Annali d'Italia, vol. 4 - 20

expellendos, qui maximo illi odio erant, una cum eo reverti._ Ma l'uomo
propone e Dio dispone. Non ebbe egli tempo da effettuar questo disegno,
il quale, se pure è vero, avrebbe portato una gran taccia al nome suo
presso la nazione germanica, ma sarebbe forse stato la salute
dell'Italia, con risparmiarle tanti sconcerti che poscia avvennero per
cagione di un re fanciullo allora e poi carico di vizii. Fu portato al
papa il tesoro casinense, ma ben mal volentieri, dai monaci. Una visione
raccontata al papa, e gli scrupoli insorti nella di lui delicata
coscienza, furono cagione ch'egli ordinasse che tutto quell'oro ed
argento fosse ricondotto al suo monistero. Maggiormente intanto si
aggravava la di lui malattia; e però, unito il clero e popolo romano,
l'obbligò a promettere che, in caso di sua morte, non passerebbono
all'elezione del nuovo papa finchè non fosse tornato di Germania
_Ildebrando cardinale_ suddiacono della Chiesa romana, e abbate di san
Paolo, chiamato da Lamberto[811] _vir et eloquentia et sacrarum
literarum eruditione valde admirandus_. Era questi stato inviato per
comun parere da Roma all'_imperadrice Agnese_ per gli affari e bisogni
occorrenti di questi pericolosi tempi. Andossene poi il pontefice
Stefano a Firenze in Toscana a trovare il fratello, e vi trovò anche la
morte, che il portò a miglior vita nel dì 29 di marzo, assistito nella
malattia dal santo abbate di Clugnì _Ugo_. Dio onorò la sua sepoltura
con varii miracoli. A questa nuova il popolo romano, che non s'era mai
saputo accomodare ad aver pontefici tedeschi, e specialmente eletti
dall'imperadore, tuttochè i cinque ultimi venuti di colà fossero stati
personaggi santi, o almeno assai benemeriti della Chiesa romana, fece
tosto un gran broglio per creare un papa romano. Gregorio figliuolo
d'Alberico, conte tuscolano ossia di Frascati, unito con altri potenti
di Roma[812], e guadagnata con danari buona parte del clero e popolo,
corse in tempo di notte con assai gente armata alla chiesa, e quivi
tumultuariamente fece eleggere papa _Giovanni vescovo_ di Veletri,
soprannominato poi _Mincio_ (parola forse tratta dal franzese _mince_,
che significava _leggiere_ e _balordo_, e potè dar l'origine alla parola
oggidì usata di _mincione_, _minchione_), il quale assunse il nome di
_Benedetto X_. Era uomo privo affatto di lettere, per attestato di san
Pier Damiano. A questa sregolata elezione, contraria ai sacri canoni, e
fatta anche senza il consentimento della corte germanica, cioè contra
del giuramento intorno a ciò prestato al defunto imperadore Arrigo III,
e contra del forte divieto fatto dall'ultimo defunto papa Stefano IX: a
questa elezione, dissi, con tutto vigore si oppose il suddetto san Pier
Damiano vescovo d'Ostia cogli altri cardinali. Protestarono, intimarono
scomuniche; ma indarno tutto. Furono essi astretti a fuggirsene e a
nascondersi per timor della vita; e il popolo, giacchè non si potea
avere il vescovo ostiense, a cui apparteneva la consecrazione del nuovo
pontefice, per forza obbligò l'arciprete d'Ostia, uomo ignorante, a
consecrare questo illegittimo e simoniaco papa: cosa anche essa affatto
ripugnante alla disciplina della Chiesa.
