Annali d'Italia, vol. 3 - 72
manifesto giudizio di Dio intorno alla verità o falsità delle accuse,
servì a comprovare l'innocenza del vincitore Lamberto. Liutprando crede
inventata questa calunnia dal re Ugo, perchè egli era già in trattato di
accasarsi con Marozia, e cercava di levar di mezzo l'impedimento della
parentela, essendo ella stata moglie di _Guido marchese_ di Toscana suo
fratello. Restò confuso il re Ugo, ma non lasciò per questo di continuar
la persecuzione contro il fratello Lamberto; e tanto seppe fare che
l'attrappolò, ed avutolo nelle mani, gli fece cavar gli occhi, e
toltogli il ducato della Toscana, lo conferì a _Bosone_ suo fratello.
Per attestato del Fiorentini[1979], questo Bosone si truova nell'anno
seguente marchese della Toscana. Liutprando scrive[1980] che a' suoi
tempi vivea tuttavia l'infelice Lamberto, _qui nunc usque lumine
privatus superest_. Così in altre mani passò il ducato della Toscana,
tolto con sì enorme superchieria alla schiatta dei Bonifazii ed
Adalberti, gloriosi e potenti duchi di quella provincia. Ma non perciò
credo io che finisse la lor prosapia, con avere addotto conghietture
fortissime ed atte a persuadere, che[1981] da alcuno di quei due
principi, cioè o da _Guido_ o da _Lamberto_ marchese di Toscana, e
figliuoli di _Adalberto II il Ricco_, oppure da _Bonifazio_ fratello
d'esso Adalberto II, sia discesa la nobilissima stirpe dei _marchesi
d'Este_, che poi nel secolo undecimo diramata, fiorisce tuttavia nella
real casa di Brunsvic, regnante in Inghilterra e Germania, e nella casa
dei duchi di Modena. Siccome ho io provato con sicuri documenti,
cominciano in questi tempi a trovarsi gli antenati della gloriosa
prosapia che poi fu appellata de' _marchesi d'Este_. Si truovano essi
ornati del titolo di _marchesi_; e quantunque io non abbia potuto
scoprir finora documento alcuno chiaramente comprovante la lor
connessione coi suddetti antichi marchesi di Toscana; pure tali
conghietture concorrono, che difficilmente si potrà fallare in tenendo i
principi estensi per discendenti da essi. Lo stesso Liutprando[1982]
pare che indichi avere il duca Guido avuto dei figliuoli da _Marozia
patrizia romana_, perchè detestando le nozze del re Ugo colla medesima,
scrive ch'essa non potea valersi della legge ebraica, concedente all'un
fratello di suscitare il seme dell'altro fratello defunto senza
figliuoli, e perciò dice:
_Immemor aspiceris praecepti caeca Johannis,_
_Qui fratri vetuit fratris violare maritam._
_Haec tibi Moyseos non praestant carmina vatis,_
_Qui fratri sobolem fratris de nomine jussit_
_Edere, si primus nequeat sibi gignere natum._
_Nostra tuo peperisse viro te saecula norunt._
Ma che divenne di questi figliuoli di Guido? Altri ne potè avere
_Lamberto_ suo fratello, ed altri anche _Bonifazio_ loro zio paterno,
giacchè i Longobardi tutti soleano prendere moglie, non essendo in uso
fra loro le primogeniture. Noi troviamo ricreato e conservato negli
antenati della casa d'Este, viventi in questi medesimi tempi e dipoi, il
nome di _Adalberto_, il titolo di _marchese_, la lor potenza, i lor beni
e giuspatronati in Toscana, massimamente ne' contadi di Arezzo, Pisa e
Luni, prima che venissero in Lombardia. Però fra le tenebre di questi
secoli non poco lume si ha per conghietturare i principi estensi
diramati dagli antichi Adalberti marchesi di Toscana. Restò per le
iniquità del re Ugo depressa questa nobil prosapia, ma noi la vedremo
dopo la di lui morte risorgere con non minor lustro di prima.
NOTE:
[1963] Sigonius, de Regno Ital., lib. 6.
[1964] Rubeus, Istor. Ravenn., lib. 5.
[1965] Pagius, ad Annales Baron.
[1966] Saxius, in Not. ad Sigon., de Regno Ital.
[1967] Antiquit. Ital., Dissert. XXXI et X.
[1968] Antiq. Ital., Dissert. IX, XXXIV, XXXVI, LXII, etc.
[1969] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1.
[1970] Ughell., Ital. Sacr.
[1971] Margarinius, Bullar. Casinens., tom. 2.
[1972] Tatti, Annal. Sacri di Como, tom. 2.
[1973] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 11.
[1974] Ratherius, in Epist., in Spicileg. Dacherii.
[1975] Frodoardus, de Roman. Pontificib.
[1976] Baron., in Annal. Eccles.
[1977] Frodoardus, in Chron.
[1978] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 13.
[1979] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
[1980] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 15.
[1981] Antichità Estensi, P. 1, cap. 22 et seq.
[1982] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 12.
Anno di CRISTO DCCCCXXXII. Indiz. V.
GIOVANNI XI papa 2.
UGO re d'Italia 7.
LOTTARIO re d'Italia 2.
Possedeva quietamente il re Ugo il regno d'Italia, e dimorava in Pavia
_IV kalendas madii_ di quest'anno, come s'ha da un suo diploma da me
pubblicato[1983]. Ma gli pareva poco, se non arrivava anche al dominio
di Roma, come avevano fatto tanti altri suoi predecessori. Conobbe che
altro mezzo non v'era per ottenere l'intento, che il guadagnar l'animo
di Marozia, onnipotente in quella città. Se vogliam credere a
Liutprando[1984], che teneva questo furbissimo re per uom santo, fu
Marozia stessa che dopo la morte di Guido suo marito, spediti a lui
ambasciatori, l'invitò a Roma, con offerirgli sè stessa in moglie, e il
dominio della città, per così dire, in dote. Andò il re Ugo in
quest'anno a quell'inclita città, accolto cortesemente dai Romani; fu
ammesso in castello di sant'Angelo da Marozia, che n'era la padrona; e
confidato in questa fortezza, lasciò fuori di città l'esercito suo.
Ch'egli sposasse Marozia, e si mettesse in possesso di Roma, abbastanza
si raccoglie dallo stesso Liutprando, il quale detesta come incestuose
tali nozze, dacchè Marozia avea dianzi avuto per marito _Guido duca_ di
Toscana, fratello uterino d'esso re Ugo. Qui chiede tosto il lettore, se
Ugo, che facea tanto l'uomo dabbene, veramente s'involse ad occhi aperti
in quell'incesto, oppure se ottenne dispensa della parentela dal papa.
