Annali d'Italia, vol. 4 - 22

ingressus, conscendit arcem Crescentii_: così ancora Arnolfo storico
milanese[881], che allora scriveva le storie sue. Ma ciò pare che
succedesse in altra forma, siccome dirò. Sappiamo bensì ch'egli
s'impadronì al suo arrivo della basilica vaticana, ma non già resta
notizia ch'egli vi prendesse colle cerimonie il manto papale, secondo il
costume; perchè appena s'udì in Roma come egli v'era entrato, che la
mattina seguente diede alle armi il popolo romano, e corso colà in
furia, tal terrore cacciò in corpo ai soldati di lui, che presero
vilmente la fuga, e lasciarono il loro idolo solo soletto. Sarebbe
caduto Cadaloo in mano de' Romani, se non fosse stato Cencio figliuolo
del prefetto di Roma, uomo di perduta coscienza, che allora l'accolse
nella fortezza di Crescenzio, cioè in Castello Sant'Angelo, e gli
promise assistenza. Quivi restò l'antipapa assediato dai Romani per ben
due anni, con sofferirvi stenti ed affanni incredibili: degno pagamento
della smoderata ed empia sua ambizione. Un concilio di cento vescovi fu
in quest'anno tenuto da papa Alessandro II, dove furono fatti varii
decreti contra de' simoniaci e de' preti concubinarii. Ne esistono
alcuni atti presso il cardinal Baronio[882] e nelle raccolte de'
concilii.
Intanto in Germania crescevano gli abusi, profittando ogni prepotente
dell'età immatura del re Arrigo IV[883]. L'educazione di lui fu sul
principio appoggiata agli arcivescovi di Colonia e Magonza, cioè ad
_Annone_ e _Sigefredo_. Ma loro tolse la mano _Adelberto_ arcivescovo di
Brema, che coll'arte dell'adulazione si rendè arbitro del giovanetto re,
ed occupò in tal maniera due delle migliori abbazie di Germania. Per far
poi tacere gli altri, due ancora ne diede all'arcivescovo di Colonia,
che non si fece scrupolo di questo, ed una a quel di Magonza, ed altre
ai duchi di Baviera e di Suevia, cioè ad Ottone e Ridolfo. Così mal
allevato il re, non è maraviglia se andò crescendo in que' vizii che
tanto diedero poi da sospirare ai buoni. Secondochè abbiamo da Lupo
Protospata[884], in quest'anno _Roberto Guiscardo_ duca di Puglia e
Calabria tolse ai Greci la città di Taranto. Ma neppure stava in ozio il
valoroso conte _Ruggieri_ di lui fratello in Sicilia. Per attestato del
Malaterra[885], in questo medesimo anno formarono i Musulmani mori e i
Siciliani un potente esercito, e vennero ad accamparsi presso al fiume
Ceramo. Erano circa trenta cinque mila, e il conte non avea che cento
trenta sei cavalli, ossieno pedoni, da opporre a sì gran piena di gente.
Contuttociò, implorato l'aiuto di Dio e spedito innanzi Serlone suo
nipote, diede loro addosso, e in poco d'ora mise in iscompiglio e fuga
quegl'infedeli. Fu detto che comparve un uomo di rilucenti armi guernito
sopra bianco cavallo, con bandiera bianca sopra d'un'asta, che si cacciò
dove erano più folte le schiere de' nemici, e fu creduto san Giorgio.
Quindici mila di coloro rimasero estinti sul campo; nel dì seguente
volarono i Cristiani alla caccia di venti mila pedoni, che s'erano
salvati colla fuga nelle montagne e nelle rupi, e per la maggior parte
gli uccisero. Si può ben temere che Gaufrido Malaterra monaco, il quale
solamente per relazione altrui scrisse queste cose dopo molti anni, si
lasciasse vendere delle favole popolari in formar questo racconto che ha
troppo dell'incredibile, ed egli perciò se volle concepirlo, fu
obbligato a ricorrere ai miracoli. La vittoria nondimeno è fuor di
dubbio; le spoglie de' nemici furono senza misura; e il conte avendo
trovato fra esse quattro cammelli, li mandò in dono a papa Alessandro,
il quale si rallegrò assaissimo di così prosperosi avvenimenti contra
de' nemici della croce, e spedì anch'egli a Ruggieri la bandiera di san
Pietro, per maggiormente animarlo a proseguir quell'impresa.
