente anno _papa Pasquale
II_ celebrò in Roma un gran concilio, di cui niun'altra menzione si
trova presso gli antichi scrittori. Ma forse non è sicura quella
notizia, e si dee riferire all'anno seguente. Solennizzò l'imperadore
_Arrigo_ la festa del santo Natale in Magonza[1394], ed allora fu che
_Arrigo V_ re, suo figliuolo all'improvviso si ritirò da lui e diede
principio alla ribellione contra del padre, che uno o due anni prima lo
avea promosso al grado di re. _Dieboldo_ marchese, _Berengario_ conte ed
altri furono i consiglieri di tanta iniquità, _sub specie religionis_,
come scrive Ottone da Frisinga[1395]. Han preteso alcuni che egli fosse
a ciò mosso da una lettera di papa Pasquale, accennata da un antico
storico[1396], in cui era esortato a soccorrere la Chiesa di Dio. Ma non
vuol già dir questo che il pontefice l'esortasse anche a ribellarsi
contra del padre, e a prendere l'armi contra di lui. Senza questo nero
attentato poteva egli cooperare alla retta intenzione del pontefice
romano. Può nondimeno essere che di questo pretesto si valessero i
nemici di Arrigo per rivoltare contra di lui il figliuolo. Scrive
l'Annalista Sassone[1397] che il giovane Arrigo spedì immantinente dopo
il Natale a Roma i suoi legati ad abiurare lo scisma, e a chiedere
consiglio al papa intorno al giuramento da lui prestato al padre di non
mai invadere il regno senza licenza d'esso suo genitore. Il papa gli
mandò la benedizione ed assoluzione, purchè egli volesse operare da re
giusto, ed essere buon figliuolo della Chiesa; il che bastò
all'ambizioso giovane per dare di piglio all'armi contra del padre.
Tacendo nondimeno l'Urspergense e l'autore della Vita d'Arrigo IV presso
l'Urstisio ed altri questa particolarità, si può dubitar della verità,
benchè da essa neppur risulti l'approvazione di quel che succedette
dipoi. Avvenne in quest'anno uno scandaloso sconcerto in Parma, riferito
da Donizone[1398]. Portossi _Bernardo cardinale_ e vicario del papa in
Lombardia a quella città per la festa dell'Assunzione della Vergine, e
cantò la messa nella cattedrale. Dopo il vangelo predicò al popolo; ma
perchè volle entrare a parlar con grave disprezzo di Arrigo IV, come
principe scomunicato, trovandosi in quella udienza moltissimi tuttavia
ben affetti al medesimo Augusto, s'irritarono talmente, che dopo la
predica, messa mano alle spade, corsero all'altare, e s'avventarono al
cardinale, il condussero prigione, e svaligiarono tutta la di lui
cappella, cioè tutti i di lui paramenti per la messa. Fu portata questa
disgustosa nuova alla _contessa Matilda_, che si trovava allora nel
territorio di Modena. Raunò ella incontanente quelle milizie che potè, e
passati appena tre giorni dopo quella brutta scena, marciò alla volta di
Parma. Non aspettarono que' cittadini intimoriti ch'essa arrivasse, e
consegnarono ai vassalli nobili della medesima il cardinale, colla
restituzione ancora di tutti i suoi sacri arredi. Altro male non fece la
contessa ai Parmigiani, perchè il piissimo cardinale perorò in loro
favore. In quest'anno, secondochè abbiamo da Tolomeo da Lucca[1399],
cominciò nell'agosto la guerra fra i Pisani e Lucchesi, e ne seguì una
battaglia, in cui i Pisani ebbero la peggio. Presero i Lucchesi il
castello di Librafatta, e ne condussero prigioni i castellani alla loro
città. Dalle carte riferite dal padre Bacchini[1400] si scorge che la
soprallodata contessa Matilda sul fine d'aprile, trovandosi in Nogara
sul Veronese, confermò ad _Alberico abbate_ del monistero di san
Benedetto di Polirone varii beni. Parimente la medesima, mentre era a
Coscogno, villa delle montagne di Modena, nel dì 15 di settembre, donò
allo stesso monistero la metà dell'isola di Gorgo con altri beni. A tali
donazioni intervenne sempre il consenso del suddetto cardinale Bernardo
vicario del papa, trattandosi di disporre di beni donati alla Chiesa
romana. Vedesi sotto quest'anno la vendita della corte firminiana, fatta
da _Ottone_ eletto arcivescovo di Ravenna a _Landolfo_ vescovo di
Ferrara[1401]. Per quanto s'ha dal Rossi[1402], questi dopo la morte
dell'antipapa Guiberto fu intruso nella sedia archiepiscopale di
Ravenna, e da questo atto si raccoglie ch'egli non avea trovato per
anche chi avesse voluto consecrarlo.