Altro non so dir io, se non che non apparisce che allora fossero fatte
dispense. E che probabilmente Ugo si servì per contraere quelle nozze di
un galante suo trovato, cioè di far credere che Guido non era suo
fratello, siccome abbiam già veduto. Si può ancora chiedere, perchè Ugo,
che avea in pugno Roma e il papa, cioè Giovanni suo figliastro, non si
facesse dichiarare e coronar imperador de' Romani. Forse non ebbe tempo
da compiere questo suo verisimil desiderio; e si truova ancora qualche
antica memoria, in cui egli è chiamato _imperadore_, ma senza aver mai
conseguita la corona romana, mentre in tutti i susseguenti suoi diplomi
egli usa sempre il titolo di re, e non mai d'imperadore. Ora dacchè Ugo
fu in possesso di Roma, se vogliam credere a Liutprando, cominciò a
mostrar poca stima della nobiltà romana. Peggio avvenne. Un dì ebbe il
giovane _Alberico_, figliuolo di Marozia e di Alberico marchese, ordine
dalla madre di dar da lavar le mani al re suo padrigno; ma con sì poco
buon garbo colla brocca gli votò l'acqua nelle mani, che Ugo gli lasciò
andare un man rovescio sul volto. Levatosi di lì Alberico, fatta
raunanza di molti nobili romani, rappresentò loro la tracotanza di
questo novello re, il quale se sui principii trattava sì villanamente un
par suo, cosa non avrebbe fatto nel progresso del tempo in danno e
vituperio de' Romani? Con queste parole, e con altre in detestazion dei
Borgognoni, sì fattamente accese gli animi d'essi nobili, che data
campana a martello, e messo tutto il popolo in armi, chiusero le porte,
e andarono ad assediare il re in castello sant'Angelo, senza dargli
tempo d'introdurre le sue milizie. Tal fu la paura del bravo re Ugo, che
neppur credendosi sicuro in quella fortezza, si fece calar giù per le
mura del castello fuori della città, e volò a trovar le sue truppe,
colle quali assai scornato marciò tosto fuori del ducato romano. Servì
questa occasione al popolo romano, stanco d'essere signoreggiato da una
donna, per dichiarar loro principe e signore il suddetto _Alberico_,
giacchè se avessero renduto il governo a _papa Giovanni_, come era di
dovere, Marozia avrebbe continuato a governar ella sotto nome del
figliuolo pontefice. Anzi Alberico per maggiormente assicurare il suo
dominio, mise in prigione la stessa Marozia sua madre, e tenne in
maniera le guardie al papa suo fratello, che nulla poteva operare senza
saputa e consentimento di lui. Siamo tenuti di queste particolarità a
Frodoardo, il quale sotto l'anno seguente scrive nella Cronica[1985],
che tornati da Roma i messi della chiesa di Rems, _Pallium Artaldo
praesuli deferunt, nuntiantque, Johannem papam filium Mariae, quae et
Marocia dicitur, sub custodia detineri a fratre suo nomine Alberico, qui
matrem quoque suam Marociam clausam servabat, et Romam contra Hugonem
regem tenebat_. Ripete lo stesso nella storia della chiesa di Rems con
dire[1986]: _Artoldus episcopus post annum ordinationis suae pallium
suscipit, missum sibi per legatos ecclesiae remensis a Johanne papa
filio Mariae, quae et Marocia dicebatur, vel ab Alberico patricio fratre
ipsius papae, qui eumdem Johannem fratrem suum in sua detinebat
potestate, et praedictam matrem ipsorum in custodia clausam tenebat;
Hugonem quoque regem Roma depulerat_. Ed allora, a mio credere, fu che
si scatenò liberamente la satira contro della depressa _Marozia_ e di
_papa Giovanni_ suo figliuolo, con aggiugnere ai veri vizii di
quell'ambiziosa donna gli altri inventati dalla maldicenza, per
giustificare in qualche maniera l'usurpazione del dominio di Roma, e le
risoluzioni prese da Alberico contra di una madre e di un fratello papa.
Servirono poi a Liutprando quelle pasquinate per denigrar la fama dei
papi d'allora. Probabilmente in quest'anno fu promosso alla cattedra
episcopale di Verona _Raterio_ monaco, ma contro il volere del re Ugo,
il quale unicamente consentì all'ordinazione sua, per non dispiacere
alla corte di Roma, che l'avea caldamente raccomandato, e per isperanza
ch'egli, aggravato da particolari indisposizioni, sloggerebbe presto dal
mondo. Ma Raterio guarì, e fu consecrato. Allora Ugo, secondochè attesta
lo stesso Raterio[1987], _iratissimus redditur; juravit per Deum (nec
est mentitus) quod diebus vitae suae de ipsa ordinatione non essem
gavisurus. Misit ergo in pitaciolo certam quantitatem stipendii, quod
tenerem de rebus ecclesiae; de ceteris exigens jusjurandum, ut diebus
illius, filiique sui amplius non requirerem. Ego intelligens, quanta
absurditas ex hoc consequeretur, non consensi._ Ed ecco come si
abusassero allora i principi del secolo della lor potenza, con disporre
a lor talento dei beni delle chiese; e se il re Ugo fosse quel principe
sì pio e timorato di Dio che Liutprando ci vorrebbe far credere. Paggio
egli allora del re Ugo scrive di sè stesso[1988]: _Ea tempestate tantus
eram, qui regis Hugonis gratiam vocis mihi dulcedine acquirebam. Is enim
euplioniam magnopere diligebat, in qua me coaequalium puerorum nemo
vincere poterat._ Truovasi nel dì primo di luglio dell'anno presente in
Lucca esso re Ugo, dove[1989] _admonitione karissimi fratris nostri
Bosonis illustrissimi marchionis_ (già creato marchese di Toscana) dona
ai canonici di Lucca una corte _pro remedio animarum Adalberti
marchionis, et Bertae serenissimae comitissae matris nostrae_. Così quel
buon re, dopo averla infamata colla calunnia dei parti supposti. Il
diploma fu dato _kalendis julii, anno dominicae Incarnationis
DCCCCXXXII, regni autem domni Hugonis piissimi regis sexto, Lotharii
item regis secundo, Indictione quinta. Actum in civitate Lucae_. Non so
se Ugo andasse allora a Roma, oppure se ne venisse. In questo anno, per
attestato del Dandolo[1990], _Orso Particiaco ossia Participazio_, doge
di Venezia, veggendosi oramai vecchio, dato un calcio al mondo, si fece
monaco. In luogo suo fu eletto doge _Pietro Candiano II_, figliuolo di
Pietro Candiano I doge. Questi pel suo valore e saviezza accrebbe non
poco la potenza de' Veneziani con assuggettar varii popoli confinanti, e
far lega con altri. Mandò tosto alla corte di Costantinopoli _Pietro_
suo figliuolo con assaissimi regali, ed ottenne da quegli Augusti la
dignità di protospatario.
NOTE:
[1983] Antiq. Ital., Dissert. XIX, pag. 57.
[1984] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 12.
[1985] Frodoardus, in Cron. apud Du-Chesne.
[1986] Idem, in Chronic. Remensi, lib. 4, cap. 24.
[1987] Ratherius, in Epist. ad Johannem papam.
[1988] Liutprandus, lib. 4, cap. 1.
[1989] Ughell., Ital. Sacr., tom. 1, in Episcop. Lucens.
[1990] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXXXIII. Indiz. VI.
GIOVANNI XI papa 3.
UGO re d'Italia 8.
LOTTARIO re d'Italia 3.
Truovo io parimente nel gennaio di quest'anno il _re Ugo_ in Toscana.
Stando egli in Arezzo, confermò ai canonici di quella città, _precibus
karissimi fratris nostris Bosonis incliti marchionis_, i beni lasciati
da _Pietro_ vescovo ai medesimi canonici, e che loro avea confermato
_serenissimus avus noster Lotharius imperator_, padre di _Lottario_ re
della Lorena, da cui era nata _Berta sua madre_. Fu quel
privilegio[1991] dato _anno dominicae Incarnationis DCCCCXXXIII, XVI
kalendas februarii, regni autem domni Hugonis piissimi regis VIII,
dominique Lotharii item regis III, Indictione VI. Actum in domo sancti
Donati._ Quindi si può ricavare che Ugo già fosse re nel gennaio
dell'anno 926. Ma non è sicuro questo documento. Ho ben io messo qui
l'anno 933, ma parmi che l'originale non fosse ben chiaro in questa
nota. E poi come accordar questo diploma coll'altro dell'anno
precedente? Ivi nel dì primo di luglio 932 correva l'_anno sesto_ del
regno d'Ugo, e qui nel dì 17 di gennaio del 933 corre l'_anno ottavo_.