Trafficavano in questi tempi i mercatanti pisani in Sicilia,
massimamente in Palermo, città capitale, piena allora di ricchezze.
Avendo essi ricevute varie ingiurie da que' Mori, raunarono una possente
flotta per farne vendetta, ed esibirono la loro alleanza al conte
Ruggieri per assediar Palermo, essi per mare, ed egli per terra. Ma
perciocchè non potè così presto Ruggieri accudire a quell'impresa, a
vele gonfie andarono ed urtar nella catena che serrava il porto di
Palermo, e la ruppero. Entrati nel porto, se crediamo agli Annali
pisasi[886], _Civitatem ipsam ceperunt._ Ma ciò non sussiste. Il
Malaterra ci assicura essere accorsa tanta moltitudine di Musulmani e
cittadini per difesa della città, che i Pisani, contenti di portar via,
come in trionfo, la catena spezzata, se ne tornarono a casa. Egli è
bensì fuor di dubbio ch'essi, trovate in quel porto sei navi di ricco
carico, cinque ne diedero alle fiamme, e la più ricca seco menarono a
Pisa, del cui immenso tesoro si servirono dipoi per dar principio alla
magnifica fabbrica del loro duomo. Di questa gloriosa impresa resta
tuttavia la memoria in versi, incisa in marmo nella facciata di quel
maestoso tempio, che si legge stampata presso molti scrittori. Nè quivi
si parla della presa della città di Palermo, ma sì ben delle navi
bruciate, e della ricchissima menata via: con aggiugnere, che sbarcati
dipoi i Pisani fuor di Palermo, vennero alle mani coll'armata de'
Saraceni, e ne fecero un gran macello; dopo di che, alzate le ancore, se
ne tornarono tutti festeggianti a Pisa. Andò poscia il conte Ruggieri
con dugento soldati, ossieno cavalli, a bottinare verso la provincia di
Grigenti: che questo era il suo mestiere, per poter pagare ed alimentar
la sua gente. Parte dei suoi cadde in un'imboscata di settecento Mori,
che loro tolse la preda, e li mise in fuga. Ma sopraggiunto Ruggieri,
sbaragliò i nemici, e ricuperata la preda, allegramente la condusse a
Traina. Dovette in quest'anno Riccardo, principe normanno di Capoa,
insignorirsi ancora della città di Gaeta, perchè da lì innanzi egli e
Giordano suo figliuolo nei diplomi si veggono intitolati _duchi di
Gaeta_.
NOTE:
[878] Andreas Parmensis, in Vit. S. Johann. Gualberti. Acta Sanctorum
Bolland. ad diem 12 Julii.
[879] Andreas Januensis, in Vit. S. Johaan. Gualberti.
[880] Cardinal. de Aragon., in Vita Alexand. II, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
Leo Ostiensis, Chron., lib. 3, cap. 20.
[881] Arnulf., Hist. Mediolanensis., lib. 3, c. 17.
[882] Baron., Annal. Eccl.
[883] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[884] Lupus Protospata, in Chronico.
[885] Annal. Pisani, tom. 6 Rer. Ital., pag. 168.
[886] Gaufrid. Malaterra, lib. 2, cap. 33.


Anno di CRISTO MLXIV. Indizione II.
ALESSANDRO II papa 4.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 9.

