Annali d'Italia, vol. 4 - 11

conquista della Sicilia, che da tanti anni languiva sotto la tirannia
de' Saraceni. La spedizione sua è narrata da Lupo Protospata con queste
parole[429]. _Despotus Nicus_ (forse _Andronicus_) _in Italiam descendit
cum ingentibus copiis Russorum, Wandalorum, Turcarum, Bulgarorum,
Brunchorum, Polonorum, Macedonum, aliarumque nationum ad Siciliam
capiendam. Captum est autem Rhegium, et ob civium peccata destructum est
a Vulcano catapano, et Basilius imperator obiit anno secundo._ Si dee
scrivere Constantinus, come osservò Camillo Pellegrini. La morte di
questo imperadore, succeduta nell'anno seguente a dì 9 di novembre, e la
peste entrata nell'esercito de' Greci mandò a male tutta quell'impresa.
_Oreste_ è chiamato da Cedreno il generale de' Greci, spedito, secondo
lui, in Sicilia, quand'anche era vivo Basilio Augusto. Sconvolse in
quest'anno la discordia la città di Venezia[430]. Perchè _Ottone
Orseolo_ doge non volle investire _Domenico Gradonico_ ossia _Gradenigo_
juniore, eletto vescovo di quella città, alzossi contra del doge una
potente fazione che il depose, e, tagliatagli la barba, il mandò in
esilio a Costantinopoli. _Orso_ patriarca di Grado suo fratello, siccome
sospetto, fu anche egli in tal congiuntura cacciato dalla sua sedia. In
luogo del bandito Ottone venne eletto _Pietro Barbolano_ ossia
_Centranico_. Ma poca quiete provò egli, parte perchè di tanto in tanto
si formavano delle sedizioni contra di lui, e parte perchè Poppone
patriarca di Aquileia, assistito dagli aiuti del re Corrado, infestava i
confini de' Veneziani. Anzi lo stesso Corrado, senza voler confermare
gli antichi patti, si mise anch'egli a perseguitare e danneggiar i
Veneziani. Secondo l'Anonimo casinense[431], _Pandolfo IV_ ritornato
libero dalle carceri di Germania, e andando dietro alla ricupera del suo
principato di Capoa, uniti tutti i suoi seguaci e fautori, ottenne anche
un rinforzo considerabile di armati da Boiano ossia Bugiano generale
dell'armi greche, e da _Guaimario III_ principe di Salerno, marito di
Gaitelgrima sua sorella. Ebbe anche dalla sua Rainulfo e Arnolfo capi
de' Normanni, e i conti di Marsi. Con questo sforzo di gente mise
l'assedio a Capoa, che durò, chi scrive sei mesi, e chi un anno e mezzo.
_Pandolfo_ conte di Tiano, giù creato principe di Capoa da Arrigo I
Augusto, finchè ebbe forza, difese la città; ma in fine la necessità il
costrinse a renderla. Affidato dal catapano de' Greci, insieme con
_Giovanni_ suo figliuolo e con tutti i suoi aderenti fu condotto a
Napoli, e lasciato in libertà. Così _Pandolfo IV_ tornò ad essere
principe di Capoa, e dichiarò suo collega nel principato _Pandolfo V_
suo figliuolo. Fu chiamato da Dio in quest'anno nel dì 30 di agosto a
miglior vita _Bononio_ abbate di Lucedio nella diocesi di Vercelli. Le
sue insigni virtù ed azioni di rara pietà, accompagnate da miracoli,
indussero _Arderico_ vescovo di Vercelli a riconoscerlo per santo: il
che fu anche approvato dal sommo allora pontefice Giovanni XIX. Nacque
Bononio in Bologna, e quivi nel monistero di santo Stefano per alquanti
anni visse monaco. La Vita di lui, scritta da autore contemporaneo, si
legge presso il padre Mabillone[432].
NOTE:
[420] Hermannus Contractus, in Chron.
[421] Arnulf., Histor. Mediolanens., lib. 2, cap. 2.
[422] Wippo, in Vit. Conradi Salici.
[423] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4.
[424] Bonincontr., Chronic. Modoet. tom. 12 Rer. Ital.
