Annali d'Italia, vol. 3 - 78
mio credere) fu sconfitto e preso il re Berengario, nol saprei dire.
Credo eziandio che Litolfo conquistasse parte della Lombardia, ma non
già _tutta l'Italia_, come scriveva l'Annalista sassone. Il Continuatore
di Reginone non altro dice, se non che egli _totius paene Italiae
possessor efficitur_.
NOTE:
[2210] Liutprandus, Hist., lib. 6, cap. 6.
[2211] Chron. Farfense, P. II, tom. 2 Rer. Ital., pag. 472.
[2212] Antiquit. Ital., Dissert. V.
[2213] Annalista Saxo, ad hunc ann.
[2214] Donizo, in Vit. Mathild., lib. 1, cap. 1.
[2215] Annalista Saxo, ad hunc ann.
[2216] Frodoardus, in Chronico, ad ann. 957.
[2217] Hermannus Contractus, in Chron.
[2218] Arnulf., Hist. Mediolanens. lib. I, cap. 6.
Anno di CRISTO DCCCCLVII. Indiz. XV.
GIOVANNI XII papa 2.
BERENGARIO II re d'Italia 8.
ADALBERTO re d'Italia 8.
Andavano prosperando in Italia l'armi di _Litolfo_ duca di Lamagna,
figliuolo del re Ottone, e già pareva che, abbattuto Berengario col
figliuolo, non potesse più risorgere: quando l'improvvisa morte di esso
Lidolfo troncò il filo alla fortuna e vita di lui, e fece mutar aspetto
alle cose d'Italia. Donizone[2219] cel rappresenta passato da parte a
parte in una battaglia dalla lancia del re Adalberto. Ma più fede merita
chi il dice morto in altra maniera. _Febre correptus_, scrive
Epidanno[2220] nella sua Cronica. E Froduardo[2221]: _Liudulfus Othonis
filius, qui paene totam obtinuerat Italiam, obiit, sepeliturque
Moguntiae apud sanctum Albanum_. Ed Ermanno Contratto[2222]: _Liutolfus
dux commissa pugna Adalpertum vincit, cunctisque sibi una cum regno
Italiae subjugatis, ipse eodem anno apud Plumbiam immaturo obitu vita
decessit, et magno multorum luctu Moguntiae sepultus est_. Non so se qui
si parli di _Plombia_ terra della diocesi di Novara. Ditmaro[2223] ci ha
conservato il dì della sua morte, con iscrivere, non senza qualche
differenza dagli altri scrittori circa il motivo della sua venuta in
Italia: _Liudulfus regis filius, malorum depravatus consilio, rursum
rebellavit, patriaque cedens, Italiam perrexit; ibique quum annum ferme
unum esset, octavo idus septembris (proh dolor!) obiit. Hujus corpus a
sociis ejusdem Moguntiam delatum, lugubriter in ecclesia Christi
martyris Albani sepultum._ Vanno concordi questi autori in asserire
seppellito il corpo del suddetto principe in Magonza, nè si oppongono a
Donizone, il quale attesta che le viscere di lui ebbero sepoltura nella
chiesa di san Prospero di Antognano, vicino al prato di Carpineto sul
Reggiano, ma il corpo imbalsamato fu mandato in Germania al re Ottone
suo padre. Facilmente s'intende ancora che la mancanza di questo
principe si tirò dietro il risorgimento dei re _Berengario_ e
_Adalberto_, i quali, tornati che furono i Tedeschi nelle loro contrade,
dovettero senza fatica rimettersi in possesso delle città perdute. Ma si
vuol aggiugnere essere corso in Italia un sospetto che Berengario avesse
procurata a Litolfo la morte con quei mezzi a' quali può ricorrere
solamente chi è servo dell'iniquità. _Postea vero_, scrive Arnolfo
storico milanese, _pius ille Liutulfus perfidia Langobardorum fertur
veneno necato._ Nelle giunte da me fatte alla Cronica del monistero di
Casauria[2224] si legge uno strumento di terre concedute a livello da
Ilderico abbate di quel sacro luogo ad _Attone_, ossia ad _Azzo conte_,
scritto _regnantibus domno Berengario, et Adelberto filio ejus regibus,
anno regni eorum in Dei nomine VII, et temporibus Teobaldi ducis et
marchionis anno ejus IV, mense junii, per Indictionem XV_. Abbiamo qui
assai luce per conoscere che in questi tempi era il governo del ducato
di Spoleti e della marca di Camerino appoggiato a _Teobaldo_ ossia
_Tebaldo_. Egli, siccome di sopra osservai all'anno 946, era figliuolo
di quel _Bonifazio_ di nazione ripuaria, che era stato duca anch'esso e
marchese di quelle contrade. Numerandosi qui l'_anno quarto_ del suo
ducato, convien credere che nell'anno 953, o 954 mancasse di vita
Bonifazio suo padre, e che egli succedesse nel governo di quegli stati.
L'autore della Cronica farfense[2225] fa parimente menzione sotto questi
tempi _marchionis Theobaldi, qui tunc Sabinensibus praeerat_. Nella
Sabina è situato il monistero di Farfa; e la Sabina era allora compresa
nel ducato di Spoleti. Abbiamo poi dalla Cronica arabica[2226], che
venuto nell'agosto dell'anno precedente in Sicilia un generale moro,
appellato Ammar, dopo avere svernato in Palermo, uscito di colà nella
primavera, passò in Calabria. All'incontro arrivato in Sicilia Basilio
ammiraglio de' Greci, vi spianò la moschea di Riva, e prese la città di
Termine; e venuto alle mani con Assano moro, signore dell'isola nella
valle di Mazara, misero a filo di spada molti di quegli infedeli.
NOTE:
[2219] Donizo, in Vita Mathild., lib. 1, cap. 1.
[2220] Epidannus, in Chronic.
[2221] Frodoardus, in Chronico.
[2222] Hermann. Contractus, in Chron.
[2223] Ditmarus, in Chronic., lib. 2.
[2224] Chronic. Casauriense, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2225] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital., pag. 472.
[2226] Chron. Arab., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCLVIII. Indiz. I.
GIOVANNI XII papa 3.
BERENGARIO re d'Italia 9.
ADALBERTO re d'Italia 9.
Perchè _Ottone_ il grande re di Germania, dopo la morte di _Lodolfo_ suo
figliuolo, succeduta in Italia, niuna inquietudine recasse ai re
_Berengario_ e _Adalberto_, potrebbe taluno chiederlo; e si potrebbe
rispondere che Berengario dovette placarlo in qualche maniera. Ne è
anche un contrassegno il vedere che esso Berengario, quantunque per le
ragioni vecchie, e per la venuta del suddetto Litolfo, a cui aderì tosto
_Alberto Azzo_, dovesse nudrire rabbia e mal talento verso di questo
bisavolo della contessa Matilda, pure il lasciò in pace, per riguardo,
come si può conghietturare, ad Ottone di lui protettore. Anzi è da
osservare, che se non prima, almeno in quest'anno esso _Alberto Azzo_
porta il titolo di conte, cioè di governatore probabilmente di qualche
città. Ciò costa da uno strumento da me prodotto[2227], scritto
_Berengarius et Adelbertus filio ejus gratia Dei reges, anno regni
eorum, Deo propicio octavo, mense novembris, Indictione secunda_:
indicanti l'anno presente. In esso strumento _Atto filius quondam
idemque Attoni de comitatu parmense, qui professus sum ex natione mea
lege vivere Longobardorum_, vende alcuni beni ad _Alberto, qui et Atto
comes, consobrino meo, filius quondam Sigefredi de comitato lucensi_. Fu
stipolato quello strumento _in loco insula Judiciaria parmensis_.
Potrebbe essere che a questi tempi appartenesse ciò che narra l'autore
della Cronica farfense. Quel tiranno e dilapidatore dell'insigne
monistero di Farfa, _Campone abbate_, di cui parlammo all'anno 939, era
tuttavia vivo, ed opprimeva quel sacro luogo. _Giovanni XII_ papa
cominciò ad abborrirlo, _sicut et suus pater_, cioè _Alberico_ patrizio.
