Annali d'Italia, vol. 4 - 24
le memorie allegate da Francesco Maria Fiorentini[969], nel dì 6 di
ottobre solennemente consecrò la cattedrale di san Martino, nuovamente
fabbricata in quella città, e confermò i privilegii a quel vescovato.
V'ha chi crede che in quest'anno giugnesse _Roberto Guiscardo_ duca ad
insignorirsi della capital della Puglia, cioè di Bari[970]. Già
cominciava ad assottigliarsi forte la vettovaglia in quella città, e
Roberto più che mai si mostrava risoluto di forzarla a cedere. Spedirono
perciò que' cittadini un messo a Costantinopoli con lettere
compassionevoli a _Romano Diogene imperadore_, per implorare soccorso.
Nè lo chiesero in vano. Romano, messa insieme una buona flotta di navi
con soldatesche e viveri, ne diede il comando a Gocelino normanno, che
disgustato e ribello del duca Roberto, era alcuni anni prima passato
alla corte imperiale d'Oriente, ed avea fatta ivi gran fortuna colla sua
bravura. Tornato il messo a Bari, e segretamente entrato, riempiè di
allegrezza quel prima disperato popolo coll'avviso del vicino aiuto, e
loro ordinò di stare attenti per far dei fuochi la notte, allorchè si
vedesse avvicinare la flotta de' Greci. Ma s'affrettarono essi di
troppo. La stessa notte cominciarono ad accendere de' fuochi nelle torri
e in altri siti della città: il che osservato dai Normanni, servì loro
d'indizio, che aspettassero in breve qualche aiuto per mare. Per buona
ventura il _conte Ruggieri_ alle premurose istanze del fratello Roberto
era anch'egli dalla Sicilia venuto a quell'assedio, menando seco un
poderoso naviglio. Fu a lui data commission di vegliare dalla banda del
mare, nè passò molto che si videro da lungi molti fanali, segni
indubitati di navi che venivano alla volta di Bari. Allora l'intrepido
Ruggeri, imbarcata la gente sua, con leonina ferocia volò incontro ai
Greci, i quali credendo che i Baritani per l'allegrezza venissero a
riceverli, non si prepararono alla difesa. Andarono i Normanni a urtar
sì forte ne' legni nemici, che una delle navi normanne, dove erano cento
cinquanta corazzieri, si rovesciò, e restò cogli uomini preda dell'onde.
Ma il valoroso Ruggieri adocchiata la capitana, perchè portava due
fanali, andò a dirittura ad investirla, e la sottomise con far prigione
il generale Gocelino, che poi lungamente macerato in una prigione, quivi
miseramente morì. Questa presa, e l'avere affondata un'altra nave de'
Greci, mise in rotta e fuga tutto il rimanente con gloria singolare de'
Normanni, che in addietro non s'erano mai avvisati di esser atti a
battaglie navali, e cominciarono allora ad imparare il mestiere. Nè di
più vi volle perchè i cittadini di Bari trattassero e concludessero la
resa della città al duca Roberto, che trattò amorevolmente non solo
essi, ma anche la guarnigion greca, e il lor generale Stefano, con
rimandar poi tutti essi Greci liberi al loro paese. Se veramente in
quest'anno, oppure nel seguente, Roberto Guiscardo facesse così
importante conquista, si è disputato fra gli eruditi. Chiaramente scrive
Lupo Protospata[971] ch'egli entrò vittorioso in Bari nel dì 15 d'aprile
dell'anno 1071; e a lui si attiene il padre Pagi[972], con osservare,
che, per testimonianza di Guglielmo Pugliese, durò _tre anni_
quell'assedio, e che, per conseguente, esso dovette aver principio
nell'anno 1068. Gaufredo Malaterra[973] all'incontro scrive che Bari
venne alle mani di Roberto nell'anno presente 1070, e Camillo
Pellegrini[974] si sottoscrisse a tale opinione. Stimò il padre Pagi
poco sicura la cronologia del Malaterra, senza osservare che non è di
miglior tempera quella di Lupo Protospata, dacchè troviamo da esso
storico posticipata di un anno la caduta dal trono di Romano Diogene
Augusto. Anche Romoaldo Salernitano nella Cronica sua[975], siccome
ancora la Cronichetta amalfitana[976] mettono sotto quest'anno la presa
di Bari. Tuttavia l'autorità dell'Ostiense[977] sembra bastante a
decidere questo punto; cioè a persuaderci che veramente nell'anno
seguente il vittorioso Roberto, dopo un assedio di _circa quattro anni_,
mettesse il piede in Bari. Vedremo in breve ciò ch'egli ne dice. Vennero
in questo anno a Roma, per attestato di Lamberto[978], gli arcivescovi
di Magonza e Colonia _Sigefredo_ ed _Annone_, ed _Ermanno vescovo_ di
Bamberga. Probabilmente ci conta favole quello storico con dire che
Ermanno accusato di simonia, con preziosi regali placò il papa.
Alessandro, pontefice di rara virtù, non era personaggio da lasciarsi in
tal guisa sovvertire. Aggiugne quello storico che a tutti e tre poi fece
esso pontefice un'acerba riprensione, perchè simoniacamente vendessero
gli ordini sacri. Non dovea per anche Annone arcivescovo essere giunto a
quella santità, di cui parlano gli storici dei secoli susseguenti. Era
in questi tempi un gran faccendiere _Gregorio vescovo_ di Vercelli, e
cancelliere di Arrigo IV re di Germania e d'Italia. Da lui ottenne egli
nell'anno presente varii casali posti nel contado di Vercelli per la sua
chiesa[979], con esser ivi espresso donato ancora _servitium, quod
pertinet ad comitatum_: il che fa intendere che si andava sempre più
pelando e sminuendo l'autorità e il provento spettante ai conti
governatori delle città, di modo che a poco a poco si ridusse quasi in
nulla il distretto di esse città, e la signoria de' conti urbani. Ma
dacchè si misero in libertà le stesse città, colla forza, siccome
vedremo, ripigliarono e sottomisero al loro dominio non meno i conti
territoriali ed altri nobili possidenti castella indipendenti dalla lor
giurisdizione, ma stesero le mani anche alle castella possedute dalle
chiese.
NOTE:
[954] Bertold. Constantiensis, in Chron.
[955] Fiorentini, Memor. di Matild., lib. 1.
[956] Mabill., Annal. Benedict.
[957] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[958] Sigebertus, in Chron.
[959] Annalista Saxo apud Eccardum, tom. 1 Corp. Hist.
[960] Baron., in Annal. Ecclesiast.
[961] Pagius, ad Annal. Baron.
[962] Labbe, Nova Bibliot., tom. 1, pag. 345.
[963] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye, tom. 1.
[964] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4, in Episc. Astens.
[965] Chron. Astens., tom. 9 Rer. Ital.
[966] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron. Annalista Saxo apud
Eccardum, tom. 1 Corp. Histor.
[967] Sigionius, de Regno Ital., lib. 4.
[968] Annales Pisani, tom. 6 Rer. Ital.
[969] Fiorentini, Memorie di Matilde, lib. 1.
[970] Gaufrid. Malaterra, lib. 2, cap. 43. Guillelm. Apulus, lib. 3.
[971] Lupus Protospata, in Chronico.
[972] Pagius, in Crit. ad Annal. Baron.
[973] Malaterra, lib. 2, cap. 43.
[974] Peregrin., Hist. Princip. Langobard.
[975] Romualdus Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
[976] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.
[977] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 30.
[978] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[979] Antiquit. Italic., Dissert. XIII, pag. 738.
Anno di CRISTO MLXXI. Indizione IX.
ALESSANDRO II papa 11.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 16.
