Annali d'Italia, vol. 3 - 85
fosse ito alla guerra, e fra i combattenti avesse voluto far da prode
(il che non si può ora chiarire), non sarebbe un tal santo approvato
dalla Chiesa di Dio. Succedette questa campale sfortunata battaglia,
secondo Ditmaro, _III idus julii_, e senza fallo in questo anno, come
s'ha dai suddetti scrittori.
Indarno pretende il padre Gattola[2503] che _Landolfo IV_, principe di
Benevento fosse tuttavia vivente nel novembre dell'anno presente, e che
perciò si debba trasferire la battaglia suddetta, in cui egli perì,
all'anno seguente. Dee patire qualche difetto il diploma da lui addotto,
ed esso apparterrà all'anno precedente, potendosi raccogliere dai
documenti da me pubblicati nella Cronica del monistero di Volturno[2504]
che _Landenolfo_ suo fratello dopo il luglio dell'anno presente cominciò
a reggere il ducato di Benevento, e che per conseguente era mancato di
vita _Landolfo IV_. Scrisse il Sigonio[2505] che i Romani e Beneventani
tenendo davanti agli occhi le crudeltà esercitate in Roma da Ottone II,
sul principio di quel fatto d'armi decamparono, lasciando colla lor
ritirata esposto il rimanente dell'esercito cesareo alla disgrazia che
da lì a poco avvenne; laonde nell'anno seguente Ottone sfogò la sua
collera contro di Benevento con assediarlo, prenderlo, diroccarlo e
trasportarne il corpo di san Bartolomeo. Ma il Sigonio troppo
incautamente seguitò qui Gotifredo da Viterbo[2506], parlante della
crudeltà di Ottone, della presa di Benevento, e dell'asportamento del
sacro corpo suddetto: che son tutte fole mancanti affatto di verità. Se
_Landolfo IV_ principe di Benevento lasciò la vita in quella funesta
battaglia, come si può credere che i suoi l'abbandonassero? Anzi Ottone
conservò la sua grazia a quella città, contentandosi che _Aloara_ madre
d'esso Landolfo governasse da lì innanzi quel ducato unitamente con
_Landenolfo_ altro di lei figliuolo, i diplomi dei quali cominciano a
comparir da qui innanzi. Ora tornando all'_imperador Ottone II_, dacchè
egli vide sbaragliato e la maggior parte tagliato a pezzi dai Saraceni
l'esercito suo, cercò scampo dalla parte del mare[2507], e adocchiata
una galea, ossia grossa nave di Greci, venuta a raccogliere i tributi in
Calabria, spinse il cavallo nell'acqua, e fu da un soldato schiavone,
che il riconobbe, introdotto in essa. Datosi anche a conoscere
segretamente al capitan della nave, il pregò ed ottenne che gli
lasciasse spedire un messo all'imperadrice _Teofania_, perch'ella
manderebbe montagne di danaro e regali per riscattarlo. Stava essa
Augusta nella città di Rossano, patria di quel _Giovanni_ archimandrita,
che abbiam già veduto divenuto abbate di Nonantola. E ben informata di
quel che avesse ad operare, allorchè comparve la nave greca, fece uscir
di Rossano una gran frotta di giumenti tutti carichi di some, credute
piene d'oro e di regali preziosi. In alcune barchette, dove erano dei
bravi soldati vestiti da marinari, s'accostò alla nave greca _Teoderico
vescovo_ di Metz, per conchiudere il negozio e il cambio. Condotto sulla
proda l'Augusto Ottone, allorchè si trovò alla vista dei suoi, fidandosi
del suo ben saper nuotare, spiccò un salto, e lanciossi in mare, e
perchè volle ritenerlo per la veste uno dei Greci, si guadagnò da uno
dei soldati tedeschi una stoccata, che il fece cadere indietro, e mise
spavento a tutti gli altri, in guisa che l'imperadore nuotando, e
seguitato dalle barchette dei suoi, arrivò in salvo al lido. Rimasti i
Greci tutti confusi, se n'andarono con Dio, altro non portando seco che
un rimprovero alla lor balordaggine. Arnolfo, storico milanese del
secolo susseguente, vuole[2508] che i Greci restassero in altra guisa
burlati: cioè mostrò Ottone di voler seco la moglie colle sue damigelle,
assicurando che porterebbono un'immensa somma d'oro e d'argento con
loro. _Quumque foret permissum, viros adolescentes muliebriter
superindutos, subtus autem accinctos mucronibus cautissime venire
mandavit. Ubi vero ingressi sunt navem, illico irruentes in hostes,
evaginatis ensibus, indifferenter quosque trucidant. Interim saltu
percito prosiliens imperator in pelagus, natando evasit ad littus liber
et laetus. Unde terrefacti transiverunt hostes ad propria._ L'anonimo
scrittore della Cronica della Novalesa[2509] anch'egli parla di questo
fatto con alcun'altra circostanza. Giunto poscia l'Augusto Ottone a
Capua, per attestato di Leone Ostiense[2510], _firmavit principatum
relictae Pandulfi_ (Capodiferro) _principis Aloariae, et filio ejus
Landenulfo_: dal che si può scorgere chi fosse riconosciuto allora per
sovrano di quegli Stati. Comparirà all'incontro che dagl'imperadori
d'Occidente punto non dipendeva in questi tempi il popolo di Venezia;
perciocchè abbiamo la fondazione del nobile monistero di san Giorgio
nella città di Venezia, data alla luce dall'Ughelli[2511]. Vedesi
scritto quello strumento _anno ab Incarnat. Redemptoris nostri
DCCCCLXXXII, imperatoribus dominis Vasilio et Constantino fratribus
populo romano_ (questi ed altri simili sbagli son frequenti nell'Italia
sacra. Qui s'ha scrivere, come risulta dalla Cronica del Dandolo[2512],
_fratribus filiis quondam Romani imperatoris_) _magnis et pacificis
imperatoribus, anno autem imperii eorum post obitum Johannis Cimistei_
(scrivi _Zimiski_) _undecimo die XX decembris, Indictione XI. Rivoalti._
Appena ritornato dalla battaglia di Calabria sano e salvo in Germania il
sopra mentovato _Ottone duca_ di Baviera, quivi diede fine alla sua
vita. Il ducato dell'Alemagna ossia della Suevia toccò a
_Corrado_[2513], e quel della Baviera nell'anno seguente ad _Arrigo_
figliuolo di Bertoldo, essendo tuttavia in prigione il già deposto
_Arrigo_, cugino germano di Ottone II Augusto. Mancò di vita in
quest'anno _Giovanni duca_ di Napoli, per quanto s'ha da san Pier
Damiano[2514].
NOTE:
[2492] Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[2493] Ibidem, Dissert. LXIII.
[2494] Antiquit. Ital., Dissert. LXII.
[2495] Ibid., Dissert. V.
[2496] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 10.
[2497] Romualdus Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
[2498] Ditmarus, lib. 3.
[2499] Hermannus Contractus, in Chron.
[2500] Epidannus, in Chron.
[2501] Annalista Saxo.
[2502] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4, in Episcop. Vercellens.
[2503] Gattola, Histor. Monaster. Casinens.
[2504] Chronicon. Vulturni., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2505] Sigonius, de Regno Ital., lib. 7.
[2506] Gotifredus Viterbiens., in Panth.
[2507] Ditmarus, in Chron., lib. 3.
[2508] Arnulf., Hist. Mediolanens. tom. 4 Rer. Ital.
[2509] Chron. Novaliciense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2510] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 9.
[2511] Ughell., Ital. Sacr., t. 5, in Venet. Patriar.
[2512] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2513] Annalista Saxo.
[2514] Petrus Damian., Epist. V., cap. 13.
Anno di CRISTO DCCCCLXXXIII. Indiz. XI.
GIOVANNI XIV papa 1.
OTTONE III re di Germania e d'Italia 1.