E nol lasciando tornare al governo del monistero, creò in sua vece
abbate di Farfa un certo _Adamo_, oriundo della città di Lucca, se pure
non vuol dire di Lucania. Ma perchè in questi tempi per la maggior parte
i monisteri di Italia, seminarii una volta di virtù, erano divenuti
sentine di vizii, esso Adamo ben tosto si scoprì non da meno del
suddetto Campone. _Pro publico autem stupri scelere, in quo detentus est
a militibus papae Johannis, et marchionis Theobaldi, qui tunc
Sabinensibus praeerat._ Per esimersi dal gastigo gli convenne alienar
due corti ed altri fondi spettanti a quel monistero. Lupo
protospata[2228] all'anno 955 notò che Mariano generale dei Greci venne
in Puglia. Sotto quest'anno poi, oppur nel seguente, l'autore della
Cronica arabica[2229] della Sicilia lasciò scritto che Assano saraceno,
signore di quell'isola, _transfretavit et ivit obviam fratri suo Ammar.
Et fugit coram eo Marianus Strategus, abducta tamen navi e navibus
Moslemiorum._ Aggiugne appresso che quell'armata navale di Mori, nel
tornare di settembre in Sicilia, andò tutta a male, e fu d'uopo farne
una di nuova. Circa questi tempi _Attone_ vescovo di Vercelli, grande
ornamento di quella chiesa per la sua letteratura e pietà, diede fuori
il suo trattato _De pressuris Ecclesiae_, dove espone il mal trattamento
che si facea dei vescovi, con permettere a tutti di accusarli, con
esigere da essi che in mancanza di pruove prendessero il giuramento, ed
accettassero il duello da farsi con qualche loro campione. Riconosce per
canoniche e come vegnenti da Dio le elezioni de' vescovi fatte dal clero
e popolo. Ma i principi poco timorati di Dio, sprezzando queste regole,
volevano che la lor volontà prevalesse in eleggere i sacri pastori. E
quali mai? Si rifiutavano i meritevoli eletti, e conveniva prendere i
prediletti da loro, ancorchè indegni, non considerando essi il merito
del sapere e della bontà de' costumi, ma solamente le ricchezze, il
parentado e i servigii. E se non vendevano le chiese per denaro, le
davano nondimeno in pagamento della servitù prestata da essi, o dai lor
parenti alla corte. Però si vedevano fanciulli alzati al vescovato, e si
obbligava il popolo a dar testimonianze favorevoli a questi sbarbatelli,
che appena avevano imparato a memoria qualche articolo della fede, per
potere rispondere, benchè tremando, all'esame: il quale era tuttavia in
uso piuttosto per formalità, che per chiarire la scienza d'essi. Ed ecco
qual fosse in questi tempi lo stato miserabile delle chiese d'Italia.
NOTE:
[2227] Antiquit. Ital., Dissert. XXVIII.
[2228] Lupus Protospata, Chron.
[2229] Chron. Arabic., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCLIX. Indiz. II.
GIOVANNI XII papa 4.
BERENGARIO re d'Italia 10.
ADALBERTO re d'Italia 10.
Era assai vecchio _Pietro Candiano III_ doge di Venezia; a questa
malattia si aggiunse la grave afflizione provata per la ribellione di
_Pietro_ suo figliuolo, che servì ad affrettargli la partenza da questo
mondo[2230]. Non fu egli sì presto morto, che raunato il gran consiglio
del popolo, dove intervennero anche i vescovi ed abbati, tutti
deliberarono di voler per loro doge quel medesimo _Pietro IV_ che essi
prima aveano giurato di non ammettere al loro governo. Però a gara con
quasi trecento barche se n'andarono a Ravenna a levarlo, e pomposamente
ricondottolo a Venezia, di nuovo il crearono doge. Accadde probabilmente
in questo anno un fatto, di cui ci ha conservata una breve memoria
l'Anonimo salernitano[2231]. Cioè che _Giovanni XII_ papa, il quale
comandava tanto in temporale che spirituale in Roma, ebbe delle
dissensioni con _Pandolfo_ e _Landolfo II_ principi di Benevento e di
Capua, ch'esso istorico chiama figliuoli di _Landolfo I_, ma con errore,
perchè _Pandolfo_ fu figliuolo e non fratello di _Landolfo II_, il quale
fin dall'anno 943 l'avea dichiarato collega nel principato. Ora papa
Giovanni _dum esset adolescens, atque vitiis deditus, undique hostium
gentes congregari jussit in unum, et non tantum romanum exercitum, sed
et tuscos spoletinosque in suum suffragium conduxit_. Nè i popoli di
Spoleti, nè quei della Toscana erano allora sudditi del papa, e però gli
dovette egli trar seco in lega. A questo avviso Landolfo principe di
Benevento mise in armi tutti i suoi Capuani, ed incontanente spedì a
Salerno, pregando _Gisolfo_ principe di quella terra di accorrere in
aiuto suo. Venne Gisolfo con fiorito esercito e gran salmeria. Non ci
volle di più per fare abortire tutti i disegni di papa Giovanni;
perciocchè _dum Romani, Spoletinique et Tusci adventum principis Gisulfi
reperissent, magno metu percussi, suos repetunt fines_. Aggiugne il
medesimo storico, che da lì a qualche tempo papa Giovanni per suoi
ambasciatori fece intendere a Gisolfo suddetto di voler contraere lega
con lui. Venne Gisolfo da Salerno a Terracina, conducendo seco un
nobilissimo corteggio, e colà portatosi anche il papa, stabilirono tra
loro la desiderata lega. In somma dice questo scrittore salernitano,
essere stato in tanto credito Gisolfo principe di Salerno, che tanto i
Greci che i Saraceni, Franzesi e Sassoni si studiavano di averlo per
amico, e niuno si attentava a toccare gli stati di lui. Ho io data alla
luce[2232] una donazione da lui fatta alla chiesa di san Massimo,
fondata in Salerno _a domino Guaiferio principe bisavio nostro_, come
egli dice. Lo strumento fu scritto _in anno vigesimo quinto principatus
nostri de mense aprilis, Indictione II_, cioè nell'anno presente, se
quelle note furono ben copiate. Leggesi parimente nelle Antichità
italiche[2233] un diploma dei re Berengario e Adalberto, dato _VIII
kalendas novembris, anno Incarnationis Domini DCCCCLVIII, regni vero
domnorum Berengarii atque Adalberti piissimorum regum VIIII, Indictione
III. Actum Papiae._ Anche questo documento appartiene all'anno presente.
Non si sa già a quale sia precisamente da riferire una lettera scritta
dal soprallodato _Attone_, ossia _Azzo_ vescovo di Vercelli in questi
tempi, personaggio di sacra letteratura ornatissimo, come dimostrano
l'opere sue date alla luce dal padre Dachery[2234], e tanto più degno di
stima, quanto più era comune allora l'ignoranza in Italia. Tutti si
lamentavano, ma specialmente i vescovi, dell'aspro governo del re
Berengario, e si può credere che studiassero le maniere di sgravarsene.
Ora Berengario, a cui non mancavano spie, per assicurarsi della fedeltà
d'essi prelati, volle obbligarli a dargli degli ostaggi. Sopra ciò
Attone scrisse ai vescovi suoi confratelli (giacchè non era loro
permesso di raunarsi), per udire il loro sentimento intorno a questa
novità. Egli intanto giudiziosamente propone il suo con riconoscere
l'obbligo della fedeltà dovuto a' suoi sovrani, ma con sostenere che non
si dee far quello che non hanno fatto i predecessori; nè essere giusto
l'esporre gli ostaggi a' pericoli della vita, perchè i vescovi se non si
trattenessero per timore di Dio dal mancare al loro dovere, molto men se
ne guarderebbero per timore di nuocere agli ostaggi. Nel catalogo dei
duchi di Spoleti, posto davanti alla Cronaca di Farfa,[2235] prima
dell'anno 960 si vede menzionato _Trasmundus dux_, il quale si può
credere succeduto in quel ducato dopo la morte o per altra mancanza di
_Teboaldo duca_ e marchese di quella contrada. All'anno 981 noi
troveremo creato duca e marchese di Spoleti e Camerino un _Trasmondo_,
senza potersi chiarire se sieno diverse persone, e forse l'un figliuolo
dell'altro, o se pure fuor di sito avesse il Cronista farfense parlato
di un Trasmondo duca verso questi tempi.