Giunto in Germania l'avviso della morte del papa, e nello stesso tempo
quel della novità commessa in Roma, non tardò l'imperadrice Agnese a
rimandare in Italia il cardinale Ildebrando con ordine di andar di
concerto col duca Gotifredo per provvedere a questi disordini. Intanto
arrivò a quella corte, per attestato di Lamberto, un'ambasceria di que'
Romani che non aveano acconsentito all'intrusione di Mincio,
rappresentandosi pronti ad osservare verso il re figliuolo quella
fedeltà che aveano mantenuta verso l'Augusto suo padre, e pregando
caldamente il re di mandar loro quel papa che gli piacesse, perchè
ognuno abborriva l'intruso. Si trattò dunque di eleggere un pontefice
legittimo, e s'accordarono insieme nella città di Siena, dove fu
celebrato un concilio, i primati tanto romani che tedeschi[813], per
alzare al trono pontifizio _Gherardo vescovo_ di Firenze, di nascita
borgognone, personaggio per senno e per ottimi costumi degno di sì
sublime dignità. Si attese nel rimanente dell'anno a preparar la forza,
e a far negoziati per atterrar l'usurpatore della cattedra di san
Pietro: il che, ebbe compimento nell'anno seguente, siccome diremo. Nel
presente, per testimonianza del Malaterra[814], fu nella Calabria una
terribil carestia e mortalità. Era già venuto in Italia _Ruggieri_,
minor fratello di _Roberto Guiscardo_, giovane che per valore, per
eloquenza, per accortezza non avea pari. Si diede anch'egli, col
consenso del fratello, a far delle conquiste nella Calabria, la metà
della qual provincia gli fu o promessa o conceduta da esso Roberto. In
quest'anno ancora il medesimo Roberto, vedendosi salito in tanta
potenza, sdegnò d'aver più per moglie _Alberada_, che gli avea partorito
un figliuolo appellato _Marco_, e con altro nome _Boamondo_, principe
che divenne col tempo assai celebre e glorioso. Trovate perciò ragioni o
pretesti di parentela, la ripudiò; ed ansioso di nozze più illustri,
prese per moglie _Sigelgaita_ figliuola del defunto Guaimario IV
principe di Salerno. Ma Guglielmo Pugliese[815] riferisce all'anno
seguente queste nozze, alle quali a tutta prima _Gisolfo II_, allora
principe regnante di Salerno, e fratello di Sigelgaita, si mostrò
renitente; ma poi condiscese, per non tirarsi addosso la nimicizia di
quella fiera nazione, e perchè guadagnò nel contratto alcune castella.
In quest'anno _V idus junii, Indictione XI_, dimorando in Firenze il
duca Gotifredo, accordò ai canonici di Arezzo la sua protezione[816].
Diedero unitamente tal privilegio_ Gottifredus divina favente clementia
dux et marchio, et Beatrix ejus conjux_. Parimente il medesimo duca _XVI
kalendas januarii, Indictione XII_, cioè ai dì 17 di dicembre dell'anno
presente, mentre risedeva in giudizio _intus casa, quae est sala de
palatio de civitate lucense_, confermò ad _Anselmo vescovo_ di Lucca,
che fu poi papa _Alessandro II_, la chiesa di santo Alessandro, _et
misit bannum domni imperatoris_ (benchè non per anche Arrigo IV godesse
questo titolo)_ super eodem Anselmo episcopus_, per maggior sicurezza di
lui.
NOTE:
[810] Leo Ostiensis, lib. 2, cap. 99.
[811] Lambertus Schafnaburgensis, in Chron.
[812] Leo Ostiensis, lib. 2, cap. 101.
[813] Cardinal. Aragon., in Vita Nicolai II, Par. I, tom. 3 Rerum
Italicarum.
[814] Gaufrid. Malaterra, Hist., lib. 1, cap. 30.
[815] Guillelmus Apulus, lib. 2 Poem.
[816] Antiquit. Italic., Dissert. XVII.


Anno di CRISTO MLIX. Indizione XII.
NICCOLÒ II papa 1.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 4.