NOTE:
[1392] Pagius, in Crit. Baron.
[1393] Anonymus Trevirensis apud Dachery, in Spicileg.
[1394] Abbas Urspergensis, in Chron.
[1395] Otto Frisingens., Hist., lib. 7, cap. 8.
[1396] Hermann. Tornac., apud Dachery, in Spicileg.
[1397] Annalista Saxo.
[1398] Donizo, in Vita Mathild., lib. 2, cap. 14.
[1399] Ptolom. Lucensis, in Annalibus brevib.
[1400] Bacchini, Istor. di Polirone, nell'Append.
[1401] Antiquit. Italic., Dissert. XXVIII.
[1402] Rubeus, Hist. Ravenn.
Anno di CRISTO MCV. Indizione XIII.
PASQUALE II papa 7.
ARRIGO IV re 50, imperad. 22.
Fece il pontefice _Pasquale_ atterrar le case della nobil famiglia de'
Corsi in Roma, forse perchè ridotte dianzi in forma di fortezza[1403].
piedi mille oncie d'oro. Animato da questi impulsi ed aiuti il
pontefice, spedì l'esercito contra di Guiberto. Dimorava costui nella
città d'Alba, e sostenne per qualche tempo l'assedio d'essa. Veggendo
poi disperato il caso, ebbe maniera di scampare, e di ritirarsi in un
forte castello; ma quivi all'improvviso la morte il colse, e mancò di
vita ostinato nel suo scisma, pentito più volte d'avere assunto il
titolo di pontefice romano, senza però mai pentirsi daddovero per
riconciliarsi col vero vicario di Cristo, e far penitenza de' suoi
enormi eccessi. Colla morte sua restò liberata la Chiesa di Dio da una
gran peste, da un terribil nemico. Non restò essa nondimeno
immediatamente quieta; imperciocchè i seguaci di esso Guiberto in luogo
di lui elessero papa un certo _Alberto_, che nello stesso giorno fu
dispapato. Laonde passarono all'elezion di un certo _Teodorico_; e
questi per più di tre mesi fece fra' suoi aderenti una ridicola figura
di sommo pontefice. Ma i Romani, o pure i Normanni misero le mani
addosso a que' mostri, e confinarono il primo in san Lorenzo d'Aversa,
l'altro nel monistero della Cava presso Salerno. Saltò su col tempo
anche il terzo, appellato _Maginolfo_, che nel dì 2 di novembre fu da'
suoi parziali promosso al pontificato e prese il nome di Silvestro IV.
Sigeberto nella Cronica sua[1362] secondo l'edizion del Mireo scrive,
che essendosi costui ritirato in una fortezza, _Berto caput et rector
romanae militiae cum expeditione cleri et populi eum inde extraxit, et
ad Warnerum principem Anconae in tiburtinam urbem adduxit_, dove fu
dagli scismatici creato papa, ma per attestato del medesimo scrittore,
costui _non multo post reprobatur a Romanis, et fama nominis ejus
evanuit_. Di ciò riparleremo all'anno 1106. Sicchè neppur dopo la morte
di Guiberto pervenne ad una intera quiete papa Pasquale. Nè si dee
tralasciar senza osservazione che in questi tempi la marca d'Ancona, non
diversa da quella che tempo fa era denominata marca di Camerino o di
Fermo, ubbidiva allora all'imperadore Arrigo IV. Ne era marchese
_Guarnieri_, da cui probabilmente, o da' suoi discendenti che portarono
lo stesso nome, fu quel paese poscia chiamato la _marca di Guarnieri_; e
questi riconosceva per suo signore il suddetto Arrigo, come costa da un
pezzo di lettera da lui scritta al medesimo Augusto presso di Sigeberto.
Che se questo Guarnieri teneva, siccome abbiam veduto, _Tivoli_,
anch'egli dovea recar delle molestie a Roma e al pontefice Pasquale.
Abbiamo dal soprallodato Pandolfo Pisano che il papa, non so se
nell'anno presente, oppure nel susseguente, ricuperò colla forza
dell'armi Città Castellana. Mosse anche guerra a Pietro dalla Colonna
(il primo che s'incontri di questa nobilissima famiglia nelle storie),
perchè aveva occupata la terra di Cavi, spettante alla Chiesa romana.
Tolta fu non solamente ad esso Pietro la terra suddetta, ma eziandio
Colonna e Zagarolo, che erano di suo diritto: il che ci fa intendere che
non cominciava allora la nobiltà di quella casa, ed esserle venuto il
cognome dal dominio della terra di Colonna, che fu poi loro restituita.
Poco potè godere del suo nuovo regno di Gerusalemme, e delle nuove
conquiste da lui fatte, l'inclito e piissimo _re Gotifredo_ di Buglione.