[425] Wibertus, Vita S. Leonis IX, lib. 1, cap. 7.
[426] Sillingard. Calalog. Episcop. Mutinens.
[427] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2.
[428] Bullar. Casinens.
[429] Lupus Protospata, in Chronico.
[430] Dandulus, in Chronico, tom. 12 Rer. Ital.
[431] Anonymus Casinensis, tom. 5 Rer. Ital. Leo Ostiensis, lib. 2, cap.
58.
[432] Mabill., Saecul. VI Benedict., P. I.


Anno di CRISTO MXXVII. Indizione X.
GIOVANNI XIX papa 4.
CORRADO II re di Germania 4, imperadore 1.

Nel febbraio dell'anno presente dovette muoversi il re Corrado alla
volta di Roma, dove, secondo i maneggi e il concerto seguito fra loro,
papa GIOVANNI XIX era per concedergli la corona imperiale. Un suo
diploma[433], dato probabilmente nel febbraio di quest'anno, benchè
manchi il mese e il giorno, ci fa vedere in _Verona_ appellato solamente
re lo stesso Corrado, cioè non per anche nomato imperadore. _Rinieri_
marchese di Toscana, per quanto ne lasciò scritto Wippone[434], con
tutta quella provincia, non avea voluto per anche riconoscerlo per re, e
stava forte nella ribellione. A quella volta marciò Corrado colla sua
armata, cioè con un possente esorcismo per costrignerlo all'ubbidienza.
Infatti Rinieri, dopo essersi tenuto chiuso in Lucca per pochi giorni,
vedendo la malparata, venne finalmente ad arrendersi. L'esempio di Lucca
e del marchese servì a ridurre in breve la Toscana tutta a suggettarsi.
Ci mancano documenti per conoscere se dopo questo fatto seguitasse il
marchese Rinieri a reggere la Toscana, oppure s'egli fosse deposto, e in
luogo di lui creato duca di Toscana _Bonifazio marchese_, padre
dell'inclita contessa Matilda. Inclino io a credere che Bonifazio
profittasse di tal congiuntura. Andossene dipoi Corrado a Roma, e quivi
nel mercordì santo con sommo onore e magnificenza fu accolto da papa
Giovanni e da tutti i Romani. Poscia _in die sancto Paschae, qui eo anno
VII calendas apriles terminabatur, a Romanis ad imperatorem electus_
(doveano dunque concorrere anche i Romani col papa all'elezion
dell'imperadore) _imperialem benedictionem a papa suscepit_,
_Caesar et Augustus romano nomine dictus_.
Ricevette eziandio la sacra unzione e coronazione la regina _Gisela_ sua
moglie, figliuola di _Erimanno_ duca di Alemagna. Fu quella gran
funzione onorata dalla presenza di due re, cioè di _Rodolfo III_ re di
Borgogna, e di _Canuto_ ossia _Cnuto_ re d'Inghilterra, in mezzo ai
quali l'Augusto Corrado se ne tornò al palazzo. Ma anche in Roma
succedette il medesimo che era avvenuto in Ravenna. Mi sia permesso il
dirlo, doveano ben essere allora indisciplinati, barbarie bestiali i
Tedeschi. Per ogni picciolo rumore correvano a far laghi di sangue, e
sfoggiavano nella crudeltà: dal che poi venne che si tirarono addosso
l'odio degl'Italiani, e ne stancarono la pazienza, siccome vedremo. Per
un vil cuoio di bue in un dì di quella settimana nacque contesa fra un
Romano e un Tedesco, e vennero ai pugni. Invece di spartirli, diede
all'armi tutto l'esercito imperiale, e i Romani anch'essi ricorrendo per
difesa alle armi loro, fecero una pazza resistenza; ma in fine convenne
loro dar alle gambe, _et innumerabiles ex illis perierunt_. Nel dì
seguente i così maltrattati Romani, _ante imperatorem venientes, nudatis
pedibus, liberi cum nudis gladiis, servi cum torquibus vimineis circa
collum, quasi ad suspensionem praeparati, ut imperator jussit,
satisfaciebant_. Queste furono le allegrezze e consolazioni de' Romani.