Sul principio di quest'anno il nuovo eletto pontefice, che assunse
poscia il nome di _Niccolò II_, s'inviò da Firenze alla volta di Roma,
fiancheggiato dalle milizie di _Goffredo duca_ di Lorena e Toscana,
principe allora potentissimo in Italia. Fermossi a Sutri, perchè la
possanza de' conti di Tuscolano era grande nella città. Quivi raunò un
concilio di vescovi per trattare della deposizion di Mincio, ossia di
_Benedetto X_ falso pontefice[817]. Non aspettò Mincio la forza, ma
spontaneamente depose le insegne pontificali, e si ritirò alla propria
casa. Ciò inteso, l'eletto papa Niccolò, tenuto consiglio coi cardinali,
senza accompagnamento di soldatesche e con tutta umiltà entrò in Roma,
dove, accolto onorevolmente dal clero e popolo, fu intronizzato: dal
qual tempo ha principio l'epoca del suo pontificato. Da lì poscia a
pochi giorni si presentò a' suoi piedi Mincio, chiedendo perdono, con
allegar per iscusa che gli era stata usata violenza, confessando
nondimeno il suo fallo per aver mancato al giuramento. In pena del suo
reato restò degradato dall'ordine episcopale e sacerdotale, e confinato
in santa Maria Maggiore. Fece poscia papa Niccolò un viaggio nella marca
di Camerino sul principio di quaresima, e in tal occasione creò
cardinale _Desiderio_, insigne abbate di Monte Casino. Trovossi il
medesimo papa in Spoleti _VI nonas martii_, e quivi confermò i
privilegii al monistero del Volturno[818]. Era egli _VIII idus martii_
in Osimo, dove fece la suddetta grazia a Monte Casino. Raunò un numeroso
concilio di cento tredici vescovi nella basilica lateranense[819],
correndo il mese d'aprile, in cui fu stabilito un salutevol decreto
intorno all'elezione dei romani pontefici, da farsi in Roma
principalmente da' cardinali, e poi dal restante clero e popolo, _salvo
debito honore et reverentia dilecti filii nostri Henrici, qui
impraesentiarum rex habetur, et futurus imperator, Deo concedente,
speratur, sicut jam concessimus, et successoribus illius, qui ab
apostolica Sede personaliter hoc jus impetraverint._ Nella Cronica del
monistero di Farfa[820], da me data alla luce, si legge questo decreto
più copioso che nella raccolta de' concilii, perchè v'ha il catalogo di
tutti i cardinali e vescovi assistenti al medesimo concilio. E qui si
legge qualche giunta allo suddette parole: cioè _sicut jam mediante ejus
nuntio Longobardiae cancellario W. concessimus, et successorum illius,
qui ab hac apostolica sede personaliter hoc jus impetraverint, ad
consensum novae electionis accedant._ Quel cancelliere dovrebbe essere
_Wibertus_, cioè _Giberto_, che fu poi arcivescovo di Ravenna ed
antipapa, ma che non era già allora arcivescovo di Ravenna, in guisa che
quel _Wibertus archiepiscopus_, che si legge nelle sottoscrizioni, sarà
arcivescovo d'altra chiesa, se pur quel nome non è scorretto. Forse ivi
era scritto _Wido_, cioè _Guido_ arcivescovo di Milano. In questa
maniera il papa rimise ne' termini dell'antica consuetudine, da noi per
più secoli osservata, l'elezion de' romani pontefici, confermandola ai
cardinali e al clero e popolo romano, ma con riserbarne l'approvazione
al regnante imperadore, prima di consecrarlo. Prevalendosi inoltre della
minorità del re Arrigo, fece diventar questo un privilegio personale,