L'intruso e simoniaco arcivescovo di Milano _Gotifredo_, giacchè era
stato rigettato dal popolo[980] con molti suoi fazionarii, andò a
ritirarsi in Castiglione, castello, pel sito montuoso, per le mura e
torri, e per altre fortificazioni, creduto allora inespugnabile, circa
venti miglia lungi da Milano. Ne usciva spesso la sua gente a
provvedersi di viveri alle spese dei confinanti, col commettere ancora
non pochi ammazzamenti. Non volendo il popolo di Milano tollerar più
questo aggravio, misero insieme un esercito, e con tutto il bisognevole
passarono ad assediar quella rocca, risoluti di liberarsi da quella
vessazione. Mentre durava un tale assedio, o accidentalmente, o per
opera di qualche scellerato, si attaccò il fuoco in Milano in tempo
appunto che soffiava un gagliardissimo vento, nel dì 19 di marzo
dell'anno presente. Fece un terribil guasto l'incendio, riducendo in un
mucchio di pietre una quantità immensa di case, ed anche di sacri
templi, fra i quali soprattutto fu deplorabile la rovina della basilica
di san Lorenzo, una delle più belle d'Italia, di maniera che Arnolfo
storico esclamò con dire: _O templum, cui nullum in mundo simile!_ Nelle
storie milanesi questo orribile incendio si vede appellato il _fuoco di
Castiglione_. All'avviso di sì fiera calamità, la maggior parte dei
Milanesi che erano all'assedio di Castiglione, corse alla città per
visitar le sue povere famiglie: del che accortisi gli assediati, e
cercato qualche rinforzo di amici, dopo Pasqua fecero una vigorosa
sortita addosso ai pochi rimasti a quello assedio. Ma _Erlembaldo_ con
tal valore sostenne gli assalti, che furono obbligati a retrocedere.
Dopo di che Gotifredo non veggendosi più sicuro, si fece condurre
altrove: con che cessò la guerra contra di quel castello. Essendo poi
mancato di vita il vecchio _arcivescovo Guido_, Erlembaldo andò
disponendo le cose per far eleggere un successore, dopo aver fatto
giurare il popolo di non mai accettare il simoniaco Gotifredo; e procurò
che da Roma venisse un legato, per dar maggior peso a tale elezione.
Avea l'infaticabil abbate di Monte Cassino _Desiderio_ già compiuta la
fabbrica della sua magnifica basilica[981]; e desiderando di consecrarla
con ispecial onore, invitò a tal funzione il buon papa Alessandro, che
non mancò d'andarvi. Incredibile fu il concorso de' popoli a quella
divota solennità. Fra gli altri vi si contarono dieci arcivescovi,
quaranta quattro vescovi, _Riccardo principe_ di Capua, con _Giordano_
suo figlio e _Rainolfo_ suo fratello, _Gisolfo principe_ di Salerno co'
suoi fratelli, _Landolfo principe_ di Benevento, Sergio duca di Napoli e
Sergio duca di Sorrento. _Nam dux Robertus Panormum eo tempore
oppugnabat, ideoque tantae solemnitati interesse non potuit_, come
scrive l'Ostiense. Seguì la suddetta consecrazione nel primo giorno di
ottobre; e però questo passo dell'Ostiense ci dee convincere che
nell'anno presente, e non già nel precedente 1070, si arrendè al _duca
Roberto_ la doviziosa ed importante città di Bari, e che, per
conseguente, sono scorretti i testi del Malaterra e di Romoaldo
salernitano.
Hassi dunque a sapere, che appena si fu impadronito il duca suddetto di
quella città nell'aprile del presente anno, ed ebbe dato sesto a quel
governo, che per le istanze del _conte Ruggieri_ suo fratello, a cui era
principalmente dovuta la gloria di una tal conquista, egli si dispose a
passare in Sicilia, per formare l'assedio di Palermo, capitale di
quell'isola insigne. Le dissensioni e guerre civili fra gli stessi Mori,
che aveano in addietro facilitato a Ruggieri il conquistar ivi non poco
paese, animarono maggiormente i due normanni eroi a tentar così bella
impresa, per accrescere in uno stesso tempo il loro dominio, e liberar
dal giogo saracenico quell'antichissima ed illustre città. Lo stesso
Malaterra[982], da cui non discorda Guglielmo pugliese[983], attesta che
Roberto dopo la presa di Bari, _brevi iterum expeditionem versus
Salernum summovet_; e che essendo dimorato ne' mesi di giugno e luglio
in Otranto per fare i preparamenti della nuova guerra, si portò dipoi a
Reggio di Calabria, e indi passò in Sicilia, fingendo di voler andare
contro l'isola di Malta. A tal fine sbarcò a Catania, dove si trovava il
conte Ruggieri, città che, secondo l'Ostiense[984], fu da loro
sottomessa in quest'anno; ma poi con tutte le forze di terra e di mare
eccolo piombare addosso alla città di Palermo, assediandola da tutte le
parti. Anche la Cronichetta amalfitana ha, che il Guiscardo, dopo aver
preso Bari, _inde movens exercitum in Siciliam ire preparavit_ (forse
_properavit_) _obseditque Panormum_. L'anno fu questo in cui la
nobilissima casa appellata poi d'Este vide uno de' suoi principi
stabilito in uno de' primi gradi d'onore e di potenza in Germania. Già
dicemmo all'anno 1055 che _Guelfo IV_, figliuolo del marchese _Alberto
Azzo II_ e di _Cunegonda_ de' Guelfi, fu chiamato in Suevia a prendere
l'ampia eredità de' principi guelfi[985], _missis in Italiam legatis_ da
_Imiza_ avola sua materna. Accadde, per testimonianza di Bertoldo da
Costanza,[986] di Lamberto[987] e d'altri scrittori, che _Ottone duca_
di Baviera nell'anno precedente si ribellò contra al re Arrigo, e per
questa cagione si espose ad un'aspra guerra. Avea Guelfo IV sposata una
figliuola di esso duca; però coll'armi, e in quante altre maniere potè,
aiutò per un pezzo il suocero. Ma allorchè vide andare a precipizio gli
affari di lui, pensò ai casi proprii, nè risparmiò oro, argento e beni
allodiali affine di ottenere dal re quell'insigne ducato, maggiore
allora di gran lunga che oggidì. Infatti, per valermi delle parole del
suddetto Lamberto e dell'Annalista sassone[988], per interposizione di
_Rodolfo duca_ di Suevia, cognato del re Arrigo, _Welf vir illustris,
acer, et bellicosus, filius Azzonis marchionis Italorum, ducatum
Bavariae suscepit_. Da questo principe, che fece tanta figura, e cotanto
si segnalò nelle guerre di questi tempi, viene a dirittura la linea
estense guelfa dei duchi di Brunswich, Luneburgo e Wulfembettel, che
all'elettorato germanico oggi unisce la corona del regno della gran
Bretagna. Così il marchese _Alberto Azzo II_ tuttavia vivente vide
stabilita ed innalzata in Germania la discendenza sua, la quale pur
tuttavia gloriosamente si mantiene e fiorisce anche in Italia nell'altra
linea de' marchesi di Este duchi di Modena, ec., discendente da Folco
marchese, fratello del medesimo duca Guelfo. Oltre a quest'anno non
arrivò la vita di _Domenico Contareno_ doge di Venezia[989], ed in suo
luogo fu alzato al trono ducale _Domenico Silvio_, e col confalone dato
gli fu il possesso della dignità.
NOTE:
[980] Arnulf., Hist. Mediolan., lib. 3, cap. 21.
[981] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 30.
[982] Malaterra, lib. 2, cap. 43.
[983] Guillelmus Apulus, lib. 3.
[984] Leo Ostiens., lib. 3, cap. 16.
[985] Abbas Urspergensis, in Chron.
[986] Bertoldus Constantiensis, in Chron.
[987] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[988] Annalista Saxo apud Eccardum, tom, 1 Corp. Hist.