Se vogliam credere ad Arnolfo storico milanese di questo secolo[435],
accadde in occasione della stessa coronazione anche una rissa fra
_Eriberto arcivescovo_ di Milano ed _Eriberto arcivescovo_ di Ravenna.
Quest'ultimo arditamente si mise alla destra di Corrado. L'arcivescovo
di Milano, ciò veduto, e sentendo che il corteggio de' suoi Milanesi,
che era grande, incominciava a fare tumulto, e poteane succedere
scandalo, saviamente si ritirò. Accortosene Corrado, fermò il passo e
disse, che siccome toccava all'arcivescovo di Milano di dare la corona
al re d'Italia, per cui si saliva all'imperio; così convenevol cosa era
che quel medesimo presentasse il re al papa per ricevere dalle di lui
mani la corona imperiale; e però, tolta la man destra all'arcivescovo di
Ravenna, giacchè se ne era ito quel di Milano, per parere del pontefice
Giovanni XIX, fece supplire le di lui veci ad _Alderico vescovo_ di
Vercelli, suffraganeo dell'arcivescovo. Intanto i Milanesi, altercando
co' Ravennati, vennero con essi alle mani, e ne seguirono molte ferite,
e crebbe sì fattamente la mischia che lo stesso arcivescovo di Ravenna
fu obbligato a mettersi in salvo colla fuga. Da lì poi a pochi giorni in
un concilio tenuto dal papa fu deciso che l'arcivescovo di Ravenna
avesse da cedere la mano a quel di Milano. Lite nondimeno che non finì,
e noi la vedremo risorgere all'anno 1047. Abbiamo un diploma di Corrado
Augusto[436], in cui conferma tutti i suoi beni al monistero di Farfa,
dato _V kalendas martii, anno dominicae Incarnationis MXXVII, anno vero
domni Conradi regnantis III, imperii quoque I. Actum Romae_: il che
maggiormente ci assicura del tempo della sua coronazione. Ch'egli
abitasse fuori di Roma _in civitate leoniana_, si raccoglie da un suo
diploma, dato _nonis aprilis_ dell'anno presente, e da me tolto alle
tenebre[437].
L'attività di questo imperadore nol lasciò consumare inutilmente il
tempo in Roma. Però da lì a poco marciò egli coll'armata a Benevento e a
Capoa; ed esse città, coll'altre di quella contrada, _sive vi, sive
voluntaria deditione, sibi subjugavit_. Diede anche licenza ai Normanni
che si trovavano in quelle parti, di abitarvi, e difendere i confini dai
tentativi de' Greci. Ciò fatto, ritornò a Roma, e si avviò alla volta
dell'Alpi. Era egli in Ravenna nel dì 3 di maggio, e in Verona nel dì 24
di esso mese, come consta da due suoi diplomi pubblicati
dall'Ughelli[438], e da uno riferito dal padre Celestino nella Storia di
Bergamo. Tanto fece, che in questi viaggi ebbe nelle mani Tasselgardo
italiano, grande spogliator delle chiese e delle vedove; e colla sua
morte sopra un patibolo liberò non so qual provincia dagl'insulti di
costui. _Filii Taselgardi quondam comitis_ si veggono nominati all'anno
1029 nella Cronica del monistero di Farfa[439]. In uno strumento ancora
da me pubblicato[440], e scritto nell'anno 1045, si trova _Tesselgardus
comes filius bonae memoriae Tesselgardi comitis ex civitate Beneventi_.
Sembra che del medesimo personaggio si parli in tali memorie. Mentre
queste cose passavano in Italia, _Guelfo_ conte della Suevia, _dives in
praediis, potens in armis_, turbò la quiete della Germania.
Impadronitosi della città di Augusta, devastolla, e diede il sacco al
tesoro di quel vescovo. Oltre a _Corrado duca_ di Franconia, che faceva
di molti preparamenti, anche _Ernesto duca_ d'Alemagna ossia della
Suevia, benchè figliastro dell'imperadore, prese l'armi contra di lui.
