Annali d'Italia, vol. 3 - 74
giovassero le lamentanze di questi, saviamente il doge pubblicò un
editto che proibiva a tutti i Veneziani d'andare in Istria, e a quei
d'Istria di venire a Venezia. Allora il marchese e i suoi popoli,
tornati in sè, implorarono la mediazione di _Marino patriarca_, di
Grado, il quale s'interpose col doge, e ridusse a' primieri patti e ad
una buona concordia amendue le parti. Fu poscia eletto doge _Pietro
Badoero_, il quale dicono che era figliuolo di _Orso Particiaco_ ossia
_Participazio_, già doge di Venezia, volendo ancora che fosse la stessa
casa quella de' Particiaci e dei Badoeri. Secondo la Cronica
arabica[2049], seguì una battaglia in Sicilia fra i Mori e quei di
Agrigento, ossia Gergenti, colla peggio de' primi. Tornato a Palermo il
generale de' Mori, pose una contribuzione alla città, e fatto venire un
buon rinforzo di truppe dall'Africa, s'impadronì di Butera, d'Assaro, e
di qualche altra fortezza in Sicilia. Passò in quest'anno a miglior vita
_Leone VII_, con danno della Chiesa, per essere stato pontefice di gran
pietà e zelo della religione. Ebbe per successore _Stefano VIII_ di
nazione romano, per attestato di Pandolfo pisano e d'altri[2050]. Non so
io intendere come mai scrivesse il cardinal Baronio[2051]: _Quum a
Romanis, posthabitis cardinalibus, esset electus opera Ottonis regis,
tyrannorum in se odium concitavit._ Dovette provenir questa
immaginazione dall'aver egli prestato fede a Martin Polacco, che il fa
di nazion tedesco. Ma questa è asserzione insussistente. Non poteva
allora _Ottone re_ di Germania avere tal possa in Roma da far eleggere
un papa. Che poi non fossero ammessi alla di lui elezione i cardinali,
niuno degli antichi storici lo attesta; nè sappiamo che questo eletto
non fosse un di essi. Girolamo Rossi[2052] accenna uno strumento di
livello fatto da _Pietro_ arcivescovo di Ravenna a qualche persona
particolare, e non già, come suppone il padre Pagi, la confermazione de'
privilegii della chiesa di Ravenna, fatta dal papa al suddetto
arcivescovo con queste note: _Anno, Deo propitio, pontificatus domni
Stephani summi pontificis, ec. anno primo, regnante domno Hugone
piissimo rege anno XIIII, sed et domno Hlotario ejus filio item rege
anno nono, die XXIX octobris, Indictione XIII Ravennae_, cioè nell'anno
presente. Ci assicura il suddetto Rossi che in altre carte ravennati di
questi tempi si veggono notati gli anni di Ugo e Lottario. Segno è
questo, che non avendo potuto il re Ugo vincerla coi Romani per ottener
la corona dell'imperio, s'era impadronito dell'esercato. Ed io temo che
il nome del papa entrasse in quegli atti solamente per costume e
riverenza verso il pontificato romano, e non già perchè Ugo lasciasse il
temporal dominio di quelle contrade ai papi. Vedremo che ai tempi di
Ottone il grande la santa Sede ricuperò l'esarcato.
NOTE:
[2046] Mabill., Annal. Benedict., lib. 44, n. 3.
[2047] Cron. Farfens. P. II tom. 2 Rer. Ital.
[2048] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2049] Chron. Arab. P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2050] Rer. Ital., P. II, tom. 3.
[2051] Baron., in Annal. Ecclesiast.
[2052] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 5.
Anno di CRISTO DCCCCXL. Indiz. XIII.
STEFANO VIII papa 2.
UGO re d'Italia 15.
LOTTARIO re d'Italia 10.
O sia che il _re Ugo_ non si fidasse di alcuno, e di chi gli entrava in
sospetto egli macchinasse tosto la rovina; oppure che veramente stanchi
i principi d'Italia non potessero più soffrir sul trono questa volpe
coronata: certo è che esso re Ugo la prese contra di _Berengario
marchese d'Ivrea_, contra d'_Anscario duca e marchese di Spoleti e
Camerino_, fratello del medesimo Berengario, per sospetto, oppure per
certa cognizione che amendue d'accordo tramassero centra la di lui
corona. La tragedia, se vogliam credere al catalogo dei duchi di Spoleti
posto innanzi alla Cronica di Farfa[2053], dovette succedere nell'anno
presente, essendo ivi scritto: _DCCCCXL Anscharius marchio obiit._ Spedì
dunque il re Ugo in primo luogo alla volta di Spoleti _Sarilone_, ossia
_Sarlione_, borgognone[2054], uomo non guerriero, ma di rara accortezza,
e però assai atto al bisogno. _Sarilo_ e _Sarlius_ si truova egli
chiamato, ed è quel medesimo che si truova nelle vecchie carte appellato
_Sarilo comes palatii_, perchè esercitava l'insigne carica di conte del
sacro palazzo. Gli diede il re un buon nerbo di soldatesche per poter
operare colla forza, e vi aggiunse un altro più potente rinforzo, cioè
una gran somma di denaro, per potersene valere a tirar dalla sua i
popoli di Spoleti, con ordine ancora di ricorrere per aiuto alla vedova
del fu duca _Teobaldo_, che era nipote del medesimo re Ugo. Andò
Sarlione, ed eseguì puntualmente quanto gli era stato comandato. Mise in
punto una buona armata, ma Anscario, quantunque si vedesse troppo
inferiore di forze, pure si accinse da valoroso ad un fatto d'armi. Gli
riuscì di sbaragliar la prima schiera de' nemici ma non potendo reggere
all'arrivo di due altre schiere, dopo aver fatto grandi prodezze di sua
persona, caduto col cavallo in un fosso, quivi trafitto da molte lance e
dardi lasciò la vita. Portata questa nuova al re Ugo, ne fece gran
festa, e in ricompensa del buon servigio dichiarò _Sarlione_ marchese di
Spoleti e Camerino. Di questo affare si scuopre mal informato Gregorio
monaco autore della suddetta Cronica di Farfa[2055], con iscrivere che
_bellum magnum commissum est pro contentione marchiae firmanae inter
Ascherium et Sarilonem_ (quasi che Spoleti e Camerino fossero denominati
marca di Fermo). _In qua praevalens Sarilo interfecit Ascherium, et
obtinuit marchiam._ Fin qui cammina bene, ma non ciò che egli soggiunge
con dire: _Contra quem Hugo rex exarsit magno furore, persequens illum
pro eodem Ascherio germano suo. Et quum esset idem Sarilo in quodam
reclusus tuscano oppido, videns se nulla ratione illum effugere posse,
noctu indutus monachilem vestem, et summo diluculo, ligato in gutture
fune ejus, se potestati tradidit. Et motus rex misericordia super eum,
perdonavit ei ipsam culpam, ac praeposuit eum super cuncta monasteria
regalia intra fines Tusciae et firmanae marchiae._ Trovò questo monaco
fra le carte dell'archivio farfense _Sarilone_ abbate di quel monistero,
e sel figurò divenuto monaco. Ma costui fu duca e marchese di Spoleti e
Camerino, ed ottenne anche, secondo l'iniquità di quei tempi, in governo
ossia in commenda la badia di Farfa. Potrebbe ben conietturarsi che in
progresso di tempo Sarilone decadesse dalla grazia del re Ugo (giacchè
ci voleva ben poco), e ch'egli il perseguitasse e deponesse; e che
questo monaco confondesse poi le azioni e i tempi in raccontare quel
fatto.