[989] Dandul. in Chron., tom. 12. Rer. Ital.
Anno di CRISTO MLXXII. Indizione X.
ALESSANDRO II papa 12.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 17.
Portò opinione Girolamo Rossi[990], seguitato anche in ciò
dall'Ughelli[991], che _Arrigo arcivescovo_ di Ravenna desse fine alla
sua vita nell'anno 1070: il cardinal Baronio[992] credette che nell'anno
presente. Ma più probabile a me sembra che prima di quest'anno egli
sloggiasse dal mondo; perciocchè sappiamo, che essendo morto scomunicato
esso Arrigo[993], e trovandosi il popolo di Ravenna incorso in molte
censure, _papa Alessandro_ giudicò bene d'inviar colà san _Pier Damiano_
ravennate di patria, tuttochè avanzato forte nella vecchiaia, per dar
sesto a quella sì sconcertata chiesa. V'andò il santo uomo, fu con
grande allegria ricevuto, riconciliò tutto quel popolo, e, dopo aver
trattato d'altri affari, si rimise in cammino. Ma appena giunto ad un
monistero posto fuori della porta di Faenza, quivi fu preso dalla febbre
che, ogni dì più invigorendosi, il fece passare a miglior vita nel dì 22
di febbraio dell'anno presente[994]. Questi viaggi ed azioni, esigendo
tutti del tempo, a me fanno credere che almeno nell'anno precedente lo
scomunicato Arrigo cessasse di vivere. Fu poi sustituito in suo luogo,
per elezione del re Arrigo, _Guiberto_ dianzi suo cancelliere in Italia,
uomo pieno d'ambizione, e nato per flagello della Chiesa di Dio. Papa
Alessandro, che assai ne conosceva lo spirito turbolento, mal volentieri
condiscese a consecrarlo; ma, secondochè sta scritto nella Vita d'esso
pontefice[995] gli predisse che dalla santa Sede riceverebbe il gastigo
delle sue voglie ambiziose. Ho detto che Dio chiamò a sè san Pier
Damiano: debbo ora aggiugnere che mancò in lui un gran lume ed ornamento
della Cristianità, mercè della scienza e del raro zelo che in tutte le
azioni sue si osservò, e tuttavia si osserva ne' libri suoi, vivi
testimoni ancora di un felicissimo e piissimo ingegno, nei quali
solamente si può desiderare più parsimonia nelle allegorie, e più
cautela in credere e spacciar tante visioni e miracoli, alcuni de' quali
possono anche far dubitare dei veri. Abbiamo da Arnolfo, storico
milanese[996] di questi tempi, che nel presente anno per cura di
_Erlembaldo_, capo in Milano della fazione opposta alla simonia e
all'incontinenza del clero, alla presenza di _Bernardo_ legato della
Sedia apostolica, e nel dì dell'Epifania, fece eleggere dai suoi
parziali arcivescovo di Milano _Attone_, ossia _Azzo, tantummodo
clericum, ac tenera aetate juvenculum, invito clero, et multis ex
populo_. Perchè questo novello arcivescovo venne poi approvato da papa
_Gregorio VII_, il Puricelli fu d'avviso ch'egli non potesse avere sì
poca età, come suppone Arnolfo, il qual pure era allora vivente, e
scriveva di questi fatti. Ma oltre al potersi dire che _juvenculus_ non
vuol dire età che escluda il vescovato, le scabrose congiunture d'allora
dovettero giustificare l'aver eletto arcivescovo chi si potea; perchè i
più saggi ed attempati verisimilmente fuggirono una dignità accompagnata
dai pericoli di disgustare il re, e d'incontrar la persecuzione della
fazion parziale del re medesimo. Infatti poco durò l'allegrezza di
Attone. Mentre egli passava co' suoi ad un lauto convito, con cui si
voleva solennizzare l'acquisto di sì riguardevole mitra, fu in armi la
fazione contraria, ed entrata nel palazzo mise tutto sossopra. Si
nascose Attone a questo rumore, ma scoperto e preso, fu indegnamente
trattato anche con delle percosse. E se volle salvar la vita, gli
convenne salire in pulpito nella chiesa, e con alta voce rinunziare
all'elezione fatta di lui. Si nascosero tutti i suoi fautori; il legato
apostolico anch'egli corse gran pericolo, perchè gli furono stracciate
le vesti, laonde malconcio si sottrasse alla furia del popolo. In tal
confusione era la città di Milano. Gotifredo ed Attone fuori di Milano
non consecrati, e senza goder le rendite della chiesa, gran tempo
stettero campando del proprio, e chiusi nelle lor case di campagna.
Intanto si tenne in Roma un concilio, in cui venne approvata l'elezione
di Attone, e scomunicato Gotifredo.
Nell'agosto dell'anno precedente fu, siccome dicemmo, intrapreso
l'assedio di Palermo dagl'invitti due fratelli normanni _Roberto_ e
_Ruggieri_. Seguirono molti assalti e fatti d'armi sotto quella città.
Venne anche in soccorso de' Palermitani un grosso rinforzo di Mori[997];
ma non attentandosi coloro di assalire per terra l'esercito cristiano,
vollero tentar la loro fortuna per mare. Gl'intrepidi Normanni
accettarono la sfida, e nella battaglia navale menarono così ben le
mani, che riuscì loro di prendere alcune delle navi moresche, altre ne
affondarono, e il restante di esse fu costretto alla fuga. Dopo cinque
mesi dunque di faticoso assedio, Roberto fece dare un dì due furiosi ma
finti assalti da due parti alla città nuova posta nella penisola; ed
egli allorchè vide ben impegnati i cittadini nella difesa di que' due
siti, diede co' suoi una scalata ad un altro sito, e fortunatamente
v'entrò colla sua gente. Ritiraronsi perciò i Palermitani e Mori nella
vecchia città, e conoscendo che non v'era più speranza di resistere a
questo torrente, la mattina seguente i primati dimandarono di
capitolare: cioè esibirono la resa della città, purchè ai Musulmani (e
tali doveano essere quasi tutti allora quei cittadini o Siciliani o
Mori) fosse permesso di vivere liberamente nella loro legge maomettana.
A braccia aperte fu accettata la loro esibizione colla condizione
suddetta; laonde il duca e il conte vittoriosi presero il possesso di
quella nobil città, non già nel mese di giugno, come ha il testo
scorretto di Lupo Protospata[998], ma bensì nel dì 10 di gennaio
dell'anno presente, e dopo soli cinque mesi d'assedio, come ha l'Anonimo
barense[999], con cui va d'accordo Romoaldo salernitano[1000]. Diede
dipoi Roberto Guiscardo, secondochè lasciò scritto Leone ostiense[1001],
l'investitura di tutta la Sicilia al conte Ruggieri suo fratello,
ritenendo nondimeno in suo potere la metà di Palermo e di Messina. Ma
per quanto osservò l'abate Carusi[1002], nobile storico delle cose di
Sicilia, in questo ultimo punto non si appose al vero l'Ostiense, perchè
Roberto si riservò il pieno dominio delle suddette due città, e il resto
concedette al fratello. La Cronichetta amalfitana[1003], che all'anno
seguente riferisce la conquista di quella città, aggiugne che il
Guiscardo di colà portò a Troia varie porte di ferro e molte colonne di
marmo co' lor capitelli in segno della sua vittoria. Ci accertano le
memorie citate dal Fiorentini[1004] che in quest'anno ancora papa
Alessandro soggiornò in Lucca nel mese d'agosto e nei tre seguenti.