L'arrivo di Corrado ad Augusta dissipò tutti i disegni di que' principi.
Guelfo, Ernesto e Corrado vennero all'ubbidienza, e colla prigionia e
coll'esilio di qualche tempo pagarono la pena della lor ribellione.
Racconta Wippone[441], che Corrado _per biennium omnes Ticinenses
afflixit, donec omnia quae precepit omni dilatione postposita
compleverunt_. Però si può credere che i Pavesi in quest'anno, indotti a
rifabbricar entro la lor città il palazzo regale, tornassero in grazia
dell'Augusto Corrado. Circa questi tempi, per quanto si raccoglie da
Arnolfo storico[442], venne a morte il vescovo di Lodi, e quel popolo,
secondo l'antico rito, elesse il successore. Ma Eriberto arcivescovo di
Milano, che in ricompensa delle tante fatiche e spese fatte per esaltare
l'imperador Corrado, e per potere signoreggiar egli sotto l'ombra di lui
in Lombardia, avendo fra gli altri privilegii ottenuto da esso Augusto
di poter dare a Lodi quel vescovo che gli piacesse, scelse e conservò
vescovo di quella città _Ambrosio_, uno de' suoi cardinali: che allora
molte chiese d'Italia, massimamente le maggiori, avevano i lor cardinali
al pari della chiesa romana. Sdegnati i Lodigiani per questa novità, che
era anche contra de' canoni, gli fecero la testa. Ma il feroce
arcivescovo, messa insieme un'armata, lor mosse guerra, prese
all'intorno le lor terre e castella, e portò l'assedio alla stessa città
di Lodi. Non potendo di meno que' cittadini, cedettero alla forza,
accettarono Ambrosio vescovo, il qual poscia fece ottima riuscita; ma di
là nacque un odio implacabile de' Lodigiani contra de' Milanesi, il qual
poscia partorì immense ruberie, incendii, e stragi per moltissimi anni
avvenire. Credesi che in questo anno terminasse i suoi giorni e le sue
mirabili fatiche san _Romoaldo_ abbate istitutore dell'ordine
camaldolese, in età di cento venti anni, come lasciò scritto san Pier
Damiano[443]. V'ha chi crede che il Damiano, autore avvezzo a credere e
spacciare il mirabile dappertutto, senza avvedersene abbia accresciuto
di troppo gli anni di questo santo. Ma intorno a ciò son da vedere le
dissertazioni camaldolesi del padre abbate Grandi, celebre letterato,
che dottamente ha esaminato questo punto[444]. S'ebbe a male _Pandolfo
IV_, dopo avere ricuperato il principato di Capoa[445], che _Sergio
duca_ di Napoli avesse dato ricovero nella sua città a Pandolfo di
Tiano, cioè al vinto emulo. E senza di questo, che non fa il mantice
dell'ambizione ne' potenti signori[446]? Quando men Sergio se
l'aspettava, eccoti Pandolfo colla sua armata volare all'assedio di
Napoli, e strignere talmente quella città, che l'obbligò alla resa.
Sergio ebbe maniera di fuggirsene; e Pandolfo di Tiano scappò anch'egli
a Roma, dove miseramente terminò i suoi giorni. A niuno de' principi
longobardi era mai riuscito nei secoli addietro di mettere il piede in
Napoli. Questa fu la prima volta, ma Pandolfo neppur egli potè
lungamente sostenere una tal conquista, siccome diremo. Nella Cronica
del Volturno[447] si vede che _Pandolfo IV_ e suo figliuolo _Pandolfo V_
contavano nel mese di marzo e di aprile dell'anno seguente 1028 l'_anno
primo ducatus neapolitani_.
NOTE:
[433] Antiquit. Ital., Dissert. XLV.
[434] Wippo, in Vit. Conradi Salici.
[435] Arnulfus, Mediolan. Hist., lib. 2, c. 3.
[436] Chron. Farfense, P. I, tom. 2, Rer. Ital.
[437] Antiquit. Italic., Dissert. LXV.
[438] Ughell., Ital. Sacr., tom. 5 in Episcop. Patav. et Veronens.