accordato dalla santa sede all'imperadore: il che non s'udì mai in
addietro. E i Greci e i Franchi e i Tedeschi Augusti fin qui aveano
sostenuto che questa fosse una prerogativa dell'alto loro dominio in
Roma, e in concedere gli Stati al romano pontefice si riserbavano per
patto questo da lor preteso diritto. Non potea però pretenderlo Arrigo
IV, perchè fin qui egli non era imperadore. Vero è che vedremo da qui a
non molto che fu rivocato anche questo medesimo decreto di papa Niccolò
II. In esso concilio romano Berengario abiurò per la prima volta la sua
eresia, e furono proibite non meno le simonie che i matrimonii ossia i
concubinati dei preti. Abbiamo dalla Vita di questo pontefice[821],
raccolta dal cardinale Niccolò d'Aragona, che i Normanni gli spedirono
ambasciatori con pregarlo di venire in Puglia, promettendogli ogni
soddisfazione. V'andò in fatti papa Niccolò dopo le feste di Pasqua, e,
per attestato di Leone Ostiense[822] e di Guglielmo Pugliese[823],
celebrò un concilio nella città di Melfi in Puglia, e non già in Amalfi,
come han supposto alcuni,
_Praesulibus centum jus ad synodale vocatis._
_Namque sacerdotes, levitae, clericus omnis_
_Hac regione palam se conjugio sociabant._
Intervenne a quel concilio anche _Riccardo I_ conte d'Aversa, che poi fu
principe di Capua coll'espulsione di _Landolfo V_. Questi era di nazione
normanna, e cognato di _Roberto Guiscardo_ mercè del matrimonio
contratto con Fridesinna di lui sorella. Passò il papa a Benevento, e
fuori di quella città sul principio d'agosto tenne un altro concilio, di
cui si vede fatta menzione nella Cronica suddetta del monistero di
Volturno. Fra gli altri che vi si trovarono, si conta _Ildebrando
cardinale_ suddiacono. Ma dopo questo concilio egli ci comparisce
davanti promosso a più alto grado, cioè creato cardinale arcidiacono
della santa romana Chiesa. In una bolla spedita dal medesimo papa
Niccolò II nel dì 14 di ottobre del presente anno in favore del
monistero di s. Pietro di Perugia, e pubblicata dal padre
Margarino[824], egli si sottoscrive: _Hildebrandus qualiscumque
archidiaconus sanctae romanae Ecclesiae_.
Dopo questi concilii attese il vigilantissimo papa a stabilire un
accomodamento coi Normanni. In vece di volerli nemici, da uomo saggio se
li fece amici; e il tempo mostrò i frutti del suo senno, perchè i
Normanni divennero lo scudo de' romani pontefici, e li sostennero in più
occasioni, e li misero in piena libertà e indipendenza dagl'imperadori.
Concedette dunque papa Niccolò in feudo a Roberto Guiscardo gli Stati da
lui conquistati in Puglia e Calabria, e il resto che si potesse da lui
conquistare non solo in quelle contrade, ma anche in Sicilia, dandogli
il titolo di _duca di Puglia, Calabria e Sicilia._ Guglielmo Pugliese
anch'egli scrive:
_Robertum donat Nicolaus honore ducali;_
notizie nondimeno che è difficile d'accordarle con Leone Ostiense[825],
il quale lasciò scritto che Roberto, dopo la presa della città di Reggio
in Calabria, _ex tunc coepit dux appellari_. Anche il Malaterra scrisse
lo stesso. Reggio fu presa solamente nell'anno 1060. Comunque sia, vien
riferito dal cardinal Baronio[826] il giuramento di fedeltà ch'esso
Roberto prestò al suddetto pontefice, con obbligarsi di pagare ogni anno
alla santa Sede dodici denari di moneta pavese per ogni paio di buoi.