Vedesi parimente un placito[1005] tenuto da _Beatrice duchessa_ di
Toscana, e da _Matilda_ sua figliuola nel territorio di Chiusi: _anno
dominicae Incarnationis millesimo septuagesimo secundo, septimo idus
junii, indictione decima_, al quale intervennero i due conti di Chiusi
Rinieri e Bernardo coi vescovi di Chiusi e di Siena. Finì di vivere in
quest'anno[1006] _Adalberto_ arcivescovo di Brema, che fin qui era stato
primo ministro del re _Arrigo IV_; persona già in odio a tutti, perchè o
complice o autore di molte iniquità da esso re commesse. Fu uomo di
rigida continenza, e celebrava la messa con gran compunzione e lagrime;
ma senza avvedersi che la molta sua alterigia, vanità ed altri vizii
offuscavano di troppo e guastavano le sue poche virtù. Tanto il re
Arrigo pregò _Annone arcivescovo_ di Colonia, prelato di rara probità,
che volesse assumere il medesimo grado, che quantunque non poco egli
ricusasse, pure v'acconsentì. E in effetto cominciò il pubblico governo
sotto questo insigne prelato a prendere miglior faccia colla retta
amministrazione della giustizia, col castigo dei cattivi, e con altri
ottimi regolamenti. Ma durò ben poco questo sereno. Troppo violento,
troppo avvezzato al mal fare era il re Arrigo. Fugli ancora supposto che
_Ridolfo_ _duca_ di Suevia suo cognato macchinasse contro la sua corona,
ed era per vedersi una scena eguale a quella della Baviera. Ma avendo
Ridolfo fatto venire in Germania l'_imperadrice Agnese_ sua suocera,
questa così efficacemente s'interpose tra il figliuolo e il genero, che
ne seguì per ora la pace.
NOTE:
[990] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 5.
[991] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2 in Archiepisc. Ravenn.
[992] Baron., in Annales Ecclesiast.
[993] Acta Sanct. Bolland., ad diem 23 februarii.
[994] Bertold. Constantiensis, in Chron.
[995] Nicol. Card. de Aragon., in Vita Alex. II Papae.
[996] Arnulf., Hist. Mediolanens., lib. 3, cap. 23.
[997] Guillelm. Apulus, lib. 3. Malaterra, lib. 2, cap. 45.
[998] Lupus Protospata, in Chron.
[999] Anonymus Barensis, apud Peregrin.
[1000] Romualdus Salernit., tom. 7 Rer. Ital.
[1001] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 16.
[1002] Carusi, Stor. di Sicil., P. II.
[1003] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.
[1004] Fiorentini, Memorie di Matilde, lib. 1.
[1005] Antiquit. Italic., Dissert. XXXI.
[1006] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
Anno di CRISTO MLXXIII. Indizione XI.
GREGORIO VII papa 1.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 18.
Non potè molto durarla _Annone arcivescovo_ di Colonia alla corte del
_re Arrigo_[1007]. Egli edificava con una mano, e il re distruggeva con
tutte e due. Però non potendo più sopportare le sregolatezze del re,
facendo valere la scusa della sua avanzata età, tanto disse, che ottenne
di potersi liberar dalla corte, e di ritirarsi alla sua chiesa. Allora
fu che Arrigo, vedendosi come tolto di sotto all'aio, lasciò la briglia
a tutte le sue passioni, dandosi maggiormente in preda alle lascivie, e
nulla curandosi, se riduceva alla disperazione i popoli della Turingia e
Sassonia, con fabbricar tutto dì delle rocche in quel paese, con
permettere alle guarnigioni di prendere colla forza il sostentamento dai
poveri villani, e con proteggere le pretensioni dell'arcivescovo di
Magonza, che volea contro il costume esigere le decime da que' popoli.
Andarono perciò delle gravi doglianze a Roma contra di Arrigo, ed
esposte furono tutte le di lui infamie, e spezialmente la vendita delle
chiese: il che soprattutto dispiaceva al romano pontefice. Quindi
cominciarono i Sassoni a ribellarsi, voltando l'armi loro contra delle
fortezze fabbricate in lor pregiudizio dal re. Si aggiunse che _Ridolfo
duca_ di Suevia, _Bertolfo duca_ di Carintia, e il novello duca di
Baviera _Guelfo IV_[1008], veggendo sprezzato alla corte il savio ed
onorato lor parere, se ne ritirarono. In somma l'indomito cervello e
furor giovanile di Arrigo tutto andava facendo per perdere l'amore non
men dei grandi che dei piccoli, e per mettere la confusione in Germania:
il che pur troppo gli venne fatto. Intanto papa Alessandro, se dobbiamo
credere all'Urspergense[1009], spedì lettere ad esso re, _vocantes eum
ad satisfaciendum pro simoniaca haeresi, aliisque nonnullis emendatione
dignis, quae de ipso Romae fuerant audita._ Ma non potè il buon
pontefice _Alessandro_ proseguir più oltre questi disegni, perchè Dio il
chiamò a sè nel dì 21 d'aprile: pontefice per la sua pietà, umiltà,
eloquenza e zelo, non inferiore ai migliori[1010]. Si raccontano ancora
varii miracoli operati da Dio per intercessione di lui. Appena fu nel
giorno seguente data sepoltura al defunto papa, che i cardinali con
tutto il clero e popolo concordemente acclamarono papa il _cardinale
Ildebrando_ che prese il nome di _Gregorio VII_, e si rendè poi celebre
a tutti i secoli avvenire. Resistè egli finchè potè, ma bisognò darla
vinta al quasi furor del popolo, che non ammise dilazione. Nè ci volea
di meno in questi tempi sì sconcertati della Chiesa di Dio, che il petto
forte di questo virtuoso, dotto ed incorrotto pontefice, per correggere
spezialmente gli abusi delle simonie e dell'incontinenza del clero, che
troppo piede aveano preso dappertutto. Non volle ommettere il saggio
eletto tutti i riguardi dovuti al re Arrigo, per procurare, se mai era
possibile, di mantener la concordia, e per eseguir in parte anche il
decreto di papa Niccolò II, nel quale anch'egli aveva avuta mano. Cioè
spedì tosto i suoi messi in Germania coll'avviso al re della sua
elezione, e per quanto si ha dalla Vita di lui, a noi conservata da
Niccolò cardinal d'Aragona[1011], pregandolo, come avea fatto anche san
Gregorio il Grande, di non prestar l'assenso a tale elezione. _Quod si
non faceret, certum sibi esset, quod graviores et manifestos ipsius
excessus impunitos nullatenus toleraret._ Se è vera la parlata di questo
tenore (del che potrà talun dubitare), bisogna ben dire che il re Arrigo
dovette qui fare un grande sforzo al suo mal talento per consentire,
siccome è certo che consentì, ma non così tosto. Lamberto da
Schafnaburgo[1012], senza parlare dei messi suddetti, e dopo avere
esaltato l'integrità e l'altre virtù che concorrevano in questo
pontefice, scrive che il di lui inflessibile zelo ed ingegno acre fece
paura ai vescovi che si trovarono allora alla corte, ben consapevoli di
varii lor mancamenti, dei quali poteva egli un giorno chiedere conto.
Perciò esortarono Arrigo di dichiarar nulla l'elezione di lui, giacchè
fatta senza conoscenza ed ordine suo. Ma dovette prevalere il parer dei
più saggi, e il re si contentò d'inviare a Roma il _conte Eberardo_ con
ordine di conoscere come era passato il fatto; e se trovasse già
consecrato il papa novello, di protestare di nullità qualunque atto
fatto. Andò questo uffiziale, fu cortesemente accolto, dimandò conto
dell'operato, e l'eletto pontefice rispose, che contro sua volontà, non
ostante l'opposizione sua, era stato eletto dal clero e popolo; ma che
non s'era lasciato sforzare a prender anche l'ordinazione, volendo prima
essere assicurato che il re e i principi germanici avessero prestato
l'assenso all'elezione sua. Questa umile risposta, rapportata al re
Arrigo, il soddisfece, e però diede tosto ordine che fosse consecrato.