Tenuto fu nell'anno presente un riguardevol placito in Roma, da me già
dato alla luce[2515], _anno pontificatus domni Benedicti summi pontifici
et universalis papae VII, anno nono sive domno Ottone II magno
imperatore suae coronationis quintodecimo anno, sed et hujus aprilis
mensis Indictione XI_. In vece di _quintodecimo_ avrebbe da essere
scritto _sextodecimo_, se pur qui si parla, come si avrebbe a parlare,
della coronazione romana. Il luogo placito fu _in basilica beati Petri
Apostolorum principis intro hospitale, in eo usualis est nominati papae
dormiendum_. Presedeva il pontefice _Benedetto_ con varii vescovi,
abbati ed uffiziali della Chiesa romana, coll'intervento di _Giriberto
vescovo_ di Tortona, e di _Pietro vescovo_ di Pavia; _is enim ambobus_
(come scrive quell'ignorante notaio) _per consensu pontifici, ac
jussione imperatoria, cura audiendi veritatem eo missi sunt_, stante
l'essere il monistero di Subiaco litigante con quel della Cava, sotto la
protezion dell'imperadore. Fu ivi sentenziato in favore dei monaci di
Subiaco. Intanto abbiamo da Sigeberto[2516], che trovandosi tutti i
baroni di Germania e d'Italia afflitti e costernati per la rotta loro
data dai Greci e Saraceni in Calabria, _sola imperatrix_ (_Theophania_)
_feminea et graeca levitate insultabat eis, quod ab exercitu suae
nationis victi essent Romani: ac per hoc caepit primatibus exosa
haberi._ All'incontro l'Augusto Ottone non capiva in sè stesso per la
rabbia e pel dispetto del danno ed affronto recatogli dai suddetti suoi
nemici, ed altro non ruminava che le maniere di farne una sonora
vendetta[2517]. Venne dunque a Verona con pensiero di metter insieme un
più poderoso esercito. A questo fine intimò una dieta generale della
Germania e dell'Italia in essa città di Verona. Nel testo di Ditmaro si
legge che _anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXVIII imperator Veronae
placitum habuit_. Ma si dee scrivere _DCCCCLXXXIII_. Così ancora ha
l'Annalista sassone[2518], che fedelmente va copiando Ditmaro. In essa
dieta _filius imperatoris_ (cioè _Ottone III_ fanciullo in età di circa
quattro anni) _ab omnibus in dominum eligitur_. Ma perciocchè egli non
ricevette allora la corona del regno d'Italia, però si truovano molti
atti pubblici da lì innanzi senza il suo nome. Fu in questa occasione
che si fecero e pubblicarono le leggi di Ottone II, aggiunte alle
longobardiche; giacchè continuava il costume che i re e gl'imperadori
non promulgavano leggi senza saputa e consentimento degli stati. Dalla
prefazione d'esse abbiamo[2519] che intervenne a quella dieta _cum
omnibus Italiae proceribus_ anche _Corrado re_ di Borgogna, zio materno
di esso Ottone II Augusto, chiamato, come si può credere, affinchè egli
pure contribuisse soccorsi per la gran guerra che si meditava di fare
contra de' Greci e Saraceni. Strane ben compariscono quelle leggi agli
occhi nostri oggidì, e s'hanno con tutta ragion da riprovare; ma in que'
secoli d'ignoranza e di barbarie sembrano non solo giuste, ma
necessarie. Secondo le precedenti leggi, qualora veniva prodotto qualche
strumento o testamento comprovante l'acquisto di beni, se mai da
contrarii litiganti veniva rigettato come falso, bastava che chi
l'allegava in suo favore giurasse, toccati i santi Vangeli, che esso
strumento era legittimo e vero, per ottener tosto sentenza favorevole
dai giudici: tanta era la venerazione che si aveva al giuramento. Ma in
pratica se ne provavano dei pessimi effetti. Abbondavano in que' tempi i
falsarii, che imbrogliano anche oggidì il criterio degli eruditi con
certe carte e diplomi che restano negli archivii. Abbondavano del pari
le persone di buono stomaco, alle quali nulla costava il prendere un
giuramento falso. Massiccio dunque era il disordine in pregiudizio dei
giusti acquirenti o possessori di beni. Fin l'anno 962 ad _Ottone I_
Augusto ne fu dato richiamo dai principi d'Italia nel concilio romano.
Per consiglio d'esso Ottone e del papa, se ne differì il rimedio al
concilio che si celebrò nel 967 in Ravenna. Ma neppur ivi si venne a
risoluzione alcuna, _ob quorumdam principum absentiam_: tanto è vero ciò
ch'io diceva del necessario lor consenso per le leggi. Nella dieta
dunque tenuta in quest'anno in Verona, si rimediò ad un tale sconcerto,
ma con un rimedio peggior del male. Cioè fu determinato, che se taluno
accusasse altrui di carte, titoli o giuramenti falsi, si decidesse la
controversia col _duello_; senza badare che il _duello_ è un tentar Dio,
e un mezzo sproporzionato ed infedele per iscoprir la verità delle cose,
e che si dava ai più forti il comodo di occupar facilmente le sostanze
dei men forti. Ma non le conoscevano allora queste verità, quantunque
alla stessa dieta non mancasse un gran numero di vescovi ed abbati, per
la persuasione, in cui erano, che Dio, come protettore della verità e
dell'innocenza, la dichiarasse nel duello, chiamato perciò giudizio di
Dio.
Il tempo della dieta di Verona dovrebbe essere stato il giugno dell'anno
presente, giacchè un diploma di _Ottone II_ Augusto in favore della
chiesa di Liegi, rapportato dal padre Martene[2520], e dato _XVII
kalendas julii, anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXXIII, Indictione XI
anno vero regni secundi Ottonis XXV, imperii autem XV. Actum Veronae._
L'anno dell'imperio ha da essere il _XVI_; l'anno del regno non so come
possa essere il _XXV_. E ne dubiterò, finchè mi si mostri un'epoca, da
me non conosciuta fin qui, ed anche ignota al chiarissimo padre don
_Gotifredo abbate_ gotwicense[2521], che diligentemente tratta delle
epoche degli Augusti tedeschi. Vero è nondimeno che di sopra ne abbiam
veduto due altri simili esempli. Ci farà un altro diploma intendere dove
passasse l'imperadore Ottone dopo la dieta di Verona. Questo è
confermatorio dei beni del monistero di santa Maria _in Palatiolo_ di
Ravenna[2522], e con tale autorità formato, che abbastanza indica il
dominio d'esso Augusto in quella città. Fu esso dato _pridie idus julii,
anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXXIII, Indictione XI, regni vero
domni secundi Ottonis XXVI, imperii quoque ejus XVIII_ (dee essere
_XVI_). _Actum Ravennae._ Ma prima di congedarsi da Verona, svegliò
l'Augusto Ottone dei pensieri sdegnosi contra dei Veneziani, a cagion
dell'uccisione del loro doge _Pietro Candiano_. Attesta nondimeno il
Dandolo[2523], che avendo spedito _Tribuno Memmo_ doge alcuni
ambasciatori a Verona in quest'anno, il placò, e ne riportò la conferma
dei patti. Ho io dato alla luce[2524] il diploma d'essi patti, fatto
dallo stesso Augusto ad esso Tribuno doge, dove son distinte le terre
sottoposte al doge di Venezia da quelle del regno d'Italia. Merita
osservazione di dirsi da esso imperadore: _Ili sunt ex nostro scilicet
jure: Papienses, Mediolanenses, Cremonenses, Ferrarienses, Ravennates,
Comaclenses, Ariminenses, Pisaurienses, Cesenatenses, Fanenses,
Senogallienses, Anconenses, Humanenses, Firmenses, et Pinnenses,
Veronenses, Gavallenses, Vicentinenses, Montesilicenses, Paduanenses,
Tervisianenses, Cenetenses, Forojulienses, Istrienses, et cuncti in
nostro italico regno._ Poi seguita ad annoverare i popoli dipendenti dal
doge di Venezia. E perciocchè egli non distingue punto dal resto delle
città del regno _Ravenna_, _Ferrara_, _Comacchio_, ec., segno è ch'erano
in questi tempi incorporate nel regno di Italia, nè sussistesse che
Ottone I Augusto avesse restituito l'esarcato ai papi ed aver egli
perciò fabbricato il palazzo regale presso a Ravenna, come s'è veduto di
sopra. Ma non andò molto che i Caloprini ed altri nobili veneti, nemici
dei Morosini, si portarono a Verona, ed insinuarono ad Ottone Augusto la
maniera di sottomettere Venezia all'imperio suo, con esibirgli anche
Stefano Caloprino una buona somma d'oro, se il dichiarava poscia doge.