Caduto egli infermo nell'anno presente, passò a miglior vita nel dì 18
di luglio, lasciando dopo di sè una memoria piena di benedizioni[1363].
Accorso a Gerusalemme _Baldovino_ suo fratello, fu con universale
consentimento eletto re, ed anche solennemente coronato nel dì del santo
Natale: funzione da cui s'era astenuto il buon re Gotifredo. Landolfo
juniore[1364], storico milanese, scrive che _Anselmo IV_ arcivescovo di
Milano predicò la crociata per la Lombardia, facendo cantare una canzone
che cominciava _Ultreja_, forse franzese, e probabilmente significante
_Oltre già sono iti i Franchi_, ec. Unì egli con ciò una grossa armata
di Lombardi; e dopo aver creato e lasciato suo vicario in Milano
_Crisolao_ (appellato volgarmente _Grossolano_), che poco prima era
stato eletto e consecrato vescovo di Savona, alla testa di
quell'esercito s'inviò alla volta di Costantinopoli[1365]. Seco andarono
il vescovo di Pavia e Alberto da Biandrate potentissimo Lombardo. Non
per mare da Genova passò questa gente, come si pensò Tristano
Calco[1366], ma bensì per terra, attestandolo l'Abbate Urspergense[1367]
e l'Annalista Sassone[1368] con dire sotto quest'anno: _Ex Langobardis
cum Mediolanensi et Papiensi Episcopis quinquaginta millia ad
Hierosolymitanam profectionem signati, in Bulgariae civitatibus
hyemaverunt_. Rapporta il padre Bacchini[1369] un'insigne donazione
fatta in quest'anno dalla contessa Matilda, mentre era in Guastalla, al
monistero di san Benedetto di Gonzaga, e scritta _anno ab Incarnatione
Domini millesimo centesimo, Indictione decima, kalendis junii_. Ma non
può convenire a quest'anno l'_indizione X_, e dal Fiorentini[1370]
sappiamo che la contessa dimorava in Toscana nel dì 7 di giugno
dell'anno presente. Dimorava anche in Firenze _in palatio domus_ (cioè
del duomo) _sancti Johannis_, dove tenne un placito nel dì 2 di marzo,
da me dato alla luce. Però sembra verisimile che quel documento
appartenga all'anno 1102, in cui veramente Matilda si trovò in
Lombardia. Secondochè scrive Romoaldo Salernitano[1371], in quest'anno
_Ruggieri duca_ di Puglia assediò e prese la città di Canosa, ch'egli
durante l'assedio avea fatto cignere tutta all'intorno con delle reti.
_Boamondo principe_ d'Antiochia suo fratello restò nel presente anno
prigione dei Turchi: il che riuscì di grave danno agl'interessi del
cristianesimo in Oriente.
NOTE:
[1361] Pandulfus Pisanus, in Vit. Paschal. II, P. I, tom. 3 Rer. Italic.
[1362] Sigebertus, in Chron. edit. Miraei.
[1363] Guillelmus Tyr. Abbas Urspergensis. Fulcherius Carnotens.
Bernardus Thesaur. et alii.
[1364] Landulfus de S. Paulo, Histor. Mediolan., tom. 5 Rer. Ital.
[1365] Orderic. Vitalis. Radulfus Cadomens.
[1366] Tristan. Calchus, Hist. Med.
[1367] Abbas Urspergensis, in Chron.
[1368] Annalista Saxo.
[1369] Bacchini, Ist. di Poliron. App., pag. 46.
[1370] Fiorentini, Memorie di Matilda, lib. 2.
[1371] Romualdus Salernit., tom. 7 Rer. Italic.
Anno di CRISTO MCI. Indizione IX.
PASQUALE II papa 3.
ARRIGO IV re 46, imper. 18.
Funestato fu l'anno presente dalla morte di due illustri principi nello
stesso mese di luglio. L'uno fu _Corrado_ re di Italia, figliuolo di
Arrigo IV, e l'altro _Ruggieri_ conte di Sicilia. Quanto a Corrado, non
si sazia l'Abbate Urspergense[1372] con altri storici di esaltare le di
lui virtù. Niuno gli andava avanti nella pietà, nella mansuetudine,
nella continenza, di maniera che pareva un angelo in carne. Eppure
questo buon principe provò anch'egli poco buona fortuna presso la
contessa Matilda, donna che in questi tempi senza titolo regale faceva
volentieri da regina in Italia. Che disgusti ella desse all'ottimo
giovane Corrado, non si sa; ma gliene diede. Dappoichè Arrigo suo padre
non ebbe più forze in Italia, neppur ella ebbe più bisogno di Corrado. E
non seppe tacer Donizone che è pure il panegirista della contessa,
questa verità, scrivendo[1373]:
_Infra Conradus longobardos comitatus_
_Dum staret, discors a Mathildi fuit ipso_
_Tempore. Duravit modicum discordia talis._
_Nam petiit partes tuscanas rex. Ibi tamdem_
_Nobilibus quidam facientibus expulit iram._
Che Matilda non solamente signoreggiasse in Toscana e in parte della
Lombardia, ma stendesse anche la sua autorità in Milano, si può
raccogliere da Landolfo di san Paolo[1374]. Quivi fu eletto arcivescovo
_Matildis comitissae favore_ Landolfo da Badagio; decaduto questo, restò
eletto consecrato Anselmo IV da Baiso, il quale _virgae pastorali per
munus Matildis abhatissae_ (dovrebbe essere _comitissae_) _adhaesit_.