V'ha anche dell'errore negli anni del regno di Lottario. Per l'affronto
poi ricevuto da _Alberico_ patrizio di Roma, e dal popolo romano
nell'anno antecedente, si rodeva il cuore il re Ugo, e non tardò a
cercarne vendetta con passare all'assedio della stessa Roma. Trovò chi
non era figliuolo della paura. Diede bensì il guasto al paese, ma non
gli riuscì di condurre i Romani ad aprirgli le porte, e neppure a far
capitolazione alcuna. In poche parole si sbriga Frodoardo con
iscrivere[1992] sotto quest'anno: _Hugo rex Italiae Romam obsidet_. E
Liutprando racconta ch'esso Ugo[1993] _qualiter Romam, ex qua ejectus
turpiter fuerat, posset acquirere, cogitabat. Collecta itaque
multitudine, proficiscitur Romam: cujus quamquam loca et provincias
circum circa misere devastaret, eamque ipsam quotidiano impetu
impugnaret, ingrediendi eam tamen effectum obtinere non potuit._
Potrebbe anche credersi succeduto in quest'anno, e forse prima, ciò che
il medesimo Liutprando racconta[1994].
Cioè che i principi d'Italia, malcontenti di avere sopra di sè un re che
ad una somma malizia avea cominciato ad unire la crudeltà, con avere
specialmente privato sotto indegno pretesto della vista e del ducato
Lamberto marchese di Toscana suo fratello, si avvisarono di richiamare
in Italia il già detronizzato _Rodolfo II_ re di Borgogna. Ugo, che
tenea delle spie dappertutto, lo seppe; e spediti a Rodolfo i suoi
ambasciatori, gli fece uscir di cuore questa voglia, con cedergli parte
degli stati ch'egli possedeva in Provenza, prima di venire al regno
d'Italia, avendo all'incontro ceduto quel re ad Ugo qualsivoglia sua
pretension sopra l'Italia. Così restò egli libero dal timore da quella
parte. Pretendono il Du-Chesne[1995] e il Buchè[1996] che per tale
accordo Rodolfo II acquistasse la Savoia, il Delfinato ed altri paesi di
Provenza sino al mare di Marsiglia. Ma sarebbe da vedere se la Savoia
fosse dianzi di Rodolfo oppure di Ugo. E che Ugo avesse già ceduto ad
altri il marchesato di Vienna si è di sopra veduto. Pretendono inoltre
quegli scrittori che Ugo ritenesse in suo potere la città d'Arles col
suo contado; e certamente noi il vedremo tornare in Provenza, e quivi
esercitar dominio. Vogliono ancora che Rodolfo desse allora _Alda_ ossia
_Adelaide_ sua figliuola per moglie a _Lottario re_ figliuolo del re
Ugo. Può essere che fra le condizioni del loro accordo vi fosse ancor
questa; potrebbe anche dubitarsi che seguissero gli sponsali dell'uno
coll'altra; ma che in questi tempi si accoppiasse Adelaide con Lottario,
non sussiste. Vedremo all'anno 938 le loro nozze. E qui si vuol
avvertire che Lottario non era per anche in età capace di unirsi con
donna. Il monaco di Bobbio[1997], che scrisse i miracoli operati da Dio
per intercession di san Colombano abbate di quell'insigne monistero, e
vivea in questi medesimi giorni, racconta un fatto non indegno di
memoria. Aveano alcuni potenti, specialmente _Guido vescovo_ di
Piacenza, occupata una gran quantità di beni al monistero di Bobbio;
iniquità che era alla moda in que' sì sconcertati tempi dell'Italia e
della Francia. Allorchè il re Ugo fu divenuto padrone di questo regno,
la regina _Alda_ sua moglie condusse in Italia un nobile e saggio uomo,
appellato _Gerlenno_, con pensiero di dargli un vescovato. Fu questi
creato arcicancelliere del regno da Ugo. _Suum sigillum ei tribuit,
summumque cancellarium esse praecepit_. Io il truovo solamente
cancelliere nell'anno 929, ma comparisce poi ne' seguenti anni
arcicancelliere. Venuto a morte _Silverado abbate_ di Bobbio, il re
diede quella badia in commenda a Gerlenno, che neppur era monaco. E
questi trovato il monistero dianzi sì ricco, allora sì smilzo, più volte
si raccomandò al re Ugo, affinchè obbligasse quegli usurpatori alla
restituzion de' beni. _Sed rex potestative ea non valebat ab eis
auferre. Metuebat enim eos, ne si aliquid contra eorum voluntatem
ageret, regni damnum incurreret: quia scimus etiam contra eum saepius
rebellasse_. Di qui ancora si conosce come fossero corrotti gli animi e
i costumi dei principi sì secolari come ecclesiastici d'allora. Adunque
l'accorto re gli diede per parere di condurre a Pavia il corpo di san
Colombano, perchè a quella vista si commoverebbono gli usurpatori. Così
fu fatto, forse circa l'anno 929 o 930, e quel sacro deposito fu esposto
nella chiesa di san Michele. Allora _Lotharius bonae indolis puer,
filius praedicti regis, quem Alda regina sua genuit, magnis febribus
arebatur. Qui jubente patre ad supradictam ecclesiam in ulnis adductus
est_. Per intercessione del santo riacquistò egli la sanità.
Ricuperarono i monaci ancora alcuni dei lor beni, ma non già gli
occupati dall'indurato vescovo di Piacenza. Dal che si può intendere che
il re Lottario era tuttavia di tenera età circa questi tempi. Abbiamo
dal sopra allegato Frodoardo sotto il presente anno che i Saraceni
abitanti in Frassineto _meatus Alpium occupant, atque vicina quaeque
depraedantur_. Fece parimente fine al corso di sua vita in quest'anno
_Guaimario II_ principe di Salerno[1998], con lasciar suo successore
_Gisolfo_ suo figliuolo in età di soli quattro anni, a cui fu dato per
tutore Prisco.
NOTE:
[1991] Antiq. Ital., Dissert. LXII.
[1992] Frodoardus, in Chron. tom. II, Rer. Franc. Du-Chesne.
[1993] Liutprandus, Hist., lib. 4, cap. 1. Duc. Burgund., lib. 2.
[1994] Idem, lib. 3, cap. 13.
[1995] Du-Chesne, de Duc. Burgund., lib. 2.
[1996] Buchè, Histoire de Provence, lib. 6.
[1997] Mabill., Saecul. Benedict., tom. 2.
[1998] Romuald. Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXXXIV. Indiz. VII.
GIOVANNI XI papa 4.
UGO re d'Italia 9.
LOTTARIO re d'Italia 4.