Di più non ci volle, perchè l'imperadore, pieno di mal talento contra
chiunque dipendeva dai greci Augusti, vietasse con pubblico bando a
tutte le terre del suo imperio e regno di portar da lì innanzi
vettovaglie a Venezia, e ai Veneziani di metter piede nelle terre
dell'imperio. Il popolo ancora di Capodargere si ribellò ad essi
Veneziani, e si diede all'imperadore, con riconoscere da lui Loreo ed
altri siti. Inoltre il vescovo di Belluno occupò varii beni del veneto
dominio. Allora fu che _Tribuno doge_ fece dirupar le case di tutti que'
cittadini che erano ricorsi all'imperadore, e mettere in prigione le
mogli e i figliuoli loro. Male e peggio sarebbe andata pe' Veneziani, se
non succedeva colla morte di Ottone un gran cambiamento di cose. Ma
avanti di narrar questa morte, conviene accennare che esso imperadore
andò prima a Pavia, dove _IX kalendas septembris prope fluvium Ticinum_
diede un diploma al monistero di Volturno[2525]. Di là passò nei
principati di Benevento e Capua. L'autore della Cronica di Casauria
scrive[2526] che _anno ab Incarnatione Domini DCCCCLXXXIII, Indictione
XI, quum domnus Otto secundus imperator in Apuliam profectus, et Ottone
filio suo coronato_ (ma non sì presto) _apud Varim_ (cioè Bari)
_civitatem maneret, Johannes Pinnensis episcopus, ec._ Ma forse v'ha
dell'errore. Veggasi il Giudicato nelle giunte alla Cronica suddetta. Ci
somministra ancora la Cronica del Volturno due altri diplomi del
medesimo Augusto in favore di quel monistero, amendue dati _II iduarum
novembrium anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXXIII, Indictione XI,
regni vero domni secundi Ottonis XXVI, imperii quoque ejus XVI. Actum
Capuae_. Ma forse questi son da riferire all'anno precedente. Ancor qui
abbiamo l'anno _XXVI_ del regno. Negli originali talmente sarà stato
scritto _XXIII_, che i copisti l'abbiano, siccome è facile, preso per
_XXVI_. Veggonsi in essa Cronica volturnense altri diplomi che servono
alla correzione di questi medesimi documenti. Anzi il cardinal
Baronio,[2527] riferendo questo diploma, legge _anno XXIII_.
Ora tutti questi movimenti di Ottone II Augusto erano per unire un
formidabil esercito da condurre specialmente contro de' Saraceni.
Pensava infino di andarli a trovare in Sicilia. _Disponens_ (scrive
Arnolfo milanese[2528]), _aequoreas undas potestative cum omni
transmeare Italia, per universum regnum dilatat militandi praeceptum_.
Altrettanto abbiamo da Leone ostiense[2529]. E lo storico Epidanno[2530]
aggiugne una diceria del volgo: cioè ch'egli intendeva di fare un ponte
sullo stretto della Sicilia, per passare in quell'isola, come altrove
fece Dario (vuol dire Serse) re di Persia per portare la guerra in
Grecia. Ma venuto esso imperadore a Roma sul principio di dicembre,
quivi infermatosi (chi immagina per afflizion d'animo, e chi per ferita
mal curata), diede fine ai suoi giorni. Abbiamo da Ditmaro[2531],
ch'egli, sentendo avvicinarsi il suo fine, fece quattro parti del suo
tesoro: la prima per le chiese; la seconda ai poveri; la terza a
_Matilda_ sua sorella, badessa piissima di Quidelinburg, e la quarta
agli afflitti suoi cortigiani: _Factaque latialiter_ (cioè in lingua
latina o romana) _confessione coram apostolico, ceterisque coepiscopis
atque presbyteris, acceptaque ab eis optata remissione, VIII idus
decembris ex hac luce subractus est, terraeque commendatus, ubi
introitus orientalis paradisi domus sancti Petri cunctis patet
fidelibus, et imago dominica honorabiliter formata venientes quosque
stans benedicit_. Leone ostiense aggiunge che il corpo suo fu seppellito
_in labro porphyretico_, che durava tuttavia a' tempi del cardinal
Baronio insieme coll'immagine del Salvatore nell'atrio della basilica
vaticana. Questo sepolcro di porfido fu poi levato da Paolo V pontefice
a cagion della fabbrica nuova. Così la morte sul più bel fiore dell'età
troncò la vita e le imprese meditate da questo principe, che prometteva
di uguagliar la gloria del padre, se più lungo fosse stato il corso de'
suoi giorni. L'autore della vita di santo Adalberto[2532] gli dà la
taccia di molta ambizione e di poco senno. Aveva egli, alquante
settimane prima, inviato in Germania l'unico suo figliuolo _Ottone III_,
per quivi ricevere la corona del regno germanico. In fatti, secondo la
testimonianza di Ditmaro, _in die proximi Natalis Domini ab Johanne
archiepiscopo ravennate, et a Willigiso moguntino, in regem consecratur
Aquisgrani_. È notabile che l'arcivescovo di Ravenna facesse la prima
figura in quella solenne funzione. La Cronica d'Ildesheim dice[2533]
ch'egli _per unctionem Johanni ravennatis archiepiscopi in die natalis
Dominis unctus est in regem_. Ma appena terminata la gran festa, eccoli
arrivar la nuova della morte dell'Augusto suo padre, che tutte sturbò
quelle allegrezze. Che in quest'anno ancora giugnesse al fin di sua vita
_Benedetto VII_ sommo pontefice, e gli succedesse _Giovanni XIV_,
verisimilmente lo persuaderan le ragioni che addurrò all'anno seguente.
Fu discacciato in quest'anno dai Salernitani _Mansone_ lor principe con
_Giovanni I_ di lui figliuolo, e in luogo di essi fu creato principe di
Salerno _Giovanni II_, figliuolo di Lamberto, forse della schiatta degli
antichi duchi di Spoleti.
NOTE:
[2515] Antiquit. Ital., Dissert. VII.
[2516] Vita S. Adalberti, in Actis Sanct., ad diem 23 aprilis.
[2517] Ditmarus, in Chron.
[2518] Annalista Saxo, apud Eccardum.
[2519] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2520] Marthene, Veter. Scriptor., tom. 1.
[2521] Chron. Gotwicense, tom. 1, lib. 2, cap. 4.
[2522] Bullar. Casinens., lib. 2, Constit. LXII.
[2523] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2524] Piena Esposizione, pag. 125.
[2525] Chronic. Vulturnense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2526] Chronic. Casauriense, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2527] Baron., in Annal. Eccl.
[2528] Arnulf. Mediolan., lib. 1, cap. 9.
[2529] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 9.
[2530] Epidannus, in Chron.
[2531] Ditmarus, in Chron.
[2532] Vita II S. Adalberti, in Actis Sanctor. ad diem 23 april.
[2533] Annal. Hildeshemenses.
Anno di CRISTO DCCCCLXXXIV. Indiz. XII.
GIOVANNI XIV papa 2.
OTTONE III re di Germania e Italia 2.