Collo stendere così le fimbre della sua autorità, dovea Matilda
annientar quella del re; forse anche non somministrava quanto occorreva
pel decente suo trattamento. Però forte in collera il real giovane si
ritirò a Firenze, dove sorpreso da maligna febbre, nel luglio di
quest'anno diede fine alla sua vita. Per testimonianza dell'Urspergense
corse qualche voce che così immatura morte fosse provenuta da veleno; e
forse ne fu dai maligni incolpata la medesima contessa Matilda,
scrivendo il soprammentovato Landolfo: _Quum pervenisset Florentiam rex
ipse prudens et sapiens, atque decorus facie (proh dolor!) adolescens,
accepta potione ab Aviano medico Matildis comitissae, vitam finivit_. Le
virtù di Matilda tali furono, che non può cadere sopra di lei un sì nero
sospetto. Per quel che riguarda _Ruggieri_ conte di Sicilia[1375],
anch'egli nel medesimo mese fu rapito dalla morte; principe valoroso e
glorioso al pari di Roberto Guiscardo suo fratello sopra la terra, ma
più di lui religioso, clemente liberale, e specialmente memorabile per
aver liberata la Sicilia dal giogo dei Saraceni, e restituito in essa il
culto del vero Dio colla fondazione di tanti vescovadi, spedali e templi
del Signore. Lasciò dopo di sè due piccioli figliuoli, _Simone_
primogenito, che fu riconosciuto tosto conte di Sicilia e di Calabria, e
_Ruggieri_ nato nell'anno 1097, che divenne col tempo re di Sicilia:
amendue sotto il governo della contessa _Adelaide_ loro madre, donna che
coll'alterigia univa una gran sete del danaro altrui, e però cagione che
in que' principii della sua tutela succedessero non poche sedizioni fra
i sudditi suoi. Non parlo di un terzo figliuolo appellato _Goffredo_,
probabilmente bastardo, perchè forse era premorto al padre.
In quest'anno sul principio d'aprile _Guelfo IV duca_ di Baviera, per
redimer i suoi peccati, imprese il viaggio di terra santa, e si unì con
_Guglielmo duca_ d'Aquitania[1376]. Conducevano seco questi due principi
un'armata di cento sessanta mila crociati. A questa precedeva l'altra
de' Lombardi, che dicemmo incamminata con _Anselmo arcivescovo_ di
Milano, il cui disegno fatto sulle dita, per quanto ne correa la voce,
era di voler conquistare Babilonia, come se quella fosse una bicocca. Ma
tanti castelli in aria andarono ben presto a finire in nulla. Passata
che fu sì gran moltitudine di gente nell'Asia[1377], per tradimento
dell'_imperadore Alessio_, che passava d'intelligenza coi Turchi, parte
per gli stenti e mancanze de' viveri, parte per le sciable e frecce
nemiche, perì quasi tutta. Fra gli altri principi che lasciarono la vita
in sì sfortunata spedizione[1378], uno fu il suddetto arcivescovo di
Milano, ossia che egli morisse in una zuffa co' Turchi, oppure che
ferito fuggisse a Costantinopoli, dove Landolfo da san Paolo scrive che
succedette la sua morte. Salvossi dopo la rovina del suo esercito il
duca Guelfo, e per mezzo ad infiniti travagli ebbe almen la consolazione
di arrivare a Gerusalemme. Soddisfatto ch'ebbe ivi alla sua divozione,
se ne tornava questo principe per mare a casa; ma giunto all'isola di
Pafo, oppure di Cipri, e colto da una mortale infermità, quivi finì di
vivere, e trovò la sua sepoltura o nel presente o nel susseguente anno:
principe glorioso per tante sue militari imprese, e massimamente per
aver piantata in Germania e lasciata quivi in gran potenza una linea di
principi estensi, la qual tuttavia più che mai fiorisce nella insigne
casa di Brunswich, Wolfembuttel e Luneburgo, dominanti anche sul trono
dell'Inghilterra. Restarono di lui due figliuoli maschi, cioè _Guelfo V_
marito della gran contessa Matilda, ma da lei separato, ed _Arrigo_,
appellato per soprannome _il Nero_. Succedette _Guelfo V_ nel ducato
della Baviera, e questi poi si segnalò colle doti della pietà, del
valore e della liberalità, come s'ha dalla Cronica di Weingart. In qual
anno egli terminasse i suoi giorni resta tuttavia allo scuro. Certo è,
che vivente ancora esso Guelfo, _Arrigo_ suo fratello portò il titolo di
_duca_, e ne vedremo una pruova all'anno 1107. Truovasi nel maggio del
presente anno la _contessa Matilda_ in Governolo sul Mantovano[1379],
dove restituisce al monistero di san Benedetto di Polirone l'isola di
Revere con altri beni. Si accinse ella in questi medesimi tempi a
ricuperar la città di Ferrara, che tanti anni prima le si era ribellata;
e fatto un gran preparamento di soldatesche, chiamati anche in aiuto i
Veneziani[1380] e i Ravennati, che vi accorsero per Po con una squadra
di navi, nell'autunno passò all'assedio di quella città.
