Annali d'Italia, vol. 4 - 21

[848] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 16.
[849] Curopalata, in Histor.
[850] Bullarium Casinense, Constit. CII et CIII.
[851] Antiquit. Ital., Dissert. LXXII.


Anno di CRISTO MLXI. Indizione XIV.
ALESSANDRO II papa 1.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 6.

In quest'anno ancora il pontefice _Niccolò II_ volle visitar la chiesa
di Firenze ch'egli aveva ritenuta e governata anche durante il suo
pontificato; ma quivi venne a trovarlo la morte circa il dì 22 di
luglio: pontefice benemerito della santa Sede, e degno di maggior vita.
Tanto più fu deplorabile la perdita di lui, perchè le tennero dietro de'
gravissimi sconcerti, che furono preludii anche d'altre maggiori
calamità. Attesta Leone Ostiense[852] che gran dissensione e tumulto
insorse in Roma intorno all'elezione di un novello papa; ed è certo che
restò vacante la sedia di san Pietro circa tre mesi. V'era un partito
che tenea per l'osservanza delle prerogative o pretese accordate al re
di Germania _Arrigo_; ed un altro che escludeva ogni dipendenza da lui.
Di quest'ultimo probabilmente era capo l'intrepido cardinale
_Ildebrando_, arcidiacono della santa romana Chiesa, a cui non piacque
mai che gl'imperadori avessero ingerenza alcuna nell'approvazione, non
che nell'elezione dei sommi pontefici. Capi dell'altro, per quanto
ragionevolmente va congetturando il cardinal Baronio, erano i conti di
Tuscolo, ossia di Frascati, mal soddisfatti di quanto avea operato
contra di loro il defunto papa Niccolò. Se vogliamo ascoltare il
Continuatore di Ermanno Contratto[853], dopo la morte d'esso papa,
_Romani coronam, et alia munera Enrico regi transmiserunt, eumque pro
eligendo summo pontifice interpellaverunt_. Tale spedizione dovette
essere fatta dalla fazione de' suddetti conti Tuscolani. Non mancò il
collegio dei cardinali di spedire anch'esso un'ambasciata alla real
corte di Germania[854], e fu scelto per tale incumbenza Stefano, uno dei
più accreditati fra loro, in cui concorreva
_Nobilitas, gravitas, probitas et mentis acumen._
Andò questi, ma per la cabala e malvagità dei cortigiani sette giorni
passeggiò l'anticamera del re senza poter vedere la di lui faccia, nè
presentargli le lettere credenziali. Veduta ch'egli ebbe questa mala
aria, sene tornò indietro a Roma, dove rappresentò l'incivil trattamento
che gli era stato fatto. Allora fu che il cardinale Ildebrando, tenuto
consiglio cogli altri cardinali e coi nobili romani del suo partito,
propose di eleggere papa _Anselmo da Badagio_, di patria milanese, e
vescovo allora di Lucca, uomo di gran bontà e zelo ecclesiastico, e che
forse non s'aspettava questa promozione. Chiamato a Roma, venne
immediatamente consecrato ed intronizzato col nome di _Alessandro II_,
senza voler aspettare consenso alcuno dal re Arrigo. E qui appunto
tornarono i Romani ad esercitare l'intera loro libertà nell'elezion de'
sommi pontefici, con ricuperare eziandio l'altra di non aspettar
l'assenso degli Augusti per la consecrazione: indipendenza mantenuta poi
fino a' dì nostri, quando, per tanti secoli addietro, sotto
gl'imperadori greci, franchi e tedeschi, era durato il costume, o
diciamo, se così si vuole, l'abuso, che l'elezion bensì restasse libera
al clero e popolo romano, ma che non si devenisse alla consecrazione
senza il beneplacito e l'approvazione degli Augusti. Avea il solo
predefunto _Arrigo II_ fra gl'imperadori oltrepassato i confini de' suoi
predecessori, con obbligare i Romani che neppur potessero eleggere il
novello papa senza il consentimento suo. Da Niccolò II era stato
ultimamente corretto questo eccesso, con tornar le cose al rito antico.