Fu susseguita la morte di _Ottone II_ imperadore da gravissimi sconcerti
nella Germania[2534]. Venne fatto da _Arrigo II_, già duca di Baviera,
figliuolo di _Arrigo I_, cioè di un fratello di _Ottone il Grande_, di
uscir di prigione, oppure di tornar dall'esilio in cui si trovava. Aveva
il defunto Ottone II Augusto raccomandato il suo tenero figliuolo
_Ottone III_ alla cura di _Guarino arcivescovo_ di Colonia; ma entrato
Arrigo duca in quella città, con pretendere che a lui spettasse, secondo
le leggi, la tutela del re fanciullo, glielo levò dalle mani. La mira
nondimeno d'esso Arrigo era di occupare per sè la corona del regno
germanico: al qual fine si guadagnò con assai regali non pochi principi
e grandi di quelle contrade, e quei massimamente che l'imperadrice
_Teofania_ colle sue imprudenti doglianze avea disgustato. Non finì la
faccenda, che nel dì di Pasqua in Quidilingeburg, dove era concorsa gran
folla di baroni, si fece esso Arrigo dai suoi parziali proclamare re di
Germania. Dallo Struvio[2535] è chiamato questo Arrigo _Henricus Henrici
rixosi filius_: se con ragione, lascerò deciderlo agli eruditi tedeschi.
Dimorava tuttavia in Roma l'Augusta _Teofania_, afflittissima per la
perdita del consorte, quando gli arrivò l'amaro avviso del miserabile
stato in cui si trovava anche il re Ottone suo figliuolo. Volò per
questo a Pavia a trovar l'imperadrice _Adelaide_ suocera sua, lasciata
già dal figliuolo al governo di quella città e della Lombardia. Colle
lagrime deplorarono amendue le disavventure della loro augusta casa;
poscia senza perdersi d'animo passarono in Germania, dove si misero alla
testa di quanti stavano tuttavia fedeli al loro figliuolo e nipote.
Dichiararonsi ancora in loro favore[2536] _Lottario re_ di Francia e
_Corrado re_ di Borgogna, tuttochè _Gisla_ figliuola di Corrado fosse
maritata col suddetto Arrigo duca. Prevalse in fatti il partito di
Ottone III, e si venne ad una convenzione, per cui _III kalendas julii_
fu da esso Arrigo consegnato il re fanciullo all'Augusta Teofania sua
madre. In questo mentre nel dì 10 di luglio dell'anno presente, se
vogliamo riposar sull'asserzione del cardinal Baronio e del padre Pagi,
terminò il corso di sua vita _Benedetto VII_ papa, per quanto si ricava
dall'epitaffio suo, rapportato da esso cardinale annalista. Fu in suo
luogo sustituito _Pietro vescovo_ di Pavia, che assunse il nome di
_Giovanni XIV_. Egli era stato in addietro arcicancelliere
dell'imperadore Ottone II, e il suo nome s'incontra nei diplomi di lui,
da me accennati negli anni precedenti. Ma a me sembra assai più
probabile che nell'anno precedente seguisse la vacanza della Chiesa
romana. Vero è che i diplomi del monistero volturnense ci rappresentano
nel novembre del 985 _Pietro vescovo_ di Pavia, che fu poi papa Giovanni
XIV, tuttavia arcicancelliere di Ottone II. Ma non son documenti per
conto delle note cronologiche assai sicuri. E che essi appartengano
all'anno 982, ne può fare la spia l'_indizione XI,_ perchè nel novembre
dell'anno 983, secondo l'osservazione del cardinal Baronio dovea essere
la XII. Per conto poi dell'epitaffio di _Benedetto VII_ converrebbe
esaminare, se veramente sia fattura di autore contemporaneo, e non dei
tempi posteriori, come io sospetto, e se venga riferita la di lui morte
all'_indizione XII_ con sicurezza dal marmo, e non già da qualche copia
trovata nei manuscritti. Le ragioni ch'io ho di diversamente credere,
son queste. L'Annalista sassone[2537] presso l'Eccardo, e il Cronografo
sassone[2538] presso il Leibnizio scrivono all'anno presente 983, che
Ottone II dopo la dieta di Verona _Romam revertitur, ac domnum
apostolicum digno cum honore romanae praefecit Ecclesiae_. Questo non si
può intendere se non di _Pietro vescovo_ di Pavia, alzato al pontificato
col nome di _Giovanni XIV_. Sembra anche difficilissimo che il clero e
popolo romano, liberato dalla soggezione di Ottone II Augusto rapito
dalla morte, fosse concorso ad eleggere papa un vescovo straniero; ma
ciò fu ben facile, essendo tuttavia vivo e presente in Roma lo stesso
Ottone. Aggiungasi, vedersi citata dal cardinal Baronio[2539] una
memoria tuttavia esistente in marmo, e scritta _tempore Johannis XIIII
papae, mense februario, Indictione XII, anno dominicae Incarnationis
DCCCCLXXXIIII_. Adunque nel febbraio di quest'anno era già creato papa
_Giovanni XIV_, e per conseguente possiam presumere l'assunzione sua al
trono pontifizio succeduta nell'anno precedente. Strana cosa è che il
cardinal Baronio, lavorando sul supposto, che in quest'anno 984
_Benedetto VII_ morisse, e gli succedesse _Giovanni XIV_, facesse a
questa tavola di marmo la seguente annotazione: _Sed mendose nonnihil,
ut manifeste appareat, loco anni octogesimi quarti legendum octogesimi
quinti, et loco Indictionis duodecimae, legendum decimae tertiae, ut
convenire Johannis papae sedis tempori possit_. Anzi nulla si ha da
mutare, e da questo contemporaneo ed autentico monumento si ha, per lo
contrario, da inferire che l'epitaffio di _Benedetto VII_ papa fu
composto dai monaci, riconoscenti la fondazione del lor monistero da
esso papa, molti anni dappoi, e perciò fallace in assegnar l'anno
preciso della sua morte.
Ma dopo nove mesi di pontificato finì sua vita papa _Giovanni XIV_, e
dall'epitaffio, rapportato dal cardinal Baronio (se pure ricavato fu dal
marmo e non dai manoscritti), si raccoglie che la sua morte avvenne nel
dì _XX d'agosto_. Ma se quest'epitaffio era in san Pietro, chieggo io,
perchè nol rapportasse Pietro Mallio[2540], il quale tanti secoli prima
raccolse le memorie della basilica vaticana, e nol conobbe punto e nol
riferì? Secondo i conti d'esso Baronio, questo papa Giovanni morì
nell'anno susseguente; secondo i miei nel presente. L'autore della
Cronica del Volturno[2541], cioè Giovanni monaco, il quale fiorì nel
secolo susseguente, scrive così nel catalogo posto avanti alla sua
Cronica: _Johannes XIV papiensis annos (scrivi menses) IX. Iste in
castello sancti Angeli retrusus, famis crudelitate necatus est anno
DCCCCLXXXIV, Indictione XII_. Ermanno Contratto[2542] racconta così
orrenda iniquità di questi tempi colle seguenti parole: _Anno 984. Romae
Johannes XIV, qui et Petrus Papiae prius episcopus, sedit mensibus VIII,
eumque Bonifacius Verrucii_ (o Ferrucii) _filius, prius relegato
Benedicto, male ordinatus, de Constantinopoli quo fugerat, reversus,
comprehendit, et in castellum sancti Angeli relegatum fame, et ut
perhibent, veneno enecuit, atque sedem invasit_. Però da quest'anno non
s'avrebbe da rimuovere la morte di _Giovanni XIV_. Già abbiamo veduto
all'anno 974, che _Bonifazio_ figliuolo di Ferruccio, mostro d'iniquità,
dopo avere a forza di sacrilegii e di crudeltà occupata la cattedra di
san Pietro, costretto a fuggirsene, ricoverossi in Costantinopoli, seco
portando il tesoro di san Pietro. Appena costui ebbe intesa la morte di
Ottone II che il teneva in briglia, celatamente sen venne a Roma, e
colla fazione de' suoi parziali preso papa _Giovanni XIV_, il fece più
che barbaramente morir di fame o di veleno in castello sant'Angelo, ed
esporre il suo cadavere alla vista del popolo, deploratore di sì indegno
spettacolo. Poscia questo tiranno di nuovo si assise sul trono
(il che non si può ora chiarire), non sarebbe un tal santo approvato
dalla Chiesa di Dio. Succedette questa campale sfortunata battaglia,
secondo Ditmaro, _III idus julii_, e senza fallo in questo anno, come
s'ha dai suddetti scrittori.