Fu creduto in addietro che correndo quest'anno, _Annone arcivescovo_ di
Colonia fosse spedito a Roma per terminare lo scisma, e che
susseguentemente fosse tenuto il famoso concilio di Mantova, in cui
seguì la total depressione di Cadaloo. Ma Francesco Maria
Fiorentini[887], e poscia più profondatamente il padre Pagi[888], han
dimostrato doversi riferire all'anno 1067 tali fatti. Perchè nulladimeno
Lamberto da Scafnaburgo[889] parla sotto quest'anno dell'andata di esso
Annone a Roma, fu il Pagi d'avviso che due volte egli imprendesse tal
viaggio, l'una in questo e l'altra nell'anno suddetto. Ma il racconto di
Lamberto, se si avesse da attendere, porterebbe che Annone fosse venuto
molto prima di questo anno, dacchè egli successivamente narra che
Cadaloo, dopo la partenza di Annone in Italia, tentò la sua fortuna
colle armi contra di papa Alessandro. Nè ci resta vestigio di azione
alcuna fatta in questa prima pretesa venuta di Annone. Però, quanto a
me, credo che questo scrittore imbrogliasse qui il suo racconto, e che
non s'abbia a credere se non un sol viaggio di lui, del quale, parleremo
all'anno 1067. E tanto più perchè tuttavia seguitarono in quest'anno i
Romani a tener bloccato e ristretto Cadaloo in Castello Sant'Angelo. Se
fosse venuto a Roma Annone con commissioni del re, avrebbe messo fine a
quella gara. Per le notizie che accenna il suddetto Fiorentini, veniamo
in cognizione che papa Alessandro, il quale, imitando gli ultimi suoi
predecessori, riteneva tuttavia il vescovato di Lucca, si portò nel
presente anno a visitar quella chiesa, e quivi si fermò per più mesi.
Tolomeo lucchese, vescovo di Torcello[890], racconta una particolarità
degna d'osservazione: cioè che questo papa per maggior sua sicurezza si
ritirò in tempi tali a Lucca, con accordar varii privilegii alla
medesima città. _Nam primo tribuit ei bullam plumbeam pro sigillo
communitatis, ut habet dux Venetorum_ (l'usavano anticamente anche altri
principi). _Ecclesiam sancti Martini_ (cattedrale di Lucca) _speciali
decorat gratia, ut canonicos dictae Ecclesiae mitratos habeat in
processione regulari, et sicut cardinales incedant, sicut Ravennae, et
ecclesiae sancti Jacobi, quae Compostellana vocatur._ Ampliò _Benedetto
XIII_ papa in questi ultimi tempi la dignità di quella chiesa con dare
il titolo di arcivescovo al suo sacro pastore. In quest'anno ancora
_Domenico Contareno_, intitolato _Dei gratia Venetiae Dalmatiaeque dux,
imperialis magister_[891], insieme con Giovanni abbate del monistero dei
santi Ilario e Benedetto, situato _in territorio olivolensi super
flumen, quod dicitur Hune_, concede l'avvocazia di quel sacro luogo ad
Umberto da Fontannive. Dal che si raccoglie che Olivolo, città una volta
episcopale, era in terra ferma. In quest'anno ancora _Adelasia_ ossia
_Adelaide_ marchesana di Susa, e vedova di _Oddone_ ossia _Ottone_
marchese, fondò il monistero di santa Maria di Pinerolo per l'anima
sua[892], _et Manfredi marchionis genitoris mei, et Adalrici episcopi
Barbani mei, et Bertae genitricis meae, et anima domni Oddonis
marchionis viri mei, cujus exitus sit mihi luctus_, ec. Lo strumento fu
stipulato _anno Domini nostri Jesu Christi MLXIV, octavo die mensis
septembris_ nella città di Torino. Perchè non avea per anche Arrigo IV
re ricevuta la corona, perciò di lui non si fa memoria nè in questo
documento, nè in molti altri d'Italia. Abbiamo poi da Lupo
Protospata[893] che in quest'anno la città di Matera venne alle mani del
duca Roberto Guiscardo nel mese d'aprile. Passò egli dipoi con alquante
soldatesche in Sicilia in aiuto del conte Ruggieri suo fratello. Uniti
amendue scorsero senza contrasto l'isola depredando il paese, e
piantarono l'assedio a Palermo. Gran guerra fecero alla lor gente le
tarantole, e dopo aver consumato tre mesi inutilmente sotto quella
città, si ritirarono, ma ricchi assai di bottino.