[439] Chronic. Farf. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[440] Antiquit. Italic., Dissert. XIX.
[441] Wippo, in Vit. Conradi Salici.
[442] Arnulf., Hist. Mediol., lib. 2, cap. 6.
[443] Petrus Damian., in Vita S. Romualdi.
[444] Grandi, Dissertationes Camaldulenses.
[445] Anonymus Casinensis, tom. 5 Rer. Ital.
[446] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 58.
[447] Chron. Vulturnense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.


Anno di CRISTO MXXVIII. Indizione XI.
GIOVANNI XIX papa 5.
CORRADO II re di Germania 5, imperadore 2.

Avea nell'anno precedente terminato il corso di sua vita _Arrigo duca_
di Baviera[448]; però l'_Augusto Corrado_ scelse per quel ducato la
persona più cara ch'egli avesse, cioè il suo stesso figliuolo _Arrigo_.
In quest'anno poscia gli procurò una maggior dosa d'onore, con farlo
eleggere re di Germania in età di soli undici anni. La sua coronazione
fu solennemente fatta in Aquisgrana nel dì 14 di aprile, cioè nel giorno
santo di Pasqua. Abbiam veduto di sopra che _Corrado duca_ di Franconia,
ossia di Wormacia, cugino dell'imperadore, restò escluso dal trono
imperiale. Da lì innanzi non si quietò giammai, e fece guerra contra
d'esso imperadore per più anni, ma con suo grave discapito. Alla perfine
l'Augusto Corrado, in riguardo massimamente della parentela, ed anche
per compensarlo dei danni a lui recati, perchè gli avea smantellate
tutte le sue fortezze, il rimise in sua grazia, gli restituì tutti i
suoi stati di Germania; e poi, siccome diremo all'anno 1035, gli fece
anche una considerabil giunta e regalo. Chi dopo la morte di _Ugo
marchese_ di Toscana, succeduta sul fine dell'anno 1001, succedesse a
lui nel governo del ducato di Spoleti e della marca di Camerino, e
reggesse quel paese fino a questi dì, non l'ho saputo finora discernere
per mancanza di documenti. Nelle giunte da me pubblicate alla Cronica
del monistero di Casauria[449], noi troviamo chi in quest'anno fosse
duca di Spoleti e marchese di Camerino, cioè un altro _Ugo_. Veggonsi
due placiti, tenuti l'uno nella città di Penna, e l'altro nella città di
Marsi, _anno ab Incarnatione Domini MXXVIII, et imperante domno Chonrado
gratia Dei imperatore Augusto, anno imperii ejus in Italia primo, et die
mensis januarii, per Indictionem X_. Nell'originale sarà stato _Indict.
XI_. Era presidente ad essi placiti _Ugo dux et marchio_. La pena
imposta ai trasgressori è di mille libbre d'oro ottimo, _medietatem ad
partem imperatoris, et medietatem ad partem praedicti sancti monasterii_
di Casauria: parole indicanti il dominio dell'imperadore in quella
contrada, e che per conseguente ivi si parla del ducato di Spoleti,
oppur della marca di Camerino, ossia di Fermo. Probabilmente questo Ugo
ebbe per padre _Bonifazio_ juniore duca di Spoleti, come ho
conghietturato altrove[450].
Circa questi tempi succedette quanto lasciò scritto Glabro storico[451],
benchè con qualche imbroglio di cronologia. Cioè in un castello,
appellato Monforte, nella diocesi d'Asti, pieno di molti nobili, s'era
introdotta un'eresia, con rinnovar i riti dei pagani e de' Giudei. Per
quel che dirò, furono costoro piuttosto manichei, giacchè questa mala
razza s'era di soppiatto molto prima introdotta in Italia e in Francia,
e pur troppo in tutti e due questi regni avea sparse di grandi radici
coll'andare degli anni. _Saepissime tam Mainfredus marchionum
prudentissimus, quam frater ejus Alricus, astensis urbis praesul, in
cujus scilicet dioecesi locatum habebatur hujusmodi castrum, ceterique
marchiones, ac praesules circumcirca creberrimos illis assultus
intulerunt._ Ciò che avvenisse di quel castello e di quegli eretici,
Glabro lo lasciò nella penna. Ma ne parla ben diffusamente Landolfo
seniore[452], storico milanese del presente secolo, con dire che
_Eriberto arcivescovo_ in questi tempi di Milano, trovandosi in Torino,
udì l'eresia degli abitanti del castello di Monforte. Fatto prendere un
di coloro, appellato Girardo, volle intendere da lui in che consistesse
la setta e credenza di quel popolo. Allegramente espose costui i suoi
dommi, e chiaro si scorge che era la eresia de' manichei. Allora
Eriberto spedì le sue milizie a quel castello, e fece prendere tutti
quanti quegli abitatori, e specialmente la contessa di quel luogo.