NOTE:
[2230] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2231] Anonymus Salern., P. II. tom. 2 Rer. Ital.
[2232] Antiquit. Italic., Dissert. XXVIII.
[2233] Ibid., Dissert. II.
[2234] Atto Vercellensis, Epist. 11, in Spicileg. Dachery.
[2235] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCLX. Indizione III.
GIOVANNI XII papa 5.
BERENGARIO II re d'Italia 11.
ADALBERTO re d'Italia 11.
Non ha la storia d'Italia autore alcuno da cui si possa ricavare in che
consistessero gli aggravii fatti dal re Berengario a quasi tutti i
principi d'Italia, ed in particolare al romano pontefice. Ch'egli ne
facesse, e molti ed intollerabili, si può argomentare da quanto
lasciarono scritto gli antichi storici, fra i quali Liutprando, dove
racconta[2236], che _regnantibus, immo saevientibus in Italiam, et, ut
verius fateamur, tyrannidem exercentibus Berengario atque Adelberto,
Giovanni XII_ papa spedì per i suoi legati ad _Ottone_ il grande re di
Germania _Giovanni cardinal_ diacono ed Azzone notaio, oppure
archivista, con pregarlo che per amore di Dio e dei santi apostoli
Pietro e Paolo volesse liberar lui e la santa Chiesa romana dalle griffe
di questi due re, e rimetterla nella sua primiera libertà. Dietro ai
legati pontificii arrivò in Sassonia _Gualberto_ arcivescovo di Milano,
che appena vivo s'era potuto sottrarre alla rabbia di Berengario e
Adalberto, protestando di non poter più sofferire la loro crudeltà, e
molto men quella di _Willa_ ossia _Guilla_ moglie di Berengario, che
contro le leggi ecclesiastiche volea sostenere come arcivescovo di
Milano _Manasse_ arcivescovo d'Arles, il quale altronde si sa che
seguitava tuttavia ad intitolarsi arcivescovo di Milano. In oltre
sopraggiunse _Gualdone vescovo_ di Como, e non già di Cuma, come si
pensò il padre Pagi, lamentandosi anch'egli di varie oppressioni a lui
fatte dai due re suddetti e dalla regina Willa. Aggiugne Liutprando:
_Venerunt et nonnulli alterius ordinis ex Italia viri, quos inter
illustris marchio Otbertus cum apostolicis cucurrerat nuntiis, a
sanctissimo Othone tunc rege, ut dixi, nunc augusto Caesare, consilium,
auxiliumque expetens_. Lo stesso abbiamo dal Continuatore di
Reginone[2237], le cui parole, rapportate ancora dall'Annalista
Sassone[2238], sono le seguenti sotto quest'anno: _Legati quoque ab
apostolica Sede veniunt Johannes diaconus, et Azo scriniarius, vocantes
regem ad defendendum Italiam et romanam rempublicam a tyrannide
Berengarii. Waltbertus etiam archiepiscopus mediolanensis, et Waldo
cumanus episcopus, et Opertus marchio, Berengarium fugientes, in Saxonia
regem adeunt. Sed et reliqui paene omnes Italiae comites et episcopi,
literis eum autem legatis, ut ad se liberandos veniat, exposcunt._
Convien qui por mente a questo _Oberto_ marchese, indubitato ascendente
della real casa d'Este, che mireremo anche diramata nella real casa di
Brunsvich dominante in Germania e nella gran Bretagna. Noi vedemmo
questo principe nell'anno 951, caro al re Berengario, e suo confidente.
Ma Berengario, facile a farsi dei nemici, era anche più facile a perdere
gli amici. Non potendo più il marchese reggere alle aspre ed ingiuste
maniere di lui, ricorse anch'egli al re Ottone. Siccome si dimostrerà,
questo marchese _Oberto_ non è già lo stesso che _Uberto_ figliuolo
bastardo del re Ugo, e marchese di Toscana, del quale Uberto non parlano
più da qui innanzi le carte antiche di Lucca. Noi troveremo il nostro
_Oberto_ sotto Ottone il grande, uno de' primi personaggi nella sua
corte e di tutta l'Italia; laddove _Uberto_ marchese di Toscana fu da
esso Ottone cacciato in esilio.
Se mi vien chiesto di qual marca avesse allora il governo il suddetto
_Oberto_, non so rispondere, per mancanza di lumi. So bene (e lo vedremo
andando innanzi) ch'egli, mancato di vita circa l'anno 975, lasciò dopo
di sè due figliuoli, cioè _Adalberto_ ed _Oberto II_, amendue marchesi.
E questo _Adalberto_, siccome costa da uno strumento lucchese, citato
dal Fiorentini[2239], e da me poi pubblicato nelle Antichità
estensi[2240] vien chiamato _Adalbertus marchio, filio bonae memoriae
Obberti, et nepos bonae memoriae Adalberti, qui fuit similiter marchio_.
Sicchè padre di questo _Oberto_, chiamato _illustre marchese_ da
Liutprando, fu un altro _marchese Adalberto_; e però, secondo i miei
conti e per le osservazioni già addotte in essa opera, concorrono
fortissime conietture a farci credere il padre d'esso Oberto discendente
da uno dei due _Adalberti_ duchi e marchesi di Toscana, o per via di
_Bonifazio_ figliuolo di _Adalberto I_, o per quella di _Guido_ o di
_Lamberto_ figliuoli di _Adalberto II_ duchi anch'essi di Toscana. Sotto
i re Ugo e Lottario fu perseguitata e depressa la prosapia d'essi
Adalberti; ma sotto Berengario, e maggiormente poi sotto Ottone il
Grande, si rialzò nella persona del mentovato marchese _Oberto_, con
durar tuttavia per misericordia di Dio nelle nobilissime due case
regnanti che testè ho accennato. Ora tornando ad Ottone I re di
Germania, dovette ben parergli saporito l'invito a lui fatto da tanti
principi di acquistare non solamente il regno d'Italia, ma anche la
corona dell'imperio romano; e però in questo anno egli accudì alle
provvisioni necessarie per calare con forza e decoro in Italia nell'anno
vegnente. Truovasi una donazione fatta dal re Berengario alla regina
_Willa_ ossia _Guilla_ sua moglie[2241], _interventu ac petitione
Widonis marchionis, nostrique dilecti filii_. Fu dato quel diploma
_octavo die kalendas novembris anno dominicae Incarnationis DCCCCLX,
Indictione quarta regni vero domnorum Berengarii, et Adalberti regum
decimo. Actum vero Papiae._ Sotto questo medesimo anno racconta il
Dandolo[2242] che _Pietro Candiano IV_ doge di Venezia, insieme con
_Buono patriarca_ di Grado, con _Pietro vescovo_ di Olivola, ossia di
Venezia stessa, con _Giovanni vescovo_ di Torcello, e con gli altri
vescovi, clero e popolo, rinnovò il decreto già fatto da _Orso I_ doge,
di non far da lì innanzi mercatanzia degli servi ossia degli schiavi
cristiani. Cioè da gran tempo costumavano i mercatanti veneziani di
comperare dai corsari schiavoni o ungheri, dei poveri cristiani fatti
schiavi, e poi li rivendevano ai Saraceni o ad altre nazioni pagane.