Indarno pretende il padre Gattola[2503] che _Landolfo IV_, principe di
Benevento fosse tuttavia vivente nel novembre dell'anno presente, e che
perciò si debba trasferire la battaglia suddetta, in cui egli perì,
all'anno seguente. Dee patire qualche difetto il diploma da lui addotto,
ed esso apparterrà all'anno precedente, potendosi raccogliere dai
documenti da me pubblicati nella Cronica del monistero di Volturno[2504]
che _Landenolfo_ suo fratello dopo il luglio dell'anno presente cominciò
a reggere il ducato di Benevento, e che per conseguente era mancato di
vita _Landolfo IV_. Scrisse il Sigonio[2505] che i Romani e Beneventani
tenendo davanti agli occhi le crudeltà esercitate in Roma da Ottone II,
sul principio di quel fatto d'armi decamparono, lasciando colla lor
ritirata esposto il rimanente dell'esercito cesareo alla disgrazia che
da lì a poco avvenne; laonde nell'anno seguente Ottone sfogò la sua
collera contro di Benevento con assediarlo, prenderlo, diroccarlo e
trasportarne il corpo di san Bartolomeo. Ma il Sigonio troppo
incautamente seguitò qui Gotifredo da Viterbo[2506], parlante della
crudeltà di Ottone, della presa di Benevento, e dell'asportamento del
sacro corpo suddetto: che son tutte fole mancanti affatto di verità. Se
_Landolfo IV_ principe di Benevento lasciò la vita in quella funesta
battaglia, come si può credere che i suoi l'abbandonassero? Anzi Ottone
conservò la sua grazia a quella città, contentandosi che _Aloara_ madre
d'esso Landolfo governasse da lì innanzi quel ducato unitamente con
_Landenolfo_ altro di lei figliuolo, i diplomi dei quali cominciano a
comparir da qui innanzi. Ora tornando all'_imperador Ottone II_, dacchè
egli vide sbaragliato e la maggior parte tagliato a pezzi dai Saraceni
l'esercito suo, cercò scampo dalla parte del mare[2507], e adocchiata
una galea, ossia grossa nave di Greci, venuta a raccogliere i tributi in
Calabria, spinse il cavallo nell'acqua, e fu da un soldato schiavone,
che il riconobbe, introdotto in essa. Datosi anche a conoscere
segretamente al capitan della nave, il pregò ed ottenne che gli
lasciasse spedire un messo all'imperadrice _Teofania_, perch'ella
manderebbe montagne di danaro e regali per riscattarlo. Stava essa
Augusta nella città di Rossano, patria di quel _Giovanni_ archimandrita,
che abbiam già veduto divenuto abbate di Nonantola. E ben informata di
quel che avesse ad operare, allorchè comparve la nave greca, fece uscir
di Rossano una gran frotta di giumenti tutti carichi di some, credute
piene d'oro e di regali preziosi. In alcune barchette, dove erano dei
bravi soldati vestiti da marinari, s'accostò alla nave greca _Teoderico
vescovo_ di Metz, per conchiudere il negozio e il cambio. Condotto sulla
proda l'Augusto Ottone, allorchè si trovò alla vista dei suoi, fidandosi
del suo ben saper nuotare, spiccò un salto, e lanciossi in mare, e
perchè volle ritenerlo per la veste uno dei Greci, si guadagnò da uno
dei soldati tedeschi una stoccata, che il fece cadere indietro, e mise
spavento a tutti gli altri, in guisa che l'imperadore nuotando, e
seguitato dalle barchette dei suoi, arrivò in salvo al lido. Rimasti i
Greci tutti confusi, se n'andarono con Dio, altro non portando seco che
un rimprovero alla lor balordaggine. Arnolfo, storico milanese del
secolo susseguente, vuole[2508] che i Greci restassero in altra guisa
burlati: cioè mostrò Ottone di voler seco la moglie colle sue damigelle,
assicurando che porterebbono un'immensa somma d'oro e d'argento con
loro. _Quumque foret permissum, viros adolescentes muliebriter
superindutos, subtus autem accinctos mucronibus cautissime venire
mandavit. Ubi vero ingressi sunt navem, illico irruentes in hostes,
evaginatis ensibus, indifferenter quosque trucidant. Interim saltu
percito prosiliens imperator in pelagus, natando evasit ad littus liber
et laetus. Unde terrefacti transiverunt hostes ad propria._ L'anonimo
scrittore della Cronica della Novalesa[2509] anch'egli parla di questo
fatto con alcun'altra circostanza. Giunto poscia l'Augusto Ottone a
Capua, per attestato di Leone Ostiense[2510], _firmavit principatum
relictae Pandulfi_ (Capodiferro) _principis Aloariae, et filio ejus
Landenulfo_: dal che si può scorgere chi fosse riconosciuto allora per
sovrano di quegli Stati. Comparirà all'incontro che dagl'imperadori
d'Occidente punto non dipendeva in questi tempi il popolo di Venezia;
perciocchè abbiamo la fondazione del nobile monistero di san Giorgio
nella città di Venezia, data alla luce dall'Ughelli[2511]. Vedesi
scritto quello strumento _anno ab Incarnat. Redemptoris nostri
DCCCCLXXXII, imperatoribus dominis Vasilio et Constantino fratribus
populo romano_ (questi ed altri simili sbagli son frequenti nell'Italia
sacra. Qui s'ha scrivere, come risulta dalla Cronica del Dandolo[2512],
_fratribus filiis quondam Romani imperatoris_) _magnis et pacificis
imperatoribus, anno autem imperii eorum post obitum Johannis Cimistei_
(scrivi _Zimiski_) _undecimo die XX decembris, Indictione XI. Rivoalti._
Appena ritornato dalla battaglia di Calabria sano e salvo in Germania il
sopra mentovato _Ottone duca_ di Baviera, quivi diede fine alla sua
vita. Il ducato dell'Alemagna ossia della Suevia toccò a
_Corrado_[2513], e quel della Baviera nell'anno seguente ad _Arrigo_
figliuolo di Bertoldo, essendo tuttavia in prigione il già deposto
_Arrigo_, cugino germano di Ottone II Augusto. Mancò di vita in
quest'anno _Giovanni duca_ di Napoli, per quanto s'ha da san Pier
Damiano[2514].
NOTE:
[2492] Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[2493] Ibidem, Dissert. LXIII.
[2494] Antiquit. Ital., Dissert. LXII.
[2495] Ibid., Dissert. V.
[2496] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 10.
[2497] Romualdus Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
[2498] Ditmarus, lib. 3.
[2499] Hermannus Contractus, in Chron.
[2500] Epidannus, in Chron.
[2501] Annalista Saxo.
[2502] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4, in Episcop. Vercellens.
[2503] Gattola, Histor. Monaster. Casinens.
[2504] Chronicon. Vulturni., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2505] Sigonius, de Regno Ital., lib. 7.
[2506] Gotifredus Viterbiens., in Panth.
[2507] Ditmarus, in Chron., lib. 3.
[2508] Arnulf., Hist. Mediolanens. tom. 4 Rer. Ital.
[2509] Chron. Novaliciense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2510] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 9.
[2511] Ughell., Ital. Sacr., t. 5, in Venet. Patriar.
[2512] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2513] Annalista Saxo.
[2514] Petrus Damian., Epist. V., cap. 13.
Anno di CRISTO DCCCCLXXXIII. Indiz. XI.
GIOVANNI XIV papa 1.
OTTONE III re di Germania e d'Italia 1.