Ma i Romani, offesi del poco conto che s'era fatto alla regal corte di
Stefano cardinale loro ambasciatore, neppur vollero accomodarsi al
decreto d'esso papa Niccolò, decoroso anche pel re Arrigo, perchè
risoluti di rompere ogni catena, e di ricuperar la piena lor libertà in
fare i papi, praticata sempre mai ne' primi quattro secoli della Chiesa.
Nè già operarono senza aver ben preparati i mezzi umani per sostener la
loro risoluzione. Era in lor favore _Gotifredo duca_ di Toscana,
principe allora potentissimo in Italia. Faceano anche capitale del
soccorso de' Normanni, che aveano giurata fedeltà alla Sede apostolica;
e più ne faceano di _Riccardo principe_ di Capoa, divenuto anch'esso
vassallo della Chiesa romana. Sappiamo da Leone Ostiense[855] che
_Desiderio_ abbate di Monte Casino e cardinale se ne andò in tal
congiuntura a Roma _cum principe_. Credette il cardinal Baronio[856] che
questo principe fosse Roberto Guiscardo. Ma si dee intendere di
_Riccardo_, nel cui principato era Monte Casino. Roberto s'intitolava
allora _duca_, e non principe.
Ora appena giunse alla corte germanica l'avviso dell'eletto ed
intronizzato _Alessandro II_, che l'_imperadrice Agnese_ ne restò
amareggiata, e i suoi ministri diedero nelle smanie, esagerando
l'affronto fatto al re col non aver voluto aspettare il suo assenso, e
coll'essersi messo sotto i piedi il decreto di papa Niccolò, sul quale
unicamente si potea fondare la pretension di Arrigo: giacchè solamente
chi era imperadore coronato avea in addietro avuta mano nell'approvazion
de' papi eletti, e non già chi era unicamente re d'Italia, come in
questi tempi veniva riconosciuto Arrigo IV, benchè non per anche avesse
ricevuta la corona di questo regno. Degno nondimeno di osservazione è,
che in alcune lettere e diplomi Arrigo IV non per anche imperadore usa
il titolo di _Romanorum rex_: il che vuol significar qualche cosa, nè si
truova usato da' suoi predecessori. Accadde in questo mentre che i
vescovi di Lombardia dopo la morte di papa Niccolò II fecero broglio fra
loro per aver un papa di tempra men rigoroso dei precedenti zelantissimi
papi, il quale sapesse un po' più compatire le lor simonie ed
incontinenze, e con dire una ridicolosa proposizione, cioè che il papa
non si dovea prendere, _nisi ex paradiso Italiae_, cioè della
Lombardia[857]. Spedirono a tal fine in Germania alcuni dell'ordine
loro, affinchè si maneggiassero per ottener questo intento. Ora
trovandosi un gran caldo in quella corte, e soffiando in quel fuoco _Ugo
Bianco_, già cardinale, e poi ribello della Chiesa romana, non fu loro
difficile il proporre e far dichiarare papa, cioè antipapa, contra tutte
le regole, nella festa de' santi Simeone e Giuda, _Cadaloo_, chiamato
_Cadalo_, vescovo di Parma, uomo ricco di facoltà, ma più di vizii, che
si dicea condannato in tre concilii a cagion della sua vita troppo
contraria al carattere di sacro pastore. Ne fecero perciò gran festa
tutti i simoniaci e concubinarii di Lombardia. Le scene occorse dipoi si
veggono descritte dalla penna satirica di _Benzone_, il quale s'intitola
_vescovo d'Alba_ nel Monferrato, ma vescovo scismatico, che forse non
dovette mai essere ricevuto da quel popolo, e perciò neppure fu
conosciuto dall'Ughelli. Era costui gran partigiano dell'antipapa
Cadaloo. Il panegirico da lui fatto ad Arrigo IV, che fu dato alla luce
dal Menchenio[858], e da me vien creduto la stessa opera che Gualvano
Fiamma[859] circa l'anno 1335 citò sotto nome di _Chronica Benzonis
episcopi albensis_, è una stomacosa satira contra di papa Alessandro II
e d'Ildebrando cardinale, sostegno in questi tempi della Chiesa romana,
da mettersi coll'altra infame e piena di bugie che abbiamo di Bennone
falso cardinale, e ribello della Chiesa romana. Narra esso Benzone
d'essere stato inviato per ambasciatore del re Arrigo a Roma, per
intimare a papa Alessandro la ritirata dal trono pontificio, ma con
trovar ivi chi non avea paura. In tale stato eran gli affari della
Chiesa romana in questi tempi.