Circa l'anno 877 fu proibito questo infame traffico dai dogi e dal clero
e popolo di Venezia con pene temporali e spirituali. Ci fu bisogno
ancora in quest'anno di rinnovar lo stesso divieto, con proibire nel
medesimo tempo il portar lettere d'Italiani, o di Tedeschi ai Greci, o
al loro imperadore, ad istanza forse del re Berengario, a cui non
doveano piacere simili intelligenze. Donizone[2243], oltre all'assedio
di Canossa fatto dal re Berengario, o sciolto nell'anno 946, ne racconta
un altro succeduto dipoi, od intrapreso dal _re Adalberto_, ma con
imbrogliare i tempi, perchè scrive essere venuto in Italia Litolfo
figliuolo del re Ottone, per le cui forze restò libera Canossa. Ucciso
poi, com'egli vuole, Litolfo in una battaglia, _Alberto Azzo_ signore di
quella rocca scrisse immediatamente al re Ottone che scendesse in
Italia, perchè questa sarebbe sua: e che Ottone
_. . . . . . confestim multos secum inde revexit_
_Italiam secum, quem pacifice petierunt_
_Cuncti Lombardi, sibi dantes oppida gratis._
Questo secondo assedio, secondo lui, durò _tempora per bina, ternos
mensesque_, cioè, se so ben intendere, due anni e tre mesi. Conosce il
lettore che v'ha degli sbagli nella narrativa di Donizone. Ma posto che
sussista il suddetto secondo assedio, ed assedio anch'esso ben lungo,
parrebbe che dovessimo crederlo incominciato nell'anno 959, e terminato
nell'anno 961, allorchè un gran temporale venne dalla Germania in
Italia.
NOTE:
[2236] Liutprandus, Hist., lib. 6, cap. 6.
[2237] Continuator Rheginonis, in Chronico.
[2238] Annalista Saxo.
[2239] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 4.
[2240] Antichità Estensi P. I, cap. 21.
[2241] Antiquit. Ital., Dissertat. XIX.
[2242] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2243] Donizo, in Vita Mathild., lib. 1, cap. 1.
Anno di CRISTO DCCCCLXI. Indiz. IV.
GIOVANNI XII papa 6.
BERENGARIO II re d'Italia 12.
ADALBERTO re d'Italia 12.
Quando sia originale, come sembrò a me, un diploma[2244] dei re
_Berengario_ e _Adalberto_, conceduto a _Martino abbate_ della
Vangadizza presso all'Adigetto, dove io osservai tuttavia il sigillo di
cera col nome di quei re, noi troviamo essi regnanti in Verona sul fine
di maggio del presente anno. Fu dato quel diploma _tertio kalendas
junias, anno Incarnationis Domini DCCCCLXI, regni vero domni Berengarii,
atque Adalberti piissimorum regum XI, Indictione IV. Actum Veronae._
Quel che è più, essendo stato questo diploma _interventu ac petitione
Ugonis marchionis Thusciae_, noi vegniamo a conoscere che _Uberto
marchese di Toscana_, o avea pagato il debito della natura[2245], o,
come vogliono alcuni, era fuori d'Italia cacciato in esilio; e che _Ugo_
suo figliuolo, il quale poi riuscì uno de' principi famosi d'Italia, era
succeduto a lui nel possesso e governo della Toscana; ed avere san Pier
Damiano imbrogliata, siccome vedremo, co' suoi racconti la storia della
Toscana. Vien anche rapportata dall'Ughelli[2246] la fondazione del
monistero di Grassano nella diocesi di Vercelli fatta da _Aledramo
marchese_, figliuolo di _Guglielmo conte_, e da _Gerberga_ figliuola del
re Berengario. Questi vien creduto il primo marchese del Monferrato, da
cui derivò la schiatta di que' principi sì celebri, siccome vedremo
nella storia de' secoli susseguenti. Quello strumento ha queste note:
_Berengarius et Adalbertus ejus filius, gratia Dei reges, anno eorum,
Deo propitio, undecimo, mense augusti, Indictione quarta_, cioè
nell'anno presente, nel cui mese di agosto troviamo tuttavia dominanti
questi due re. Vedesi anche appresso il Guichenon[2247] un diploma di
Ugo e Lottario re d'Italia, che nell'anno 938 donano _Aledramo comiti
quamdam cortem, quae Forum nuncupatur, sitam super fluvium Tanar_. Si
può tenere per lo stesso Aledramo che con titolo di marchese comparisce
da lì innanzi. Intanto stava forte a cuore al re Ottone la spedizion
d'Italia; ma prima d'intraprenderla volle assicurar la corona della
Germania in capo ad _Ottone_ primogenito suo. Adunata dunque in Vormazia
la dieta generale del regno, fu con unanime consenso de' baroni e del
popolo eletto re di Germania, e coronato _Ottone II_ suo
figliuolo[2248]. Ciò fatto, e raccomandato a _Guglielmo arcivescovo_ di
Magonza, suo fratello, esso figliuolo, ch'era allora in età di sette
anni, tornò Ottone il Grande in Sassonia, e dopo aver dato buon ordine
agli affari, per la Baviera e per la valle di Trento calò coll'esercito
suo in Italia, _ubi omnes paene comites et episcopos obvios habuit, et,
ut decuit, ab eis honorifice susceptus, potestative, et absque ulla
resistentia Papiam intravit_. Trovò quivi distrutto da Berengario il
palazzo dei re, forse per un pazzo gastigo dato da lui ai cittadini, ed
ordinò che si rifacesse. Intanto Berengario e Willa sua moglie e i lor
figliuoli si chiusero in varie fortezze, senza osar di comparire
coll'armi in campagna per opporsi ai felici progressi del re germanico.
Si può molto bene accordar questa relazione con ciò che l'Anonimo
Salernitano[2249] lasciò scritto, dicendo che il re Adalberto _cum magno
apparatu, populoque nimis valido Clusas venit_, cioè alla Chiusa nella
valle dell'Adige, _quatenus cum Ottone certamen iniret. Feruntque
plurimi, ut sexaginta millia pugnatorum cum rege Adelverto fuissent._
Stette ivi questo esercito un dì e una notte, senza che udissero
avvicinarsi il nemico; quand'eccoti molti di que' conti, cioè de'
governatori delle città, dissero fuor dei denti ad Adalberto che il
pregavano di portarsi a Pavia per fare intendere al re Berengario suo
padre di cedere ad esso Adalberto il governo del regno, perchè loro
intenzione era di non istar più sotto il comando di lui. Se
acconsentiva, erano pronti a combattere con tutte le lor forze contra
chi veniva in Italia per torgli il regno, se no, si sarebbono dati al re
di Germania, siccome risoluti di non più sopportare la crudeltà di
Berengario; e di sua moglie. Andò Adalberto; trovò il padre disposto
alla rinunzia; ma Willa sua madre, femmina delle più perverse e triste
che sieno mai state create al mondo, non si volle lasciar in alcuna
maniera smuovere, e disturbò l'affare. Portata da Adalberto la risposta
ai conti, ciò servì ad accrescere la loro collera; e però all'istante
partendosi da lui colle lor genti, se ne tornarono cadauno alla sua
città. Di qui è che senza contrasto alcuno entrò il re Ottone in Italia,
e a dirittura passato a Pavia, vi trovò spalancate le porte. Non tardò
la maggior parte de' principi e delle città d'Italia ad eleggere e a
riconoscere per suo signore il re Ottone nella dieta tenuta a questo
fine in Milano. Landolfo seniore[2250] storico milanese del secolo
susseguente così ne scrive: _Otto ab omnibus in regnum cum triumphis
Mediolani electus, sublimatus est_. Seguita poi a descrivere la
coronazione fatta nella basilica ambrosiana di Milano, con queste
parole: _Walperto_ (arcivescovo) _mysteria divina celebrante, multis
episcopis circumstantibus, rex omnia regalia, lanceam, in qua clavus
Domini habebatur, et ensem regalem, bipennem, baltheum, clamydem
imperialem, omnesque regias vestes super altare beati Ambrosii deposuit,
perficientibus atque celebrantibus clericis, omnibusque ambrosianis
Credo eziandio che Litolfo conquistasse parte della Lombardia, ma non
già _tutta l'Italia_, come scriveva l'Annalista sassone. Il Continuatore
di Reginone non altro dice, se non che egli _totius paene Italiae
possessor efficitur_.