Cercano alcuni con qual titolo papa Nicolao desse tale investitura ai
Normanni, che fu la primordiale del regno appellato oggidì di Napoli, e
v'aggiugnesse anche la Sicilia, su cui conservavano il lor diritto i
greci imperadori. Certo è che in questi tempi si facea molto valere la
donazion di Costantino, nata, per quanto si può credere, nel secolo
ottavo dell'era nostra volgare. Nè forse per l'ignoranza d'allora alcuno
s'accorgeva ch'ella fosse un documento apocrifo, talmente che s. Leone
IX papa nella lunga lettera scritta a Michele Cerulario patriarca di
Costantinopoli nell'anno 1053[827], cioè pochi anni prima, la produsse
quasi tutta, e massimamente quelle parole: _Tam palatium nostrum, quam
romanam urbem, et omnes Italiae, seu occidentalium regionum provincias,
loca et civitates saepefato beatissimo pontifici et patri nostro
Silvestro universali papae contradentes atque relinquentes, ei vel
successoribus ipsius pontificibus potestatem et ditionem firmam
imperiali censura per hanc divalem jussionem et pragmaticum constitutum
decernimus desponendo, atque juri sanctae romanae Ecclesiae concedimus
permansura_. Fece anche gran caso di tal donazione alcuni anni dappoi
san Pier Damiano in un suo dialogo[828]. Non c'è ora persona dotta che
non sappia essere quella una fattura de' secoli posteriori; ma nol
sapeano, nè se n'accorgeano i Romani di questi tempi. Sembra ancora che
circa questi medesimi tempi fossero dati fuori con delle giunte i
diplomi di Lodovico Pio, di Ottone I e di Arrigo I Augusti in favore
della Chiesa romana, dove è parlato di Benevento, della Calabria, della
Sicilia e d'altri paesi, coerentemente agl'interessi di questi tempi, ma
con discordia da quei de' secoli precedenti. Potrebbesi credere che su
tali fondamenti si piantasse il principio dei diritti che da allora fin
qua, cioè per tanti secoli, gode la Sede apostolica sopra le due
Sicilie, nelle quali ha stabilito una sì autentica e giusta sovranità e
prescrizione, contra di cui non si può allegare ragione alcuna. Oltre di
che, può anche darsi che non mancassero al pontefice Niccolò II altre
più sussistenti ragioni di dedizione spontanea, e di cessione anche
dalla parte dell'imperio. Certamente, per attestato del Continuatore di
Ermanno Contratto[829], Arrigo II imperadore avea conceduto al santo
papa Leone IX _pleraque in ultra romanis partibus ad suum jus
pertinentia pro cisalpinis in concambium datis._ Comunque sia, noi
sappiamo da san Pier Damiano[830] che la corte germanica con assai
vescovi nel conciliabolo di Basilea, dappoichè passò a miglior vita papa
Niccolò II, cassò _omnia quae ab eo fuerunt statuta_; e perciò resta
luogo di dubitare che in Germania fosse disapprovato questo fatto di
papa Niccolò. Diede anche lo stesso pontefice l'investitura di Capua e
del suo principato a _Riccardo I_[831] cognato di Roberto Guiscardo,
tuttochè non ne fosse per anche in possesso. Ciò fatto, perchè non potea
sofferire il magnanimo papa che i capitani e potenti romani, e
massimamente i conti di Tuscolo, ossieno Tuscolani, avessero occupato
tanti beni patrimoniali e Stati della Chiesa romana, con tener anche in
certa guisa come schiavi i pontefici romani[832], cominciò a valersi del
flagello de' Normanni stessi per mettere in dovere que' nobili suoi
ribelli. Ritornato dunque a Roma, spedì un esercito di quella gente
masnadiera addosso a Palestrina, a Tuscolo, ora Frascati, a Nomento, a
Galeria. Furono messi a sacco tutti quei luoghi fino a Sutri, e forzati
que' nobili all'ubbidienza del papa, e con ciò liberata Roma dalla lor
tirannia.
Abbiamo dal Continuatore d'Ermanno Contratto[833] che in quest'anno,
_orto inter Mediolanenses et Ticinenses bello, multi ex utraque parte
ceciderunt._ Di questa guerra fece menzione Arnolfo storico
milanese[834] de' correnti tempi, con dire che i Pavesi non vollero
ricevere un vescovo dato loro dal fanciullo re Arrigo, tuttochè fosse
stato anche consecrato dal papa. Altrettanto fecero poco appresso
parimente gli Astigiani, con rifiutare un vescovo da loro non eletto.
Per interessi ancora civili la discordia avea avvelenato il cuor de'
Pavesi e Milanesi. Gran tempo era che fra quelle due città popolatissime
e le maggiori del regno di Italia, bolliva una segreta gara ed invidia,
ancorchè ognun sapesse che Milano andava innanzi a Pavia. Niuna d'esse
volea cedere all'altra: e quindi per essere confinanti, nascevano bene
spesso ammazzamenti d'uomini, saccheggi ed incendii. Si venne ad una
palese rottura. I Pavesi, conoscendosi inferiori di forze, assoldarono
delle truppe forestiere, e diedero il guasto a' confini del Milanese.