Intanto dopo la conquista della Calabria il valoroso _conte Ruggieri_
mirava con occhio di cupidigia ed insieme di compassione la vicina
misera Sicilia posta sotto il giogo degli empii Saraceni, e cominciò a
meditarne la conquista[860]. La buona fortuna portò che si rifuggì
presso di lui in Reggio Benhumena, ammiraglio saraceno della Sicilia,
maltrattato e perseguitato da Bennameto, uno de' principi di
quell'isola. Questi gli fece conoscere assai facili i progressi in
Sicilia, dacchè essa era divisa fra varii signorotti mori, ed offerì il
suo aiuto per l'impresa. Ruggieri adunque sul fine del carnovale
dell'anno presente con soli centosessanta cavalli passò il Faro per
ispiar le forze de' Mori nell'isola, diede una rotta ai Messinesi, fece
gran bottino verso Melazzo e Rameta; poi felicemente si ricondusse in
Calabria, dove per tutto il mese di marzo e d'aprile attese a far
preparamenti per portare la guerra in Sicilia. A questa danza invitato
il duca _Roberto Guiscardo_ suo fratello[861], colà si portò con buon
nerbo di cavalleria, ed anche con un'armata navale. Presentivano
veramente i Mori la disposizione dei due fratelli normanni, e però
accorsero da Palermo con una flotta assai più numerosa per impedire il
loro passaggio. Ma l'ardito Ruggieri con cento cinquanta cavalli per
altro sito passò lo Stretto, e trovata Messina con poca gente, perchè i
più erano iti nelle navi moresche, se ne impadronì: il che fece ritirar
le navi nemiche, e lasciò aperto il passaggio a quelle di Roberto
Guiscardo, il quale colà sbarcò colle sue soldatesche. Nel testo di
Gaufrido ossia Goffredo Malaterra questa sì gloriosa conquista per cui
dopo 230 anni si rialberò la croce nella città di Messina, si vide
riferita all'anno precedente 1060. Ma io credo fallato quell'anno,
portando la serie del racconto che la presa di Messina accadesse
nell'anno presente. Venne poi un grosso esercito di Mori e Siciliani,
raunato da Bennameto, ad assalire il picciolo de' Normanni, ma restò da
essi sbaragliato colla morte di diecimila di quegl'infedeli. Non è già
vietato il credere assai meno. Diedero il sacco dipoi i due fratelli
principi normanni a varie castella e contrade di quell'isola sino a
Girgenti, colla presa di Traina, finchè, venuto il verno, si ritirarono
a' quartieri. Se crediamo a Lupo Protospata[862], in quest'anno ancora
Roberto Guiscardo s'insignorì d'Acerenza. Ma probabilmente ciò avvenne
l'anno antecedente, al vedere che questo scrittore mette all'anno
seguente l'innalzamento al pontificato di Alessandro II, che pure
appartiene all'anno presente.
NOTE:
[852] Leo Ostiensis., lib. 3, cap. 21.
[853] Continuator Hermanni Contracti, in Chron.
[854] Petrus Damianus, Opuscul. 4.
[855] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 21.
[856] Baron., Annal. Ecclesiast.
[857] Cardinal. de Aragon., Vit. Alexandr. II, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[858] Menckenius, Rer. Germanicar., tom. 1.