Ci restava da abbattere _Berengario marchese_ d'Ivrea fratello del
suddetto Anscario[2056]. Non si mostrò punto corrucciato con lui
l'astuto re Ugo, anzi affettando gran benevolenza, nel venire ch'ei fece
alla corte, l'accolse con distinte carezze. Ma nel consiglio segreto fu
determinato di cavargli barbaramente gli occhi. Trovossi presente a
questa risoluzione il _re Lottario_, che viene da Liutprando appellato
_parvulus, et necessariarum sibi rerum adhuc ignarus puer._ E siccome
fanciullo di buona indole, non reggendogli il cuore di veder quella
crudeltà, secretamente ne fece avvertire Berengario, il quale non perdè
tempo a fuggirsene fuor d'Italia con ricoverarsi presso di _Ermanno
duca_ di Suevia. Per altra strada mandò anche verso Lamagna _Willa_ sua
moglie, benchè gravida di nove mesi, e vicina al parto, che ebbe tanta
forza e coraggio da valicare a piedi quell'aspre montagne. Ma non potè
prevedere il regal fanciullo Lottario che, col salvare gli occhi a
Berengario, preparava a sè stesso la perdita del regno e della vita,
siccome vedremo. Ermanno duca di Suevia presentò poi Berengario ad
_Ottone re_ di Germania, che l'onorò e regalò non poco, e sel tenne ben
caro nella sua corte. Giunta questa nuova al re Ugo, spedì ambasciatori
ad Ottone, pregandolo di non ammettere Berengario suo nemico, e di non
somministrargli aiuto alcuno, con esibirgli in ricompensa una gran somma
d'oro e d'argento. Ma il re Ottone, che forse avea per tempo delle mire
sopra l'Italia, gli rispose di non aver bisogno delle altrui ricchezze,
e di non poter negar ricovero e sussidio a chi ricorreva alla clemenza
sua. Nel Bollario casinense[2057] si legge un diploma di Ugo e Lottario,
in cui confermano il comitato ossia il contado e governo temporale di
Bobbio a quel monistero e a' suoi abbati, con esser ivi nominato
_Liutfredus comes et abbas bobbiensis_. Sarebbe da ricercare se questo
Liutfredo fosse monaco, oppure secolare, che con titolo di _conte_
governasse quella contrada, e di _abbate_ il monistero di san Colombano.
Molto più sarebbe da esaminare il dirsi ivi che i re longobardi, Rotari,
Ariberto e Liutprando, e gl'imperadori e re carolini _praefato coenobio
comitatum bobbiensem cum toto suo honore tradiderant et firmaverant_. È
difficile il credere in tanta antichità abbati conti di città. Ecco le
note cronologiche di quel diploma che stanno a martello: _Dat.
tertiodecimo kalendas aprilis, anno dominicae Incarnationis DCCCCXL,
regni nostri domni Hugonis piissimi regis XIV, Lotharii autem filii ejus
item regis IX, Indictione decimatertia. Actum in praefato bobiense
coenobio._ Abbiamo da Frodoardo[2058] che in quest'anno una gran brigata
d'Inglesi e Francesi, incamminata per divozione alla volta di Roma, fu
costretta a tornarsene addietro, _occisis eorum nonnullis a Saracenis.
Nec potuit Alpes transire propter Saracenos, qui vicum monasterii sancti
Mauritii occupaverant._ Se qui è indicato il monastero agaunense di san
Maurizio ne' Vallesi, aveano dilatato ben lungi quegl'infedeli assassini
di strada il loro potere. Ricavasi ancora dalla Cronica arabica di
Sicilia[2059], che portatosi l'esercito de' Mori all'assedio di Calata
Bellota, nel mese di novembre, fu messo in rotta da quei di Gergenti,
che vi presero tutte le tende degl'infedeli. Aggiugne Lupo
protospata[2060] che in questo medesimo anno 940, _introierunt Ungari
vel Unni in Italiam mense aprilis. Et factum est praelium in Matera a
Graecis cum Longobardis cum Stratigo Imogalapto, et negavit_ (pro
_necavit_) _cum Pao in mari._ Probabilmente _Landolfo_ principe di
Benevento e Capua l'avea rotta di nuovo coi Greci; ma queste troppo
brevi memorie non ci lasciano ben discernere le particolarità, e neppur
la sostanza di que' fatti. Osserva Camillo Pellegrino[2061] che fino a
quest'anno si truova nelle carte memoria di _Atenolfo_ principe
anch'esso di Benevento e di Capua, e fratello di _Landolfo_, e poi non
più: il che può far conietturare ch'egli nell'anno presente desse fine
a' suoi giorni.
NOTE:
[2053] Chron. Farfense, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2054] Liutprandus, lib. 5, cap. 2 et 3.
[2055] Chronic. Farfens., pag. 475. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2056] Liutprandus, Hist. lib. 5, cap. 4 et seq.
[2057] Bullarium Casinens., tom. 2, Constit. L.
[2058] Frodoardus, in Chron.
[2059] Chronicon Arabicum, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2060] Lupus Protospata, in Chron.
[2061] Peregr., Hist. Princip. Langob., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXLI. Indiz. XIV.
STEFANO VIII papa 3.
UGO re d'Italia 16.
LOTTARIO re d'Italia 11.
Attesta Liutprando[2062] non aver mai il re _Ugo_ dimessa la voglia, nè
deposta la speranza di acquistare il dominio di Roma, ossia il titolo e
la corona d'imperador de' Romani; e tuttochè avesse data in moglie ad
_Alberico principe_ di Roma _Alda_ sua figliuola, pure non cessò mai di
molestarlo e di fargli guerra. _Quem_, dice egli, _quotannis graviter
opprimebat gladio et igne, quae poterat universa consumens, adeo ut
civitates, praeter Romam, in qua ipse consederat, omnes auferret. Sed et
ipsam sine dubio tum depopulando, tum cives muneribus corrumpendo
conquisivisset, nisi occulta et justa justi Dei sententia illi
prohibuisset._ Ci si porge motivo di credere che il re Ugo in quest'anno
in persona coll'esercito suo infestasse il ducato romano, al vedere un
suo diploma, spedito nella Campania in favore del monistero di san
Vincenzo del Volturno, con queste note[2063]: _Dat. XIII kalendas
augusti anno dominicae Incarnationis DCCCCXLI, regni vero domni Hugonis
piissimi regis XV, Lotharii vero X, Indictione XIV. Actum in Campania
juxta oppidum Romaniae._ Secondo i miei conti, nel luglio del presente
anno avrebbe dovuto correre l'anno XVI di Ugo, e l'XI di Lottario. Però
forse appartiene esso diploma all'anno precedente e all'indizione XIII.
Nel marzo di quest'anno si truovano i due re in Lucca, dove donarono ai
canonici di quella città due corti con un diploma[2064] dato _VII
kalendas aprilis anno dominicae Incarnationis DCCCCXLI, regni vero domni
Hugonis regis XV, filii ejus Lotharii item regis X, Indict. XIV. Actum
Lucae._ Erano i due re in quella città, come si ricava da un placito da
me pubblicato[2065], incamminati alla volta di Roma. E che veramente il
re Ugo in quest'anno facesse guerra ad Alberico principe di Roma, e
fosse in que' contorni, come si può credere, coll'armi, si raccoglie da
un suo diploma[2066], in cui dona all'insigne monistero dì Subiaco,
posto nel ducato romano, la corte Sala. Fu esso scritto _VII kalendas
julii anno dominicae Incarnationis DCCCCXLI, regni vero domni Hugonis
piissimi regis XV, Lotharii vero item regis X, Indictione XIV. Actum
juxta Romam in monasterio sanctae virginis Agnes._ Ancor qui occorrono
le medesime difficoltà che ho poco fa accennate intorno al diploma
vulturnense; ma il documento ci assicura che Ugo verso il fine di giugno
era sotto Roma. Abbiamo inoltre un'illustre pruova del di lui passaggio
per Pisa in un placito, da me pubblicato, il cui principio è
questo[2067]: _Dum in Dei nomine civitate Pisa ad curte domnorum regum,
ubi domnus Hugo et Lotharius gloriosissimis regibus praeessent, subtus
vites, quod Topia_ (un pergolato) _vocatur, infra eadem curte in judicio
resideret Ubertus illuster marchio et comes palacii, singulorum omnium
justitias facendas ac deliberandas, resedentibus Leo vulterrensis,
Adelbertus lucensis sanctarum Dei ecclesiarum venerabilibus episcopis_,
ec. Fu scritto quel giudicato _anno regni idem domni Hugoni
quintodecimo, Lotharii vero decimo, XIV die mensis marcii, Indictione
quartadecima_, cioè nell'anno presente. Viene accennato dal
Fiorentini[2068] un altro placito tenuto in questi medesimi tempi da
_Uberto_ marchese di Toscana in Lucca, con questo principio: _Dum in Dei
nomine in civitate Luca ad curte domni Hugonis regis in solario ipsius
curtis, ubi domnus Ugo et Lotharius filio ejus gloriosissimis regibus
praeerant in capitela, ubi ec. longanea solarii, prope ecclesiam sancti
Benedicti, et prope capella ipsius solarii, quae vocatur sancti
Stephani, in judicio residerat Hubertus marchio, et comes palatii_, ec.