_Et statim Gregorium Vercellensem episcopum italici regni cancellarium
ottobre solennemente consecrò la cattedrale di san Martino, nuovamente
fabbricata in quella città, e confermò i privilegii a quel vescovato.
V'ha chi crede che in quest'anno giugnesse _Roberto Guiscardo_ duca ad
insignorirsi della capital della Puglia, cioè di Bari[970]. Già
cominciava ad assottigliarsi forte la vettovaglia in quella città, e
Roberto più che mai si mostrava risoluto di forzarla a cedere. Spedirono
perciò que' cittadini un messo a Costantinopoli con lettere
compassionevoli a _Romano Diogene imperadore_, per implorare soccorso.
Nè lo chiesero in vano. Romano, messa insieme una buona flotta di navi
con soldatesche e viveri, ne diede il comando a Gocelino normanno, che
disgustato e ribello del duca Roberto, era alcuni anni prima passato
alla corte imperiale d'Oriente, ed avea fatta ivi gran fortuna colla sua
bravura. Tornato il messo a Bari, e segretamente entrato, riempiè di
allegrezza quel prima disperato popolo coll'avviso del vicino aiuto, e
loro ordinò di stare attenti per far dei fuochi la notte, allorchè si
vedesse avvicinare la flotta de' Greci. Ma s'affrettarono essi di
troppo. La stessa notte cominciarono ad accendere de' fuochi nelle torri
e in altri siti della città: il che osservato dai Normanni, servì loro
d'indizio, che aspettassero in breve qualche aiuto per mare. Per buona
ventura il _conte Ruggieri_ alle premurose istanze del fratello Roberto
era anch'egli dalla Sicilia venuto a quell'assedio, menando seco un
poderoso naviglio. Fu a lui data commission di vegliare dalla banda del
mare, nè passò molto che si videro da lungi molti fanali, segni
indubitati di navi che venivano alla volta di Bari. Allora l'intrepido
Ruggeri, imbarcata la gente sua, con leonina ferocia volò incontro ai
Greci, i quali credendo che i Baritani per l'allegrezza venissero a
riceverli, non si prepararono alla difesa. Andarono i Normanni a urtar
sì forte ne' legni nemici, che una delle navi normanne, dove erano cento
cinquanta corazzieri, si rovesciò, e restò cogli uomini preda dell'onde.
Ma il valoroso Ruggieri adocchiata la capitana, perchè portava due
fanali, andò a dirittura ad investirla, e la sottomise con far prigione
il generale Gocelino, che poi lungamente macerato in una prigione, quivi
miseramente morì. Questa presa, e l'avere affondata un'altra nave de'
Greci, mise in rotta e fuga tutto il rimanente con gloria singolare de'
Normanni, che in addietro non s'erano mai avvisati di esser atti a
battaglie navali, e cominciarono allora ad imparare il mestiere. Nè di
più vi volle perchè i cittadini di Bari trattassero e concludessero la
resa della città al duca Roberto, che trattò amorevolmente non solo
essi, ma anche la guarnigion greca, e il lor generale Stefano, con
rimandar poi tutti essi Greci liberi al loro paese. Se veramente in
quest'anno, oppure nel seguente, Roberto Guiscardo facesse così
importante conquista, si è disputato fra gli eruditi. Chiaramente scrive
Lupo Protospata[971] ch'egli entrò vittorioso in Bari nel dì 15 d'aprile
dell'anno 1071; e a lui si attiene il padre Pagi[972], con osservare,
che, per testimonianza di Guglielmo Pugliese, durò _tre anni_
quell'assedio, e che, per conseguente, esso dovette aver principio
nell'anno 1068. Gaufredo Malaterra[973] all'incontro scrive che Bari
venne alle mani di Roberto nell'anno presente 1070, e Camillo
Pellegrini[974] si sottoscrisse a tale opinione. Stimò il padre Pagi
poco sicura la cronologia del Malaterra, senza osservare che non è di
miglior tempera quella di Lupo Protospata, dacchè troviamo da esso
storico posticipata di un anno la caduta dal trono di Romano Diogene
Augusto. Anche Romoaldo Salernitano nella Cronica sua[975], siccome
ancora la Cronichetta amalfitana[976] mettono sotto quest'anno la presa
di Bari. Tuttavia l'autorità dell'Ostiense[977] sembra bastante a
decidere questo punto; cioè a persuaderci che veramente nell'anno
seguente il vittorioso Roberto, dopo un assedio di _circa quattro anni_,
mettesse il piede in Bari. Vedremo in breve ciò ch'egli ne dice. Vennero
in questo anno a Roma, per attestato di Lamberto[978], gli arcivescovi
di Magonza e Colonia _Sigefredo_ ed _Annone_, ed _Ermanno vescovo_ di
Bamberga. Probabilmente ci conta favole quello storico con dire che
Ermanno accusato di simonia, con preziosi regali placò il papa.
Alessandro, pontefice di rara virtù, non era personaggio da lasciarsi in
tal guisa sovvertire. Aggiugne quello storico che a tutti e tre poi fece
esso pontefice un'acerba riprensione, perchè simoniacamente vendessero
gli ordini sacri. Non dovea per anche Annone arcivescovo essere giunto a
quella santità, di cui parlano gli storici dei secoli susseguenti. Era
in questi tempi un gran faccendiere _Gregorio vescovo_ di Vercelli, e
cancelliere di Arrigo IV re di Germania e d'Italia. Da lui ottenne egli
nell'anno presente varii casali posti nel contado di Vercelli per la sua
chiesa[979], con esser ivi espresso donato ancora _servitium, quod
pertinet ad comitatum_: il che fa intendere che si andava sempre più
pelando e sminuendo l'autorità e il provento spettante ai conti
governatori delle città, di modo che a poco a poco si ridusse quasi in
nulla il distretto di esse città, e la signoria de' conti urbani. Ma
dacchè si misero in libertà le stesse città, colla forza, siccome
vedremo, ripigliarono e sottomisero al loro dominio non meno i conti
territoriali ed altri nobili possidenti castella indipendenti dalla lor
giurisdizione, ma stesero le mani anche alle castella possedute dalle
chiese.
NOTE:
[954] Bertold. Constantiensis, in Chron.
[955] Fiorentini, Memor. di Matild., lib. 1.
[956] Mabill., Annal. Benedict.
[957] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[958] Sigebertus, in Chron.
[959] Annalista Saxo apud Eccardum, tom. 1 Corp. Hist.
[960] Baron., in Annal. Ecclesiast.
[961] Pagius, ad Annal. Baron.
[962] Labbe, Nova Bibliot., tom. 1, pag. 345.
[963] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye, tom. 1.
[964] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4, in Episc. Astens.
[965] Chron. Astens., tom. 9 Rer. Ital.
[966] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron. Annalista Saxo apud
Eccardum, tom. 1 Corp. Histor.
[967] Sigionius, de Regno Ital., lib. 4.
[968] Annales Pisani, tom. 6 Rer. Ital.
[969] Fiorentini, Memorie di Matilde, lib. 1.
[970] Gaufrid. Malaterra, lib. 2, cap. 43. Guillelm. Apulus, lib. 3.
[971] Lupus Protospata, in Chronico.
[972] Pagius, in Crit. ad Annal. Baron.
[973] Malaterra, lib. 2, cap. 43.
[974] Peregrin., Hist. Princip. Langobard.
[975] Romualdus Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
[976] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.
[977] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 30.
[978] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[979] Antiquit. Italic., Dissert. XIII, pag. 738.
Anno di CRISTO MLXXI. Indizione IX.
ALESSANDRO II papa 11.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 16.