[859] Galvaneus Flamma, in Politia MSta.
[860] Gaufridus Malaterra, lib. 2, cap. 1. Noweirius, in Hist. Arab.
Siciliae apud Pagium.
[861] Malaterra, lib. 2, cap. 8.
[862] Lupus Protospata, in Chronico.


Anno di CRISTO MLXII. Indizione XV.
ALESSANDRO II papa 2.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 7.

Null'altro avea fatto nel verno di quest'anno l'antipapa Cadaloo che
ammassar gente armata e danaro per passare a Roma con disegno di
cacciarne il legittimo successor di san Pietro, e di farsi consecrare,
se crediamo al continuator d'Ermanno Contratto[863]. Alcuni il
pretendono già ordinato papa, perchè vescovo egli era, e che avesse
assunto il nome di Onorio II, ma ne mancano le prove. E s'egli non mutò
nome, segno è che neppur fu colle cerimonie ordinato pontefice. Con tali
forze arrivò Cadaloo a Roma nel dì 14 di aprile (Benzone scrive che vi
giunse _VIII kalendas aprilis_), e si accampò coll'esercito suo nei
prati di Nerone. Nella Vita di papa _Alessandro II_, a noi conservata
dal cardinal d'Aragona[864], troviamo che molti capitani e nobili romani
guadagnati coll'oro si dichiararono del partito di Cadaloo; ciò vien
confermato da Leone Ostiense[865] e dall'autore di un'altra Vita di esso
papa Alessandro[866], da cui impariamo che molti giorni dopo la
esaltazion di esso papa, _Romani, quorum mala consuetudo semper fuit,
eum odio habere coeperunt_, e furono essi gl'incitatori della venuta di
Cadaloo. Uno de' principali, ma volpe vecchia, era Pietro di Leone, la
cui famiglia fece anche dipoi gran figura in Roma. Da Benzone[867] è
chiamato _Giudeo_: il che probabilmente vuol dire che era nato tale, ma
poi fatto cristiano. Non mancavano in Roma a papa Alessandro degli
aderenti ed affezionati, e verisimilmente aveva egli anche procurato
degli aiuti da _Riccardo principe_ di Capua. Si venne dunque ad una
battaglia, che riuscì sanguinosa, e finì colla peggio della fazione del
legittimo papa. Poco nondimeno durò l'allegrezza di Cadaloo, perchè
chiamato a Roma _Gotifredo duca_ di Toscana, comparve colà in aiuto del
pontefice Alessandro con sì numerose squadre e forze tali, che restò
come assediato l'antipapa; e se volle uscirne salvo, gli convenne
adoperar preghiere e grossi regali col duca, il quale si contentò di
lasciargli aperta la porta per tornarsene libero, ma spogliato e colla
testa bassa, a Parma. Benzone descrive a lungo questi fatti, ma se con
fedeltà, nol saprei dire. Certamente da san Pier Damiano vien sospettato
che il duca Gotifredo non operasse con tutta lealtà ed onoratezza o in
questa o nelle seguenti congiunture. All'incontro Benzone scrive che il
medesimo duca fece venire i Normanni a Roma a difesa del papa;
_Camerinum et Spoletum invasit_ (il che è degno d'attenzione), _plures
Comitatus juxta mare tyrannice usurpavit. Per totam Italiam, quos
voluit, ad regis inimicitias incitavit._ Aggiugne inoltre, essere egli
stato quegli che mosse _Annone arcivescovo_ di Colonia a rapire il
giovinetto _re Arrigo_. E Lamberto da Scafnaburgo[868] osserva, come
fosse scandaloso il vedere che laddove anticamente si fuggivano i
vescovati, ora si faceano battaglie, e si spargeva il sangue cristiano
per conseguirli: e vuol dire del papato. Ho detto che _Annone_ rapì
Arrigo IV. Intorno a che si ha da sapere che fin qui esso re era stato