Uscirono in campo anche i Milanesi, avendo tirati in loro lega i
Lodigiani; ed ancorchè parte della loro armata sotto l'_arcivescovo
Guido_ guerreggiasse in altre parti, pure vennero ad un fatto d'arme,
che riuscì sanguinosissimo per l'una e per l'altra parte, specialmente
per la morte d'assaissima nobiltà. Restò il campo in potere de'
Milanesi. Il luogo della battaglia si chiamava fin da' vecchi tempi
_Campo morto_. Sicchè noi cominciamo a vedere le città di Lombardia far
leghe e guerre, e mettersi in libertà: il che andò a poco a poco
crescendo: tutti effetti della minorità, cioè dell'impotenza del re
_Arrigo IV_. Era negli anni addietro nato in Milano un grave scisma, che
ogni dì più andava prendendo fuoco; perciocchè principalmente nel clero
di quella insigne città s'era introdotto l'abuso che i preti e diaconi
assai notoriamente prendevano moglie: il che in buon linguaggio vuol
dire che viveano nel concubinato. Questo morbo era familiare per
l'Italia, ed aveva infestata anche la stessa città di Roma: colpa per lo
più de' vescovi poco attenti alla lor greggia, e talvolta ancora tinti
della medesima pece. L'esempio della Chiesa greca facea loro credere
lecito l'ammogliarsi, senza volere far caso della disciplina
costantemente osservata fin dai primi secoli della Chiesa latina, in cui
fu sempre vietato ai preti e diaconi il prendere moglie, o, se prima le
aveano, l'uso delle medesime. Contra di questi incontinenti e scandalosi
ministri dell'altare, a' quali, benchè impropriamente, si attribuisce
l'eresia de' Nicolaiti, alzò bandiera Arialdo diacono, uomo zelantissimo
dell'onor di Dio e della sua Chiesa, ed egli fu che commosse il popolo
contra di loro. Guido arcivescovo, fautore dei preti, nel concilio di
Fontaneto proferì sentenza di scomunica contra di Arialdo e di Landolfo
nobile laico suo collega. Ma questo non servì se non ad accrescere il
tumulto e l'ira di una parte del popolo. Arnolfo e Landolfo seniore,
storici milanesi di questi tempi[835], ed avvocati dell'incontinenza del
clero ambrosiano di allora, diffusamente parlano di quella tragedia. Ora
l'indefesso papa Niccolò, informato da più parti di così strepitoso
disordine, spedì in quest'anno, se pure non fu nel fine del precedente,
due suoi legati a Milano per cercarne i rimedii. Questi furono _Pier
Damiano_, santo e celebratissimo cardinale e vescovo d'Ostia, ed
_Anselmo da Badagio_ milanese, già creato vescovo di Lucca. Andarono
essi anche per isradicare il vizio della simonia, di cui era
patentemente reo l'arcivescovo, giacchè egli a niuno conferiva gli
ordini ecclesiastici senza farsi pagare. Trovarono essi delle
opposizioni, e contra di loro si venne anche ad una sollevazione de'
parziali degli ecclesiastici. Pure per la saviezza ed eloquenza del
Damiano quetati i rumori, quell'arcivescovo confessò il suo fallo, ed
accettò la penitenza impostagli. Così fecero anche gli altri, con restar
proibita da lì innanzi la simonia e l'ammogliarsi dei sacri ministri
dell'altare. Vien distesamente narrato questo fatto dal medesimo san
Pier Damiano in una sua relazione[836], e a lungo ne parlano il cardinal
Baronio[837] e il Puricelli[838]. Dopo questo l'arcivescovo Guido andò
al concilio romano, dove ebbe buon trattamento dal papa, alla cui destra
fu posto, e, giurata a lui ubbidienza, se ne tornò lieto a casa. Ma Pier
Damiano in ricompensa delle sue fatiche fu spogliato dal papa de' suoi
benefizii, e ricevette altri affronti, per li quali modestamente dimandò
licenza di rinunziare al suo vescovato d'Ostia. Nell'anno presente,
secondo Guglielmo Pugliese[839], _Roberto Guiscardo_ duca di Puglia
s'impadronì delle città di Cariati, Rossano, Cosenza e Geraci nella
Calabria. E _Gotifredo duca_ di Lorena e Toscana, intitolato _dux et
marchio_, con _Arnaldo vescovo_ e conte, tenne due placiti nel contado
di Arezzo, _anno dominicae Incarnationis MLIX, regnante Genrico rege,
mense junio, Indictione XIII_[840]. Dal che si raccoglie che Gotifredo
avea molto bene assunto il governo della Toscana, e il titolo di
marchese di quella provincia, e che non ne fosse già semplice
amministratore a nome della moglie e di Matilda sua figliuola, come ha
creduto taluno. Inoltre ne ricaviamo, ch'egli riconosceva per re
d'Italia Arrigo IV. In uno d'essi documenti comparisce _Rainerius filius
Ugicionis ducis et marchionis_, cioè di quell'_Uguccione_ che a' tempi
di Corrado I Augusto era stato duca e marchese della Toscana.