NOTE:
[887] Fiorentini, Memorie di Matilde, lib. 1.
[888] Pagius, Crit. ad Annal. Baron.
[889] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[890] Ptolomaeus Lucensis, Annal. et Hist. Eccl., lib. 19, tom. II Rer.
Ital.
[891] Antiquit. Italic., Dissert. LXIII.
[892] Guichenon, Hist. Eccl.
[893] Lupus Protospata, in Chron.


Anno di CRISTO MLXV. Indizione III.
ALESSANDRO II papa 5.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 10.

Dopo aver sofferto l'antipapa Cadaloo infiniti incomodi ed affanni per
due anni nel Castello di Sant'Angelo, perchè ivi assediato sempre o
bloccato dai Romani, forse perchè si slargò il blocco, o altra via per
fuggire se gli aprì, cercò nell'anno presente di mettersi in
libertà[894]. Ma gli convenne comperarla con trecento libbre d'argento
da quel medesimo Cencio figliuolo del prefetto di Roma, che fin allora
lo avea salvato dalle mani del popolo romano con ricoverarlo in quella
fortezza. Però svergognato segretamente ne uscì; e malconcio di sanità e
senza soldi con un semplice ronzino e un solo famiglio, tanto cavalcò,
che arrivò a Berceto sul Parmigiano, nè più gli venne voglia di veder le
acque del Tevere. Racconta Leone Ostiense[895] che circa questi tempi
_Barasone_ uno dei re della Sardegna fece istanza a _Desiderio
cardinale_ ed abbate di Monte Casino, per aver dei monaci da fondare un
monistero nelle sue contrade. Lo zelantissimo abbate sopra una nave di
Gaeta v'inviò dodici dei suoi religiosi con un abbate, ben provveduti di
sacri arnesi, di libri, di reliquie e d'altre suppellettili. Ma i
Pisani, _maxima Sardorum invidia ducti_, presero e bruciarono quella
nave, e tutto tolsero ai poveri monaci. Ci fa ben vedere questo fatto
che i Pisani non per anche signoreggiavano in Sardegna. Barasone ne
dimandò, e n'ebbe soddisfazion da loro; dopo di che ottenne due altri
monaci da Monte Casino, co' quali fondò un monistero. Altrettanto fece
un altro re di quell'isola chiamato _Torchitorio_, colla fondazione di
un altro monistero. Poscia il papa e il duca Gotifredo tanto operarono,
che i Pisani soddisfecero al monistero casinense, e gli promisero in
avvenire rispetto ed amicizia. L'aver taluno creduto che solamente nel
secolo seguente i giudici della Sardegna prendessero il titolo di re,
viene smentito da questi atti e da altre pruove da me recate nelle
Antichità italiane[896]. Un altro fatto vien raccontato da esso Ostiense
che ci servirà a far conoscere la diversità delle cose umane. Perchè
erano nati degli sconcerti nel monistero dell'isola di Tremiti,
dipendente dal nobilissimo di Monte Casino, il saggio e santo abbate
Desiderio ne levò via Adamo abbate, e diede quell'abbazia a Trasmondo
figliuolo di Oderisio conte di Marsi. Furono imputati quattro monaci
tremitensi dai lor compagni di aver tentata la ribellion di quell'isola.