NOTE:
[2210] Liutprandus, Hist., lib. 6, cap. 6.
[2211] Chron. Farfense, P. II, tom. 2 Rer. Ital., pag. 472.
[2212] Antiquit. Ital., Dissert. V.
[2213] Annalista Saxo, ad hunc ann.
[2214] Donizo, in Vit. Mathild., lib. 1, cap. 1.
[2215] Annalista Saxo, ad hunc ann.
[2216] Frodoardus, in Chronico, ad ann. 957.
[2217] Hermannus Contractus, in Chron.
[2218] Arnulf., Hist. Mediolanens. lib. I, cap. 6.
Anno di CRISTO DCCCCLVII. Indiz. XV.
GIOVANNI XII papa 2.
BERENGARIO II re d'Italia 8.
ADALBERTO re d'Italia 8.
Andavano prosperando in Italia l'armi di _Litolfo_ duca di Lamagna,
figliuolo del re Ottone, e già pareva che, abbattuto Berengario col
figliuolo, non potesse più risorgere: quando l'improvvisa morte di esso
Lidolfo troncò il filo alla fortuna e vita di lui, e fece mutar aspetto
alle cose d'Italia. Donizone[2219] cel rappresenta passato da parte a
parte in una battaglia dalla lancia del re Adalberto. Ma più fede merita
chi il dice morto in altra maniera. _Febre correptus_, scrive
Epidanno[2220] nella sua Cronica. E Froduardo[2221]: _Liudulfus Othonis
filius, qui paene totam obtinuerat Italiam, obiit, sepeliturque
Moguntiae apud sanctum Albanum_. Ed Ermanno Contratto[2222]: _Liutolfus
dux commissa pugna Adalpertum vincit, cunctisque sibi una cum regno
Italiae subjugatis, ipse eodem anno apud Plumbiam immaturo obitu vita
decessit, et magno multorum luctu Moguntiae sepultus est_. Non so se qui
si parli di _Plombia_ terra della diocesi di Novara. Ditmaro[2223] ci ha
conservato il dì della sua morte, con iscrivere, non senza qualche
differenza dagli altri scrittori circa il motivo della sua venuta in
Italia: _Liudulfus regis filius, malorum depravatus consilio, rursum
rebellavit, patriaque cedens, Italiam perrexit; ibique quum annum ferme
unum esset, octavo idus septembris (proh dolor!) obiit. Hujus corpus a
sociis ejusdem Moguntiam delatum, lugubriter in ecclesia Christi
martyris Albani sepultum._ Vanno concordi questi autori in asserire
seppellito il corpo del suddetto principe in Magonza, nè si oppongono a
Donizone, il quale attesta che le viscere di lui ebbero sepoltura nella
chiesa di san Prospero di Antognano, vicino al prato di Carpineto sul
Reggiano, ma il corpo imbalsamato fu mandato in Germania al re Ottone
suo padre. Facilmente s'intende ancora che la mancanza di questo
principe si tirò dietro il risorgimento dei re _Berengario_ e
_Adalberto_, i quali, tornati che furono i Tedeschi nelle loro contrade,
dovettero senza fatica rimettersi in possesso delle città perdute. Ma si
vuol aggiugnere essere corso in Italia un sospetto che Berengario avesse
procurata a Litolfo la morte con quei mezzi a' quali può ricorrere
solamente chi è servo dell'iniquità. _Postea vero_, scrive Arnolfo
storico milanese, _pius ille Liutulfus perfidia Langobardorum fertur
veneno necato._ Nelle giunte da me fatte alla Cronica del monistero di
Casauria[2224] si legge uno strumento di terre concedute a livello da
Ilderico abbate di quel sacro luogo ad _Attone_, ossia ad _Azzo conte_,
scritto _regnantibus domno Berengario, et Adelberto filio ejus regibus,
anno regni eorum in Dei nomine VII, et temporibus Teobaldi ducis et
marchionis anno ejus IV, mense junii, per Indictionem XV_. Abbiamo qui
assai luce per conoscere che in questi tempi era il governo del ducato
di Spoleti e della marca di Camerino appoggiato a _Teobaldo_ ossia
_Tebaldo_. Egli, siccome di sopra osservai all'anno 946, era figliuolo
di quel _Bonifazio_ di nazione ripuaria, che era stato duca anch'esso e
marchese di quelle contrade. Numerandosi qui l'_anno quarto_ del suo
ducato, convien credere che nell'anno 953, o 954 mancasse di vita
Bonifazio suo padre, e che egli succedesse nel governo di quegli stati.
L'autore della Cronica farfense[2225] fa parimente menzione sotto questi
tempi _marchionis Theobaldi, qui tunc Sabinensibus praeerat_. Nella
Sabina è situato il monistero di Farfa; e la Sabina era allora compresa
nel ducato di Spoleti. Abbiamo poi dalla Cronica arabica[2226], che
venuto nell'agosto dell'anno precedente in Sicilia un generale moro,
appellato Ammar, dopo avere svernato in Palermo, uscito di colà nella
primavera, passò in Calabria. All'incontro arrivato in Sicilia Basilio
ammiraglio de' Greci, vi spianò la moschea di Riva, e prese la città di
Termine; e venuto alle mani con Assano moro, signore dell'isola nella
valle di Mazara, misero a filo di spada molti di quegli infedeli.
NOTE:
[2219] Donizo, in Vita Mathild., lib. 1, cap. 1.
[2220] Epidannus, in Chronic.
[2221] Frodoardus, in Chronico.
[2222] Hermann. Contractus, in Chron.
[2223] Ditmarus, in Chronic., lib. 2.
[2224] Chronic. Casauriense, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2225] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital., pag. 472.
[2226] Chron. Arab., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCLVIII. Indiz. I.
GIOVANNI XII papa 3.
BERENGARIO re d'Italia 9.
ADALBERTO re d'Italia 9.
Perchè _Ottone_ il grande re di Germania, dopo la morte di _Lodolfo_ suo
figliuolo, succeduta in Italia, niuna inquietudine recasse ai re
_Berengario_ e _Adalberto_, potrebbe taluno chiederlo; e si potrebbe
rispondere che Berengario dovette placarlo in qualche maniera. Ne è
anche un contrassegno il vedere che esso Berengario, quantunque per le
ragioni vecchie, e per la venuta del suddetto Litolfo, a cui aderì tosto
_Alberto Azzo_, dovesse nudrire rabbia e mal talento verso di questo
bisavolo della contessa Matilda, pure il lasciò in pace, per riguardo,
come si può conghietturare, ad Ottone di lui protettore. Anzi è da
osservare, che se non prima, almeno in quest'anno esso _Alberto Azzo_
porta il titolo di conte, cioè di governatore probabilmente di qualche
città. Ciò costa da uno strumento da me prodotto[2227], scritto
_Berengarius et Adelbertus filio ejus gratia Dei reges, anno regni
eorum, Deo propicio octavo, mense novembris, Indictione secunda_:
indicanti l'anno presente. In esso strumento _Atto filius quondam
idemque Attoni de comitatu parmense, qui professus sum ex natione mea
lege vivere Longobardorum_, vende alcuni beni ad _Alberto, qui et Atto
comes, consobrino meo, filius quondam Sigefredi de comitato lucensi_. Fu
stipolato quello strumento _in loco insula Judiciaria parmensis_.
Potrebbe essere che a questi tempi appartenesse ciò che narra l'autore
della Cronica farfense. Quel tiranno e dilapidatore dell'insigne
monistero di Farfa, _Campone abbate_, di cui parlammo all'anno 939, era
tuttavia vivo, ed opprimeva quel sacro luogo. _Giovanni XII_ papa
cominciò ad abborrirlo, _sicut et suus pater_, cioè _Alberico_ patrizio.