_Contra quam gentes numero sine duxit et enses,_
_Tuscos, Romanos, Longobardos galeatos,_
_Et Ravennates, quorum sunt maxime naves._
_Circumstant equidem multae maris atque carinae_
_A duce praeclaro trasmissae venetiano._
Son versi di Donizone[1381], che soggiugne, avere i Ferraresi alla vista
di tanto sforzo presa la risoluzione di arrendersi: con che senza
spargimento di sangue tornò quella città sotto il dominio della
contessa.
NOTE:
[1372] Abbas Ursperg., in Chron. Annalista Saxo.
[1373] Donizo, in Vit. Mathild., lib. 2, cap. 13.
[1374] Landulfus junior, Hist. Mediolan. cap. 2.
[1375] Romualdus Salernitanus, in Chron.
[1376] Chron. Weingart. apud Leibnit. Abbas Urspergens., in Chron.
[1377] Radulphus Cadomensis, de gestis Tancredi.
[1378] Landulf. junior, Hist. Mediolan., cap. 2.
[1379] Bacchini, Stor. di Polirone, lib. 3.
[1380] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15
Rer. Ital.
[1381] Donizo, in Vit. Mathildis, lib. 2, cap. 13.
Anno di CRISTO MCII. Indizione X.
PASQUALE II papa 4.
ARRIGO IV re 47, imperad. 19.
Celebrò in quest'anno _papa Pasquale_ un solenne concilio in Roma nella
basilica lateranense[1382], in cui rinnovò la scomunica contra dello
scismatico imperadore _Arrigo IV_, e confermò i decreti de' precedenti
sommi pontefici intorno alla disciplina ecclesiastica. In Germania esso
Arrigo sul principio di quest'anno, o sul fine del precedente, raunati
in una dieta i principi di quelle contrade, trattò con essi di levar lo
scisma, e di restituir la pace alla Chiesa e ai popoli. Fu consigliato
da tutti i saggi di riconoscere il romano pontefice Pasquale, ed egli
anche promise di portarsi a Roma, dove in un concilio si esaminasse
tanto la sua quanto la causa del papa, e ne seguisse concordia. Ma
l'infelice principe non attenne dipoi la parola; anzi si seppe ch'egli
andava tuttavia macchinando di creare un nuovo antipapa: il che non gli
venne fatto per difetto non già di volontà, ma di potere. Aveva papa
Pasquale inviato per suo nunzio e vicario residente presso la contessa
Matilda _Bernardo_ cardinale della santa romana Chiesa, ed abbate di
Vallombrosa, uomo di rara probità e prudenza. Fra gli altri affari che
egli trattò colla contessa, uno de' principali fu l'ottener da essa la
rinnovazion della donazione di tutti i suoi beni alla Chiesa romana. Gli
aveva essa donati alla medesima Chiesa fin sotto papa Gregorio VII, ma
per le gravi turbolenze dipoi insorte s'era smarrito lo strumento della
medesima donazione. Però stando essa Matilda nella rocca di Canossa nel
dì 17 di novembre dell'anno presente confermò e rinnovò[1383], _per
manum Bernardi cardinalis et legati ejusdem romanae Ecclesiae_, la
donazione di tutti i suoi beni, tanto posseduti quanto da possedersi, e
tanto di qua quanto di là da' monti, in favore della Chiesa romana. Lo
strumento tuttavia esistente si legge in fine del poema di Donizone. Era
la medesima contessa in quest'anno nel dì 4 di giugno _in loco, qui
dicitur Mirandula_, e quivi fece un aggiustamento[1384] con _Imelda_
badessa di san Sisto di Piacenza per conto del castello e della corte di
Guastalla. Apparteneva quella nobil terra, oggidì città, al monistero
suddetto di san Sisto fino dai tempi dell'_imperadrice Angilberga_
fondatrice del medesimo. Dovea Matilda averlo occupato, e gliel restituì
nell'anno presente.