Di più non ci volle perchè il giovane Trasmondo abbate facesse cavar gli
occhi a tre d'essi, e tagliar ad uno la lingua. Al cuore dell'abbate
casinense Desiderio, uomo pieno di mansuetudine e di carità, fu una
ferita la nuova di questo eccesso, sì per la disgrazia di chi avea
patito, come per la crudeltà di chi avea dato quell'ordine, e
principalmente poi per l'infamia di quel sacro luogo. Però
frettolosamente accorse colà, mise sotto aspra penitenza Trasmondo, e
poscia il cacciò di colà. Ma quel che è da stupire, diverso fu il
sentimento d'_Ildebrando cardinale_ ed arcidiacono allora della santa
romana Chiesa, che fu poi papa Gregorio VII. Sostenne egli che Trasmondo
aveva operato non da crudele, ma da uomo di petto, non aver trattato,
come sel meritavano, que' maligni; e gli conferì anche in premio una
migliore abbazia, cioè la casauriense; anzi da lì a non molto il fece
ancora vescovo di Balva. Era allora il cardinale Ildebrando il mobile
principale della corte pontificia. Nulla si facea senza di lui, anzi
pareva che tutto fosse fatto da lui: tanto era il suo senno, l'attività
e zelo, con cui operava, benchè fosse assai piccolo di statura, e
l'apparenza del corpo non rispondesse alla grandezza dell'animo. Giacchè
il cardinal Baronio[897] non ebbe difficoltà a produrre alcuni acuti
versi di san Pier Damiano, neppur io l'avrò per qui replicarli. Così
egli scriveva al medesimo Ildebrando, suo singolare amico:
_Papam rite colo, sed te prostatus adoro._
_Tu facis hunc Dominum: Te facit ille Deum._
In un altro distico, anche più pungente, dice dello stesso Ildebrando.
_Vivere vis Romae? clara depromito voce:_
_Plus Domino, papae, quam domno pareo papae._
Il che ci fa conoscere, chi fosse allora il padrone di nome, e chi di
fatti in Roma.
Fu in quest'anno fatto cavaliere il _re Arrigo IV_[898], cioè ricevette
egli l'armi militari dalle mani dell'arcivescovo di Brema con quella
solennità che era da molti secoli in uso, e durò molti altri dappoi. E
fin d'allora si scoprì il suo mal talento contra di _Annone arcivescovo_
di Colonia, perchè gli stava sempre davanti gli occhi il pericolo corso,
allorchè quel prelato il rapì alla madre. Ma per buona fortuna essa sua
madre, cioè l'_imperadrice Agnese_, avendo fatta una scappata da Roma in
Germania, quetò per allora l'animo vendicativo del figliuolo. Attesero
nell'anno presente[899] i due fratelli normanni _Roberto duca_ e
_Ruggieri conte_ ad espugnare qualche castello che tuttavia si sottraeva
al loro dominio nella Calabria. Costò loro quattro mesi l'assedio del
solo di Argel, e convenne in fine ammettere quegli abitanti ad una
discreta capitolazione. In questi tempi il sopraddetto insigne abbate di
Monte Casino e cardinale Desiderio attese indefessamente a fabbricar una
suntuosa basilica in quel sacro luogo[900]: al quale fine chiamò dalla
Lombardia, da Amalfi e da altri paesi, e fin da Costantinopoli, dei
valenti artefici di musaici, di marmi, d'oro, di argento, di ferro, di
legno, di gesso, di avorio e d'altri lavorieri: il che servì ancora ad
introdurre o a propagar queste arti in Italia. Troviamo eziandio che
nell'anno presente seguitava la città di Napoli a riconoscere la
sovranità dei greci Augusti, ciò apparendo da una concession di
beni[901] fatta da _Giovanni II_ arcivescovo di quella città, e da
_Sergio V_, il quale si vede intitolato _eminentissimus cousul et dux,
atque Domini gratia magister militum_. Lo strumento fu stipulato
_imperante domino nostro duce Constantino magno imperatore, anno quinto,
die XXII mensis julii, Indictione tertia, Neapolis_. Se tali note non
son fallate, prima di quel che credette il padre Pagi[902], _Costantino
duca_ ascese sul trono di Costantinopoli. A quest'anno ancora appartiene
un placito pubblicato dal Campi[903], e tenuto nel dì primo di luglio in
Piacenza nella corte propria di Rinaldo messo del signor re, dove _in
judicio residebat domnus Dionisius episcopus sanctae placentinae
ecclesiae, et comes vius comitatu placentino, sive missus domni regis
una cum domnus Cuniberto episcopus sanctae taurinensis ecclesiae_, ec.