L'intruso e simoniaco arcivescovo di Milano _Gotifredo_, giacchè era
stato rigettato dal popolo[980] con molti suoi fazionarii, andò a
ritirarsi in Castiglione, castello, pel sito montuoso, per le mura e
torri, e per altre fortificazioni, creduto allora inespugnabile, circa
venti miglia lungi da Milano. Ne usciva spesso la sua gente a
provvedersi di viveri alle spese dei confinanti, col commettere ancora
non pochi ammazzamenti. Non volendo il popolo di Milano tollerar più
questo aggravio, misero insieme un esercito, e con tutto il bisognevole
passarono ad assediar quella rocca, risoluti di liberarsi da quella
vessazione. Mentre durava un tale assedio, o accidentalmente, o per
opera di qualche scellerato, si attaccò il fuoco in Milano in tempo
appunto che soffiava un gagliardissimo vento, nel dì 19 di marzo
dell'anno presente. Fece un terribil guasto l'incendio, riducendo in un
mucchio di pietre una quantità immensa di case, ed anche di sacri
templi, fra i quali soprattutto fu deplorabile la rovina della basilica
di san Lorenzo, una delle più belle d'Italia, di maniera che Arnolfo
storico esclamò con dire: _O templum, cui nullum in mundo simile!_ Nelle
storie milanesi questo orribile incendio si vede appellato il _fuoco di
Castiglione_. All'avviso di sì fiera calamità, la maggior parte dei
Milanesi che erano all'assedio di Castiglione, corse alla città per
visitar le sue povere famiglie: del che accortisi gli assediati, e
cercato qualche rinforzo di amici, dopo Pasqua fecero una vigorosa
sortita addosso ai pochi rimasti a quello assedio. Ma _Erlembaldo_ con
tal valore sostenne gli assalti, che furono obbligati a retrocedere.
Dopo di che Gotifredo non veggendosi più sicuro, si fece condurre
altrove: con che cessò la guerra contra di quel castello. Essendo poi
mancato di vita il vecchio _arcivescovo Guido_, Erlembaldo andò
disponendo le cose per far eleggere un successore, dopo aver fatto
giurare il popolo di non mai accettare il simoniaco Gotifredo; e procurò
che da Roma venisse un legato, per dar maggior peso a tale elezione.
Avea l'infaticabil abbate di Monte Cassino _Desiderio_ già compiuta la
fabbrica della sua magnifica basilica[981]; e desiderando di consecrarla
con ispecial onore, invitò a tal funzione il buon papa Alessandro, che
non mancò d'andarvi. Incredibile fu il concorso de' popoli a quella
divota solennità. Fra gli altri vi si contarono dieci arcivescovi,
quaranta quattro vescovi, _Riccardo principe_ di Capua, con _Giordano_
suo figlio e _Rainolfo_ suo fratello, _Gisolfo principe_ di Salerno co'
suoi fratelli, _Landolfo principe_ di Benevento, Sergio duca di Napoli e
Sergio duca di Sorrento. _Nam dux Robertus Panormum eo tempore
oppugnabat, ideoque tantae solemnitati interesse non potuit_, come
scrive l'Ostiense. Seguì la suddetta consecrazione nel primo giorno di
ottobre; e però questo passo dell'Ostiense ci dee convincere che
nell'anno presente, e non già nel precedente 1070, si arrendè al _duca
Roberto_ la doviziosa ed importante città di Bari, e che, per
conseguente, sono scorretti i testi del Malaterra e di Romoaldo
salernitano.
Hassi dunque a sapere, che appena si fu impadronito il duca suddetto di
quella città nell'aprile del presente anno, ed ebbe dato sesto a quel
governo, che per le istanze del _conte Ruggieri_ suo fratello, a cui era
principalmente dovuta la gloria di una tal conquista, egli si dispose a
passare in Sicilia, per formare l'assedio di Palermo, capitale di
quell'isola insigne. Le dissensioni e guerre civili fra gli stessi Mori,
che aveano in addietro facilitato a Ruggieri il conquistar ivi non poco
paese, animarono maggiormente i due normanni eroi a tentar così bella
impresa, per accrescere in uno stesso tempo il loro dominio, e liberar
dal giogo saracenico quell'antichissima ed illustre città. Lo stesso
Malaterra[982], da cui non discorda Guglielmo pugliese[983], attesta che
Roberto dopo la presa di Bari, _brevi iterum expeditionem versus
Salernum summovet_; e che essendo dimorato ne' mesi di giugno e luglio
in Otranto per fare i preparamenti della nuova guerra, si portò dipoi a
Reggio di Calabria, e indi passò in Sicilia, fingendo di voler andare
contro l'isola di Malta. A tal fine sbarcò a Catania, dove si trovava il
conte Ruggieri, città che, secondo l'Ostiense[984], fu da loro
sottomessa in quest'anno; ma poi con tutte le forze di terra e di mare
eccolo piombare addosso alla città di Palermo, assediandola da tutte le
parti. Anche la Cronichetta amalfitana ha, che il Guiscardo, dopo aver
preso Bari, _inde movens exercitum in Siciliam ire preparavit_ (forse
_properavit_) _obseditque Panormum_. L'anno fu questo in cui la
nobilissima casa appellata poi d'Este vide uno de' suoi principi
stabilito in uno de' primi gradi d'onore e di potenza in Germania. Già
dicemmo all'anno 1055 che _Guelfo IV_, figliuolo del marchese _Alberto
Azzo II_ e di _Cunegonda_ de' Guelfi, fu chiamato in Suevia a prendere
l'ampia eredità de' principi guelfi[985], _missis in Italiam legatis_ da
_Imiza_ avola sua materna. Accadde, per testimonianza di Bertoldo da
Costanza,[986] di Lamberto[987] e d'altri scrittori, che _Ottone duca_
di Baviera nell'anno precedente si ribellò contra al re Arrigo, e per
questa cagione si espose ad un'aspra guerra. Avea Guelfo IV sposata una
figliuola di esso duca; però coll'armi, e in quante altre maniere potè,
aiutò per un pezzo il suocero. Ma allorchè vide andare a precipizio gli
affari di lui, pensò ai casi proprii, nè risparmiò oro, argento e beni
allodiali affine di ottenere dal re quell'insigne ducato, maggiore
allora di gran lunga che oggidì. Infatti, per valermi delle parole del
suddetto Lamberto e dell'Annalista sassone[988], per interposizione di
_Rodolfo duca_ di Suevia, cognato del re Arrigo, _Welf vir illustris,
acer, et bellicosus, filius Azzonis marchionis Italorum, ducatum
Bavariae suscepit_. Da questo principe, che fece tanta figura, e cotanto
si segnalò nelle guerre di questi tempi, viene a dirittura la linea
estense guelfa dei duchi di Brunswich, Luneburgo e Wulfembettel, che
all'elettorato germanico oggi unisce la corona del regno della gran
Bretagna. Così il marchese _Alberto Azzo II_ tuttavia vivente vide
stabilita ed innalzata in Germania la discendenza sua, la quale pur
tuttavia gloriosamente si mantiene e fiorisce anche in Italia nell'altra
linea de' marchesi di Este duchi di Modena, ec., discendente da Folco
marchese, fratello del medesimo duca Guelfo. Oltre a quest'anno non
arrivò la vita di _Domenico Contareno_ doge di Venezia[989], ed in suo
luogo fu alzato al trono ducale _Domenico Silvio_, e col confalone dato
gli fu il possesso della dignità.
NOTE:
[980] Arnulf., Hist. Mediolan., lib. 3, cap. 21.
[981] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 30.
[982] Malaterra, lib. 2, cap. 43.
[983] Guillelmus Apulus, lib. 3.
[984] Leo Ostiens., lib. 3, cap. 16.
[985] Abbas Urspergensis, in Chron.
[986] Bertoldus Constantiensis, in Chron.
[987] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[988] Annalista Saxo apud Eccardum, tom, 1 Corp. Hist.
[989] Dandul. in Chron., tom. 12. Rer. Ital.