Fattili condurre a Milano, cercò tutte le vie di ridurli a ravvedimento,
ma in vece d'abiurare i loro errori, si misero a sedurre chiunque andava
a visitarli. Perciò fu loro intimata la morte, se non ritornavano alla
vera fede di Cristo. Alcuni, almeno in apparenza, la abbracciarono;
ostinati gli altri vivi furono bruciati. Ma giacchè abbiam parlato qui
di _Odelrico Magnifredo_, ossia _Manfredi_ marchese di Susa, da noi
altre volte menzionato, ed onorato da altri scrittori di questi tempi
coll'elogio di principe prudentissimo, bene sarà il ricordare ch'egli
fondò in quest'anno (come costa da uno strumento presso l'Ughelli[453])
il convento delle monache di santa Maria di Caramania, oggidì nella
diocesi di Torino, insieme con _Berta_ contessa sua moglie. Con queste
parole si veggono essi enunziati: _Nos in Dei nomine Odelricus, qui
miseratione Dei Magnifredus marchio scilicet nominatus, filius quondam
Magnifredi similiter marchionis, et Berta, auxiliante Deo, jugales,
filia quondam Auberti itemque marchionis_. Dal che si scorge che Berta
sua moglie fu figliuola del marchese _Oberto II_, progenitore della casa
d'Este. Hassi ancora all'anno seguente la fondazione fatta da questi due
piissimi consorti, e da _Alrico_ vescovo d'Asti, fratello d'esso
marchese, della badia di san Giusto di Susa[454], in cui si vede che
Berta avea per fratelli _Adalberto_ marchese, _Azzo_ ed _Ugo_, che
appunto si trovano in questi tempi figliuoli del suddetto marchese
Oberto II. Da _Azzo_ vengono i principi estensi.
NOTE:
[448] Annalista Saxo, Hermannus Contractus, in Chron.
[449] Chron. Casaur., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[450] Antiq. Ital. Dissert. VI, pag. 987, et Dissert. XV, pag. 855.
[451] Glaber, Hist., lib. 4, c. 2.
[452] Landulfus senior, Hist. Mediolan. lib. 2, cap. 27.
[453] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4.
[454] Antichità Estensi, P. I, cap. 13.


Anno di CRISTO MXXIX. Indizione XII.
GIOVANNI XIX papa 6.
CORRADO II re di Germania 6, imperadore 3.

Mordeva il freno _Sergio duca_ di Napoli, perchè cacciato fuori del suo
nido da _Pandolfo IV_ principe di Capua, e studiava tutte le vie di
rientrare in casa. Dopo due anni e mezzo ch'egli era esule[455], gli
venne fatto di ricuperare il suo principato, e per conseguente o sul
fine di quest'anno, oppur nell'anno seguente. Probabilmente gli
prestarono aiuto per mare i Greci, perchè Napoli fin qui s'era sempre
tenuta salda sotto la sovranità degl'imperadori d'Oriente, benchè i suoi
duchi, appellati anche maestri de' militi, godessero una piena signoria
in quella città e nelle sue dipendenze. Sembra anche certo che a tale
impresa concorressero in aiuto suo i Normanni, i quali andavano
crescendo in quelle contrade; gente che sapeva pescare nel torbido, e
seguitava senza scrupolo ora l'uno, ora l'altro di que' principi,
anteponendo sempre chi gli dava o prometteva di più. Nè mancavano a
Sergio dei partigiani nella stessa città di Napoli; e però ne tornò
felicemente in possesso. Si sa ch'egli donò un delizioso e fertile
territorio fra Napoli e Capoa (senza fallo per guiderdone del buon
servigio), ai Normanni con crear conte _Rainulfo_ capo de' medesimi, e
imparentarsi seco. Allora fu che i Normanni si diedero a fabbricar case
in quel sito che a poco a poco divenne una città chiamata _Aversa_, di
cui fu il primo conte il predetto Rainulfo, e che servì di baluardo da
lì innanzi contro la potenza de' principi di Capoa. Il trovarsi poi così
ben agiati e favoriti in Italia i Normanni, e la fama delle lor delizie
portata in Normandia, andava facendo venire di colà nuovi compagni nella
Campania a partecipar della fortuna e felicità de' lor nazionali.