Lasciò, come già di sopra accennammo, _Anselmo arcivescovo_ di Milano,
allorchè intraprese il viaggio di terra santa, per suo vicario in quella
città e diocesi _Crisolao_, chiamato _Grossolano_ dal popolo, a cui quel
nome greco dovette parere alquanto straniero. Egli era vescovo di
Savona[1385], uomo assai dotto, sapea predicare al popolo, e
nell'esteriore affettava grande mortificazione, sommo sprezzo del mondo,
usando vesti grosse e plebee, e cibi vili dopo molta astinenza. Un dì
quel prete Liprando, a cui gli scismatici aveano tagliato il naso e gli
orecchi, persona di gran credito non meno nella sua patria che in Roma
stessa, l'esortò a cavarsi di dosso quel sì orrido mantello, e a
prenderne uno più conveniente al suo grado. Gli rispose Grossolano di
non aver danaro. Esibitone a lui in prestito, replicò che egli sprezzava
il mondo, nè volea mutare registro. Allora Liprando gli disse: _In
questa città ogni persona civile usa pelli di vaio, di griso, di
martora, ed altri ornamenti e cibi preziosi. Con questi vostri
grossolani abiti vedendovi i forestieri, ne vien disonore a noi altri_:
il che si dee osservare come una volta fosse in uso e credito in Italia
il vestirsi di preziose pellicce; probabilmente Grossolano era qualche
Calabrese che sapea bene il suo conto, ed anche fu intendente della
greca favella. Intesasi poi la morte dell'arcivescovo Anselmo, si raunò
il clero e popolo di Milano per eleggere il successore. Concorrevano
molti in due Landolfi canonici ordinarii della metropolitana. Grossolano
si oppose per motivo che fossero lontani, perchè erano iti in terra
santa. Allora _Arialdo abbate_ di s. Dionisio con una gran moltitudine
della plebe e de' nobili proclamò arcivescovo il medesimo Grossolano,
che con tutto il suo sprezzo del mondo corse subito a mettersi nella
sedia archiepiscopale. Spedì la parte che non concorreva a tale elezione
i suoi messi a Roma per impedire che non fosse accettato per varii
motivi. Ma ricorsi i fautori di Grossolano a _Bernardo cardinale_ e
vicario del papa in Lombardia, questi ne trattò colla contessa, e fu
risoluto di ammettere la persona di Grossolano, il quale alcuni van
sospettando (non so se con valevole fondamento) che fosse prima, al pari
di Bernardo cardinale, monaco vallombrosano. Però in fretta se n'andò
esso Bernardo a Milano, e portò la stola (cioè il pallio), che fu
ricevuto da Grossolano fra lo strepitoso plauso del popolo. Salito lo
scaltro Grossolano dove egli mirava, allora cominciò ad usar cibi
delicati e vesti preziose. Ma poco passò che Liprando cogli altri gli
mosse guerra, trattandolo da simoniaco, e perciò da pastore illegittimo.
Secondo che si ha dal Catalogo degli abbati di Nonantola[1386], e dal
Sigonio, la suddetta contessa, mentre era nel castello di Panzano,
allora del distretto di Modena, nel dì 15 di novembre, correndo
l'_indizione XI_, donò al monistero di Nonantola sul Modonese, con
licenza di Bernardo cardinale e vicario generale del papa in Lombardia,
Castel Tealdo posto in Ferrara colla chiesa di san Giovanni Batista. E
ciò in remissione de' suoi peccati, e in ricompensa del tesoro di quel
monistero, di cui s'era essa servita ne' bisogni delle passate guerre.
Fu questo l'ultimo anno della vita di _Vitale Michele_ doge di
Venezia[1387]. Ebbe per successore _Ordelafo Faledro_.
NOTE:
[1382] Labbe, Concil., tom. 10.
[1383] In Append. ad Donizonem, in Vit. Mathildis.
[1384] Antiquit. Italic., Dissert. LXXI.
[1385] Landulfus junior, Hist. Mediol., cap. 4.
[1386] Catalogus Abbat. Nonantul. Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[1387] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCIII. Indizione XI.
PASQUALE II papa 5.
ARRIGO IV re 48, imper. 20.