Serva ancora questo atto a comprovare il dominio del re Arrigo, tuttochè
non per anche coronato, in Italia; e che anche il vescovo di Piacenza,
al pari di tanti altri prelati, era divenuto conte, cioè governatore
della sua città.
NOTE:
[894] Cardinal. de Aragon., in Vit. Alexandri II.
[895] Leo Ostiensis, Chron., lib. 3, cap. 23.
[896] Antiquit. Italic., Dissert. V et XXXII.
[897] Baron., Annal. Eccles. ad ann. 1061.
[898] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[899] Gaufridus Malaterra, lib. 2, cap. 37.
[900] Leo Ostiensis, Chron., lib. 3, cap. 18 et seq.
[901] Antiquit. Italic., Disset. V.
[902] Pagius, ad Annal. Baron.
[903] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1 Append.


Anno di CRISTO MLXVI. Indizione IV.
ALESSANDRO II papa 6.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 11.

Dimenticossi ben presto _Riccardo principe_ di Capoa d'essere vassallo
della santa Sede, e di aver giurata fedeltà ad essa sotto papa Niccolò
II. Egli, a guisa degli altri principi normanni, che mai non si
quetarono finchè non aveano assorbito chi stava loro vicino, e dopo ciò
pensavano ad ingoiar gli altri, a' quali s'erano appressati: veggendo
che tutto gli andava a seconda, cominciò anche a stendere le sue
conquiste sopra le terre immediatamente sottoposte nel ducato romano ai
papi. E Lupo Protospata scrive[904] ch'esso Riccardo _intravit terram
Campaniae, obseditque Ceperanum, et comprehendit eum, et devastando
usque Romam pervenit_. Accostato che si fu a Roma[905], pretese d'essere
dichiarato patrizio, cioè avvocato della Chiesa romana: dignità fino da'
tempi di Pipino re di Francia conservata sempre negl'imperadori, e
dignità che portava seco primato, o almeno gran considerazione
nell'elezione de' romani pontefici. Di questa mena fu avvertito il re
_Arrigo IV_, e per abbatterla, ed insieme con disegno di levar dalle
mani rapaci de' Normanni le terre di san Pietro, e di prendere in tal
occasione la corona dell'imperio dalle mani del papa, unì insieme una
forte armata, e giunse fino ad Augusta, risoluto di calare in Italia. Il
costume era che il marchese di Toscana, allorchè il re germanico era per
venire in queste parti, andasse ad incontrarlo colle sue milizie.
Aspettò Arrigo per qualche tempo che il _duca Gotifredo_ comparisse; ma
non veggendolo mai venire, anzi avvisato ch'egli era ben lontano di là,
tra il dispetto a cagione di questa mancanza, e forse anche per qualche
sospetto della fede di lui, desistè dalla sua spedizione, e se ne tornò
indietro. Intanto esso duca con possente esercito era corso a Roma per
reprimere l'insolenza di Riccardo e de' suoi Normanni. Tale era il
credito del duca Goffredo, tali le forze sue, che i Normanni sbigottiti
si ritirarono più che di fretta, abbandonando la Campania romana; se non
che Giordano figliuolo del suddetto Riccardo con un buon corpo di gente
si fortificò in Aquino per far testa all'armata nemica. Presentossi
Goffredo co' suoi circa la metà di maggio sotto quella città,
accompagnato in quella spedizione dallo stesso papa e dai cardinali, e
per diciotto giorni stette accampato intorno alla medesima, con essere
succedute varie prodezze sì dall'una parte come dall'altra. Ma per
accortezza di Guglielmo Testardita, che andò innanzi indietro, si
conchiuse un abboccamento fra esso duca Goffredo e Riccardo principe al
ponte già rotto di sant'Angelo di Todici. Fama corse che il duca più da
una grossa somma di danaro, che dalle parole di Riccardo si lasciasse
ammansare; e però da lì a poco piegate le tende, se ne tornò colla sua
gente in Toscana. Si lasciò vedere in quegli stessi giorni una gran
cometa, di cui fanno menzione altri storici sotto il presente anno, e
mostrò la sua lunga coda per più di venti giorni. Romoaldo
Salernitano[906], che sotto questo medesimo anno parla del predetto
fenomeno, aggiugne che _Roberto Guiscardo_ circa gli stessi giorni
_cepit civitatem Vestis, apprehenditque ibi catapanum nomine Kuriacum_
(cioè Ciriaco). Nella Cronichetta amalfitana[907] l'acquisto della città
del Vasto è trasportato nell'anno seguente, e quel catapano vien ivi
chiamato _Bennato_. Abbiamo da Gaufrido Malaterra[908] che in questi
tempi il _conte Ruggieri_ facea continue scorrerie in Sicilia addosso ai
Mori, con riportarne quasi sempre buon bottino, e con tale speditezza,
che non potea esser mai colto da loro. Fabbricò eziandio la fortezza di
Petrelia con torri e bastioni: fortificazione che servì a lui non poco
per conquistare il resto della Sicilia.