E nol lasciando tornare al governo del monistero, creò in sua vece
abbate di Farfa un certo _Adamo_, oriundo della città di Lucca, se pure
non vuol dire di Lucania. Ma perchè in questi tempi per la maggior parte
i monisteri di Italia, seminarii una volta di virtù, erano divenuti
sentine di vizii, esso Adamo ben tosto si scoprì non da meno del
suddetto Campone. _Pro publico autem stupri scelere, in quo detentus est
a militibus papae Johannis, et marchionis Theobaldi, qui tunc
Sabinensibus praeerat._ Per esimersi dal gastigo gli convenne alienar
due corti ed altri fondi spettanti a quel monistero. Lupo
protospata[2228] all'anno 955 notò che Mariano generale dei Greci venne
in Puglia. Sotto quest'anno poi, oppur nel seguente, l'autore della
Cronica arabica[2229] della Sicilia lasciò scritto che Assano saraceno,
signore di quell'isola, _transfretavit et ivit obviam fratri suo Ammar.
Et fugit coram eo Marianus Strategus, abducta tamen navi e navibus
Moslemiorum._ Aggiugne appresso che quell'armata navale di Mori, nel
tornare di settembre in Sicilia, andò tutta a male, e fu d'uopo farne
una di nuova. Circa questi tempi _Attone_ vescovo di Vercelli, grande
ornamento di quella chiesa per la sua letteratura e pietà, diede fuori
il suo trattato _De pressuris Ecclesiae_, dove espone il mal trattamento
che si facea dei vescovi, con permettere a tutti di accusarli, con
esigere da essi che in mancanza di pruove prendessero il giuramento, ed
accettassero il duello da farsi con qualche loro campione. Riconosce per
canoniche e come vegnenti da Dio le elezioni de' vescovi fatte dal clero
e popolo. Ma i principi poco timorati di Dio, sprezzando queste regole,
volevano che la lor volontà prevalesse in eleggere i sacri pastori. E
quali mai? Si rifiutavano i meritevoli eletti, e conveniva prendere i
prediletti da loro, ancorchè indegni, non considerando essi il merito
del sapere e della bontà de' costumi, ma solamente le ricchezze, il
parentado e i servigii. E se non vendevano le chiese per denaro, le
davano nondimeno in pagamento della servitù prestata da essi, o dai lor
parenti alla corte. Però si vedevano fanciulli alzati al vescovato, e si
obbligava il popolo a dar testimonianze favorevoli a questi sbarbatelli,
che appena avevano imparato a memoria qualche articolo della fede, per
potere rispondere, benchè tremando, all'esame: il quale era tuttavia in
uso piuttosto per formalità, che per chiarire la scienza d'essi. Ed ecco
qual fosse in questi tempi lo stato miserabile delle chiese d'Italia.
NOTE:
[2227] Antiquit. Ital., Dissert. XXVIII.
[2228] Lupus Protospata, Chron.
[2229] Chron. Arabic., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCLIX. Indiz. II.
GIOVANNI XII papa 4.
BERENGARIO re d'Italia 10.
ADALBERTO re d'Italia 10.
Era assai vecchio _Pietro Candiano III_ doge di Venezia; a questa
malattia si aggiunse la grave afflizione provata per la ribellione di
_Pietro_ suo figliuolo, che servì ad affrettargli la partenza da questo
mondo[2230]. Non fu egli sì presto morto, che raunato il gran consiglio
del popolo, dove intervennero anche i vescovi ed abbati, tutti
deliberarono di voler per loro doge quel medesimo _Pietro IV_ che essi
prima aveano giurato di non ammettere al loro governo. Però a gara con
quasi trecento barche se n'andarono a Ravenna a levarlo, e pomposamente
ricondottolo a Venezia, di nuovo il crearono doge. Accadde probabilmente
in questo anno un fatto, di cui ci ha conservata una breve memoria
l'Anonimo salernitano[2231]. Cioè che _Giovanni XII_ papa, il quale
comandava tanto in temporale che spirituale in Roma, ebbe delle
dissensioni con _Pandolfo_ e _Landolfo II_ principi di Benevento e di
Capua, ch'esso istorico chiama figliuoli di _Landolfo I_, ma con errore,
perchè _Pandolfo_ fu figliuolo e non fratello di _Landolfo II_, il quale
fin dall'anno 943 l'avea dichiarato collega nel principato. Ora papa
Giovanni _dum esset adolescens, atque vitiis deditus, undique hostium
gentes congregari jussit in unum, et non tantum romanum exercitum, sed
et tuscos spoletinosque in suum suffragium conduxit_. Nè i popoli di
Spoleti, nè quei della Toscana erano allora sudditi del papa, e però gli
dovette egli trar seco in lega. A questo avviso Landolfo principe di
Benevento mise in armi tutti i suoi Capuani, ed incontanente spedì a
Salerno, pregando _Gisolfo_ principe di quella terra di accorrere in
aiuto suo. Venne Gisolfo con fiorito esercito e gran salmeria. Non ci
volle di più per fare abortire tutti i disegni di papa Giovanni;
perciocchè _dum Romani, Spoletinique et Tusci adventum principis Gisulfi
reperissent, magno metu percussi, suos repetunt fines_. Aggiugne il
medesimo storico, che da lì a qualche tempo papa Giovanni per suoi
ambasciatori fece intendere a Gisolfo suddetto di voler contraere lega
con lui. Venne Gisolfo da Salerno a Terracina, conducendo seco un
nobilissimo corteggio, e colà portatosi anche il papa, stabilirono tra
loro la desiderata lega. In somma dice questo scrittore salernitano,
essere stato in tanto credito Gisolfo principe di Salerno, che tanto i
Greci che i Saraceni, Franzesi e Sassoni si studiavano di averlo per
amico, e niuno si attentava a toccare gli stati di lui. Ho io data alla
luce[2232] una donazione da lui fatta alla chiesa di san Massimo,
fondata in Salerno _a domino Guaiferio principe bisavio nostro_, come
egli dice. Lo strumento fu scritto _in anno vigesimo quinto principatus
nostri de mense aprilis, Indictione II_, cioè nell'anno presente, se
quelle note furono ben copiate. Leggesi parimente nelle Antichità
italiche[2233] un diploma dei re Berengario e Adalberto, dato _VIII
kalendas novembris, anno Incarnationis Domini DCCCCLVIII, regni vero
domnorum Berengarii atque Adalberti piissimorum regum VIIII, Indictione
III. Actum Papiae._ Anche questo documento appartiene all'anno presente.
Non si sa già a quale sia precisamente da riferire una lettera scritta
dal soprallodato _Attone_, ossia _Azzo_ vescovo di Vercelli in questi
tempi, personaggio di sacra letteratura ornatissimo, come dimostrano
l'opere sue date alla luce dal padre Dachery[2234], e tanto più degno di
stima, quanto più era comune allora l'ignoranza in Italia. Tutti si
lamentavano, ma specialmente i vescovi, dell'aspro governo del re
Berengario, e si può credere che studiassero le maniere di sgravarsene.
Ora Berengario, a cui non mancavano spie, per assicurarsi della fedeltà
d'essi prelati, volle obbligarli a dargli degli ostaggi. Sopra ciò
Attone scrisse ai vescovi suoi confratelli (giacchè non era loro
permesso di raunarsi), per udire il loro sentimento intorno a questa
novità. Egli intanto giudiziosamente propone il suo con riconoscere
l'obbligo della fedeltà dovuto a' suoi sovrani, ma con sostenere che non
si dee far quello che non hanno fatto i predecessori; nè essere giusto
l'esporre gli ostaggi a' pericoli della vita, perchè i vescovi se non si
trattenessero per timore di Dio dal mancare al loro dovere, molto men se
ne guarderebbero per timore di nuocere agli ostaggi. Nel catalogo dei
duchi di Spoleti, posto davanti alla Cronaca di Farfa,[2235] prima
dell'anno 960 si vede menzionato _Trasmundus dux_, il quale si può
credere succeduto in quel ducato dopo la morte o per altra mancanza di
_Teboaldo duca_ e marchese di quella contrada. All'anno 981 noi
troveremo creato duca e marchese di Spoleti e Camerino un _Trasmondo_,
senza potersi chiarire se sieno diverse persone, e forse l'un figliuolo
dell'altro, o se pure fuor di sito avesse il Cronista farfense parlato
di un Trasmondo duca verso questi tempi.