Sigeberto[1999] all'anno 932 e l'Annalista sassone[2000] all'anno 933
raccontano un fatto che forse è da riferire all'anno presente. Dacchè i
principi d'Italia non poterono muovere contra del _re Ugo Rodolfo II re
di Borgogna_, nè c'era speranza di poter tirare in Italia _Arrigo_
glorioso re di Germania, perchè egli avea troppe faccende in casa
propria, e si sa da Liutprando che il re Ugo non risparmiava regali per
tenerselo amico; si rivolsero ad _Arnolfo duca_ di Baviera e di
Carintia, facendogli credere che l'Italia, s'egli veniva con una buona
armata, era di facile conquista, per l'avversione conceputa da molti
contra del re Ugo[2001]. Liutprando narra questo avvenimento, ma senza
assegnarne il tempo secondo il suo costume. Calò Arnoldo per la valle di
Trento, che era da quella parte la prima marca dell'Italia, e venne a
Verona, le cui porte gli furono aperte da _Milone conte_ della città e
da _Raterio vescovo_: essi almeno furono creduti dei principali a
chiamarlo in Italia. Non istette colle mani alla cintola il re Ugo.
Ammassato il suo esercito, lo spinse a quella volta. Accadde che uscito
di Gussolengo un corpo di Bavaresi, s'incontrò con un altro d'Italiani,
e venuto alle mani, restò talmente disfatto, che taluno appena
coll'aiuto delle gambe potè portarne la nuova agli altri. Bastò questo
poco per isbalordire Arnoldo, il quale conosciuto che non era sì molle
il terreno, come egli s'era figurato, determinò di tornarsene in Baviera
per rifare ed accrescere l'esercito, e rimettere ad altra stagione
questa impresa. Pensò ancora di condur seco Milone conte. Ma questi
penetrato il disegno, restò in forse di quel che avea da fare. In
Baviera per conto alcuno non voleva andare; pericoloso era il portarsi
al re Ugo. Tuttavia elesse l'ultimo partito, e questo gli dovette
servire per giustificarsi e per cancellare i sospetti formati contra di
lui. Arnolfo se ne tornò in Baviera, menando seco il fratello di Milone
e i di lui soldati prigionieri. Presentatosi il re Ugo a Verona, la
riebbe senza difficoltà, e fatto prendere il _vescovo Raterio_, il
confinò in una prigion di Pavia, dove ebbe tempo da poter descrivere
graziosamente i salti della sua buona e rea fortuna. Pretende egli in
una lettera[2002] scritta a papa _Giovanni XIII_ che ingiusto fosse il
gastigo, e che il re Ugo prendesse pretesto dalle rivoluzioni di Verona
per nuocere a lui secondo la suggestion del suo odio. _Cepit me_, dice
Raterio, _retrusit in custodiam in quadam Papiae turricula; non dico
sine mea culpa, sed citra legem ita haec egit, et sine audientia. Dicat
heic quisque quod volet; temerariis enim judiciis juxta Augustinum plena
tunt omnia._ Diede in quest'anno il re Ugo un diploma in confermazione
dei beni posseduti dai canonici di Modena[2003]. Le note son queste:
_Datum XII kalendas octobris anno dominicae Incarnationis DCCCCXXXIV,
regni autem domni Hugonis invictissimi regis octavo, et domni Lotharii
item regis tertio, Indictione septima_. Qui è adoperata l'indizione
nostra volgare, che cominciata nel gennaio procede per tutto l'anno.
NOTE:
[1999] Sigebertus, in Chron.
[2000] Annalista Saxo, tom. 1 Hist. Eccard.
[2001] Liutprandus, lib. 3. cap. 14.
[2002] Ratherius, in Epist., tom. 1, Spicileg. Dachery postrem. edit.
[2003] Ughell., Ital. Sacr., in Episcop. Mutinensi.
Anno di CRISTO DCCCCXXXV. Indiz. VIII.
GIOVANNI XI papa 5.
UGO re d'Italia 10.
LOTTARIO re d'Italia 5.
Non ho io ben potuto chiarirmi se quel _Bonifazio conte_, che noi
vedemmo di sopra all'anno 924 chiamato in aiuto da _Rodolfo re_ di
Borgogna e d'Italia, fosse fin d'allora promosso alla dignità di
marchese, ed avesse in governo il ducato di Spoleti e la marca di
Camerino. Liutprando scrisse[2004] ch'egli _nostro tempore Camerinorum
et Spoletinorum extitit marchio_: il che ci può far dubitare che molto
più tardi a lui fosse conferito quell'illustre governo. Nè è molto
verisimile che Ugo re promovesse questo Bonifazio, ch'era cognato del
suddetto re Rodolfo. Egli è ben fuor di dubbio che in questi tempi
signoreggiava nelle marche di Spoleti e di Camerino un _Teobaldo_ ossia
_Tebaldo_, di cui scrive il medesimo Liutprando[2005]: _Theobaldus heros
quidam, proxima regi Hugoni affinitate conjunctus, Camerinorum et
Spoletinorum marchio erat_. Questo Teobaldo è poi chiamato _nipote suo_
da esso re Ugo[2006]. Bolliva tuttavia la guerra fra _Landolfo principe_
di Benevento e i Greci, e si trovava il primo a mal partito, non so ben
dire se in quest'anno, oppure in alcuno degli antecedenti. Comunque sia
per conto del tempo, abbiam di certo che ricorse Landolfo per aiuto a
questo duca ossia marchese di Spoleti e di Camerino, il quale con grandi
forze unitosi a lui, e venuto ad un fatto d'armi coi Greci, loro diede
una rotta. Non tennero questi da lì innanzi la campagna, ma attesero a
difendersi nelle castella di loro giurisdizione. Liutprando, persona che
si dilettava forte di tagliare i panni addosso agli altri, e di
rallegrare i suoi lettori con delle galanti, ma forse non sempre vere
avventure, ne conta qui una alquanto oscena, e le fa i ricci colla sua
piacevole eloquenza. Cioè che Teobaldo quanti Greci gli capitavano alle
mani, tutti li faceva castrare, lasciandoli poi ire in pace, e con
ordine di dire al loro generale, che sapendo egli quanto preziose e care
cose fossero alla corte dell'imperadore di lui padrone gli eunuchi, gli
faceva que' regali, e che se ne aspettasse molti più andando innanzi.
Accadde che un dì usciti di un castello i Greci coi terrazzani, fecero
una zuffa con quei di Teobaldo, e ne restarono molti prigioni. Si
preparava la festa a questi infelici, quando dal castello giunse alle
tende infuriata una giovane donna, moglie di uno di essi, che
presentatasi a Teobaldo, seppe così ben dire le sue ragioni, e perorare
i suoi diritti sopra il corpo e le membra del marito, che mosse a riso
tutta la brigata, e le riuscì di avere sano e salvo il suo uomo. In qual
anno precisamente succedesse questa guerra di Landolfo e di Teobaldo
contra de' Greci, non si può dichiarare.