NOTE:
[817] Cardinal. Aragon., in Vita Nicolai II, Par. I, tom. 3 Rerum
Italicarum.
[818] Chron. Vulturnense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[819] Tom. 9 Concilior. Labbe, pag. 1099.
[820] Chron. Farfens. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[821] Cardin. de Aragon., P. I, tom. 3 Rer. Ital.
[822] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 13.
[823] Guillelmus Apulus, lib. 2 Poem.
[824] Bullarium Casinense, tom. 2, Constit. CI.
[825] Leo Ostiensis, lib. 3, cap. 16.
[826] Baron., in Annal. ad hunc annum.
[827] Leo IX, Epist. I, tom. 9 Concilior. Labbe.
[828] Petrus Damian., Opusc. 4.
[829] Continuator, Hermanni Contrac., in Chron.
[830] Petrus Damian., Opuscul. 4.
[831] Leo Ostiens., in Chron. lib. 3.
[832] Cardinal. de Aragon., in Vita Nicolai III.
[833] Continuator Hermanni Contracti, in Chron.
[834] Arnulf., Hist. Mediolan., lib. 3, cap. 5 et 6.
[835] Arnulfus et Landulfus Senior, Hist. Mediolan., tom. 6 Rerum
Italicar.
[836] Petrus Damian., Opusc. 5.
[837] Baron., Annal. Ecclesiast.
[838] Puricellius, Vita S. Arialdi.
[839] Guillel. Apulus, lib. 2 Poem.
[840] Antiquit. Ital., Dissertat. VI et XVII.


Anno di CRISTO MLX. Indizione XIII.
NICCOLÒ II papa 2.
ARRIGO IV re di Germania e d'Italia 5.

Fece il pontefice _Niccolò_ o sul fine del precedente, o sul principio
di questo anno, una scappata a Firenze, quando sussista una sua bolla in
favor delle monache di santa Felicita _VI idus januarii_, rapportata
dall'Ughelli[841]. Portatosi poi al monistero di Monte Casino, quivi
creò cardinal diacono _Oderisio_ figliuolo di Odecrisio conte di Marsi.