Dal che intendiamo che Uberto, figliuolo bastardo del re Ugo, era allora
non solamente marchese della Toscana, ma eziandio conte del sacro
palazzo. Circa questi tempi più che mai infierivano i Saraceni abitanti
in Frassineto ai confini dell'Italia e della Provenza[2069]. Aveano,
come ho accennato di sopra, occupati nell'Alpi tutti i passi che guidano
dalla Francia in Italia, con essere giunti sino al monistero agaunense
di san Maurizio, situato nel paese oggidì appellato de' Vallesi.
Studiava il re Ugo le maniere di snidar que' crudi masnadieri, e
conoscendo di mancargli le forze per mare, giacchè in que' tempi
gl'imperadori e re d'Italia poco attendevano ad aver armate navali,
prese la risoluzione d'inviare ambasciatori a _Costantino_ e _Romano_
imperadori de' Greci, per pregarli di volere a lui somministrare una
competente flotta di navi con fuoco greco, acciocchè, mentre egli per
terra andasse ad assalir que' Barbari ne' loro siti alpestri, esse
incendiassero i legni dei Mori, ed impedissero che non venisse loro
soccorso dalla Spagna. Secondo la Cronica arabica[2070], riuscì
finalmente ai Mori signoreggianti in Sicilia di prendere dopo tanto
tempo la già ribellata città di Gergenti. Allora il governator moro per
assicurarsi dei Siciliani fece smantellar assaissime fortezze di quella
isola, e menò schiavi in Africa moltissimi di quegli abitanti.
NOTE:
[2062] Liutprandus, lib. 5, cap. 1.
[2063] Chron. Vulturnens., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2064] Antiquit. Ital., Dissert. LXII.
[2065] Antiquit. Ital., Dissert. X.
[2066] Ibidem, Dissert. XVII.
[2067] Ibidem, in eadem Dissertat.
[2068] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
[2069] Liutprandus, lib. 5, cap. 4.
[2070] Chron. Arab., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXLII. Indiz. XV.
MARINO II papa 1.
UGO re d'Italia 17.
LOTTARIO re d'Italia 12.
Che tuttavia sul principio di questo anno fossero in bollore le
controversie intorno al dominio di Roma fra il re _Ugo_ ed _Alberico_
patrizio e console dei Romani, si raccoglie da Frodoardo[2071], che
lasciò scritte queste parole: _Domnus Odo abbas pro pace agenda inter
Hugonem regem Italiae, et Albericum romanum patricium, apud eumdem regem
laborabat_. Abbiam già veduto di sopra che santo _Odone abbate_ di
Clugnì due altre volte era stato chiamato in Italia per questo medesimo
affare. Temo io che non più di due volte egli ci venisse. Mi si rende
probabile che seguisse pace o tregua fra questi due competitori al
vedere tornati di questo anno in Lombardia i due re, ossia il solo re
Ugo. V'ha un loro diploma[2072], con cui, ad intercessione d'_Uberto
inclito marchese_ e _conte del nostro sacro palazzo_, e di _Elisiardo
illustre conte_, confermano i lor beni ai canonici di Reggio. Esso fu
dato _quarto idus junii anno dominicae Incarnationis DCCCCXLII, regni
vero domni Hugonis regis XVII, Lotharii XIII, Indictione XV. Actum
Papiae._ Con altro diploma furono confermati da essi re, per
interposizione di _Ambrosio vescovo_ di Lodi ed _Adeverto vescovo_ di
Padova, tutti i beni della sua chiesa. Ivi s'ha queste note[2073]:
_Datum octavo kalendas junii, anno dominicae Incarnationis DCCCCXLII,
regni vero domni Hugonis XVI, Lotharii vero XI. Actum in Garda oppido._
Parve a me originale quel diploma. Ora sembrano a me scorretti gli anni
dei due re, e forse anche manca ivi l'_indizione_, la quale non si
soleva ommettere. Scrive inoltre sotto questo stesso anno il suddetto
Frodoardo: _Idem vero rex Hugo Saracenos de Fraxinido eorum munitione
disperdere conabatur_. Pertanto dovrebbe appartenere all'anno presente
ciò che scrive Liutprando[2074]: cioè che avendo _Romano_ imperadore
d'Oriente inviato uno stuolo di navi a requisizion del re Ugo, questi le
incamminò per mare a Frassineto. L'arrivo di esse colà, e il dare alte
fiamme tutte le barche de' Saraceni che quivi si trovarono, fu quasi un
punto stesso. Ugo nel medesimo tempo arrivò per terra a Frassineto colla
sua armata. Pertanto non si fidando i Barbari di quella lor fortezza,
l'abbandonarono, e tutti si ridussero sul monte Moro, dove il re gli
assediò. Avrebbe potuto prenderli vivi, o trucidarli tutti; ma per un
esecrabil tiro di politica se ne astenne. Tremava egli di paura che
Berengario, già marchese d'Ivrea, fuggito in Germania, non sopravvenisse
in Italia con qualche ammasso di Tedeschi e Franzesi. Però, licenziata
tutta la flotta de' Greci, capitolò con gli assediati Saraceni di
metterli nelle montagne che dividono l'Italia dalla Svevia, acciocchè
gli servissero di antemurale, caso mai che Berengario tentasse di calare
con gente armata in Italia. Non è a noi facile l'indicare il sito dove a
costoro fu assegnata l'abitazione. Solamente sappiamo che a moltissimi
Cristiani, i quali incautamente da lì innanzi vollero passar per quelle
parti, tolta fu la vita da que' malandrini: il che accrebbe l'odio e la
mormorazione degl'Italiani contra di questo re, il quale lasciò la vita
a tanti scellerati, affinchè potessero levarla a tanti altri innocenti.
Secondo i conti del padre Pagi[2075], ai quali credo ben fatto
l'attenersi, mancò di vita nell'anno presente _Stefano VIII_ papa.