Circa questi tempi, per relazione del Dandolo[2007], avendo i
Comacchiesi messi in prigione alquanti Veneziani, _Pietro doge_ di
Venezia spedì contro di loro un'armata, che presa la città, la diede
alle fiamme, uccise molti di que' cittadini, e condusse il rimanente a
Venezia. Furono questi poi rilasciati con promessa di essere da lì
innanzi sudditi della repubblica veneta. A questi tempi ancora dovrebbe
appartenere la venuta in Italia di _Manasse arcivescovo_ di Arles, di
cui parla Liutprando[2008]. Questo ambizioso prelato, non contento del
grado e gregge suo, siccome parente del re Ugo, venne a pescar maggiori
grandezze in Italia. Il re, che per politica amava di esaltare i suoi
parenti e nazionali, gli assegnò le rendite delle chiese di Verona,
Trento e Mantova, e il fece anche marchese di Trento con iscandalo di
tutti i fedeli. Avendo, siccome dicemmo, ripigliata forza i Saraceni
abitanti in Frassineto, può essere che in quest'anno avvenisse ciò che
narra il suddetto Liutprando[2009]. Cioè che alcune brigate di que'
manasdieri calarono fino ad Aiqui nel Monferrato; ma raunatisi i
Cristiani di quelle contrade, con tal bravura diedero loro addosso, che
neppur uno ne scampò dalle loro spade. In Genova si vide scaturire una
fontana coll'acque color di sangue. Fu creduto sangue ciò che
verisimilmente fu un accidente naturale, e preso perciò come un presagio
di qualche calamità. Nè maggiore infatti poteva avvenire a quel popolo;
perciocchè nell'anno stesso venuti dall'Africa colla loro armata i Mori,
entrarono in quella città all'improvviso, e tagliarono a pezzi tutti i
cittadini, con riserbar solamente le donne e i fanciulli, che furono
condotti schiavi in Africa insieme col bottino di tutte le chiese e case
di Genova. Pietro bibliotecario, Martin Pollaco e il Belluacense
scrivono accaduta così funesta disgrazia nell'anno I di Giovanni XI
papa, cioè nell'anno 931. Non so qual fede meritino simili scrittori.
Liutprando, di gran lunga più antico di loro, la mette più tardi.
Leggesi nelle mie Antichità italiane[2010] un bellissimo placito, che ci
fa intendere che il re Ugo avea fabbricato un palazzo nuovo in Pavia,
dove anche dimorava nel dì 18 di settembre del presente anno. Il suo
principio è questo: _Dum in Dei civitate Papia in palacium noviter
aedificatum ab domnum Ughonem gloriosissimum rex in caminata dormitorii
ipsius palacii, ubi ipse domnus Ugo, et Lotherio filio ejus
gloriosissimi reges praeessent, in eorum praesentia Enesaribo comes
palatii_, ec. In vece di _Enesaribo_, che fu mal copiato, si dee
scrivere _esset Sarilo_, ciò riconoscendosi dalle sottoscrizioni, dove è
servì a comprovare l'innocenza del vincitore Lamberto. Liutprando crede
inventata questa calunnia dal re Ugo, perchè egli era già in trattato di
accasarsi con Marozia, e cercava di levar di mezzo l'impedimento della
parentela, essendo ella stata moglie di _Guido marchese_ di Toscana suo
fratello. Restò confuso il re Ugo, ma non lasciò per questo di continuar
la persecuzione contro il fratello Lamberto; e tanto seppe fare che
l'attrappolò, ed avutolo nelle mani, gli fece cavar gli occhi, e
toltogli il ducato della Toscana, lo conferì a _Bosone_ suo fratello.
Per attestato del Fiorentini[1979], questo Bosone si truova nell'anno
seguente marchese della Toscana. Liutprando scrive[1980] che a' suoi
tempi vivea tuttavia l'infelice Lamberto, _qui nunc usque lumine
privatus superest_. Così in altre mani passò il ducato della Toscana,
tolto con sì enorme superchieria alla schiatta dei Bonifazii ed
Adalberti, gloriosi e potenti duchi di quella provincia. Ma non perciò
credo io che finisse la lor prosapia, con avere addotto conghietture
fortissime ed atte a persuadere, che[1981] da alcuno di quei due
principi, cioè o da _Guido_ o da _Lamberto_ marchese di Toscana, e
figliuoli di _Adalberto II il Ricco_, oppure da _Bonifazio_ fratello
d'esso Adalberto II, sia discesa la nobilissima stirpe dei _marchesi
d'Este_, che poi nel secolo undecimo diramata, fiorisce tuttavia nella
real casa di Brunsvic, regnante in Inghilterra e Germania, e nella casa
dei duchi di Modena. Siccome ho io provato con sicuri documenti,
cominciano in questi tempi a trovarsi gli antenati della gloriosa
prosapia che poi fu appellata de' _marchesi d'Este_. Si truovano essi
ornati del titolo di _marchesi_; e quantunque io non abbia potuto
scoprir finora documento alcuno chiaramente comprovante la lor
connessione coi suddetti antichi marchesi di Toscana; pure tali
conghietture concorrono, che difficilmente si potrà fallare in tenendo i
principi estensi per discendenti da essi. Lo stesso Liutprando[1982]
pare che indichi avere il duca Guido avuto dei figliuoli da _Marozia
patrizia romana_, perchè detestando le nozze del re Ugo colla medesima,
scrive ch'essa non potea valersi della legge ebraica, concedente all'un
fratello di suscitare il seme dell'altro fratello defunto senza
figliuoli, e perciò dice:
_Immemor aspiceris praecepti caeca Johannis,_
_Qui fratri vetuit fratris violare maritam._
_Haec tibi Moyseos non praestant carmina vatis,_
_Qui fratri sobolem fratris de nomine jussit_
_Edere, si primus nequeat sibi gignere natum._
_Nostra tuo peperisse viro te saecula norunt._
Ma che divenne di questi figliuoli di Guido? Altri ne potè avere
_Lamberto_ suo fratello, ed altri anche _Bonifazio_ loro zio paterno,
giacchè i Longobardi tutti soleano prendere moglie, non essendo in uso
fra loro le primogeniture. Noi troviamo ricreato e conservato negli
antenati della casa d'Este, viventi in questi medesimi tempi e dipoi, il
nome di _Adalberto_, il titolo di _marchese_, la lor potenza, i lor beni
e giuspatronati in Toscana, massimamente ne' contadi di Arezzo, Pisa e
Luni, prima che venissero in Lombardia. Però fra le tenebre di questi
secoli non poco lume si ha per conghietturare i principi estensi
diramati dagli antichi Adalberti marchesi di Toscana. Restò per le
iniquità del re Ugo depressa questa nobil prosapia, ma noi la vedremo
dopo la di lui morte risorgere con non minor lustro di prima.
NOTE:
[1963] Sigonius, de Regno Ital., lib. 6.
[1964] Rubeus, Istor. Ravenn., lib. 5.
[1965] Pagius, ad Annales Baron.
[1966] Saxius, in Not. ad Sigon., de Regno Ital.
[1967] Antiquit. Ital., Dissert. XXXI et X.
[1968] Antiq. Ital., Dissert. IX, XXXIV, XXXVI, LXII, etc.
[1969] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1.
[1970] Ughell., Ital. Sacr.
[1971] Margarinius, Bullar. Casinens., tom. 2.
[1972] Tatti, Annal. Sacri di Como, tom. 2.
[1973] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 11.
[1974] Ratherius, in Epist., in Spicileg. Dacherii.
[1975] Frodoardus, de Roman. Pontificib.
[1976] Baron., in Annal. Eccles.
[1977] Frodoardus, in Chron.
[1978] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 13.
[1979] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
[1980] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 15.
[1981] Antichità Estensi, P. 1, cap. 22 et seq.
[1982] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 12.
Anno di CRISTO DCCCCXXXII. Indiz. V.
GIOVANNI XI papa 2.
UGO re d'Italia 7.
LOTTARIO re d'Italia 2.