Tenuto fu nell'anno presente un riguardevol placito in Roma, da me già
dato alla luce[2515], _anno pontificatus domni Benedicti summi pontifici
et universalis papae VII, anno nono sive domno Ottone II magno
imperatore suae coronationis quintodecimo anno, sed et hujus aprilis
mensis Indictione XI_. In vece di _quintodecimo_ avrebbe da essere
scritto _sextodecimo_, se pur qui si parla, come si avrebbe a parlare,
della coronazione romana. Il luogo placito fu _in basilica beati Petri
Apostolorum principis intro hospitale, in eo usualis est nominati papae
dormiendum_. Presedeva il pontefice _Benedetto_ con varii vescovi,
abbati ed uffiziali della Chiesa romana, coll'intervento di _Giriberto
vescovo_ di Tortona, e di _Pietro vescovo_ di Pavia; _is enim ambobus_
(come scrive quell'ignorante notaio) _per consensu pontifici, ac
jussione imperatoria, cura audiendi veritatem eo missi sunt_, stante
l'essere il monistero di Subiaco litigante con quel della Cava, sotto la
protezion dell'imperadore. Fu ivi sentenziato in favore dei monaci di
Subiaco. Intanto abbiamo da Sigeberto[2516], che trovandosi tutti i
baroni di Germania e d'Italia afflitti e costernati per la rotta loro
data dai Greci e Saraceni in Calabria, _sola imperatrix_ (_Theophania_)
_feminea et graeca levitate insultabat eis, quod ab exercitu suae
nationis victi essent Romani: ac per hoc caepit primatibus exosa
haberi._ All'incontro l'Augusto Ottone non capiva in sè stesso per la
rabbia e pel dispetto del danno ed affronto recatogli dai suddetti suoi
nemici, ed altro non ruminava che le maniere di farne una sonora
vendetta[2517]. Venne dunque a Verona con pensiero di metter insieme un
più poderoso esercito. A questo fine intimò una dieta generale della
Germania e dell'Italia in essa città di Verona. Nel testo di Ditmaro si
legge che _anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXVIII imperator Veronae
placitum habuit_. Ma si dee scrivere _DCCCCLXXXIII_. Così ancora ha
l'Annalista sassone[2518], che fedelmente va copiando Ditmaro. In essa
dieta _filius imperatoris_ (cioè _Ottone III_ fanciullo in età di circa
quattro anni) _ab omnibus in dominum eligitur_. Ma perciocchè egli non
ricevette allora la corona del regno d'Italia, però si truovano molti
atti pubblici da lì innanzi senza il suo nome. Fu in questa occasione
che si fecero e pubblicarono le leggi di Ottone II, aggiunte alle
longobardiche; giacchè continuava il costume che i re e gl'imperadori
non promulgavano leggi senza saputa e consentimento degli stati. Dalla
prefazione d'esse abbiamo[2519] che intervenne a quella dieta _cum
omnibus Italiae proceribus_ anche _Corrado re_ di Borgogna, zio materno
di esso Ottone II Augusto, chiamato, come si può credere, affinchè egli
pure contribuisse soccorsi per la gran guerra che si meditava di fare
contra de' Greci e Saraceni. Strane ben compariscono quelle leggi agli
occhi nostri oggidì, e s'hanno con tutta ragion da riprovare; ma in que'
secoli d'ignoranza e di barbarie sembrano non solo giuste, ma
necessarie. Secondo le precedenti leggi, qualora veniva prodotto qualche
strumento o testamento comprovante l'acquisto di beni, se mai da
contrarii litiganti veniva rigettato come falso, bastava che chi
l'allegava in suo favore giurasse, toccati i santi Vangeli, che esso
strumento era legittimo e vero, per ottener tosto sentenza favorevole
dai giudici: tanta era la venerazione che si aveva al giuramento. Ma in
pratica se ne provavano dei pessimi effetti. Abbondavano in que' tempi i
falsarii, che imbrogliano anche oggidì il criterio degli eruditi con
certe carte e diplomi che restano negli archivii. Abbondavano del pari
le persone di buono stomaco, alle quali nulla costava il prendere un
giuramento falso. Massiccio dunque era il disordine in pregiudizio dei
giusti acquirenti o possessori di beni. Fin l'anno 962 ad _Ottone I_
Augusto ne fu dato richiamo dai principi d'Italia nel concilio romano.
Per consiglio d'esso Ottone e del papa, se ne differì il rimedio al
concilio che si celebrò nel 967 in Ravenna. Ma neppur ivi si venne a
risoluzione alcuna, _ob quorumdam principum absentiam_: tanto è vero ciò
ch'io diceva del necessario lor consenso per le leggi. Nella dieta
dunque tenuta in quest'anno in Verona, si rimediò ad un tale sconcerto,
ma con un rimedio peggior del male. Cioè fu determinato, che se taluno
accusasse altrui di carte, titoli o giuramenti falsi, si decidesse la
controversia col _duello_; senza badare che il _duello_ è un tentar Dio,
e un mezzo sproporzionato ed infedele per iscoprir la verità delle cose,
e che si dava ai più forti il comodo di occupar facilmente le sostanze
dei men forti. Ma non le conoscevano allora queste verità, quantunque
alla stessa dieta non mancasse un gran numero di vescovi ed abbati, per
la persuasione, in cui erano, che Dio, come protettore della verità e
dell'innocenza, la dichiarasse nel duello, chiamato perciò giudizio di
Dio.
Il tempo della dieta di Verona dovrebbe essere stato il giugno dell'anno
presente, giacchè un diploma di _Ottone II_ Augusto in favore della
chiesa di Liegi, rapportato dal padre Martene[2520], e dato _XVII
kalendas julii, anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXXIII, Indictione XI
anno vero regni secundi Ottonis XXV, imperii autem XV. Actum Veronae._
L'anno dell'imperio ha da essere il _XVI_; l'anno del regno non so come
possa essere il _XXV_. E ne dubiterò, finchè mi si mostri un'epoca, da
me non conosciuta fin qui, ed anche ignota al chiarissimo padre don
_Gotifredo abbate_ gotwicense[2521], che diligentemente tratta delle
epoche degli Augusti tedeschi. Vero è nondimeno che di sopra ne abbiam
veduto due altri simili esempli. Ci farà un altro diploma intendere dove
passasse l'imperadore Ottone dopo la dieta di Verona. Questo è
confermatorio dei beni del monistero di santa Maria _in Palatiolo_ di
Ravenna[2522], e con tale autorità formato, che abbastanza indica il
dominio d'esso Augusto in quella città. Fu esso dato _pridie idus julii,
anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXXIII, Indictione XI, regni vero
domni secundi Ottonis XXVI, imperii quoque ejus XVIII_ (dee essere
_XVI_). _Actum Ravennae._ Ma prima di congedarsi da Verona, svegliò
l'Augusto Ottone dei pensieri sdegnosi contra dei Veneziani, a cagion
dell'uccisione del loro doge _Pietro Candiano_. Attesta nondimeno il
Dandolo[2523], che avendo spedito _Tribuno Memmo_ doge alcuni
ambasciatori a Verona in quest'anno, il placò, e ne riportò la conferma
dei patti. Ho io dato alla luce[2524] il diploma d'essi patti, fatto
dallo stesso Augusto ad esso Tribuno doge, dove son distinte le terre
sottoposte al doge di Venezia da quelle del regno d'Italia. Merita
osservazione di dirsi da esso imperadore: _Ili sunt ex nostro scilicet
jure: Papienses, Mediolanenses, Cremonenses, Ferrarienses, Ravennates,
Comaclenses, Ariminenses, Pisaurienses, Cesenatenses, Fanenses,
Senogallienses, Anconenses, Humanenses, Firmenses, et Pinnenses,
Veronenses, Gavallenses, Vicentinenses, Montesilicenses, Paduanenses,
Tervisianenses, Cenetenses, Forojulienses, Istrienses, et cuncti in
nostro italico regno._ Poi seguita ad annoverare i popoli dipendenti dal
doge di Venezia. E perciocchè egli non distingue punto dal resto delle
città del regno _Ravenna_, _Ferrara_, _Comacchio_, ec., segno è ch'erano
in questi tempi incorporate nel regno di Italia, nè sussistesse che
Ottone I Augusto avesse restituito l'esarcato ai papi ed aver egli
perciò fabbricato il palazzo regale presso a Ravenna, come s'è veduto di
sopra. Ma non andò molto che i Caloprini ed altri nobili veneti, nemici
dei Morosini, si portarono a Verona, ed insinuarono ad Ottone Augusto la
maniera di sottomettere Venezia all'imperio suo, con esibirgli anche
Stefano Caloprino una buona somma d'oro, se il dichiarava poscia doge.