Ermanno Contratto[2076], Sigeberto[2077] ed altri lo attestano. Dal solo
Martino Polacco abbiamo[2078] che egli _fuit mutilatus a quibusdam
Romanis_: il che ha fatto immaginare ai susseguenti storici ciò avvenuto
per ordine di _Alberico principe_ di Roma. Ma non è Martino autore di
tale antichità e credito, che la sola parola di lui ci abbia da legare
il cervello. Se crediamo ad esso Martino, questo papa Stefano fu anche
_natione Germanus_; e pure nel catalogo ben più antico de' papi, posto
avanti alla Cronica del Volturno[2079], e dal Dandolo[2080] e da altri,
egli è chiamato _Stephanus VII romanus_. Un avvenimento tale nella
persona di un sommo pontefice avrebbe fatto dello strepito, e ce ne
sarebbe menzione presso di qualche storico di que' tempi. A Stefano
succedette _Marino II_ papa di nazione romano, erroneamente chiamato
_Martino_ da alcuni scrittori anche antichi e dallo stesso Martino
Polacco. Che questi fosse posto nella cattedra pontificia prima del dì 4
di febbraio dell'anno seguente, si conosce da una sua bolla pubblicata
dal padre Dachery[2081] e dato _II nonas februarii, anno pontificatus
domni nostri Marini summi pontificis_, ec. _anno I mense februarii,
Indictione I_. Anzi era anche in possesso del pontificato nel dì 21 di
gennaio di esso anno 943, ciò costando da altra sua bolla prodotta dal
padre Tatti[2082], e data _XII kalendas februarii, anno pontificatus
domni nostri Marini summi pontificis_, ec. _secundo, Indictione II_,
cioè nell'anno 944. Però con tutta ragione si può credere innalzato
_Marino II_ in quest'anno al romano pontificato. La misera Sicilia, per
attestato della Cronica arabica[2083], in questi tempi si trovava in
gran confusione, perchè il furto e l'ingiustizia dappertutto godeano
passaporto, e i più potenti opprimevano i più deboli. In Venezia il doge
_Pietro Badoero_, secondochè dice il Dandolo[2084], finì di vivere in
quest'anno, e conferita fu la sua dignità a _Pietro Candiano III_. Si
legge nelle mie Antichità italiane[2085] un diploma di _Ugo_ e
_Lottario_, in cui si confermano ad _Aribaldo vescovo_ di Reggio tutti i
beni e privilegii della sua chiesa, dato _quarto idus augusti anno
dominicae Incarnationis DCCCCXLII, regni vero domni Hugonis regis XVI,
Lotharii XII, Indictione XV. Actum Papiae._ Ma nel dì 12 d'agosto di
quest'anno correva l'_anno XVII_ di Ugo re. Leone Ostiense[2086] cita un
diploma di questi re, che Angelo della Noce asserisce dato _idus majarum
anno dominicae Incarnationis DCCCCXLII, regni domni Hugonis regis XVII,
Lotharii XIII, Indictione I. Datum in palatio ticinensi._ Ma ancor
questo è fallato, perchè l'_indizione I_ appartiene all'anno seguente,
seppur non si ricorre all'anno pisano. In una Cronica manuscritta, da me
veduta, del monistero di Subiaco, si legge memoria di un placito tenuto
nel dì 27 d'agosto di quest'anno da _Alberico_ principe di Roma, in cui
fu decisa una lite vertente fra _Leone abbate_ di Subiaco ed alcuni
cittadini di Tivoli.
NOTE:
[2071] Frodoardus, in Chronico.
[2072] Antiq. Ital., Dissert. VII.
[2073] Ibidem, Dissert. XXXIV.
[2074] Liutprandus, lib. 5, cap. 5 et 7.
[2075] Pagius, ad Annales Baron.
[2076] Hermann. Contractus, in Chron.
[2077] Sigebertus, in Chron.
[2078] Martin. Polonus, in Chron.
[2079] Chron. Vulturn., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2080] Dandul., in Chronic., tom. 12 Rer. Ital.
[2081] Dachery, in Spicileg.
[2082] Tatti, Annal. Sacri di Como, tom. 12.
[2083] Chron. Arabicum, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2084] Dandul., in Chronico, tom. 12 Rer. Ital.
[2085] Antiq. Ital., Dissert. XII.
[2086] Leo Ostiensis, in Chron., lib. 1, cap. 57.
Anno di CRISTO DCCCCXLIII. Indiz. I.
MARINO II papa 2.
UGO re d'Italia 18.
LOTTARIO re d'Italia 13.
In questi tempi maneggiò il _re Ugo_ il matrimonio di _Berta_ sua
figliuola, a lui nata da Bezola sua concubina, e giovane di bellezze
rare, con ROMANO figliuolo di _Costantino Porfirogenito_ imperadore dei
Greci[2087]. Allorchè questo imperadore mandò la flotta in aiuto del re
Ugo, fece istanza per avere una delle di lui figliuole legittime. Di
queste Ugo niuna ne avea, e però gli esibì la bastarda o spuria; nè la
città di Costantinopoli la rifiutò. Ebbe esecuzione questo trattato
nell'anno seguente. Ma intanto in Germania altro che nozze andava
manipolando _Berengario_ marchese d'Ivrea contra del medesimo re
Ugo[2088]. Fece egli più istanze al re _Ottone_ per ottenere un corpo di
milizie da condur seco in Italia; ma le fece indarno, perchè non
mancavano impegni e bisogni ad Ottone in casa propria; ed oltre a ciò
peroravano in favore d'Ugo i regali che di tanto in tanto egli ne andava
ricevendo. Trovavasi con Berengario un gentiluomo per nome Amedeo, che
Liutprando chiama _apprime nobilem_, personaggio di singolar destrezza
ed accortezza ornato. Questi il consigliò di rivolgere le sue speranze
ai principi d'Italia, sapendo che tutti erano malcontenti del re Ugo,
perchè d'ordinario non conferiva le cariche, i governi e i vescovati, se
non ai figliuoli delle sue concubine e ai Borgognoni, e continuamente
esiliava i nobili italiani; e pel suo aspro governo, peggio che il lupo
dalle pecore, era odiato dai popoli. Si esibì egli di venir a scoprire
gli animi dei principi d'Italia; e in fatti travestito da pezzente, col
bordone e la tasca, sen venne in compagnia di que' poveri pellegrini che
andavano per divozione a Roma. Segretamente s'abboccò con assaissimi
vescovi, conti e nobili potenti dell'Italia, e spiò i lor sentimenti
intorno al re Ugo, aprendosi ancora con quelli che conobbe più portati
alla di lui rovina. Ma non potè sì celatamente condurre l'impresa, che
non ne avesse sentore il re Ugo, siccome quegli che manteneva spie
dappertutto. Volarono gli ordini di cercarne conto, ma Amedeo andava
mutando abiti: si tinse con pece la bella e lunga barba, che, secondo
gli usi d'allora, anch'egli portava; facea cambiar colore ai capelli;
ora era zoppo, ora cieco, ora assiderato; e in una di queste figure si
presentò anche al re in compagnia degli altri poveri, e ne ebbe per
limosina una veste. Dappoichè ebbe terminate le sue faccende, informato
delle perquisizioni che d'ordine del re si faceano alle chiuse sopra
tutti i passeggieri, per istrade disastrose e fuor di mano felicemente
se ne tornò in Germania, dove fece a Berengario il rapporto delle sue
commissioni eseguite. Ancorchè Lupo protospata riferisca all'anno 942 la
morte di _Landolfo I_ principe di Benevento e di Capua, pure Camillo
Pellegrini[2089], diligentissimo scrittore delle memorie de' principi
longobardi, osservò trovarsi ancora nei primi mesi di quest'anno
menzione di lui negli strumenti antichi. Credesi dunque ch'egli
terminasse la vita nell'anno presente nel dì 10 d'aprile. Aveva egli
dichiarato nell'anno 940 suo collega nel principato _Landolfo II_ suo
figliuolo, il quale, dopo la morte del padre, tardò poco a proclamar
principe e collega _Pandolfo_ ossia _Pandolfo I_ suo figliuolo, che fu
poi soprannominato _Capo di ferro_. Abbiamo nella storia sacra di
Piacenza[2090] un diploma (non so ben dire se documento sicuro o no) di
donazione fatta in quest'anno da Ugo e Lottario alla chiesa di
sant'Antonino d'essa città di Piacenza colle seguenti note: _Data V idus
martii, anno dominicae Incarnationis DCCCCXLIII, regni vero domni
Hugonis piissimi regis XVII, Lotharii XIII, Indictione I. Actum
Placentiae._ Ma dee essere _Lotharii XII_, come si scorgerà da un altro
documento spettante alla medesima chiesa, e dato nel giorno _VII idus
martii_ del 945. Nè è da credere che il re Ugo, come si legge in questo
diploma, desse il titolo d'imperadore a _Lottario_ avolo suo materno,
seppellito in essa chiesa di sant'Antonino con dire: _Pro Dei amore et
animae avii nostri Lotharii imperatoris, cujus corpus infra basilicam
sancti Antonini martyris humatum quiescit_. Sapeva Ugo che l'avolo suo
Lottario era stato solamente re della Lorena e non mai imperadore.