Possedeva quietamente il re Ugo il regno d'Italia, e dimorava in Pavia
_IV kalendas madii_ di quest'anno, come s'ha da un suo diploma da me
pubblicato[1983]. Ma gli pareva poco, se non arrivava anche al dominio
di Roma, come avevano fatto tanti altri suoi predecessori. Conobbe che
altro mezzo non v'era per ottenere l'intento, che il guadagnar l'animo
di Marozia, onnipotente in quella città. Se vogliam credere a
Liutprando[1984], che teneva questo furbissimo re per uom santo, fu
Marozia stessa che dopo la morte di Guido suo marito, spediti a lui
ambasciatori, l'invitò a Roma, con offerirgli sè stessa in moglie, e il
dominio della città, per così dire, in dote. Andò il re Ugo in
quest'anno a quell'inclita città, accolto cortesemente dai Romani; fu
ammesso in castello di sant'Angelo da Marozia, che n'era la padrona; e
confidato in questa fortezza, lasciò fuori di città l'esercito suo.
Ch'egli sposasse Marozia, e si mettesse in possesso di Roma, abbastanza
si raccoglie dallo stesso Liutprando, il quale detesta come incestuose
tali nozze, dacchè Marozia avea dianzi avuto per marito _Guido duca_ di
Toscana, fratello uterino d'esso re Ugo. Qui chiede tosto il lettore, se
Ugo, che facea tanto l'uomo dabbene, veramente s'involse ad occhi aperti
in quell'incesto, oppure se ottenne dispensa della parentela dal papa.
Altro non so dir io, se non che non apparisce che allora fossero fatte
dispense. E che probabilmente Ugo si servì per contraere quelle nozze di
un galante suo trovato, cioè di far credere che Guido non era suo
fratello, siccome abbiam già veduto. Si può ancora chiedere, perchè Ugo,
che avea in pugno Roma e il papa, cioè Giovanni suo figliastro, non si
facesse dichiarare e coronar imperador de' Romani. Forse non ebbe tempo
da compiere questo suo verisimil desiderio; e si truova ancora qualche
antica memoria, in cui egli è chiamato _imperadore_, ma senza aver mai
conseguita la corona romana, mentre in tutti i susseguenti suoi diplomi
egli usa sempre il titolo di re, e non mai d'imperadore. Ora dacchè Ugo
fu in possesso di Roma, se vogliam credere a Liutprando, cominciò a
mostrar poca stima della nobiltà romana. Peggio avvenne. Un dì ebbe il
giovane _Alberico_, figliuolo di Marozia e di Alberico marchese, ordine
dalla madre di dar da lavar le mani al re suo padrigno; ma con sì poco
buon garbo colla brocca gli votò l'acqua nelle mani, che Ugo gli lasciò
andare un man rovescio sul volto. Levatosi di lì Alberico, fatta
raunanza di molti nobili romani, rappresentò loro la tracotanza di
questo novello re, il quale se sui principii trattava sì villanamente un
par suo, cosa non avrebbe fatto nel progresso del tempo in danno e
vituperio de' Romani? Con queste parole, e con altre in detestazion dei
Borgognoni, sì fattamente accese gli animi d'essi nobili, che data
campana a martello, e messo tutto il popolo in armi, chiusero le porte,
e andarono ad assediare il re in castello sant'Angelo, senza dargli
tempo d'introdurre le sue milizie. Tal fu la paura del bravo re Ugo, che
neppur credendosi sicuro in quella fortezza, si fece calar giù per le
mura del castello fuori della città, e volò a trovar le sue truppe,
colle quali assai scornato marciò tosto fuori del ducato romano. Servì
questa occasione al popolo romano, stanco d'essere signoreggiato da una
donna, per dichiarar loro principe e signore il suddetto _Alberico_,
giacchè se avessero renduto il governo a _papa Giovanni_, come era di
dovere, Marozia avrebbe continuato a governar ella sotto nome del
figliuolo pontefice. Anzi Alberico per maggiormente assicurare il suo
dominio, mise in prigione la stessa Marozia sua madre, e tenne in
maniera le guardie al papa suo fratello, che nulla poteva operare senza
saputa e consentimento di lui. Siamo tenuti di queste particolarità a
Frodoardo, il quale sotto l'anno seguente scrive nella Cronica[1985],
che tornati da Roma i messi della chiesa di Rems, _Pallium Artaldo
praesuli deferunt, nuntiantque, Johannem papam filium Mariae, quae et
Marocia dicitur, sub custodia detineri a fratre suo nomine Alberico, qui
matrem quoque suam Marociam clausam servabat, et Romam contra Hugonem
regem tenebat_. Ripete lo stesso nella storia della chiesa di Rems con
dire[1986]: _Artoldus episcopus post annum ordinationis suae pallium
suscipit, missum sibi per legatos ecclesiae remensis a Johanne papa
filio Mariae, quae et Marocia dicebatur, vel ab Alberico patricio fratre
ipsius papae, qui eumdem Johannem fratrem suum in sua detinebat
potestate, et praedictam matrem ipsorum in custodia clausam tenebat;
Hugonem quoque regem Roma depulerat_. Ed allora, a mio credere, fu che
si scatenò liberamente la satira contro della depressa _Marozia_ e di
_papa Giovanni_ suo figliuolo, con aggiugnere ai veri vizii di
quell'ambiziosa donna gli altri inventati dalla maldicenza, per
giustificare in qualche maniera l'usurpazione del dominio di Roma, e le
risoluzioni prese da Alberico contra di una madre e di un fratello papa.
Servirono poi a Liutprando quelle pasquinate per denigrar la fama dei
papi d'allora. Probabilmente in quest'anno fu promosso alla cattedra
episcopale di Verona _Raterio_ monaco, ma contro il volere del re Ugo,
il quale unicamente consentì all'ordinazione sua, per non dispiacere
alla corte di Roma, che l'avea caldamente raccomandato, e per isperanza
ch'egli, aggravato da particolari indisposizioni, sloggerebbe presto dal
mondo. Ma Raterio guarì, e fu consecrato. Allora Ugo, secondochè attesta
lo stesso Raterio[1987], _iratissimus redditur; juravit per Deum (nec
est mentitus) quod diebus vitae suae de ipsa ordinatione non essem
gavisurus. Misit ergo in pitaciolo certam quantitatem stipendii, quod
tenerem de rebus ecclesiae; de ceteris exigens jusjurandum, ut diebus
illius, filiique sui amplius non requirerem. Ego intelligens, quanta
absurditas ex hoc consequeretur, non consensi._ Ed ecco come si
abusassero allora i principi del secolo della lor potenza, con disporre
a lor talento dei beni delle chiese; e se il re Ugo fosse quel principe
sì pio e timorato di Dio che Liutprando ci vorrebbe far credere. Paggio
egli allora del re Ugo scrive di sè stesso[1988]: _Ea tempestate tantus
eram, qui regis Hugonis gratiam vocis mihi dulcedine acquirebam. Is enim
euplioniam magnopere diligebat, in qua me coaequalium puerorum nemo
vincere poterat._ Truovasi nel dì primo di luglio dell'anno presente in
Lucca esso re Ugo, dove[1989] _admonitione karissimi fratris nostri
Bosonis illustrissimi marchionis_ (già creato marchese di Toscana) dona
ai canonici di Lucca una corte _pro remedio animarum Adalberti
marchionis, et Bertae serenissimae comitissae matris nostrae_. Così quel
buon re, dopo averla infamata colla calunnia dei parti supposti. Il
diploma fu dato _kalendis julii, anno dominicae Incarnationis
DCCCCXXXII, regni autem domni Hugonis piissimi regis sexto, Lotharii
item regis secundo, Indictione quinta. Actum in civitate Lucae_. Non so
se Ugo andasse allora a Roma, oppure se ne venisse. In questo anno, per
attestato del Dandolo[1990], _Orso Particiaco ossia Participazio_, doge
di Venezia, veggendosi oramai vecchio, dato un calcio al mondo, si fece
monaco. In luogo suo fu eletto doge _Pietro Candiano II_, figliuolo di
Pietro Candiano I doge. Questi pel suo valore e saviezza accrebbe non
poco la potenza de' Veneziani con assuggettar varii popoli confinanti, e
far lega con altri. Mandò tosto alla corte di Costantinopoli _Pietro_
suo figliuolo con assaissimi regali, ed ottenne da quegli Augusti la
dignità di protospatario.