Anno di CRISTO MLXXII. Indizione X.
ALESSANDRO II papa 12.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 17.
Portò opinione Girolamo Rossi[990], seguitato anche in ciò
dall'Ughelli[991], che _Arrigo arcivescovo_ di Ravenna desse fine alla
sua vita nell'anno 1070: il cardinal Baronio[992] credette che nell'anno
presente. Ma più probabile a me sembra che prima di quest'anno egli
sloggiasse dal mondo; perciocchè sappiamo, che essendo morto scomunicato
esso Arrigo[993], e trovandosi il popolo di Ravenna incorso in molte
censure, _papa Alessandro_ giudicò bene d'inviar colà san _Pier Damiano_
ravennate di patria, tuttochè avanzato forte nella vecchiaia, per dar
sesto a quella sì sconcertata chiesa. V'andò il santo uomo, fu con
grande allegria ricevuto, riconciliò tutto quel popolo, e, dopo aver
trattato d'altri affari, si rimise in cammino. Ma appena giunto ad un
monistero posto fuori della porta di Faenza, quivi fu preso dalla febbre
che, ogni dì più invigorendosi, il fece passare a miglior vita nel dì 22
di febbraio dell'anno presente[994]. Questi viaggi ed azioni, esigendo
tutti del tempo, a me fanno credere che almeno nell'anno precedente lo
scomunicato Arrigo cessasse di vivere. Fu poi sustituito in suo luogo,
per elezione del re Arrigo, _Guiberto_ dianzi suo cancelliere in Italia,
uomo pieno d'ambizione, e nato per flagello della Chiesa di Dio. Papa
Alessandro, che assai ne conosceva lo spirito turbolento, mal volentieri
condiscese a consecrarlo; ma, secondochè sta scritto nella Vita d'esso
pontefice[995] gli predisse che dalla santa Sede riceverebbe il gastigo
delle sue voglie ambiziose. Ho detto che Dio chiamò a sè san Pier
Damiano: debbo ora aggiugnere che mancò in lui un gran lume ed ornamento
della Cristianità, mercè della scienza e del raro zelo che in tutte le
azioni sue si osservò, e tuttavia si osserva ne' libri suoi, vivi
testimoni ancora di un felicissimo e piissimo ingegno, nei quali
solamente si può desiderare più parsimonia nelle allegorie, e più
cautela in credere e spacciar tante visioni e miracoli, alcuni de' quali
possono anche far dubitare dei veri. Abbiamo da Arnolfo, storico
milanese[996] di questi tempi, che nel presente anno per cura di
_Erlembaldo_, capo in Milano della fazione opposta alla simonia e
all'incontinenza del clero, alla presenza di _Bernardo_ legato della
Sedia apostolica, e nel dì dell'Epifania, fece eleggere dai suoi
parziali arcivescovo di Milano _Attone_, ossia _Azzo, tantummodo
clericum, ac tenera aetate juvenculum, invito clero, et multis ex
populo_. Perchè questo novello arcivescovo venne poi approvato da papa
_Gregorio VII_, il Puricelli fu d'avviso ch'egli non potesse avere sì
poca età, come suppone Arnolfo, il qual pure era allora vivente, e
scriveva di questi fatti. Ma oltre al potersi dire che _juvenculus_ non
vuol dire età che escluda il vescovato, le scabrose congiunture d'allora
dovettero giustificare l'aver eletto arcivescovo chi si potea; perchè i
più saggi ed attempati verisimilmente fuggirono una dignità accompagnata
dai pericoli di disgustare il re, e d'incontrar la persecuzione della
fazion parziale del re medesimo. Infatti poco durò l'allegrezza di
Attone. Mentre egli passava co' suoi ad un lauto convito, con cui si
voleva solennizzare l'acquisto di sì riguardevole mitra, fu in armi la
fazione contraria, ed entrata nel palazzo mise tutto sossopra. Si
nascose Attone a questo rumore, ma scoperto e preso, fu indegnamente
trattato anche con delle percosse. E se volle salvar la vita, gli
convenne salire in pulpito nella chiesa, e con alta voce rinunziare
all'elezione fatta di lui. Si nascosero tutti i suoi fautori; il legato
apostolico anch'egli corse gran pericolo, perchè gli furono stracciate
le vesti, laonde malconcio si sottrasse alla furia del popolo. In tal
confusione era la città di Milano. Gotifredo ed Attone fuori di Milano
non consecrati, e senza goder le rendite della chiesa, gran tempo
stettero campando del proprio, e chiusi nelle lor case di campagna.
Intanto si tenne in Roma un concilio, in cui venne approvata l'elezione
di Attone, e scomunicato Gotifredo.
Nell'agosto dell'anno precedente fu, siccome dicemmo, intrapreso
l'assedio di Palermo dagl'invitti due fratelli normanni _Roberto_ e
_Ruggieri_. Seguirono molti assalti e fatti d'armi sotto quella città.
Venne anche in soccorso de' Palermitani un grosso rinforzo di Mori[997];
ma non attentandosi coloro di assalire per terra l'esercito cristiano,
vollero tentar la loro fortuna per mare. Gl'intrepidi Normanni
accettarono la sfida, e nella battaglia navale menarono così ben le
mani, che riuscì loro di prendere alcune delle navi moresche, altre ne
affondarono, e il restante di esse fu costretto alla fuga. Dopo cinque
mesi dunque di faticoso assedio, Roberto fece dare un dì due furiosi ma
finti assalti da due parti alla città nuova posta nella penisola; ed
egli allorchè vide ben impegnati i cittadini nella difesa di que' due
siti, diede co' suoi una scalata ad un altro sito, e fortunatamente
v'entrò colla sua gente. Ritiraronsi perciò i Palermitani e Mori nella
vecchia città, e conoscendo che non v'era più speranza di resistere a
questo torrente, la mattina seguente i primati dimandarono di
capitolare: cioè esibirono la resa della città, purchè ai Musulmani (e
tali doveano essere quasi tutti allora quei cittadini o Siciliani o
Mori) fosse permesso di vivere liberamente nella loro legge maomettana.
A braccia aperte fu accettata la loro esibizione colla condizione
suddetta; laonde il duca e il conte vittoriosi presero il possesso di
quella nobil città, non già nel mese di giugno, come ha il testo
scorretto di Lupo Protospata[998], ma bensì nel dì 10 di gennaio
dell'anno presente, e dopo soli cinque mesi d'assedio, come ha l'Anonimo
barense[999], con cui va d'accordo Romoaldo salernitano[1000]. Diede
dipoi Roberto Guiscardo, secondochè lasciò scritto Leone ostiense[1001],
l'investitura di tutta la Sicilia al conte Ruggieri suo fratello,
ritenendo nondimeno in suo potere la metà di Palermo e di Messina. Ma
per quanto osservò l'abate Carusi[1002], nobile storico delle cose di
Sicilia, in questo ultimo punto non si appose al vero l'Ostiense, perchè
Roberto si riservò il pieno dominio delle suddette due città, e il resto
concedette al fratello. La Cronichetta amalfitana[1003], che all'anno
seguente riferisce la conquista di quella città, aggiugne che il
Guiscardo di colà portò a Troia varie porte di ferro e molte colonne di
marmo co' lor capitelli in segno della sua vittoria. Ci accertano le
memorie citate dal Fiorentini[1004] che in quest'anno ancora papa
Alessandro soggiornò in Lucca nel mese d'agosto e nei tre seguenti.