Avea celebrato _Arrigo IV_ Augusto la festa del santo Natale in
Magonza[1388], e pubblicamente fatto sapere ai principi e al popolo
ch'egli avea intenzione di lasciare il governo del regno ad _Arrigo V_
re suo figliuolo, e di voler in persona andare al santo Sepolcro. Questa
voce gli guadagnò l'affetto universale de' Tedeschi sì ecclesiastici che
laici, e moltissimi si disposero ad accompagnarlo in quel viaggio. Ma il
tempo fece vedere ch'egli non dovea aver parlato di cuore, perchè nulla
effettuò di quanto avea promesso. Certo è che all'anno presente si dee
riferire uno strepitoso avvenimento della città di Milano, diffusamente
narrato da Landolfo iuniore[1389], storico di quella città e di questi
tempi. Era già stato creato arcivescovo _Crisolao_ ossia _Grossolano_.
Il soprammentovato prete Liprando continuò a sostenere ch'egli
simoniacamente era entrato in quella chiesa, e si esibì di provarlo col
giudizio del fuoco, che quantunque non mai approvato dalla Chiesa, pure
in questi secoli sconcertati non mancava di fautori. Fece istanza
Grossolano che Liprando desse le pruove di tale accusa; ma non apparisce
che il prete ne producesse alcuna: il che fa conoscere l'irregolarità
del suo procedere. Venne egli in fine alla pruova dal fuoco; ed alzata
nella piazza di santo Ambrosio una gran catasta di legna, lunga dieci
braccia, ed alta e larga quattro braccia più dell'ordinaria statura
degli uomini, allorchè essa fu ben accesa, Liprando vi passò per mezzo,
e ne uscì salvo, senza che nulla si bruciasse neppur delle vesti
sacerdotali ch'egli portò in quella congiuntura, con acclamazione di
tutti gli spettatori. Veggendosi Grossolano come vinto, giudicò bene di
ritirarsi e di andarsene a Roma, dove fu graziosamente accolto da _papa
Pasquale_. La risoluzion di Liprando era già stata disapprovata da
alcuni vescovi suffraganei di Grossolano, che si trovavano allora in
Milano; molto più dispiacque alla saggia corte di Roma, che sempre
riprovò i giudizii di Dio non canonici, siccome invenzioni umane da
tentar Dio. E perciocchè si trovò che essendo restato il prete Liprando
leso in una mano e in un piede nella pruova suddetta, benchè si
attribuisse ciò ad altre cagioni, pure fu messa in dubbio nella stessa
città di Milano la pruova da lui fatta, e ne succedette del tumulto
colla morte di molti. Trovossi nel dì 19 di novembre la _contessa
Matilda in palatio florentino_[1390], dove concedette un privilegio ai
monaci di Vallombrosa. Circa questi tempi _Adelaide_ vedova di Ruggieri
conte di Sicilia, e tutrice di _Simone_ suo figliuolo, veggendo
sprezzato da' Siciliani il suo governo[1391], pensò a fortificarlo col
chiamare colà dalla Borgogna _Roberto_, principe non men valoroso che
prudente, a cui diede in moglie una sua figliuola. Il dichiarò poscia
tutore del figliuolo e governatore dell'isola: il che servì a tenere in
briglia le teste calde di quelle contrade.
NOTE:
[1388] Abbas Urspergens., in Chron. Otto Frisingens., Hist., lib. 7,
cap. 8.
[1389] Landulfus S. Paulo, Hist. Mediolan., cap. 9 et seq. tom. 5 Rer.
Ital.
[1390] Mabill., Annal. Benedictin. ad hunc ann.
[1391] Orderic. Vitalis, Hist. Eccles., lib. 13.
Anno di CRISTO MCIV. Indizione XII.
PASQUALE II papa 6.
ARRIGO IV re 49, imper. 21.
Secondochè osservò il padre Pagi[1392], abbiamo dalla Cronica di un
anonimo di Treveri[1393] che nel marzo del presente anno _papa Pasquale
II_ celebrò in Roma un gran concilio, di cui niun'altra menzione si
trova presso gli antichi scrittori. Ma forse non è sicura quella
notizia, e si dee riferire all'anno seguente. Solennizzò l'imperadore
_Arrigo_ la festa del santo Natale in Magonza[1394], ed allora fu che
_Arrigo V_ re, suo figliuolo all'improvviso si ritirò da lui e diede
principio alla ribellione contra del padre, che uno o due anni prima lo
avea promosso al grado di re. _Dieboldo_ marchese, _Berengario_ conte ed
altri furono i consiglieri di tanta iniquità, _sub specie religionis_,
come scrive Ottone da Frisinga[1395]. Han preteso alcuni che egli fosse
a ciò mosso da una lettera di papa Pasquale, accennata da un antico
storico[1396], in cui era esortato a soccorrere la Chiesa di Dio. Ma non
vuol già dir questo che il pontefice l'esortasse anche a ribellarsi
contra del padre, e a prendere l'armi contra di lui. Senza questo nero
attentato poteva egli cooperare alla retta intenzione del pontefice
romano. Può nondimeno essere che di questo pretesto si valessero i
nemici di Arrigo per rivoltare contra di lui il figliuolo. Scrive
l'Annalista Sassone[1397] che il giovane Arrigo spedì immantinente dopo
il Natale a Roma i suoi legati ad abiurare lo scisma, e a chiedere
consiglio al papa intorno al giuramento da lui prestato al padre di non
mai invadere il regno senza licenza d'esso suo genitore. Il papa gli
mandò la benedizione ed assoluzione, purchè egli volesse operare da re
giusto, ed essere buon figliuolo della Chiesa; il che bastò
all'ambizioso giovane per dare di piglio all'armi contra del padre.