Vedesi presso il suddetto Campi una donazione fatta da _Bosone_ vescovo
di Piacenza e figliuolo bastardo del re Ugo alla chiesa di san Fiorenzo
editto che proibiva a tutti i Veneziani d'andare in Istria, e a quei
d'Istria di venire a Venezia. Allora il marchese e i suoi popoli,
tornati in sè, implorarono la mediazione di _Marino patriarca_, di
Grado, il quale s'interpose col doge, e ridusse a' primieri patti e ad
una buona concordia amendue le parti. Fu poscia eletto doge _Pietro
Badoero_, il quale dicono che era figliuolo di _Orso Particiaco_ ossia
_Participazio_, già doge di Venezia, volendo ancora che fosse la stessa
casa quella de' Particiaci e dei Badoeri. Secondo la Cronica
arabica[2049], seguì una battaglia in Sicilia fra i Mori e quei di
Agrigento, ossia Gergenti, colla peggio de' primi. Tornato a Palermo il
generale de' Mori, pose una contribuzione alla città, e fatto venire un
buon rinforzo di truppe dall'Africa, s'impadronì di Butera, d'Assaro, e
di qualche altra fortezza in Sicilia. Passò in quest'anno a miglior vita
_Leone VII_, con danno della Chiesa, per essere stato pontefice di gran
pietà e zelo della religione. Ebbe per successore _Stefano VIII_ di
nazione romano, per attestato di Pandolfo pisano e d'altri[2050]. Non so
io intendere come mai scrivesse il cardinal Baronio[2051]: _Quum a
Romanis, posthabitis cardinalibus, esset electus opera Ottonis regis,
tyrannorum in se odium concitavit._ Dovette provenir questa
immaginazione dall'aver egli prestato fede a Martin Polacco, che il fa
di nazion tedesco. Ma questa è asserzione insussistente. Non poteva
allora _Ottone re_ di Germania avere tal possa in Roma da far eleggere
un papa. Che poi non fossero ammessi alla di lui elezione i cardinali,
niuno degli antichi storici lo attesta; nè sappiamo che questo eletto
non fosse un di essi. Girolamo Rossi[2052] accenna uno strumento di
livello fatto da _Pietro_ arcivescovo di Ravenna a qualche persona
particolare, e non già, come suppone il padre Pagi, la confermazione de'
privilegii della chiesa di Ravenna, fatta dal papa al suddetto
arcivescovo con queste note: _Anno, Deo propitio, pontificatus domni
Stephani summi pontificis, ec. anno primo, regnante domno Hugone
piissimo rege anno XIIII, sed et domno Hlotario ejus filio item rege
anno nono, die XXIX octobris, Indictione XIII Ravennae_, cioè nell'anno
presente. Ci assicura il suddetto Rossi che in altre carte ravennati di
questi tempi si veggono notati gli anni di Ugo e Lottario. Segno è
questo, che non avendo potuto il re Ugo vincerla coi Romani per ottener
la corona dell'imperio, s'era impadronito dell'esercato. Ed io temo che
il nome del papa entrasse in quegli atti solamente per costume e
riverenza verso il pontificato romano, e non già perchè Ugo lasciasse il
temporal dominio di quelle contrade ai papi. Vedremo che ai tempi di
Ottone il grande la santa Sede ricuperò l'esarcato.
NOTE:
[2046] Mabill., Annal. Benedict., lib. 44, n. 3.
[2047] Cron. Farfens. P. II tom. 2 Rer. Ital.
[2048] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[2049] Chron. Arab. P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2050] Rer. Ital., P. II, tom. 3.
[2051] Baron., in Annal. Ecclesiast.
[2052] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 5.
Anno di CRISTO DCCCCXL. Indiz. XIII.
STEFANO VIII papa 2.
UGO re d'Italia 15.
LOTTARIO re d'Italia 10.
O sia che il _re Ugo_ non si fidasse di alcuno, e di chi gli entrava in
sospetto egli macchinasse tosto la rovina; oppure che veramente stanchi
i principi d'Italia non potessero più soffrir sul trono questa volpe
coronata: certo è che esso re Ugo la prese contra di _Berengario
marchese d'Ivrea_, contra d'_Anscario duca e marchese di Spoleti e
Camerino_, fratello del medesimo Berengario, per sospetto, oppure per
certa cognizione che amendue d'accordo tramassero centra la di lui
corona. La tragedia, se vogliam credere al catalogo dei duchi di Spoleti
posto innanzi alla Cronica di Farfa[2053], dovette succedere nell'anno
presente, essendo ivi scritto: _DCCCCXL Anscharius marchio obiit._ Spedì
dunque il re Ugo in primo luogo alla volta di Spoleti _Sarilone_, ossia
_Sarlione_, borgognone[2054], uomo non guerriero, ma di rara accortezza,
e però assai atto al bisogno. _Sarilo_ e _Sarlius_ si truova egli
chiamato, ed è quel medesimo che si truova nelle vecchie carte appellato
_Sarilo comes palatii_, perchè esercitava l'insigne carica di conte del
sacro palazzo. Gli diede il re un buon nerbo di soldatesche per poter
operare colla forza, e vi aggiunse un altro più potente rinforzo, cioè
una gran somma di denaro, per potersene valere a tirar dalla sua i
popoli di Spoleti, con ordine ancora di ricorrere per aiuto alla vedova
del fu duca _Teobaldo_, che era nipote del medesimo re Ugo. Andò
Sarlione, ed eseguì puntualmente quanto gli era stato comandato. Mise in
punto una buona armata, ma Anscario, quantunque si vedesse troppo
inferiore di forze, pure si accinse da valoroso ad un fatto d'armi. Gli
riuscì di sbaragliar la prima schiera de' nemici ma non potendo reggere
all'arrivo di due altre schiere, dopo aver fatto grandi prodezze di sua
persona, caduto col cavallo in un fosso, quivi trafitto da molte lance e
dardi lasciò la vita. Portata questa nuova al re Ugo, ne fece gran
festa, e in ricompensa del buon servigio dichiarò _Sarlione_ marchese di
Spoleti e Camerino. Di questo affare si scuopre mal informato Gregorio
monaco autore della suddetta Cronica di Farfa[2055], con iscrivere che
_bellum magnum commissum est pro contentione marchiae firmanae inter
Ascherium et Sarilonem_ (quasi che Spoleti e Camerino fossero denominati
marca di Fermo). _In qua praevalens Sarilo interfecit Ascherium, et
obtinuit marchiam._ Fin qui cammina bene, ma non ciò che egli soggiunge
con dire: _Contra quem Hugo rex exarsit magno furore, persequens illum
pro eodem Ascherio germano suo. Et quum esset idem Sarilo in quodam
reclusus tuscano oppido, videns se nulla ratione illum effugere posse,
noctu indutus monachilem vestem, et summo diluculo, ligato in gutture
fune ejus, se potestati tradidit. Et motus rex misericordia super eum,
perdonavit ei ipsam culpam, ac praeposuit eum super cuncta monasteria
regalia intra fines Tusciae et firmanae marchiae._ Trovò questo monaco
fra le carte dell'archivio farfense _Sarilone_ abbate di quel monistero,
e sel figurò divenuto monaco. Ma costui fu duca e marchese di Spoleti e
Camerino, ed ottenne anche, secondo l'iniquità di quei tempi, in governo
ossia in commenda la badia di Farfa. Potrebbe ben conietturarsi che in
progresso di tempo Sarilone decadesse dalla grazia del re Ugo (giacchè
ci voleva ben poco), e ch'egli il perseguitasse e deponesse; e che
questo monaco confondesse poi le azioni e i tempi in raccontare quel
fatto.