Abbiamo da Lupo Protospata[456] che in quest'anno fu mandato in Italia
per catapano ossia generale de' Greci _Cristoforo_, e che _Bugiano_ con
_Oreste_ se ne tornò a Costantinopoli. Aggiugne il suddetto Cronista che
_mense julii venit Potho catapanus, fecitque pugnam cum Rayca in Baro_.
Tanto son corte queste memorie, che non si arriva a distinguere nè le
persone, nè le azioni succedute in que' paesi. Tuttavia assai traluce
dello Anonimo barense[457], che dopo la morte di Melo questo Rayca si
fece capo dei Pugliesi ribelli ai Greci. Abbiamo di nuovo sotto
quest'anno memoria di _Ugo marchese_, uno degli antenati della casa di
Este, in uno strumento dato alla luce dal Campi[458] e scritto colle
note seguenti: _Conradus gratia Dei imperator Augustus, anno imperii
ejus, Deo propitio, secundo, X kalendas februarii, Indictione XII_, che
indicano l'anno presente. Egli è quivi chiamato _Ugo marchio filius
bonae memoriae Oberti, qui fuit item marchio_. È magnifica la compra
ch'egli fa di una gran quantità di beni, ascendenti secondo la misura a
_diecimila iugeri_, che, secondo il Campi, danno _centoventimila
pertiche_. Fra questi beni posti ne' territorii di _Pavia_, _Piacenza_,
_Parma_ e _Cremona_, si contano varii castelli, rocche, corti e chiese,
che si trovano poi confermate nell'anno 1077 da Arrigo III, detto il IV,
alla casa d'Este. Così coll'una mano raunava questo principe delle
ricchezze, ma coll'altra ne faceva anche parte ai sacri luoghi.
Perciocchè in quest'anno appunto, oppure nel 1038, come vuole il Campi,
si osserva in un altro suo strumento[459] che egli dona alla cattedrale
di Piacenza due porzioni della decima di Portalbero, e la terza alla
chiesa di santa Maria _de ipso loco Portalbero_. Molt'altri effetti
della sua pietà e munificenza verso le chiese ci ha nascoso il tempo; ma
non ci è ignoto che egli magnificamente arricchì l'antica badia della
Pomposa, situata oggidì nel distretto di Ferrara, e governata dal
vivente allora _Guido_ abbate, uomo santo, di cui si è parlato di sopra.