Tacendo nondimeno l'Urspergense e l'autore della Vita d'Arrigo IV presso
l'Urstisio ed altri questa particolarità, si può dubitar della verità,
benchè da essa neppur risulti l'approvazione di quel che succedette
dipoi. Avvenne in quest'anno uno scandaloso sconcerto in Parma, riferito
da Donizone[1398]. Portossi _Bernardo cardinale_ e vicario del papa in
Lombardia a quella città per la festa dell'Assunzione della Vergine, e
cantò la messa nella cattedrale. Dopo il vangelo predicò al popolo; ma
perchè volle entrare a parlar con grave disprezzo di Arrigo IV, come
principe scomunicato, trovandosi in quella udienza moltissimi tuttavia
ben affetti al medesimo Augusto, s'irritarono talmente, che dopo la
predica, messa mano alle spade, corsero all'altare, e s'avventarono al
cardinale, il condussero prigione, e svaligiarono tutta la di lui
cappella, cioè tutti i di lui paramenti per la messa. Fu portata questa
disgustosa nuova alla _contessa Matilda_, che si trovava allora nel
territorio di Modena. Raunò ella incontanente quelle milizie che potè, e
passati appena tre giorni dopo quella brutta scena, marciò alla volta di
Parma. Non aspettarono que' cittadini intimoriti ch'essa arrivasse, e
consegnarono ai vassalli nobili della medesima il cardinale, colla
restituzione ancora di tutti i suoi sacri arredi. Altro male non fece la
contessa ai Parmigiani, perchè il piissimo cardinale perorò in loro
favore. In quest'anno, secondochè abbiamo da Tolomeo da Lucca[1399],
cominciò nell'agosto la guerra fra i Pisani e Lucchesi, e ne seguì una
battaglia, in cui i Pisani ebbero la peggio. Presero i Lucchesi il
castello di Librafatta, e ne condussero prigioni i castellani alla loro
città. Dalle carte riferite dal padre Bacchini[1400] si scorge che la
soprallodata contessa Matilda sul fine d'aprile, trovandosi in Nogara
sul Veronese, confermò ad _Alberico abbate_ del monistero di san
Benedetto di Polirone varii beni. Parimente la medesima, mentre era a
Coscogno, villa delle montagne di Modena, nel dì 15 di settembre, donò
allo stesso monistero la metà dell'isola di Gorgo con altri beni. A tali
donazioni intervenne sempre il consenso del suddetto cardinale Bernardo
vicario del papa, trattandosi di disporre di beni donati alla Chiesa
romana. Vedesi sotto quest'anno la vendita della corte firminiana, fatta
da _Ottone_ eletto arcivescovo di Ravenna a _Landolfo_ vescovo di
Ferrara[1401]. Per quanto s'ha dal Rossi[1402], questi dopo la morte
dell'antipapa Guiberto fu intruso nella sedia archiepiscopale di
Ravenna, e da questo atto si raccoglie ch'egli non avea trovato per
anche chi avesse voluto consecrarlo.
NOTE:
[1392] Pagius, in Crit. Baron.
[1393] Anonymus Trevirensis apud Dachery, in Spicileg.
[1394] Abbas Urspergensis, in Chron.
[1395] Otto Frisingens., Hist., lib. 7, cap. 8.
[1396] Hermann. Tornac., apud Dachery, in Spicileg.
[1397] Annalista Saxo.
[1398] Donizo, in Vita Mathild., lib. 2, cap. 14.
[1399] Ptolom. Lucensis, in Annalibus brevib.
[1400] Bacchini, Istor. di Polirone, nell'Append.
[1401] Antiquit. Italic., Dissert. XXVIII.
[1402] Rubeus, Hist. Ravenn.
Anno di CRISTO MCV. Indizione XIII.
PASQUALE II papa 7.
ARRIGO IV re 50, imperad. 22.
Fece il pontefice _Pasquale_ atterrar le case della nobil famiglia de'
Corsi in Roma, forse perchè ridotte dianzi in forma di fortezza[1403].
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