NOTE:
[2230] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2231] Anonymus Salern., P. II. tom. 2 Rer. Ital.
[2232] Antiquit. Italic., Dissert. XXVIII.
[2233] Ibid., Dissert. II.
[2234] Atto Vercellensis, Epist. 11, in Spicileg. Dachery.
[2235] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCLX. Indizione III.
GIOVANNI XII papa 5.
BERENGARIO II re d'Italia 11.
ADALBERTO re d'Italia 11.
Non ha la storia d'Italia autore alcuno da cui si possa ricavare in che
consistessero gli aggravii fatti dal re Berengario a quasi tutti i
principi d'Italia, ed in particolare al romano pontefice. Ch'egli ne
facesse, e molti ed intollerabili, si può argomentare da quanto
lasciarono scritto gli antichi storici, fra i quali Liutprando, dove
racconta[2236], che _regnantibus, immo saevientibus in Italiam, et, ut
verius fateamur, tyrannidem exercentibus Berengario atque Adelberto,
Giovanni XII_ papa spedì per i suoi legati ad _Ottone_ il grande re di
Germania _Giovanni cardinal_ diacono ed Azzone notaio, oppure
archivista, con pregarlo che per amore di Dio e dei santi apostoli
Pietro e Paolo volesse liberar lui e la santa Chiesa romana dalle griffe
di questi due re, e rimetterla nella sua primiera libertà. Dietro ai
legati pontificii arrivò in Sassonia _Gualberto_ arcivescovo di Milano,
che appena vivo s'era potuto sottrarre alla rabbia di Berengario e
Adalberto, protestando di non poter più sofferire la loro crudeltà, e
molto men quella di _Willa_ ossia _Guilla_ moglie di Berengario, che
contro le leggi ecclesiastiche volea sostenere come arcivescovo di
Milano _Manasse_ arcivescovo d'Arles, il quale altronde si sa che
seguitava tuttavia ad intitolarsi arcivescovo di Milano. In oltre
sopraggiunse _Gualdone vescovo_ di Como, e non già di Cuma, come si
pensò il padre Pagi, lamentandosi anch'egli di varie oppressioni a lui
fatte dai due re suddetti e dalla regina Willa. Aggiugne Liutprando:
_Venerunt et nonnulli alterius ordinis ex Italia viri, quos inter
illustris marchio Otbertus cum apostolicis cucurrerat nuntiis, a
sanctissimo Othone tunc rege, ut dixi, nunc augusto Caesare, consilium,
auxiliumque expetens_. Lo stesso abbiamo dal Continuatore di
Reginone[2237], le cui parole, rapportate ancora dall'Annalista
Sassone[2238], sono le seguenti sotto quest'anno: _Legati quoque ab
apostolica Sede veniunt Johannes diaconus, et Azo scriniarius, vocantes
regem ad defendendum Italiam et romanam rempublicam a tyrannide
Berengarii. Waltbertus etiam archiepiscopus mediolanensis, et Waldo
cumanus episcopus, et Opertus marchio, Berengarium fugientes, in Saxonia
regem adeunt. Sed et reliqui paene omnes Italiae comites et episcopi,
literis eum autem legatis, ut ad se liberandos veniat, exposcunt._
Convien qui por mente a questo _Oberto_ marchese, indubitato ascendente
della real casa d'Este, che mireremo anche diramata nella real casa di
Brunsvich dominante in Germania e nella gran Bretagna. Noi vedemmo
questo principe nell'anno 951, caro al re Berengario, e suo confidente.
Ma Berengario, facile a farsi dei nemici, era anche più facile a perdere
gli amici. Non potendo più il marchese reggere alle aspre ed ingiuste
maniere di lui, ricorse anch'egli al re Ottone. Siccome si dimostrerà,
questo marchese _Oberto_ non è già lo stesso che _Uberto_ figliuolo
bastardo del re Ugo, e marchese di Toscana, del quale Uberto non parlano
più da qui innanzi le carte antiche di Lucca. Noi troveremo il nostro
_Oberto_ sotto Ottone il grande, uno de' primi personaggi nella sua
corte e di tutta l'Italia; laddove _Uberto_ marchese di Toscana fu da
esso Ottone cacciato in esilio.
Se mi vien chiesto di qual marca avesse allora il governo il suddetto
_Oberto_, non so rispondere, per mancanza di lumi. So bene (e lo vedremo
andando innanzi) ch'egli, mancato di vita circa l'anno 975, lasciò dopo
di sè due figliuoli, cioè _Adalberto_ ed _Oberto II_, amendue marchesi.
E questo _Adalberto_, siccome costa da uno strumento lucchese, citato
dal Fiorentini[2239], e da me poi pubblicato nelle Antichità
estensi[2240] vien chiamato _Adalbertus marchio, filio bonae memoriae
Obberti, et nepos bonae memoriae Adalberti, qui fuit similiter marchio_.
Sicchè padre di questo _Oberto_, chiamato _illustre marchese_ da
Liutprando, fu un altro _marchese Adalberto_; e però, secondo i miei
conti e per le osservazioni già addotte in essa opera, concorrono
fortissime conietture a farci credere il padre d'esso Oberto discendente
da uno dei due _Adalberti_ duchi e marchesi di Toscana, o per via di
_Bonifazio_ figliuolo di _Adalberto I_, o per quella di _Guido_ o di
_Lamberto_ figliuoli di _Adalberto II_ duchi anch'essi di Toscana. Sotto
i re Ugo e Lottario fu perseguitata e depressa la prosapia d'essi
Adalberti; ma sotto Berengario, e maggiormente poi sotto Ottone il
Grande, si rialzò nella persona del mentovato marchese _Oberto_, con
durar tuttavia per misericordia di Dio nelle nobilissime due case
regnanti che testè ho accennato. Ora tornando ad Ottone I re di
Germania, dovette ben parergli saporito l'invito a lui fatto da tanti
principi di acquistare non solamente il regno d'Italia, ma anche la
corona dell'imperio romano; e però in questo anno egli accudì alle
provvisioni necessarie per calare con forza e decoro in Italia nell'anno
vegnente. Truovasi una donazione fatta dal re Berengario alla regina
_Willa_ ossia _Guilla_ sua moglie[2241], _interventu ac petitione
Widonis marchionis, nostrique dilecti filii_. Fu dato quel diploma
_octavo die kalendas novembris anno dominicae Incarnationis DCCCCLX,
Indictione quarta regni vero domnorum Berengarii, et Adalberti regum
decimo. Actum vero Papiae._ Sotto questo medesimo anno racconta il
Dandolo[2242] che _Pietro Candiano IV_ doge di Venezia, insieme con
_Buono patriarca_ di Grado, con _Pietro vescovo_ di Olivola, ossia di
Venezia stessa, con _Giovanni vescovo_ di Torcello, e con gli altri
vescovi, clero e popolo, rinnovò il decreto già fatto da _Orso I_ doge,
di non far da lì innanzi mercatanzia degli servi ossia degli schiavi
cristiani. Cioè da gran tempo costumavano i mercatanti veneziani di
comperare dai corsari schiavoni o ungheri, dei poveri cristiani fatti
schiavi, e poi li rivendevano ai Saraceni o ad altre nazioni pagane.