NOTE:
[1983] Antiq. Ital., Dissert. XIX, pag. 57.
[1984] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 12.
[1985] Frodoardus, in Cron. apud Du-Chesne.
[1986] Idem, in Chronic. Remensi, lib. 4, cap. 24.
[1987] Ratherius, in Epist. ad Johannem papam.
[1988] Liutprandus, lib. 4, cap. 1.
[1989] Ughell., Ital. Sacr., tom. 1, in Episcop. Lucens.
[1990] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXXXIII. Indiz. VI.
GIOVANNI XI papa 3.
UGO re d'Italia 8.
LOTTARIO re d'Italia 3.
Truovo io parimente nel gennaio di quest'anno il _re Ugo_ in Toscana.
Stando egli in Arezzo, confermò ai canonici di quella città, _precibus
karissimi fratris nostris Bosonis incliti marchionis_, i beni lasciati
da _Pietro_ vescovo ai medesimi canonici, e che loro avea confermato
_serenissimus avus noster Lotharius imperator_, padre di _Lottario_ re
della Lorena, da cui era nata _Berta sua madre_. Fu quel
privilegio[1991] dato _anno dominicae Incarnationis DCCCCXXXIII, XVI
kalendas februarii, regni autem domni Hugonis piissimi regis VIII,
dominique Lotharii item regis III, Indictione VI. Actum in domo sancti
Donati._ Quindi si può ricavare che Ugo già fosse re nel gennaio
dell'anno 926. Ma non è sicuro questo documento. Ho ben io messo qui
l'anno 933, ma parmi che l'originale non fosse ben chiaro in questa
nota. E poi come accordar questo diploma coll'altro dell'anno
precedente? Ivi nel dì primo di luglio 932 correva l'_anno sesto_ del
regno d'Ugo, e qui nel dì 17 di gennaio del 933 corre l'_anno ottavo_.
V'ha anche dell'errore negli anni del regno di Lottario. Per l'affronto
poi ricevuto da _Alberico_ patrizio di Roma, e dal popolo romano
nell'anno antecedente, si rodeva il cuore il re Ugo, e non tardò a
cercarne vendetta con passare all'assedio della stessa Roma. Trovò chi
non era figliuolo della paura. Diede bensì il guasto al paese, ma non
gli riuscì di condurre i Romani ad aprirgli le porte, e neppure a far
capitolazione alcuna. In poche parole si sbriga Frodoardo con
iscrivere[1992] sotto quest'anno: _Hugo rex Italiae Romam obsidet_. E
Liutprando racconta ch'esso Ugo[1993] _qualiter Romam, ex qua ejectus
turpiter fuerat, posset acquirere, cogitabat. Collecta itaque
multitudine, proficiscitur Romam: cujus quamquam loca et provincias
circum circa misere devastaret, eamque ipsam quotidiano impetu
impugnaret, ingrediendi eam tamen effectum obtinere non potuit._
Potrebbe anche credersi succeduto in quest'anno, e forse prima, ciò che
il medesimo Liutprando racconta[1994].
Cioè che i principi d'Italia, malcontenti di avere sopra di sè un re che
ad una somma malizia avea cominciato ad unire la crudeltà, con avere
specialmente privato sotto indegno pretesto della vista e del ducato
Lamberto marchese di Toscana suo fratello, si avvisarono di richiamare
in Italia il già detronizzato _Rodolfo II_ re di Borgogna. Ugo, che
tenea delle spie dappertutto, lo seppe; e spediti a Rodolfo i suoi
ambasciatori, gli fece uscir di cuore questa voglia, con cedergli parte
degli stati ch'egli possedeva in Provenza, prima di venire al regno
d'Italia, avendo all'incontro ceduto quel re ad Ugo qualsivoglia sua
pretension sopra l'Italia. Così restò egli libero dal timore da quella
parte. Pretendono il Du-Chesne[1995] e il Buchè[1996] che per tale
accordo Rodolfo II acquistasse la Savoia, il Delfinato ed altri paesi di
Provenza sino al mare di Marsiglia. Ma sarebbe da vedere se la Savoia
fosse dianzi di Rodolfo oppure di Ugo. E che Ugo avesse già ceduto ad
altri il marchesato di Vienna si è di sopra veduto. Pretendono inoltre
quegli scrittori che Ugo ritenesse in suo potere la città d'Arles col
suo contado; e certamente noi il vedremo tornare in Provenza, e quivi
esercitar dominio. Vogliono ancora che Rodolfo desse allora _Alda_ ossia
_Adelaide_ sua figliuola per moglie a _Lottario re_ figliuolo del re
Ugo. Può essere che fra le condizioni del loro accordo vi fosse ancor
questa; potrebbe anche dubitarsi che seguissero gli sponsali dell'uno
coll'altra; ma che in questi tempi si accoppiasse Adelaide con Lottario,
non sussiste. Vedremo all'anno 938 le loro nozze. E qui si vuol
avvertire che Lottario non era per anche in età capace di unirsi con
donna. Il monaco di Bobbio[1997], che scrisse i miracoli operati da Dio
per intercession di san Colombano abbate di quell'insigne monistero, e
vivea in questi medesimi giorni, racconta un fatto non indegno di
memoria. Aveano alcuni potenti, specialmente _Guido vescovo_ di
Piacenza, occupata una gran quantità di beni al monistero di Bobbio;
iniquità che era alla moda in que' sì sconcertati tempi dell'Italia e
della Francia. Allorchè il re Ugo fu divenuto padrone di questo regno,
la regina _Alda_ sua moglie condusse in Italia un nobile e saggio uomo,
appellato _Gerlenno_, con pensiero di dargli un vescovato. Fu questi
creato arcicancelliere del regno da Ugo. _Suum sigillum ei tribuit,
summumque cancellarium esse praecepit_. Io il truovo solamente
cancelliere nell'anno 929, ma comparisce poi ne' seguenti anni
arcicancelliere. Venuto a morte _Silverado abbate_ di Bobbio, il re
diede quella badia in commenda a Gerlenno, che neppur era monaco. E
questi trovato il monistero dianzi sì ricco, allora sì smilzo, più volte
si raccomandò al re Ugo, affinchè obbligasse quegli usurpatori alla
restituzion de' beni. _Sed rex potestative ea non valebat ab eis
auferre. Metuebat enim eos, ne si aliquid contra eorum voluntatem
ageret, regni damnum incurreret: quia scimus etiam contra eum saepius
rebellasse_. Di qui ancora si conosce come fossero corrotti gli animi e
i costumi dei principi sì secolari come ecclesiastici d'allora. Adunque
l'accorto re gli diede per parere di condurre a Pavia il corpo di san
Colombano, perchè a quella vista si commoverebbono gli usurpatori. Così
fu fatto, forse circa l'anno 929 o 930, e quel sacro deposito fu esposto
nella chiesa di san Michele. Allora _Lotharius bonae indolis puer,
filius praedicti regis, quem Alda regina sua genuit, magnis febribus
arebatur. Qui jubente patre ad supradictam ecclesiam in ulnis adductus
est_. Per intercessione del santo riacquistò egli la sanità.