Fin qui avea tenuto saldo contra del clero concubinario di Milano e
contra de' simoniaci _Arialdo_ diacono di quella chiesa, non già
fratello di un marchese, ma bensì di chi portava il soprannome di
Marchese; ecclesiastico pieno di zelo per la disciplina ecclesiastica, e
che insieme con _Erlembaldo_ nobile laico commoveva il popolo contra de'
cherici scandalosi, e contra dello stesso _arcivescovo Guido_. Passò
Arialdo a Roma, e tali doglianze e pruove dovette portare contra d'esso
arcivescovo, fautore de' preti concubinarii, e creduto simoniaco, che il
pontefice Alessandro II fulminò la scomunica contra di lui. Tornato
Arialdo a Milano, e divulgate le censure, gran tumulto ne succedette nel
dì della Pentecoste, perchè ito alla chiesa l'arcivescovo, sollevossi
contra di lui, oppur prese l'armi in favore d'Arialdo quella plebe che
teneva il di lui partito, e dopo aver bastonato l'arcivescovo, e
lasciatolo come morto, corsero tutti a dare il sacco al di lui
palazzo[909]. Questo accidente svegliò non poca commozione ne' vassalli
ed altri aderenti dell'arcivescovo i quali, risolverono di farne
vendetta sopra Arialdo. Non veggendosi egli sicuro, travestito se ne
fuggì, ma non potè lungo tempo sottrarsi alle ricerche de' suoi
persecutori. Tradito da un prete, presso il quale s'era rifuggito, fu
messo in mano dei soldati dell'arcivescovo, che condotto sul Lago
maggiore, quivi crudelmente gli levarono la vita nel dì 28, oppure, come
altri vogliono, nel dì 27 di giugno dell'anno presente. Non mancarono
miracoli in attestazione della gloria ch'egli conseguì in cielo, e fu
poco dipoi registrato fra i santi martiri dalla Sede apostolica. Abbiamo
la sua vita scritta dal beato Andrea Vallombrosano suo discepolo; e il
Puricelli[910], scrittore accuratissimo e benemerito della storia di
Milano, diede tutto alla luce, ed illustrò i fatti sì d'esso Arialdo che
di Erlembaldo. Veggansi ancora gli Atti de' Santi bollandiani[911].