Circa l'anno 877 fu proibito questo infame traffico dai dogi e dal clero
e popolo di Venezia con pene temporali e spirituali. Ci fu bisogno
ancora in quest'anno di rinnovar lo stesso divieto, con proibire nel
medesimo tempo il portar lettere d'Italiani, o di Tedeschi ai Greci, o
al loro imperadore, ad istanza forse del re Berengario, a cui non
doveano piacere simili intelligenze. Donizone[2243], oltre all'assedio
di Canossa fatto dal re Berengario, o sciolto nell'anno 946, ne racconta
un altro succeduto dipoi, od intrapreso dal _re Adalberto_, ma con
imbrogliare i tempi, perchè scrive essere venuto in Italia Litolfo
figliuolo del re Ottone, per le cui forze restò libera Canossa. Ucciso
poi, com'egli vuole, Litolfo in una battaglia, _Alberto Azzo_ signore di
quella rocca scrisse immediatamente al re Ottone che scendesse in
Italia, perchè questa sarebbe sua: e che Ottone
_. . . . . . confestim multos secum inde revexit_
_Italiam secum, quem pacifice petierunt_
_Cuncti Lombardi, sibi dantes oppida gratis._
Questo secondo assedio, secondo lui, durò _tempora per bina, ternos
mensesque_, cioè, se so ben intendere, due anni e tre mesi. Conosce il
lettore che v'ha degli sbagli nella narrativa di Donizone. Ma posto che
sussista il suddetto secondo assedio, ed assedio anch'esso ben lungo,
parrebbe che dovessimo crederlo incominciato nell'anno 959, e terminato
nell'anno 961, allorchè un gran temporale venne dalla Germania in
Italia.
NOTE:
[2236] Liutprandus, Hist., lib. 6, cap. 6.
[2237] Continuator Rheginonis, in Chronico.
[2238] Annalista Saxo.
[2239] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 4.
[2240] Antichità Estensi P. I, cap. 21.
[2241] Antiquit. Ital., Dissertat. XIX.
[2242] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2243] Donizo, in Vita Mathild., lib. 1, cap. 1.
Anno di CRISTO DCCCCLXI. Indiz. IV.
GIOVANNI XII papa 6.
BERENGARIO II re d'Italia 12.
ADALBERTO re d'Italia 12.
Quando sia originale, come sembrò a me, un diploma[2244] dei re
_Berengario_ e _Adalberto_, conceduto a _Martino abbate_ della
Vangadizza presso all'Adigetto, dove io osservai tuttavia il sigillo di
cera col nome di quei re, noi troviamo essi regnanti in Verona sul fine
di maggio del presente anno. Fu dato quel diploma _tertio kalendas
junias, anno Incarnationis Domini DCCCCLXI, regni vero domni Berengarii,
atque Adalberti piissimorum regum XI, Indictione IV. Actum Veronae._
Quel che è più, essendo stato questo diploma _interventu ac petitione
Ugonis marchionis Thusciae_, noi vegniamo a conoscere che _Uberto
marchese di Toscana_, o avea pagato il debito della natura[2245], o,
come vogliono alcuni, era fuori d'Italia cacciato in esilio; e che _Ugo_
suo figliuolo, il quale poi riuscì uno de' principi famosi d'Italia, era
succeduto a lui nel possesso e governo della Toscana; ed avere san Pier
Damiano imbrogliata, siccome vedremo, co' suoi racconti la storia della
Toscana. Vien anche rapportata dall'Ughelli[2246] la fondazione del
monistero di Grassano nella diocesi di Vercelli fatta da _Aledramo
marchese_, figliuolo di _Guglielmo conte_, e da _Gerberga_ figliuola del
re Berengario. Questi vien creduto il primo marchese del Monferrato, da
cui derivò la schiatta di que' principi sì celebri, siccome vedremo
nella storia de' secoli susseguenti. Quello strumento ha queste note:
_Berengarius et Adalbertus ejus filius, gratia Dei reges, anno eorum,
Deo propitio, undecimo, mense augusti, Indictione quarta_, cioè
nell'anno presente, nel cui mese di agosto troviamo tuttavia dominanti
questi due re. Vedesi anche appresso il Guichenon[2247] un diploma di
Ugo e Lottario re d'Italia, che nell'anno 938 donano _Aledramo comiti
quamdam cortem, quae Forum nuncupatur, sitam super fluvium Tanar_. Si
può tenere per lo stesso Aledramo che con titolo di marchese comparisce
da lì innanzi. Intanto stava forte a cuore al re Ottone la spedizion
d'Italia; ma prima d'intraprenderla volle assicurar la corona della
Germania in capo ad _Ottone_ primogenito suo. Adunata dunque in Vormazia
la dieta generale del regno, fu con unanime consenso de' baroni e del
popolo eletto re di Germania, e coronato _Ottone II_ suo
figliuolo[2248]. Ciò fatto, e raccomandato a _Guglielmo arcivescovo_ di
Magonza, suo fratello, esso figliuolo, ch'era allora in età di sette
anni, tornò Ottone il Grande in Sassonia, e dopo aver dato buon ordine
agli affari, per la Baviera e per la valle di Trento calò coll'esercito
suo in Italia, _ubi omnes paene comites et episcopos obvios habuit, et,
ut decuit, ab eis honorifice susceptus, potestative, et absque ulla
resistentia Papiam intravit_. Trovò quivi distrutto da Berengario il
palazzo dei re, forse per un pazzo gastigo dato da lui ai cittadini, ed
ordinò che si rifacesse. Intanto Berengario e Willa sua moglie e i lor
figliuoli si chiusero in varie fortezze, senza osar di comparire
coll'armi in campagna per opporsi ai felici progressi del re germanico.
Si può molto bene accordar questa relazione con ciò che l'Anonimo
Salernitano[2249] lasciò scritto, dicendo che il re Adalberto _cum magno
apparatu, populoque nimis valido Clusas venit_, cioè alla Chiusa nella
valle dell'Adige, _quatenus cum Ottone certamen iniret. Feruntque
plurimi, ut sexaginta millia pugnatorum cum rege Adelverto fuissent._
Stette ivi questo esercito un dì e una notte, senza che udissero
avvicinarsi il nemico; quand'eccoti molti di que' conti, cioè de'
governatori delle città, dissero fuor dei denti ad Adalberto che il
pregavano di portarsi a Pavia per fare intendere al re Berengario suo
padre di cedere ad esso Adalberto il governo del regno, perchè loro
intenzione era di non istar più sotto il comando di lui. Se
acconsentiva, erano pronti a combattere con tutte le lor forze contra
chi veniva in Italia per torgli il regno, se no, si sarebbono dati al re
di Germania, siccome risoluti di non più sopportare la crudeltà di
Berengario; e di sua moglie. Andò Adalberto; trovò il padre disposto
alla rinunzia; ma Willa sua madre, femmina delle più perverse e triste
che sieno mai state create al mondo, non si volle lasciar in alcuna
maniera smuovere, e disturbò l'affare. Portata da Adalberto la risposta
ai conti, ciò servì ad accrescere la loro collera; e però all'istante
partendosi da lui colle lor genti, se ne tornarono cadauno alla sua
città. Di qui è che senza contrasto alcuno entrò il re Ottone in Italia,
e a dirittura passato a Pavia, vi trovò spalancate le porte. Non tardò
la maggior parte de' principi e delle città d'Italia ad eleggere e a
riconoscere per suo signore il re Ottone nella dieta tenuta a questo
fine in Milano. Landolfo seniore[2250] storico milanese del secolo
susseguente così ne scrive: _Otto ab omnibus in regnum cum triumphis
Mediolani electus, sublimatus est_. Seguita poi a descrivere la
coronazione fatta nella basilica ambrosiana di Milano, con queste
parole: _Walperto_ (arcivescovo) _mysteria divina celebrante, multis
episcopis circumstantibus, rex omnia regalia, lanceam, in qua clavus
Domini habebatur, et ensem regalem, bipennem, baltheum, clamydem
imperialem, omnesque regias vestes super altare beati Ambrosii deposuit,
perficientibus atque celebrantibus clericis, omnibusque ambrosianis
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