Ci restava da abbattere _Berengario marchese_ d'Ivrea fratello del
suddetto Anscario[2056]. Non si mostrò punto corrucciato con lui
l'astuto re Ugo, anzi affettando gran benevolenza, nel venire ch'ei fece
alla corte, l'accolse con distinte carezze. Ma nel consiglio segreto fu
determinato di cavargli barbaramente gli occhi. Trovossi presente a
questa risoluzione il _re Lottario_, che viene da Liutprando appellato
_parvulus, et necessariarum sibi rerum adhuc ignarus puer._ E siccome
fanciullo di buona indole, non reggendogli il cuore di veder quella
crudeltà, secretamente ne fece avvertire Berengario, il quale non perdè
tempo a fuggirsene fuor d'Italia con ricoverarsi presso di _Ermanno
duca_ di Suevia. Per altra strada mandò anche verso Lamagna _Willa_ sua
moglie, benchè gravida di nove mesi, e vicina al parto, che ebbe tanta
forza e coraggio da valicare a piedi quell'aspre montagne. Ma non potè
prevedere il regal fanciullo Lottario che, col salvare gli occhi a
Berengario, preparava a sè stesso la perdita del regno e della vita,
siccome vedremo. Ermanno duca di Suevia presentò poi Berengario ad
_Ottone re_ di Germania, che l'onorò e regalò non poco, e sel tenne ben
caro nella sua corte. Giunta questa nuova al re Ugo, spedì ambasciatori
ad Ottone, pregandolo di non ammettere Berengario suo nemico, e di non
somministrargli aiuto alcuno, con esibirgli in ricompensa una gran somma
d'oro e d'argento. Ma il re Ottone, che forse avea per tempo delle mire
sopra l'Italia, gli rispose di non aver bisogno delle altrui ricchezze,
e di non poter negar ricovero e sussidio a chi ricorreva alla clemenza
sua. Nel Bollario casinense[2057] si legge un diploma di Ugo e Lottario,
in cui confermano il comitato ossia il contado e governo temporale di
Bobbio a quel monistero e a' suoi abbati, con esser ivi nominato
_Liutfredus comes et abbas bobbiensis_. Sarebbe da ricercare se questo
Liutfredo fosse monaco, oppure secolare, che con titolo di _conte_
governasse quella contrada, e di _abbate_ il monistero di san Colombano.
Molto più sarebbe da esaminare il dirsi ivi che i re longobardi, Rotari,
Ariberto e Liutprando, e gl'imperadori e re carolini _praefato coenobio
comitatum bobbiensem cum toto suo honore tradiderant et firmaverant_. È
difficile il credere in tanta antichità abbati conti di città. Ecco le
note cronologiche di quel diploma che stanno a martello: _Dat.
tertiodecimo kalendas aprilis, anno dominicae Incarnationis DCCCCXL,
regni nostri domni Hugonis piissimi regis XIV, Lotharii autem filii ejus
item regis IX, Indictione decimatertia. Actum in praefato bobiense
coenobio._ Abbiamo da Frodoardo[2058] che in quest'anno una gran brigata
d'Inglesi e Francesi, incamminata per divozione alla volta di Roma, fu
costretta a tornarsene addietro, _occisis eorum nonnullis a Saracenis.
Nec potuit Alpes transire propter Saracenos, qui vicum monasterii sancti
Mauritii occupaverant._ Se qui è indicato il monastero agaunense di san
Maurizio ne' Vallesi, aveano dilatato ben lungi quegl'infedeli assassini
di strada il loro potere. Ricavasi ancora dalla Cronica arabica di
Sicilia[2059], che portatosi l'esercito de' Mori all'assedio di Calata
Bellota, nel mese di novembre, fu messo in rotta da quei di Gergenti,
che vi presero tutte le tende degl'infedeli. Aggiugne Lupo
protospata[2060] che in questo medesimo anno 940, _introierunt Ungari
vel Unni in Italiam mense aprilis. Et factum est praelium in Matera a
Graecis cum Longobardis cum Stratigo Imogalapto, et negavit_ (pro
_necavit_) _cum Pao in mari._ Probabilmente _Landolfo_ principe di
Benevento e Capua l'avea rotta di nuovo coi Greci; ma queste troppo
brevi memorie non ci lasciano ben discernere le particolarità, e neppur
la sostanza di que' fatti. Osserva Camillo Pellegrino[2061] che fino a
quest'anno si truova nelle carte memoria di _Atenolfo_ principe
anch'esso di Benevento e di Capua, e fratello di _Landolfo_, e poi non
più: il che può far conietturare ch'egli nell'anno presente desse fine
a' suoi giorni.
NOTE:
[2053] Chron. Farfense, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2054] Liutprandus, lib. 5, cap. 2 et 3.
[2055] Chronic. Farfens., pag. 475. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[2056] Liutprandus, Hist. lib. 5, cap. 4 et seq.
[2057] Bullarium Casinens., tom. 2, Constit. L.
[2058] Frodoardus, in Chron.
[2059] Chronicon Arabicum, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2060] Lupus Protospata, in Chron.
[2061] Peregr., Hist. Princip. Langob., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXLI. Indiz. XIV.
STEFANO VIII papa 3.
UGO re d'Italia 16.
LOTTARIO re d'Italia 11.
Attesta Liutprando[2062] non aver mai il re _Ugo_ dimessa la voglia, nè
deposta la speranza di acquistare il dominio di Roma, ossia il titolo e
la corona d'imperador de' Romani; e tuttochè avesse data in moglie ad
_Alberico principe_ di Roma _Alda_ sua figliuola, pure non cessò mai di
molestarlo e di fargli guerra. _Quem_, dice egli, _quotannis graviter
opprimebat gladio et igne, quae poterat universa consumens, adeo ut
civitates, praeter Romam, in qua ipse consederat, omnes auferret. Sed et
ipsam sine dubio tum depopulando, tum cives muneribus corrumpendo
conquisivisset, nisi occulta et justa justi Dei sententia illi
prohibuisset._ Ci si porge motivo di credere che il re Ugo in quest'anno
in persona coll'esercito suo infestasse il ducato romano, al vedere un
suo diploma, spedito nella Campania in favore del monistero di san
Vincenzo del Volturno, con queste note[2063]: _Dat. XIII kalendas
augusti anno dominicae Incarnationis DCCCCXLI, regni vero domni Hugonis
piissimi regis XV, Lotharii vero X, Indictione XIV. Actum in Campania
juxta oppidum Romaniae._ Secondo i miei conti, nel luglio del presente
anno avrebbe dovuto correre l'anno XVI di Ugo, e l'XI di Lottario. Però
forse appartiene esso diploma all'anno precedente e all'indizione XIII.
Nel marzo di quest'anno si truovano i due re in Lucca, dove donarono ai
canonici di quella città due corti con un diploma[2064] dato _VII
kalendas aprilis anno dominicae Incarnationis DCCCCXLI, regni vero domni
Hugonis regis XV, filii ejus Lotharii item regis X, Indict. XIV. Actum
Lucae._ Erano i due re in quella città, come si ricava da un placito da
me pubblicato[2065], incamminati alla volta di Roma. E che veramente il
re Ugo in quest'anno facesse guerra ad Alberico principe di Roma, e
fosse in que' contorni, come si può credere, coll'armi, si raccoglie da
un suo diploma[2066], in cui dona all'insigne monistero dì Subiaco,
posto nel ducato romano, la corte Sala. Fu esso scritto _VII kalendas
julii anno dominicae Incarnationis DCCCCXLI, regni vero domni Hugonis
piissimi regis XV, Lotharii vero item regis X, Indictione XIV. Actum
juxta Romam in monasterio sanctae virginis Agnes._ Ancor qui occorrono
le medesime difficoltà che ho poco fa accennate intorno al diploma
vulturnense; ma il documento ci assicura che Ugo verso il fine di giugno
era sotto Roma. Abbiamo inoltre un'illustre pruova del di lui passaggio
per Pisa in un placito, da me pubblicato, il cui principio è
questo[2067]: _Dum in Dei nomine civitate Pisa ad curte domnorum regum,
ubi domnus Hugo et Lotharius gloriosissimis regibus praeessent, subtus
vites, quod Topia_ (un pergolato) _vocatur, infra eadem curte in judicio
resideret Ubertus illuster marchio et comes palacii, singulorum omnium
justitias facendas ac deliberandas, resedentibus Leo vulterrensis,
Adelbertus lucensis sanctarum Dei ecclesiarum venerabilibus episcopis_,
ec. Fu scritto quel giudicato _anno regni idem domni Hugoni
quintodecimo, Lotharii vero decimo, XIV die mensis marcii, Indictione
quartadecima_, cioè nell'anno presente. Viene accennato dal
Fiorentini[2068] un altro placito tenuto in questi medesimi tempi da
_Uberto_ marchese di Toscana in Lucca, con questo principio: _Dum in Dei
nomine in civitate Luca ad curte domni Hugonis regis in solario ipsius
curtis, ubi domnus Ugo et Lotharius filio ejus gloriosissimis regibus
praeerant in capitela, ubi ec. longanea solarii, prope ecclesiam sancti
Benedicti, et prope capella ipsius solarii, quae vocatur sancti
Stephani, in judicio residerat Hubertus marchio, et comes palatii_, ec.