Di più non ci volle, perchè l'imperadore, pieno di mal talento contra
chiunque dipendeva dai greci Augusti, vietasse con pubblico bando a
tutte le terre del suo imperio e regno di portar da lì innanzi
vettovaglie a Venezia, e ai Veneziani di metter piede nelle terre
dell'imperio. Il popolo ancora di Capodargere si ribellò ad essi
Veneziani, e si diede all'imperadore, con riconoscere da lui Loreo ed
altri siti. Inoltre il vescovo di Belluno occupò varii beni del veneto
dominio. Allora fu che _Tribuno doge_ fece dirupar le case di tutti que'
cittadini che erano ricorsi all'imperadore, e mettere in prigione le
mogli e i figliuoli loro. Male e peggio sarebbe andata pe' Veneziani, se
non succedeva colla morte di Ottone un gran cambiamento di cose. Ma
avanti di narrar questa morte, conviene accennare che esso imperadore
andò prima a Pavia, dove _IX kalendas septembris prope fluvium Ticinum_
diede un diploma al monistero di Volturno[2525]. Di là passò nei
principati di Benevento e Capua. L'autore della Cronica di Casauria
scrive[2526] che _anno ab Incarnatione Domini DCCCCLXXXIII, Indictione
XI, quum domnus Otto secundus imperator in Apuliam profectus, et Ottone
filio suo coronato_ (ma non sì presto) _apud Varim_ (cioè Bari)
_civitatem maneret, Johannes Pinnensis episcopus, ec._ Ma forse v'ha
dell'errore. Veggasi il Giudicato nelle giunte alla Cronica suddetta. Ci
somministra ancora la Cronica del Volturno due altri diplomi del
medesimo Augusto in favore di quel monistero, amendue dati _II iduarum
novembrium anno dominicae Incarnationis DCCCCLXXXIII, Indictione XI,
regni vero domni secundi Ottonis XXVI, imperii quoque ejus XVI. Actum
Capuae_. Ma forse questi son da riferire all'anno precedente. Ancor qui
abbiamo l'anno _XXVI_ del regno. Negli originali talmente sarà stato
scritto _XXIII_, che i copisti l'abbiano, siccome è facile, preso per
_XXVI_. Veggonsi in essa Cronica volturnense altri diplomi che servono
alla correzione di questi medesimi documenti. Anzi il cardinal
Baronio,[2527] riferendo questo diploma, legge _anno XXIII_.
Ora tutti questi movimenti di Ottone II Augusto erano per unire un
formidabil esercito da condurre specialmente contro de' Saraceni.
Pensava infino di andarli a trovare in Sicilia. _Disponens_ (scrive
Arnolfo milanese[2528]), _aequoreas undas potestative cum omni
transmeare Italia, per universum regnum dilatat militandi praeceptum_.
Altrettanto abbiamo da Leone ostiense[2529]. E lo storico Epidanno[2530]
aggiugne una diceria del volgo: cioè ch'egli intendeva di fare un ponte
sullo stretto della Sicilia, per passare in quell'isola, come altrove
fece Dario (vuol dire Serse) re di Persia per portare la guerra in
Grecia. Ma venuto esso imperadore a Roma sul principio di dicembre,
quivi infermatosi (chi immagina per afflizion d'animo, e chi per ferita
mal curata), diede fine ai suoi giorni. Abbiamo da Ditmaro[2531],
ch'egli, sentendo avvicinarsi il suo fine, fece quattro parti del suo
tesoro: la prima per le chiese; la seconda ai poveri; la terza a
_Matilda_ sua sorella, badessa piissima di Quidelinburg, e la quarta
agli afflitti suoi cortigiani: _Factaque latialiter_ (cioè in lingua
latina o romana) _confessione coram apostolico, ceterisque coepiscopis
atque presbyteris, acceptaque ab eis optata remissione, VIII idus
decembris ex hac luce subractus est, terraeque commendatus, ubi
introitus orientalis paradisi domus sancti Petri cunctis patet
fidelibus, et imago dominica honorabiliter formata venientes quosque
stans benedicit_. Leone ostiense aggiunge che il corpo suo fu seppellito
_in labro porphyretico_, che durava tuttavia a' tempi del cardinal
Baronio insieme coll'immagine del Salvatore nell'atrio della basilica
vaticana. Questo sepolcro di porfido fu poi levato da Paolo V pontefice
a cagion della fabbrica nuova. Così la morte sul più bel fiore dell'età
troncò la vita e le imprese meditate da questo principe, che prometteva
di uguagliar la gloria del padre, se più lungo fosse stato il corso de'
suoi giorni. L'autore della vita di santo Adalberto[2532] gli dà la
taccia di molta ambizione e di poco senno. Aveva egli, alquante
settimane prima, inviato in Germania l'unico suo figliuolo _Ottone III_,
per quivi ricevere la corona del regno germanico. In fatti, secondo la
testimonianza di Ditmaro, _in die proximi Natalis Domini ab Johanne
archiepiscopo ravennate, et a Willigiso moguntino, in regem consecratur
Aquisgrani_. È notabile che l'arcivescovo di Ravenna facesse la prima
figura in quella solenne funzione. La Cronica d'Ildesheim dice[2533]
ch'egli _per unctionem Johanni ravennatis archiepiscopi in die natalis
Dominis unctus est in regem_. Ma appena terminata la gran festa, eccoli
arrivar la nuova della morte dell'Augusto suo padre, che tutte sturbò
quelle allegrezze. Che in quest'anno ancora giugnesse al fin di sua vita
_Benedetto VII_ sommo pontefice, e gli succedesse _Giovanni XIV_,
verisimilmente lo persuaderan le ragioni che addurrò all'anno seguente.
Fu discacciato in quest'anno dai Salernitani _Mansone_ lor principe con
_Giovanni I_ di lui figliuolo, e in luogo di essi fu creato principe di
Salerno _Giovanni II_, figliuolo di Lamberto, forse della schiatta degli
antichi duchi di Spoleti.
NOTE:
[2515] Antiquit. Ital., Dissert. VII.
[2516] Vita S. Adalberti, in Actis Sanct., ad diem 23 aprilis.
[2517] Ditmarus, in Chron.
[2518] Annalista Saxo, apud Eccardum.
[2519] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2520] Marthene, Veter. Scriptor., tom. 1.
[2521] Chron. Gotwicense, tom. 1, lib. 2, cap. 4.
[2522] Bullar. Casinens., lib. 2, Constit. LXII.
[2523] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2524] Piena Esposizione, pag. 125.
[2525] Chronic. Vulturnense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2526] Chronic. Casauriense, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2527] Baron., in Annal. Eccl.
[2528] Arnulf. Mediolan., lib. 1, cap. 9.
[2529] Leo Ostiensis, Chron., lib. 2, cap. 9.
[2530] Epidannus, in Chron.
[2531] Ditmarus, in Chron.
[2532] Vita II S. Adalberti, in Actis Sanctor. ad diem 23 april.
[2533] Annal. Hildeshemenses.
Anno di CRISTO DCCCCLXXXIV. Indiz. XII.
GIOVANNI XIV papa 2.
OTTONE III re di Germania e Italia 2.