Arrigo II fra gl'imperadori in un suo diploma, da me dato alla luce
nelle Antichità estensi, e scritto nel settembre dell'anno 1045, chiama
essa badia _ab Ugone marchione magnifice ditatam_, e le conferma
_quidquid sibi junior Ugo marchio filius Uberti dedit_. L'anno in cui
questo principe mancò di vita, è a noi ignoto. Probabilmente non molto
sopravvisse dopo l'anno presente. Ebbe moglie, ma non apparisce ch'egli
lasciasse dopo di sè figliuoli: laonde la sua eredità pervenne al
_marchese Alberto Azzo I_ suo fratello, se era vivo, oppure al _marchese
Alberto Azzo II_ suo nipote, del quale comincieremo a parlar da qui
innanzi. Fu di parere l'Ughelli[460], che _Eriberto arcivescovo_ di
Ravenna passasse a miglior vita nell'anno 1027. Non ne adduce alcuna
pruova. Ben certo è per uno strumento addotto da Girolamo Rossi[461],
che si truova in quest'anno, _anno quarto Johannis papae, imperante
Chuonrado anno tertio, die XI aprilis, Indictione XII_, arcivescovo di
quella città _Gebeardo_. In vece di _anno quarto_, avrà avuto la
pergamena _anno V_, oppure _VI_, e il Rossi per isbaglio avrà letto
_anno IV_. Egli stesso confessa, che nell'anno seguente 1030 a dì 6 di
giugno correva tuttavia l'_anno VI_ di papa Giovanni XIX. In un
documento, da me dato alla luce[462], torna a farsi vedere il marchese
di Susa _Odelrico Magnifredo_, ossia _Manfredi_, il quale si protesta
figliuolo di un altro _Magnifredo_ marchese. Di questo principe avremo
occasion di parlare in breve.
NOTE:
[455] Anonymus Casinens., tom. 5 Rer. Italic. Leo Ostiensis, lib. 2,
cap. 58.
[456] Lupus Protospata, in Chronico.
[457] Anonymus Barensis, Chron., tom. 5 Rer. Italic.
[458] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1 Append.
[459] Antichità Estensi, P. I, cap. 12.
[460] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2 in Archiepiscop. Ravenn.
[461] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 5.
[462] Antiquit. Ital., Dissert. VI, pag. 341.


Anno di CRISTO MXXX. Indizione XIII.
GIOVANNI XIX papa 7.
CORRADO II re di Germania 7, imperadore 4.

Insorse in quest'anno guerra fra l'_imperador Corrado_ e _Stefano_ primo
re d'Ungheria, principe santo, per colpa non già degli Ungheri, ma bensì
dei Bavaresi lor confinanti[463]. Mosse Corrado un potente esercito a
quella volta, e giunse fino al fiume Rab. Seguirono saccheggi ed
incendii sì nell'Ungheria che nella Baviera. Ma il buon re Stefano, a
cui non piaceva questa brutta musica, e che si trovava anche inferiore
di forze, con una ambasciata spedita al giovinetto re Arrigo dimandò
pace; e questi dall'Augusto Corrado suo padre l'ottenne. Circa questi
tempi _Pandolfo IV_ principe di Capoa, ingrato ai benefizii a lui
compartiti da Dio, tornò ad imperversar come prima contra del
nobilissimo monistero di Monte Casino, nulla curando che quel sacro
luogo fosse sotto l'immediata signoria e protezion degl'imperadori[464].
Chiamò a Capoa Teobaldo abbate con invito di gran benevolenza, e il
forzò a non partirsi da quella città. Si fece giurar fedeltà da tutti i
sudditi di quella badia, distribuì ai Normanni, allora suoi aderenti,
una parte delle castella dipendenti da esso monistero, e diede l'altra
in governo ad un certo Todino, uno de' famigli del monistero, che
aspramente cominciò a trattare i poveri monaci. In una parola fu ridotto
a tal miseria quel sacro luogo, che un giorno i monaci disperati presero
la risoluzione d'andarsene tutti in Germania a' piedi dell'imperadore
per implorar aiuto, e si misero in viaggio. Avvisato di ciò il suddetto
Todino, corse, e tante preghiere e promesse adoperò, che li fece tornare
indietro. Abbiamo dagli Annali pisani[465] che in quest'anno _in
Nativitate Domini Pisa exusta est_. Di simili incendii di città italiane
in questi secoli noi ne andremo trovando da qui innanzi non pochi. Non
erano allora molte d'esse città fabbricate colla durevolezza e pulizia
de' nostri tempi. Molto legname concorreva a farle, e in molti di quegli
edifizii duravano ancora i tetti coperti di paglia, siccome ho io
altrove accennato[466]. Però non è da stupire, se attaccato il fuoco in
un luogo, facilmente si diffondesse la fiamma sino a prendere la maggior
parte delle città. Abbiam parlato di sopra con lode di _Magnifredo_
marchese di Susa. Non si vuol ora tacere un fatto narrato dall'autore