Dal che intendiamo che Uberto, figliuolo bastardo del re Ugo, era allora
non solamente marchese della Toscana, ma eziandio conte del sacro
palazzo. Circa questi tempi più che mai infierivano i Saraceni abitanti
in Frassineto ai confini dell'Italia e della Provenza[2069]. Aveano,
come ho accennato di sopra, occupati nell'Alpi tutti i passi che guidano
dalla Francia in Italia, con essere giunti sino al monistero agaunense
di san Maurizio, situato nel paese oggidì appellato de' Vallesi.
Studiava il re Ugo le maniere di snidar que' crudi masnadieri, e
conoscendo di mancargli le forze per mare, giacchè in que' tempi
gl'imperadori e re d'Italia poco attendevano ad aver armate navali,
prese la risoluzione d'inviare ambasciatori a _Costantino_ e _Romano_
imperadori de' Greci, per pregarli di volere a lui somministrare una
competente flotta di navi con fuoco greco, acciocchè, mentre egli per
terra andasse ad assalir que' Barbari ne' loro siti alpestri, esse
incendiassero i legni dei Mori, ed impedissero che non venisse loro
soccorso dalla Spagna. Secondo la Cronica arabica[2070], riuscì
finalmente ai Mori signoreggianti in Sicilia di prendere dopo tanto
tempo la già ribellata città di Gergenti. Allora il governator moro per
assicurarsi dei Siciliani fece smantellar assaissime fortezze di quella
isola, e menò schiavi in Africa moltissimi di quegli abitanti.
NOTE:
[2062] Liutprandus, lib. 5, cap. 1.
[2063] Chron. Vulturnens., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2064] Antiquit. Ital., Dissert. LXII.
[2065] Antiquit. Ital., Dissert. X.
[2066] Ibidem, Dissert. XVII.
[2067] Ibidem, in eadem Dissertat.
[2068] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
[2069] Liutprandus, lib. 5, cap. 4.
[2070] Chron. Arab., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXLII. Indiz. XV.
MARINO II papa 1.
UGO re d'Italia 17.
LOTTARIO re d'Italia 12.
Che tuttavia sul principio di questo anno fossero in bollore le
controversie intorno al dominio di Roma fra il re _Ugo_ ed _Alberico_
patrizio e console dei Romani, si raccoglie da Frodoardo[2071], che
lasciò scritte queste parole: _Domnus Odo abbas pro pace agenda inter
Hugonem regem Italiae, et Albericum romanum patricium, apud eumdem regem
laborabat_. Abbiam già veduto di sopra che santo _Odone abbate_ di
Clugnì due altre volte era stato chiamato in Italia per questo medesimo
affare. Temo io che non più di due volte egli ci venisse. Mi si rende
probabile che seguisse pace o tregua fra questi due competitori al
vedere tornati di questo anno in Lombardia i due re, ossia il solo re
Ugo. V'ha un loro diploma[2072], con cui, ad intercessione d'_Uberto
inclito marchese_ e _conte del nostro sacro palazzo_, e di _Elisiardo
illustre conte_, confermano i lor beni ai canonici di Reggio. Esso fu
dato _quarto idus junii anno dominicae Incarnationis DCCCCXLII, regni
vero domni Hugonis regis XVII, Lotharii XIII, Indictione XV. Actum
Papiae._ Con altro diploma furono confermati da essi re, per
interposizione di _Ambrosio vescovo_ di Lodi ed _Adeverto vescovo_ di
Padova, tutti i beni della sua chiesa. Ivi s'ha queste note[2073]:
_Datum octavo kalendas junii, anno dominicae Incarnationis DCCCCXLII,
regni vero domni Hugonis XVI, Lotharii vero XI. Actum in Garda oppido._
Parve a me originale quel diploma. Ora sembrano a me scorretti gli anni
dei due re, e forse anche manca ivi l'_indizione_, la quale non si
soleva ommettere. Scrive inoltre sotto questo stesso anno il suddetto
Frodoardo: _Idem vero rex Hugo Saracenos de Fraxinido eorum munitione
disperdere conabatur_. Pertanto dovrebbe appartenere all'anno presente
ciò che scrive Liutprando[2074]: cioè che avendo _Romano_ imperadore
d'Oriente inviato uno stuolo di navi a requisizion del re Ugo, questi le
incamminò per mare a Frassineto. L'arrivo di esse colà, e il dare alte
fiamme tutte le barche de' Saraceni che quivi si trovarono, fu quasi un
punto stesso. Ugo nel medesimo tempo arrivò per terra a Frassineto colla
sua armata. Pertanto non si fidando i Barbari di quella lor fortezza,
l'abbandonarono, e tutti si ridussero sul monte Moro, dove il re gli
assediò. Avrebbe potuto prenderli vivi, o trucidarli tutti; ma per un
esecrabil tiro di politica se ne astenne. Tremava egli di paura che
Berengario, già marchese d'Ivrea, fuggito in Germania, non sopravvenisse
in Italia con qualche ammasso di Tedeschi e Franzesi. Però, licenziata
tutta la flotta de' Greci, capitolò con gli assediati Saraceni di
metterli nelle montagne che dividono l'Italia dalla Svevia, acciocchè
gli servissero di antemurale, caso mai che Berengario tentasse di calare
con gente armata in Italia. Non è a noi facile l'indicare il sito dove a
costoro fu assegnata l'abitazione. Solamente sappiamo che a moltissimi
Cristiani, i quali incautamente da lì innanzi vollero passar per quelle
parti, tolta fu la vita da que' malandrini: il che accrebbe l'odio e la
mormorazione degl'Italiani contra di questo re, il quale lasciò la vita
a tanti scellerati, affinchè potessero levarla a tanti altri innocenti.
Secondo i conti del padre Pagi[2075], ai quali credo ben fatto
l'attenersi, mancò di vita nell'anno presente _Stefano VIII_ papa.