sotto il governo dell'_imperadrice Agnese_, la quale regolava gli affari
unicamente coi consigli di _Arrigo vescovo_ di Augusta, personaggio ben
accorto, che, ad esclusion degli altri pretendenti, avea saputo
introdursi nella grazia di lei. Era savia, era pia principessa Agnese:
tuttavia non potè schivar la maldicenza degli altri principi invidiosi
della fortuna del vescovo augustano, perchè sparsero voce d'illecita
familiarità fra lei e quel prelato. Il perchè Annone arcivescovo di
Colonia, col consenso di molti altri principi, tolse all'Augusta madre
il giovinetto Arrigo, ed assunse colla di lui tutela il governo degli
Stati. La maniera da lui tenuta per far questo colpo la sapremo fra
poco, richiedendo ora la voce sparsa contro l'onor dell'imperadrice
Agnese, che io premunisca i lettori con avvertirli della malvagità che
allora più che mai era in voga. Facile è l'osservare che i tempi di
guerra son tempi di bugie; ma non si può dire abbastanza, quanto larga
briglia si lasciasse in queste e nelle seguenti discordie fra il
sacerdozio e l'imperio, alla bugia, alla satira, alla calunnia. Le più
nere iniquità s'inventarono e sparsero dei papi, de' cardinali, de'
vescovi da chi era loro contrario; ed altre vicendevolmente si
spacciarono dai mal affetti contra di Arrigo IV e di tutti i suoi
aderenti. Però sta ai prudenti lettori il camminar qui con gran
riguardo, prestando solamente fede a ciò che si trova patentemente
avverato dalla misera costituzion d'allora.
Nè già si può fallare in credendo che Arrigo IV si scoprì col tempo
principe d'indole cattiva, incostante e violento, e che tutti i vizii
presero in lui gran piede per qualche difetto della madre, ma più per
l'educazion seguente; e che la vendita de' vescovati, delle abbazie e
dell'altre chiese, cioè la simonia, era un mercato ordinario di que' sì
sconcertati tempi, per colpa specialmente della corte regale di
Germania, in cui più potea l'amore dell'oro che della religione, e
troppo regnava l'abuso, non però nato allora, di uguagliar lo spirituale
al temporale. Ora, o sia che i maneggi segreti della corte di Roma, o
quei del duca Gotifredo disponessero in Germania un ripiego per liberar
la Chiesa dalla vessazione dell'indegno Cadaloo; oppure che il suddetto
Annone arcivescovo, prelato tenuto in concetto di santa vita, con altri
principi lo trovasse ed eseguisse, per mettere fine allo scisma: certo
è, che in quest'anno, essendo ito esso arcivescovo pel Reno a visitare
il re Arrigo, giovane allora di circa tredici anni, dopo il desinare
l'invitò a veder la nave suntuosissima che l'avea condotto colà. Vi
andò, di nulla sospettando il semplice giovanetto, ed entrato che fu, si
diede tosto di mano ai remi. Sorpreso da quest'atto il picciolo re,
temendo che il conducessero a morire, si gettò nel fiume; ma fu salvato
dal conte Ecberto, che saltò anche esso nell'acqua. Su quella nave
adunque pacificato con carezze fu condotto a Colonia, dove restò sotto
il governo di quel saggio prelato, al quale dai principi ne fu accordata
la tutela. L'imperadrice Agnese, trafitta da questo inaspettato colpo, e
ravveduta de' falli commessi in patrocinar l'antipapa, determinò di dare
un calcio al mondo, e passando dipoi a Roma, accettò la penitenza che le
fu data da papa Alessandro II. Per testimonianza di san Pier