Arnolfo e Landolfo seniore, storici milanesi di questi tempi,
svantaggiosamente parlarono d'esso Arialdo, perchè avversarii di lui, e
protettori del clero, allora troppo scostumato. In quest'anno ancora
passò alla gloria de' beati san _Teobaldo_ romito franzese della
schiatta nobile dei conti di Sciampagna. Succedette la sua morte nel
luogo di Solaniga presso a Vicenza, dove per più anni egli era dimorato,
menando una vita austera in orazioni e digiuni. Il sacro suo corpo fu
rapito dai Vicentini; ma nell'anno 1074 furtivamente tolto, fu portato
al monistero della Vangadizza presso l'Adicetto, dove è oggidì la terra
della Badia. Abbiamo la sua vita[912] scritta da Pietro abbate di quel
sacro luogo, e persona contemporanea, che assistè alla di lui morte. Ne
parla anche Sigeberto[913], oltre a molti altri. In quest'anno ancora
non potendo più sofferire i vescovi e principi della Germania[914] che
_Adelberto arcivescovo_ di Brema, uomo pien d'alterigia, si abusasse
dell'ascendente preso sopra il giovane re Arrigo coll'operar tutto di
cose che gli tirarono addosso l'odio di tutti: congiurati in Triburia,
intimarono ad Arrigo o di depor la corona, o di licenziare da sè
Adelberto. Perchè egli volle fuggire, gli misero le guardie intorno, e
poi vituperosamente cacciarono l'arcivescovo bremense, e fu consegnato
il re sotto il governo di _Annone arcivescovo_ di Colonia, e di
_Sigefredo arcivescovo_ di Magonza[915]. Annone attese ad innalzar tutti
i suoi parenti ed amici alle prime dignità, e fra gli altri promosse
alla chiesa archiepiscopale di Treveri, che venne a vacare in questo
anno, _Conone_, cioè _Corrado_ suo parente, e gli fece dar l'anello e il
baston pastorale dal re Arrigo, con inviarlo poscia a Treveri, per esser
ivi intronizzato. Restò talmente disgustato ed irritato il clero e
popolo di quella città, per vedersi privato dell'antico suo diritto
d'eleggere il proprio pastore, che diede nelle smanie, e ne avvenne poi
che, arrivato colà Conone, Teoderico conte e maggiordomo della chiesa di
Treveri gli fu addosso con una mano d'armati, e, dopo qualche mese di
prigionia, il fece precipitar giù da un'alta montagna, dove lasciò la
vita. Fu questi, non so come, riguardato dipoi qual martire; e Lamberto
scrive che alla sua tomba succedeano moltissimi miracoli. Ma non dovette
far grande onore all'arcivescovo Annone, che fu poi anch'egli venerato
per santo, una promozion tale, perchè ingiuriosa a quel popolo e
contraria ai sacri canoni.
NOTE:
[904] Lupus Protospata, in Chron.
[905] Leo Ostiensis, Chron., lib. 3, cap. 25.
[906] Romualdus Salernit., Chron., tom. 7 Rer. Italic.
[907] Antiquit. Italic., tom. 1, pag. 253.
[908] Gaufrid. Malaterra, lib. 2, cap. 38.
[909] Arnulfus Hist., Mediol., lib. 3, cap. 18.
[910] Puricellius, de SS. Arialdo et Herlembaldo.
[911] Acta Sanctorum Bollandi, ad diem 27 Junii.
[912] Mabill., Saecul. Benedict., VI, P. II.
[913] Sigebertus, in Chron.
[914] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[915] Adam Bremensis, Hist., lib. 3, cap. 37.


Anno di CRISTO MLXVII. Indizione V.
ALESSANDRO II papa 7.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 12.

Non men che Milano era in confusione la città di Firenze in questi
giorni a cagion de' monaci vallombrosani, che sosteneano aver _Pietro_
da Pavia _vescovo_ conseguita quella chiesa coll'aiuto della regina
pecunia. Per mettere fine a sì lunga dissensione che avea già partorito
varii scandali, ebbero le parti ricorso a san _Giovanni Gualberto_. Fece
egli quanto fu in sua mano per indurre il vescovo a confessare il suo
fallo; ma indarno. Propose dunque la sperienza ossia il giudizio del
fuoco: che allora simili modi di tentar Dio non erano vietati, anzi
parea talvolta che Dio gli autenticasse coi miracoli. Questa sregolata
pruova nondimeno non avea voluto concedere nell'anno antecedente papa
_Alessandro II_ in occasione di visitar la Toscana. Comandò dunque
l'abbate san Giovanni Gualberto che un suo monaco dabbene, appellato
Giovanni, passasse pel fuoco, e con tal pruova chiarisse se Pietro era
simoniaco sì o no. A due cataste di legna preparate per tal funzione fu
attaccato il fuoco, ed allorchè era ben formato ed alto il fuoco,