Vedesi parimente un placito[1005] tenuto da _Beatrice duchessa_ di
Toscana, e da _Matilda_ sua figliuola nel territorio di Chiusi: _anno
dominicae Incarnationis millesimo septuagesimo secundo, septimo idus
junii, indictione decima_, al quale intervennero i due conti di Chiusi
Rinieri e Bernardo coi vescovi di Chiusi e di Siena. Finì di vivere in
quest'anno[1006] _Adalberto_ arcivescovo di Brema, che fin qui era stato
primo ministro del re _Arrigo IV_; persona già in odio a tutti, perchè o
complice o autore di molte iniquità da esso re commesse. Fu uomo di
rigida continenza, e celebrava la messa con gran compunzione e lagrime;
ma senza avvedersi che la molta sua alterigia, vanità ed altri vizii
offuscavano di troppo e guastavano le sue poche virtù. Tanto il re
Arrigo pregò _Annone arcivescovo_ di Colonia, prelato di rara probità,
che volesse assumere il medesimo grado, che quantunque non poco egli
ricusasse, pure v'acconsentì. E in effetto cominciò il pubblico governo
sotto questo insigne prelato a prendere miglior faccia colla retta
amministrazione della giustizia, col castigo dei cattivi, e con altri
ottimi regolamenti. Ma durò ben poco questo sereno. Troppo violento,
troppo avvezzato al mal fare era il re Arrigo. Fugli ancora supposto che
_Ridolfo_ _duca_ di Suevia suo cognato macchinasse contro la sua corona,
ed era per vedersi una scena eguale a quella della Baviera. Ma avendo
Ridolfo fatto venire in Germania l'_imperadrice Agnese_ sua suocera,
questa così efficacemente s'interpose tra il figliuolo e il genero, che
ne seguì per ora la pace.
NOTE:
[990] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 5.
[991] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2 in Archiepisc. Ravenn.
[992] Baron., in Annales Ecclesiast.
[993] Acta Sanct. Bolland., ad diem 23 februarii.
[994] Bertold. Constantiensis, in Chron.
[995] Nicol. Card. de Aragon., in Vita Alex. II Papae.
[996] Arnulf., Hist. Mediolanens., lib. 3, cap. 23.
[997] Guillelm. Apulus, lib. 3. Malaterra, lib. 2, cap. 45.
[998] Lupus Protospata, in Chron.
[999] Anonymus Barensis, apud Peregrin.
[1000] Romualdus Salernit., tom. 7 Rer. Ital.
[1001] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 16.
[1002] Carusi, Stor. di Sicil., P. II.
[1003] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.
[1004] Fiorentini, Memorie di Matilde, lib. 1.
[1005] Antiquit. Italic., Dissert. XXXI.
[1006] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
Anno di CRISTO MLXXIII. Indizione XI.
GREGORIO VII papa 1.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 18.
Non potè molto durarla _Annone arcivescovo_ di Colonia alla corte del
_re Arrigo_[1007]. Egli edificava con una mano, e il re distruggeva con
tutte e due. Però non potendo più sopportare le sregolatezze del re,
facendo valere la scusa della sua avanzata età, tanto disse, che ottenne
di potersi liberar dalla corte, e di ritirarsi alla sua chiesa. Allora
fu che Arrigo, vedendosi come tolto di sotto all'aio, lasciò la briglia
a tutte le sue passioni, dandosi maggiormente in preda alle lascivie, e
nulla curandosi, se riduceva alla disperazione i popoli della Turingia e
Sassonia, con fabbricar tutto dì delle rocche in quel paese, con
permettere alle guarnigioni di prendere colla forza il sostentamento dai
poveri villani, e con proteggere le pretensioni dell'arcivescovo di
Magonza, che volea contro il costume esigere le decime da que' popoli.
Andarono perciò delle gravi doglianze a Roma contra di Arrigo, ed
esposte furono tutte le di lui infamie, e spezialmente la vendita delle
chiese: il che soprattutto dispiaceva al romano pontefice. Quindi
cominciarono i Sassoni a ribellarsi, voltando l'armi loro contra delle
fortezze fabbricate in lor pregiudizio dal re. Si aggiunse che _Ridolfo
duca_ di Suevia, _Bertolfo duca_ di Carintia, e il novello duca di
Baviera _Guelfo IV_[1008], veggendo sprezzato alla corte il savio ed
onorato lor parere, se ne ritirarono. In somma l'indomito cervello e
furor giovanile di Arrigo tutto andava facendo per perdere l'amore non
men dei grandi che dei piccoli, e per mettere la confusione in Germania:
il che pur troppo gli venne fatto. Intanto papa Alessandro, se dobbiamo
credere all'Urspergense[1009], spedì lettere ad esso re, _vocantes eum
ad satisfaciendum pro simoniaca haeresi, aliisque nonnullis emendatione
dignis, quae de ipso Romae fuerant audita._ Ma non potè il buon
pontefice _Alessandro_ proseguir più oltre questi disegni, perchè Dio il
chiamò a sè nel dì 21 d'aprile: pontefice per la sua pietà, umiltà,
eloquenza e zelo, non inferiore ai migliori[1010]. Si raccontano ancora
varii miracoli operati da Dio per intercessione di lui. Appena fu nel
giorno seguente data sepoltura al defunto papa, che i cardinali con
tutto il clero e popolo concordemente acclamarono papa il _cardinale
Ildebrando_ che prese il nome di _Gregorio VII_, e si rendè poi celebre
a tutti i secoli avvenire. Resistè egli finchè potè, ma bisognò darla
vinta al quasi furor del popolo, che non ammise dilazione. Nè ci volea
di meno in questi tempi sì sconcertati della Chiesa di Dio, che il petto
forte di questo virtuoso, dotto ed incorrotto pontefice, per correggere
spezialmente gli abusi delle simonie e dell'incontinenza del clero, che
troppo piede aveano preso dappertutto. Non volle ommettere il saggio
eletto tutti i riguardi dovuti al re Arrigo, per procurare, se mai era
possibile, di mantener la concordia, e per eseguir in parte anche il
decreto di papa Niccolò II, nel quale anch'egli aveva avuta mano. Cioè
spedì tosto i suoi messi in Germania coll'avviso al re della sua
elezione, e per quanto si ha dalla Vita di lui, a noi conservata da
Niccolò cardinal d'Aragona[1011], pregandolo, come avea fatto anche san
Gregorio il Grande, di non prestar l'assenso a tale elezione. _Quod si
non faceret, certum sibi esset, quod graviores et manifestos ipsius
excessus impunitos nullatenus toleraret._ Se è vera la parlata di questo
tenore (del che potrà talun dubitare), bisogna ben dire che il re Arrigo
dovette qui fare un grande sforzo al suo mal talento per consentire,
siccome è certo che consentì, ma non così tosto. Lamberto da
Schafnaburgo[1012], senza parlare dei messi suddetti, e dopo avere
esaltato l'integrità e l'altre virtù che concorrevano in questo
pontefice, scrive che il di lui inflessibile zelo ed ingegno acre fece
paura ai vescovi che si trovarono allora alla corte, ben consapevoli di
varii lor mancamenti, dei quali poteva egli un giorno chiedere conto.
Perciò esortarono Arrigo di dichiarar nulla l'elezione di lui, giacchè
fatta senza conoscenza ed ordine suo. Ma dovette prevalere il parer dei
più saggi, e il re si contentò d'inviare a Roma il _conte Eberardo_ con
ordine di conoscere come era passato il fatto; e se trovasse già
consecrato il papa novello, di protestare di nullità qualunque atto
fatto. Andò questo uffiziale, fu cortesemente accolto, dimandò conto
dell'operato, e l'eletto pontefice rispose, che contro sua volontà, non
ostante l'opposizione sua, era stato eletto dal clero e popolo; ma che
non s'era lasciato sforzare a prender anche l'ordinazione, volendo prima
essere assicurato che il re e i principi germanici avessero prestato
l'assenso all'elezione sua. Questa umile risposta, rapportata al re
Arrigo, il soddisfece, e però diede tosto ordine che fosse consecrato.
_Et statim Gregorium Vercellensem episcopum italici regni cancellarium
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