Damiano[869], non tardò l'arcivescovo di Colonia Annone a dare, per
quanto era in sua mano, la pace alla Chiesa; perciocchè, raunato un
concilio in Osbor, dove intervennero lo stesso re Arrigo e una gran
copia di vescovi oltramontani ed italiani, nello stesso dì 28 di
ottobre, in cui Cadaloo era stato nell'anno precedente eletto contro i
canoni papa, fu egli anche deposto, o, per dir meglio, riprovato e
condannato. Avea precedentemente il medesimo Pier Damiano scritta una
lettera di fuoco al predetto Cadaloo, chiudendola con alcuni versi, e
dicendo in fine[870]: _Diligenter igitur intende, quod dico_:
_Fumea vita volat, mors improvisa propinquat,_
_Imminet expleti praepes tibi terminus aevi._
_Non ego te fallo: caepto morieris in anno._
Visse anche dopo l'anno predetto Cadaloo. Pier Damiano, veggendo che non
avea colto nella predizione, cercò uno scampo, con dire ch'egli s'era
inteso della morte civile, cioè della di lui deposizione, e non già
della morte naturale. Se i suoi versi ammettano tale scappata, non tocca
a me il giudicarne. Certo confessa egli che per questo gli fecero le
risa dietro i suoi avversarii. Levò ancora esso arcivescovo Annone il
posto di cancelliere d'Italia a _Guiberto_, che parimente col tempo
divenne arcivescovo di Ravenna ed antipapa, e lo diede a _Gregorio
vescovo_ di Vercelli, uomo nondimeno macchiato anch'esso di vizii: il
che fa conoscere che il re Arrigo, benchè non per anche coronato in
Italia, pur ci era riconosciuto per padrone.
Non so io già se in questi tempi sia ben regolata la cronologia di Lupo
Protospata. Ben so aver egli scritto[871] che _Roberto Guiscardo_ duca
s'impadronì in quest'anno della città d'Oria, e di nuovo prese Brindisi,
e lo stesso miriarca (forse il suo governatore). È da vedere ancora, se
appartenga all'anno presente, come ha il testo di Gaufrido
Malaterra[872] la discordia insorta fra esso duca Roberto e il _conte
Ruggieri_. Benchè Roberto promesso avesse ad esso suo fratello di
cedergli la metà della Calabria, pure non si veniva mai a questa
sospirata cessione. A riserva di Melito, che era in man di Ruggieri, in
tutto il resto delle conquiste l'ambizioso ed insaziabil Roberto la
facea da signore. Però Ruggieri, presa occasione dal recente suo
matrimonio, fece istanza a Roberto per l'esecuzion delle promesse,
affine di poter dotare decentemente la nuova sua sposa _Erimberga_,
chiamata da altri _Delizia_, o _Giuditta_. Ricavandone solo parole, e
non fatti, si ritirò forte in collera da lui, e gli intimò la guerra, se
in termine di quaranta giorni nol soddisfacea. La risposta che gli diede
Roberto, fu di portarsi coll'armata ad assediarlo in Melito. Ma con
tutte le prodezze fatte dall'una e dall'altra parte, nulla profittò
Roberto. Anzi Ruggieri, uscito una notte di Melito, gli occupò la città
di Gierace per trattato fatto con quei cittadini. Allora Roberto tutto
fumante d'ira corse all'assedio di Gierace; e siccome personaggio
d'incredibile ardire, una notte ben incappucciato (che già era in uso il
cappuccio anche fra i secolari) segretamente fu introdotto nella città
da uno di questi potenti cittadini per nome Basilio. Per sua
disavventura restò scoperto, e preso a furia di popolo; vide poco di poi
trucidato Basilio, impalata sua moglie, e si credeva anch'egli spedito.