Depose _Angelo vescovo_ d'Aquino, e in luogo suo ordinò _Martino_ monaco
cassinense di nazion fiorentino. Anche _Pietro_, altro monaco di quel
monistero, di nazion ravennate, fu consecrato vescovo di Venafro e
d'Isernia. Ed allora fu, secondo Leone Ostiense[842] ch'egli creò duca
di Puglia, Calabria e Sicilia _Roberto Guiscardo_. Nulla altro di
rilevante, operato da questo valoroso pontefice nell'anno presente, è
giunto a nostra notizia, se non che egli andò al monistero di Farfa,
dove nel mese di luglio consecrò varii altari, e diede poi a quel sacro
luogo la conferma de' privilegii[843]. Intanto _Stefano cardinale_, da
lui spedito in Francia, tenne un concilio nella città di Tours[844],
dove alcuni canoni spettanti alla disciplina ecclesiastica furono
pubblicati. Per quanto s'ha da Guglielmo Pugliese[845], si scoprì forse
nell'anno presente una congiura di dodici conti contra del suddetto
Roberto Guiscardo, ordita spezialmente da Goffredo, Gocelino e
Abailardo, normanni nobili, tutti malcontenti di lui, perchè egli tutto
volea per sè. Abailardo, fra gli altri, nipote d'esso Roberto, non potea
sofferire di vedersi spogliato da esso suo zio degli Stati che erano di
Unfredo conte suo padre. De' congiurati chi fu preso, chi si salvò colla
fuga. Ma io non accerto che in quest'anno succedesse tale attentato,
perchè Guglielmo narra i fatti senza assegnarne il tempo. Sotto l'anno
presente bensì racconta il Malaterra[846] che i due fratelli Roberto
Guiscardo e Ruggieri, ansanti dietro alla conquista di Reggio, capitale
della Calabria, si portarono nel tempo di state all'assedio di quella
città. Resisterono un pezzo i Greci padroni, ma in fine a patti di buona
guerra si arrenderono, e quel presidio passò a Squillaci. Fu questo
castello assediato anch'esso, ed obbligato alla resa da Ruggieri. Nella
Cronichetta amalfitana[847] abbiamo di più: cioè che il Guiscardo
ridusse in suo potere anche la città di Cosenza, con che tutta la
Calabria venne sotto il dominio di lui, ed allora fu ch'egli, secondo il
suddetto Malaterra, prese il titolo di _duca_. Leone Ostiense[848] è del
medesimo sentimento, siccome dicemmo, con aggiugnere che il Guiscardo,
dopo la presa di Reggio, venne con tutte le sue forze in Puglia addosso
la città di Troia, e se ne impadronì. La Cronichetta d'Amalfi mette
prima alla presa di Troia, e poi della Calabria. Con questi sì
prosperosi successi camminava a gran passi la fortuna e il valore del
Guiscardo, e veniva mancando il dominio de' Greci in quelle parti.
Giovanni Curopalata[849], autore per altro poco conoscente, onde
scendesse Roberto Guiscardo confessa che dopo la perdita di Reggio altro
non restava in mano de' Greci che Bari, Idro, Gallipoli, Taranto,
Brindisi ed Hora, cioè, a mio credere, Oria, con altri castelletti. La
gloria nondimeno di tante conquiste de' Normanni in Calabria è dovuta in
parte a Ruggieri di lui fratello, altro eroe di quella nazione e
famiglia. Due bolle di papa Niccolò II, date nel mese di maggio
dell'anno presente, in conferma de' privilegii dell'insigne monistero
delle monache di santa Giulia di Brescia, si leggono nel Bollario
casinense[850]. Ho anch'io dato alla luce un documento[851], scritto
_anno ab Incarnatione Domini MLX, ipso die kalendas decembris,
Indictione XIII_, da cui apparisce che nella città di Firenze _ante
praesentia domni Nicolai papa sede sancti Petri romanensis ecclesiae, et
Ildibrandus abbas monisterio sancti Pauli_, Guglielmo conte
soprannominato Bulgarello restituisce alcune castella a Guido vescovo di
Volterra. Ma è da vedere, se questa carta appartenesse piuttosto al
primo dì di dicembre dell'anno precedente, in cui poteva e soleva anche
più ordinariamente correre l'_Indizione XIII_. Al vedere che
_Ildebrando_ è chiamato solamente _abbate di san Paolo_, potrebbe far
sospettare adoperato qui l'anno pisano.
NOTE:
[841] Ughellius, Ital. Sacr., tom. 3.
[842] Leo Ostiensis, Chronic., lib 3, cap. 15.
[843] Antiquit. Ital., Dissert. LXX.
[844] Labbe, Concil., tom. 9.
[845] Guilliel. Apul., lib. 2 Poem.
[846] Gaufrid. Malaterra, lib. 1, cap. 3.
[847] Antiquit. Ital., tom. 1, pag. 213.