Fu susseguita la morte di _Ottone II_ imperadore da gravissimi sconcerti
nella Germania[2534]. Venne fatto da _Arrigo II_, già duca di Baviera,
figliuolo di _Arrigo I_, cioè di un fratello di _Ottone il Grande_, di
uscir di prigione, oppure di tornar dall'esilio in cui si trovava. Aveva
il defunto Ottone II Augusto raccomandato il suo tenero figliuolo
_Ottone III_ alla cura di _Guarino arcivescovo_ di Colonia; ma entrato
Arrigo duca in quella città, con pretendere che a lui spettasse, secondo
le leggi, la tutela del re fanciullo, glielo levò dalle mani. La mira
nondimeno d'esso Arrigo era di occupare per sè la corona del regno
germanico: al qual fine si guadagnò con assai regali non pochi principi
e grandi di quelle contrade, e quei massimamente che l'imperadrice
_Teofania_ colle sue imprudenti doglianze avea disgustato. Non finì la
faccenda, che nel dì di Pasqua in Quidilingeburg, dove era concorsa gran
folla di baroni, si fece esso Arrigo dai suoi parziali proclamare re di
Germania. Dallo Struvio[2535] è chiamato questo Arrigo _Henricus Henrici
rixosi filius_: se con ragione, lascerò deciderlo agli eruditi tedeschi.
Dimorava tuttavia in Roma l'Augusta _Teofania_, afflittissima per la
perdita del consorte, quando gli arrivò l'amaro avviso del miserabile
stato in cui si trovava anche il re Ottone suo figliuolo. Volò per
questo a Pavia a trovar l'imperadrice _Adelaide_ suocera sua, lasciata
già dal figliuolo al governo di quella città e della Lombardia. Colle
lagrime deplorarono amendue le disavventure della loro augusta casa;
poscia senza perdersi d'animo passarono in Germania, dove si misero alla
testa di quanti stavano tuttavia fedeli al loro figliuolo e nipote.
Dichiararonsi ancora in loro favore[2536] _Lottario re_ di Francia e
_Corrado re_ di Borgogna, tuttochè _Gisla_ figliuola di Corrado fosse
maritata col suddetto Arrigo duca. Prevalse in fatti il partito di
Ottone III, e si venne ad una convenzione, per cui _III kalendas julii_
fu da esso Arrigo consegnato il re fanciullo all'Augusta Teofania sua
madre. In questo mentre nel dì 10 di luglio dell'anno presente, se
vogliamo riposar sull'asserzione del cardinal Baronio e del padre Pagi,
terminò il corso di sua vita _Benedetto VII_ papa, per quanto si ricava
dall'epitaffio suo, rapportato da esso cardinale annalista. Fu in suo
luogo sustituito _Pietro vescovo_ di Pavia, che assunse il nome di
_Giovanni XIV_. Egli era stato in addietro arcicancelliere
dell'imperadore Ottone II, e il suo nome s'incontra nei diplomi di lui,
da me accennati negli anni precedenti. Ma a me sembra assai più
probabile che nell'anno precedente seguisse la vacanza della Chiesa
romana. Vero è che i diplomi del monistero volturnense ci rappresentano
nel novembre del 985 _Pietro vescovo_ di Pavia, che fu poi papa Giovanni
XIV, tuttavia arcicancelliere di Ottone II. Ma non son documenti per
conto delle note cronologiche assai sicuri. E che essi appartengano
all'anno 982, ne può fare la spia l'_indizione XI,_ perchè nel novembre
dell'anno 983, secondo l'osservazione del cardinal Baronio dovea essere
la XII. Per conto poi dell'epitaffio di _Benedetto VII_ converrebbe
esaminare, se veramente sia fattura di autore contemporaneo, e non dei
tempi posteriori, come io sospetto, e se venga riferita la di lui morte
all'_indizione XII_ con sicurezza dal marmo, e non già da qualche copia
trovata nei manuscritti. Le ragioni ch'io ho di diversamente credere,
son queste. L'Annalista sassone[2537] presso l'Eccardo, e il Cronografo
sassone[2538] presso il Leibnizio scrivono all'anno presente 983, che
Ottone II dopo la dieta di Verona _Romam revertitur, ac domnum
apostolicum digno cum honore romanae praefecit Ecclesiae_. Questo non si
può intendere se non di _Pietro vescovo_ di Pavia, alzato al pontificato
col nome di _Giovanni XIV_. Sembra anche difficilissimo che il clero e
popolo romano, liberato dalla soggezione di Ottone II Augusto rapito
dalla morte, fosse concorso ad eleggere papa un vescovo straniero; ma
ciò fu ben facile, essendo tuttavia vivo e presente in Roma lo stesso
Ottone. Aggiungasi, vedersi citata dal cardinal Baronio[2539] una
memoria tuttavia esistente in marmo, e scritta _tempore Johannis XIIII
papae, mense februario, Indictione XII, anno dominicae Incarnationis
DCCCCLXXXIIII_. Adunque nel febbraio di quest'anno era già creato papa
_Giovanni XIV_, e per conseguente possiam presumere l'assunzione sua al
trono pontifizio succeduta nell'anno precedente. Strana cosa è che il
cardinal Baronio, lavorando sul supposto, che in quest'anno 984
_Benedetto VII_ morisse, e gli succedesse _Giovanni XIV_, facesse a
questa tavola di marmo la seguente annotazione: _Sed mendose nonnihil,
ut manifeste appareat, loco anni octogesimi quarti legendum octogesimi
quinti, et loco Indictionis duodecimae, legendum decimae tertiae, ut
convenire Johannis papae sedis tempori possit_. Anzi nulla si ha da
mutare, e da questo contemporaneo ed autentico monumento si ha, per lo
contrario, da inferire che l'epitaffio di _Benedetto VII_ papa fu
composto dai monaci, riconoscenti la fondazione del lor monistero da
esso papa, molti anni dappoi, e perciò fallace in assegnar l'anno
preciso della sua morte.
Ma dopo nove mesi di pontificato finì sua vita papa _Giovanni XIV_, e
dall'epitaffio, rapportato dal cardinal Baronio (se pure ricavato fu dal
marmo e non dai manoscritti), si raccoglie che la sua morte avvenne nel
dì _XX d'agosto_. Ma se quest'epitaffio era in san Pietro, chieggo io,
perchè nol rapportasse Pietro Mallio[2540], il quale tanti secoli prima
raccolse le memorie della basilica vaticana, e nol conobbe punto e nol
riferì? Secondo i conti d'esso Baronio, questo papa Giovanni morì
nell'anno susseguente; secondo i miei nel presente. L'autore della
Cronica del Volturno[2541], cioè Giovanni monaco, il quale fiorì nel
secolo susseguente, scrive così nel catalogo posto avanti alla sua
Cronica: _Johannes XIV papiensis annos (scrivi menses) IX. Iste in
castello sancti Angeli retrusus, famis crudelitate necatus est anno
DCCCCLXXXIV, Indictione XII_. Ermanno Contratto[2542] racconta così
orrenda iniquità di questi tempi colle seguenti parole: _Anno 984. Romae
Johannes XIV, qui et Petrus Papiae prius episcopus, sedit mensibus VIII,
eumque Bonifacius Verrucii_ (o Ferrucii) _filius, prius relegato
Benedicto, male ordinatus, de Constantinopoli quo fugerat, reversus,
comprehendit, et in castellum sancti Angeli relegatum fame, et ut
perhibent, veneno enecuit, atque sedem invasit_. Però da quest'anno non
s'avrebbe da rimuovere la morte di _Giovanni XIV_. Già abbiamo veduto
all'anno 974, che _Bonifazio_ figliuolo di Ferruccio, mostro d'iniquità,
dopo avere a forza di sacrilegii e di crudeltà occupata la cattedra di
san Pietro, costretto a fuggirsene, ricoverossi in Costantinopoli, seco
portando il tesoro di san Pietro. Appena costui ebbe intesa la morte di
Ottone II che il teneva in briglia, celatamente sen venne a Roma, e
colla fazione de' suoi parziali preso papa _Giovanni XIV_, il fece più
che barbaramente morir di fame o di veleno in castello sant'Angelo, ed
esporre il suo cadavere alla vista del popolo, deploratore di sì indegno
spettacolo. Poscia questo tiranno di nuovo si assise sul trono
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