Con belle parole gli riuscì di fermar la furia del popolo, e fu cacciato
in prigione. Ne andò la nuova all'esercito suo; ma non sapendo che si
fare i suoi capitani per liberarlo, miglior consiglio non seppero
trovare che di spedirne incontanente l'avviso al conte Ruggieri,
scongiurandolo che accorresse per salvare il fratello. Non si fece
pregare il magnanimo Ruggieri; corse tosto co' suoi a Gierace, e
chiamati fuor della città i capi, tanto disse colle buone e colle
minaccie, che fece rimettere in libertà il fratello. Questo accidente e
la costanza di Ruggieri produsse buon effetto, perchè dopo qualche tempo
Roberto gli accordò il dominio della metà della Calabria. Passò dipoi
Ruggieri in Sicilia, dove essendosi ribellato da lui il popolo di
Traina, fece delle maraviglie di patimenti e di bravure contra di quei
cittadini e dei Saraceni accorsi in loro aiuto, tantochè ne riacquistò
veramente la signoria. Crede Camillo Pellegrini[873] che _Riccardo I
conte_ di Aversa, figliuolo di Ascilittino normanno, e non già fratello
di Roberto Guiscardo duca, come immaginarono il Sigonio e il padre Pagi
all'anno 1074, occupasse fin l'anno 1058 il principato di Capoa, citando
sopra di ciò l'Ostiense[874]. A quell'anno ancora nella Cronichetta
amalfitana[875] è scritto che Riccardo fu creato _principe di Capoa_
insieme con suo figlio _Giordano_. Certo è bensì che Niccolò II papa
nell'anno 1059, gli concedette l'investitura di quel principato, ma non
apparisce che ne fosse allora totalmente in possesso. Imperciocchè è da
sapere che, secondo il suddetto Ostiense, invogliatosi tempo fa Riccardo
di quella bella contrada, messo l'assedio a Capoa, vi fabbricò tre
bastie all'intorno. Ma _Pandolfo V_ principe, che v'era dentro, collo
sborso di settemila scudi d'oro l'indusse a ritirarsene. Mancato poi di
vita esso Pandolfo (non so in qual anno), e succedutogli _Landolfo V_
suo figliuolo, eccoti di nuovo Riccardo colle sue armi sotto Capoa.
Tanto la strinse, che si venne nell'anno presente ad una capitolazione,
per cui Landolfo se n'andò via ramingo, e i cittadini riceverono per
loro principe Riccardo, ma con ritenere in lor potere le porte e le
torri della città. Dissimulò per allora l'accorto Riccardo, e
contentossi di questo. Poi rivolte le sue armi all'acquisto delle città
e castella di quel principato, gli riuscì nello spazio di quasi tre mesi
d'insignorirsi di tutto. Ciò fatto, intimò a' Capuani la consegna delle
torri e porte, e perchè gliela negarono, strettamente assediò quella
città. Spedirono bensì i Capuani al re Arrigo in Germania il loro
arcivescovo per ottener soccorso; ma non avendo egli riportato se non
parole, furono dalla fame astretti a far le voglie di Riccardo, _anno
dominicae Incarnationis MLXII quum jam per decem circiter annorum
curricula Normannis viriliter repugnassent._ Però, quantunque esistano
più diplomi di questo principe, da' quali costa aver egli assunto fin
dall'anno 1058, o 1059, il titolo di principe di Capoa, con associar
ancora _Giordano I_ suo figliuolo al dominio; nientedimeno solamente in
quest'anno egli ottenne la piena e libera signoria di quel principato.
Così cessò di regnare anche ivi la schiatta de' principi longobardi, e
sempre più crebbe la potenza de' principi normanni. Da lì a poco,
attaccatosi una notte il fuoco alla città di Tiano, probabilmente con
premeditato consiglio, v'accorse nel mattino seguente Riccardo, e colla
fuga di que' conti se ne impossessò. Parimente scrive Romoaldo
Salernitano[876] che in quest'anno esso principe _intravit terram
Campaniae, obseditque Ceperanum, et usque Soram devastando pervenit._ Ci
ha conservata l'autore della Cronichetta amalfitana[877] una notizia;
cioè che, per ordine dell'imperadore, _Gotifredo marchese_ e duca di
Toscana col suo esercito venne contra di Riccardo, e che seguirono fra
loro varii fatti d'armi presso di Aquino, in guisa tale che fu obbligato
Gotifredo a tornarsene indietro con poco suo gusto e men guadagno.
NOTE:
[863] Continuator Hermanni Contracti, in Chron.