Ermanno Contratto[2076], Sigeberto[2077] ed altri lo attestano. Dal solo
Martino Polacco abbiamo[2078] che egli _fuit mutilatus a quibusdam
Romanis_: il che ha fatto immaginare ai susseguenti storici ciò avvenuto
per ordine di _Alberico principe_ di Roma. Ma non è Martino autore di
tale antichità e credito, che la sola parola di lui ci abbia da legare
il cervello. Se crediamo ad esso Martino, questo papa Stefano fu anche
_natione Germanus_; e pure nel catalogo ben più antico de' papi, posto
avanti alla Cronica del Volturno[2079], e dal Dandolo[2080] e da altri,
egli è chiamato _Stephanus VII romanus_. Un avvenimento tale nella
persona di un sommo pontefice avrebbe fatto dello strepito, e ce ne
sarebbe menzione presso di qualche storico di que' tempi. A Stefano
succedette _Marino II_ papa di nazione romano, erroneamente chiamato
_Martino_ da alcuni scrittori anche antichi e dallo stesso Martino
Polacco. Che questi fosse posto nella cattedra pontificia prima del dì 4
di febbraio dell'anno seguente, si conosce da una sua bolla pubblicata
dal padre Dachery[2081] e dato _II nonas februarii, anno pontificatus
domni nostri Marini summi pontificis_, ec. _anno I mense februarii,
Indictione I_. Anzi era anche in possesso del pontificato nel dì 21 di
gennaio di esso anno 943, ciò costando da altra sua bolla prodotta dal
padre Tatti[2082], e data _XII kalendas februarii, anno pontificatus
domni nostri Marini summi pontificis_, ec. _secundo, Indictione II_,
cioè nell'anno 944. Però con tutta ragione si può credere innalzato
_Marino II_ in quest'anno al romano pontificato. La misera Sicilia, per
attestato della Cronica arabica[2083], in questi tempi si trovava in
gran confusione, perchè il furto e l'ingiustizia dappertutto godeano
passaporto, e i più potenti opprimevano i più deboli. In Venezia il doge
_Pietro Badoero_, secondochè dice il Dandolo[2084], finì di vivere in
quest'anno, e conferita fu la sua dignità a _Pietro Candiano III_. Si
legge nelle mie Antichità italiane[2085] un diploma di _Ugo_ e
_Lottario_, in cui si confermano ad _Aribaldo vescovo_ di Reggio tutti i
beni e privilegii della sua chiesa, dato _quarto idus augusti anno
dominicae Incarnationis DCCCCXLII, regni vero domni Hugonis regis XVI,
Lotharii XII, Indictione XV. Actum Papiae._ Ma nel dì 12 d'agosto di
quest'anno correva l'_anno XVII_ di Ugo re. Leone Ostiense[2086] cita un
diploma di questi re, che Angelo della Noce asserisce dato _idus majarum
anno dominicae Incarnationis DCCCCXLII, regni domni Hugonis regis XVII,
Lotharii XIII, Indictione I. Datum in palatio ticinensi._ Ma ancor
questo è fallato, perchè l'_indizione I_ appartiene all'anno seguente,
seppur non si ricorre all'anno pisano. In una Cronica manuscritta, da me
veduta, del monistero di Subiaco, si legge memoria di un placito tenuto
nel dì 27 d'agosto di quest'anno da _Alberico_ principe di Roma, in cui
fu decisa una lite vertente fra _Leone abbate_ di Subiaco ed alcuni
cittadini di Tivoli.
NOTE:
[2071] Frodoardus, in Chronico.
[2072] Antiq. Ital., Dissert. VII.
[2073] Ibidem, Dissert. XXXIV.
[2074] Liutprandus, lib. 5, cap. 5 et 7.
[2075] Pagius, ad Annales Baron.
[2076] Hermann. Contractus, in Chron.
[2077] Sigebertus, in Chron.
[2078] Martin. Polonus, in Chron.
[2079] Chron. Vulturn., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2080] Dandul., in Chronic., tom. 12 Rer. Ital.
[2081] Dachery, in Spicileg.
[2082] Tatti, Annal. Sacri di Como, tom. 12.
[2083] Chron. Arabicum, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[2084] Dandul., in Chronico, tom. 12 Rer. Ital.
[2085] Antiq. Ital., Dissert. XII.
[2086] Leo Ostiensis, in Chron., lib. 1, cap. 57.
Anno di CRISTO DCCCCXLIII. Indiz. I.
MARINO II papa 2.
UGO re d'Italia 18.
LOTTARIO re d'Italia 13.
In questi tempi maneggiò il _re Ugo_ il matrimonio di _Berta_ sua
figliuola, a lui nata da Bezola sua concubina, e giovane di bellezze
rare, con ROMANO figliuolo di _Costantino Porfirogenito_ imperadore dei
Greci[2087]. Allorchè questo imperadore mandò la flotta in aiuto del re
Ugo, fece istanza per avere una delle di lui figliuole legittime. Di
queste Ugo niuna ne avea, e però gli esibì la bastarda o spuria; nè la
città di Costantinopoli la rifiutò. Ebbe esecuzione questo trattato
nell'anno seguente. Ma intanto in Germania altro che nozze andava
manipolando _Berengario_ marchese d'Ivrea contra del medesimo re
Ugo[2088]. Fece egli più istanze al re _Ottone_ per ottenere un corpo di
milizie da condur seco in Italia; ma le fece indarno, perchè non
mancavano impegni e bisogni ad Ottone in casa propria; ed oltre a ciò
peroravano in favore d'Ugo i regali che di tanto in tanto egli ne andava
ricevendo. Trovavasi con Berengario un gentiluomo per nome Amedeo, che
Liutprando chiama _apprime nobilem_, personaggio di singolar destrezza
ed accortezza ornato. Questi il consigliò di rivolgere le sue speranze
ai principi d'Italia, sapendo che tutti erano malcontenti del re Ugo,
perchè d'ordinario non conferiva le cariche, i governi e i vescovati, se
non ai figliuoli delle sue concubine e ai Borgognoni, e continuamente
esiliava i nobili italiani; e pel suo aspro governo, peggio che il lupo
dalle pecore, era odiato dai popoli. Si esibì egli di venir a scoprire
gli animi dei principi d'Italia; e in fatti travestito da pezzente, col
bordone e la tasca, sen venne in compagnia di que' poveri pellegrini che
andavano per divozione a Roma. Segretamente s'abboccò con assaissimi
vescovi, conti e nobili potenti dell'Italia, e spiò i lor sentimenti
intorno al re Ugo, aprendosi ancora con quelli che conobbe più portati
alla di lui rovina. Ma non potè sì celatamente condurre l'impresa, che
non ne avesse sentore il re Ugo, siccome quegli che manteneva spie
dappertutto. Volarono gli ordini di cercarne conto, ma Amedeo andava
mutando abiti: si tinse con pece la bella e lunga barba, che, secondo
gli usi d'allora, anch'egli portava; facea cambiar colore ai capelli;
ora era zoppo, ora cieco, ora assiderato; e in una di queste figure si
presentò anche al re in compagnia degli altri poveri, e ne ebbe per
limosina una veste. Dappoichè ebbe terminate le sue faccende, informato
delle perquisizioni che d'ordine del re si faceano alle chiuse sopra
tutti i passeggieri, per istrade disastrose e fuor di mano felicemente
se ne tornò in Germania, dove fece a Berengario il rapporto delle sue
commissioni eseguite. Ancorchè Lupo protospata riferisca all'anno 942 la
morte di _Landolfo I_ principe di Benevento e di Capua, pure Camillo
Pellegrini[2089], diligentissimo scrittore delle memorie de' principi
longobardi, osservò trovarsi ancora nei primi mesi di quest'anno
menzione di lui negli strumenti antichi. Credesi dunque ch'egli
terminasse la vita nell'anno presente nel dì 10 d'aprile. Aveva egli
dichiarato nell'anno 940 suo collega nel principato _Landolfo II_ suo
figliuolo, il quale, dopo la morte del padre, tardò poco a proclamar
principe e collega _Pandolfo_ ossia _Pandolfo I_ suo figliuolo, che fu
poi soprannominato _Capo di ferro_. Abbiamo nella storia sacra di
Piacenza[2090] un diploma (non so ben dire se documento sicuro o no) di
donazione fatta in quest'anno da Ugo e Lottario alla chiesa di
sant'Antonino d'essa città di Piacenza colle seguenti note: _Data V idus
martii, anno dominicae Incarnationis DCCCCXLIII, regni vero domni
Hugonis piissimi regis XVII, Lotharii XIII, Indictione I. Actum
Placentiae._ Ma dee essere _Lotharii XII_, come si scorgerà da un altro
documento spettante alla medesima chiesa, e dato nel giorno _VII idus
martii_ del 945. Nè è da credere che il re Ugo, come si legge in questo
diploma, desse il titolo d'imperadore a _Lottario_ avolo suo materno,
seppellito in essa chiesa di sant'Antonino con dire: _Pro Dei amore et
animae avii nostri Lotharii imperatoris, cujus corpus infra basilicam
sancti Antonini martyris humatum quiescit_. Sapeva Ugo che l'avolo suo
Lottario era stato solamente re della Lorena e non mai imperadore.
Vedesi presso il suddetto Campi una donazione fatta da _Bosone_ vescovo
di Piacenza e figliuolo bastardo del re Ugo alla chiesa di san Fiorenzo
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