[864] Card. de Aragon., Vit. Alexandri II, P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[865] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 21.
[866] Vit. Alexandri II, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[867] Benzo, in Panegyric. Henrici IV, tom. 1 Rer. Germ., Menchenii.
[868] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[869] Petrus Damian., Opusc. 4 et in Opusc. 18.
[870] Petrus Damian., lib. 1, Epist. 20, et in Opusc. 18.
[871] Lupus Protospata, in Cronico.
[872] Gaufrid. Malaterra, lib. 2, cap. 21.
[873] Camillus Peregrinius, Hist. Princip. Langobard.
[874] Leo Ostiensis, Chron., lib. 3, cap. 16.
[875] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.
[876] Romualdus Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
[877] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.


Anno di CRISTO MLXIII. Indizione I.
ALESSANDRO II papa 3.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 8.

Fioriva in questi tempi _Giovanni Gualberto_ abbate, istitutore de'
monaci di Vallombrosa[878], personaggio di sommo credito per la santità
de' suoi costumi, non meno entro che fuori della Toscana. Era stato
creato vescovo di Firenze _Pietro_ di nazione pavese; e perciocchè
allora dappertutto faceva grande strepito il vizio della simonia, i
monaci vallombrosani, sospettando ch'egli fosse entrato nella sedia
episcopale mediante il danaro, cominciarono a diffamarlo per simoniaco,
e mossero un gran tumulto nel popolo di quella città. Andrea monaco
genovese[879] lasciò scritto, che portatosi da Roma a Firenze Teuzone
Mezzabarba per visitare il vescovo suo figliuolo, i furbi Fiorentini con
interrogazion suggestiva gli dimandarono, quanto avesse pagato per
ottener la mitra a Pietro; e che il buon Lombardo confessasse di avere
speso tremila libbre in regalo al re _Arrigo IV_ per sortire il suo
intento. Ma avendo questo monaco scritta quella vita nell'anno 1419,
siccome osservò il padre Guglielmo Cupero della compagnia di Gesù, e
nulla di questa importante particolarità parlando gli autori più
antichi, si può ben sospenderne la credenza. Era dubbiosa la simonia di
quel vescovo, e tale non sarebbe stata se si fosse potuto allegar la
confession di suo padre. Certo è che i monaci suscitarono fieramente il
popolo contra del vescovo, e andarono sì innanzi, che san _Pier Damiano_
mosso dal suo zelo impugnò la penna contra di loro. Anche il _duca
Gotifredo_ sosteneva il vescovo e minacciava di far ammazzare e monaci e
cherici che contrariassero a quel prelato, e gli levassero l'ubbidienza.
Fu inviato appunto colà dal _pontefice Alessandro_ esso santo Pier
Damiano per procurar di estinguere un sì pericoloso incendio. In vece di
pacificar gli animi di quella gente, diede ansa a que' monaci di
sparlare anche di lui, quasichè fosse fautore de' simoniaci, e
specialmente gli tagliò i panni addosso uno dei più arditi di loro per
nome Teuzone, ubbriaco di uno zelo indiscreto. Ma qui non finì la
faccenda, siccome vedremo. Benchè in Germania fosse stato riprovato
l'antipapa Cadaloo, pure costui non si arrendeva in Italia. Anzi
nell'anno presente, raunata nuova gente e dei buoni contanti,
spalleggiato dai vescovi allora sregolati della Lombardia, si avviò di
nuovo alla volta di Roma, sperando maggior fortuna che nell'anno
precedente[880]. Ci fu sospetto che Gotifredo duca di Toscana
segretamente il favorisse. Certo è che non gli mancarono assistenze in
Roma stessa, perchè molti de' nobili romani si dichiararono per lui. Gli
fu dunque aperto l'adito nella città leonina; anzi dicono che gli fu
consegnata anche la fortezza di Castel Sant'Angelo. _Tempore post alio
quorumdam ex urbe ope et Consilio Romam, quam novam perhibent,