Ricuperarono i monaci ancora alcuni dei lor beni, ma non già gli
occupati dall'indurato vescovo di Piacenza. Dal che si può intendere che
il re Lottario era tuttavia di tenera età circa questi tempi. Abbiamo
dal sopra allegato Frodoardo sotto il presente anno che i Saraceni
abitanti in Frassineto _meatus Alpium occupant, atque vicina quaeque
depraedantur_. Fece parimente fine al corso di sua vita in quest'anno
_Guaimario II_ principe di Salerno[1998], con lasciar suo successore
_Gisolfo_ suo figliuolo in età di soli quattro anni, a cui fu dato per
tutore Prisco.
NOTE:
[1991] Antiq. Ital., Dissert. LXII.
[1992] Frodoardus, in Chron. tom. II, Rer. Franc. Du-Chesne.
[1993] Liutprandus, Hist., lib. 4, cap. 1. Duc. Burgund., lib. 2.
[1994] Idem, lib. 3, cap. 13.
[1995] Du-Chesne, de Duc. Burgund., lib. 2.
[1996] Buchè, Histoire de Provence, lib. 6.
[1997] Mabill., Saecul. Benedict., tom. 2.
[1998] Romuald. Salernitanus, Chron., tom. 7 Rer. Ital.
Anno di CRISTO DCCCCXXXIV. Indiz. VII.
GIOVANNI XI papa 4.
UGO re d'Italia 9.
LOTTARIO re d'Italia 4.
Sigeberto[1999] all'anno 932 e l'Annalista sassone[2000] all'anno 933
raccontano un fatto che forse è da riferire all'anno presente. Dacchè i
principi d'Italia non poterono muovere contra del _re Ugo Rodolfo II re
di Borgogna_, nè c'era speranza di poter tirare in Italia _Arrigo_
glorioso re di Germania, perchè egli avea troppe faccende in casa
propria, e si sa da Liutprando che il re Ugo non risparmiava regali per
tenerselo amico; si rivolsero ad _Arnolfo duca_ di Baviera e di
Carintia, facendogli credere che l'Italia, s'egli veniva con una buona
armata, era di facile conquista, per l'avversione conceputa da molti
contra del re Ugo[2001]. Liutprando narra questo avvenimento, ma senza
assegnarne il tempo secondo il suo costume. Calò Arnoldo per la valle di
Trento, che era da quella parte la prima marca dell'Italia, e venne a
Verona, le cui porte gli furono aperte da _Milone conte_ della città e
da _Raterio vescovo_: essi almeno furono creduti dei principali a
chiamarlo in Italia. Non istette colle mani alla cintola il re Ugo.
Ammassato il suo esercito, lo spinse a quella volta. Accadde che uscito
di Gussolengo un corpo di Bavaresi, s'incontrò con un altro d'Italiani,
e venuto alle mani, restò talmente disfatto, che taluno appena
coll'aiuto delle gambe potè portarne la nuova agli altri. Bastò questo
poco per isbalordire Arnoldo, il quale conosciuto che non era sì molle
il terreno, come egli s'era figurato, determinò di tornarsene in Baviera
per rifare ed accrescere l'esercito, e rimettere ad altra stagione
questa impresa. Pensò ancora di condur seco Milone conte. Ma questi
penetrato il disegno, restò in forse di quel che avea da fare. In
Baviera per conto alcuno non voleva andare; pericoloso era il portarsi
al re Ugo. Tuttavia elesse l'ultimo partito, e questo gli dovette
servire per giustificarsi e per cancellare i sospetti formati contra di
lui. Arnolfo se ne tornò in Baviera, menando seco il fratello di Milone
e i di lui soldati prigionieri. Presentatosi il re Ugo a Verona, la
riebbe senza difficoltà, e fatto prendere il _vescovo Raterio_, il
confinò in una prigion di Pavia, dove ebbe tempo da poter descrivere
graziosamente i salti della sua buona e rea fortuna. Pretende egli in
una lettera[2002] scritta a papa _Giovanni XIII_ che ingiusto fosse il
gastigo, e che il re Ugo prendesse pretesto dalle rivoluzioni di Verona
per nuocere a lui secondo la suggestion del suo odio. _Cepit me_, dice
Raterio, _retrusit in custodiam in quadam Papiae turricula; non dico
sine mea culpa, sed citra legem ita haec egit, et sine audientia. Dicat
heic quisque quod volet; temerariis enim judiciis juxta Augustinum plena
tunt omnia._ Diede in quest'anno il re Ugo un diploma in confermazione
dei beni posseduti dai canonici di Modena[2003]. Le note son queste:
_Datum XII kalendas octobris anno dominicae Incarnationis DCCCCXXXIV,
regni autem domni Hugonis invictissimi regis octavo, et domni Lotharii
item regis tertio, Indictione septima_. Qui è adoperata l'indizione
nostra volgare, che cominciata nel gennaio procede per tutto l'anno.
NOTE:
[1999] Sigebertus, in Chron.
[2000] Annalista Saxo, tom. 1 Hist. Eccard.
[2001] Liutprandus, lib. 3. cap. 14.
[2002] Ratherius, in Epist., tom. 1, Spicileg. Dachery postrem. edit.
[2003] Ughell., Ital. Sacr., in Episcop. Mutinensi.
Anno di CRISTO DCCCCXXXV. Indiz. VIII.
GIOVANNI XI papa 5.
UGO re d'Italia 10.
LOTTARIO re d'Italia 5.
Non ho io ben potuto chiarirmi se quel _Bonifazio conte_, che noi
vedemmo di sopra all'anno 924 chiamato in aiuto da _Rodolfo re_ di
Borgogna e d'Italia, fosse fin d'allora promosso alla dignità di
marchese, ed avesse in governo il ducato di Spoleti e la marca di
Camerino. Liutprando scrisse[2004] ch'egli _nostro tempore Camerinorum
et Spoletinorum extitit marchio_: il che ci può far dubitare che molto
più tardi a lui fosse conferito quell'illustre governo. Nè è molto
verisimile che Ugo re promovesse questo Bonifazio, ch'era cognato del
suddetto re Rodolfo. Egli è ben fuor di dubbio che in questi tempi
signoreggiava nelle marche di Spoleti e di Camerino un _Teobaldo_ ossia
_Tebaldo_, di cui scrive il medesimo Liutprando[2005]: _Theobaldus heros
quidam, proxima regi Hugoni affinitate conjunctus, Camerinorum et
Spoletinorum marchio erat_. Questo Teobaldo è poi chiamato _nipote suo_
da esso re Ugo[2006]. Bolliva tuttavia la guerra fra _Landolfo principe_
di Benevento e i Greci, e si trovava il primo a mal partito, non so ben
dire se in quest'anno, oppure in alcuno degli antecedenti. Comunque sia
per conto del tempo, abbiam di certo che ricorse Landolfo per aiuto a
questo duca ossia marchese di Spoleti e di Camerino, il quale con grandi
forze unitosi a lui, e venuto ad un fatto d'armi coi Greci, loro diede
una rotta. Non tennero questi da lì innanzi la campagna, ma attesero a
difendersi nelle castella di loro giurisdizione. Liutprando, persona che
si dilettava forte di tagliare i panni addosso agli altri, e di
rallegrare i suoi lettori con delle galanti, ma forse non sempre vere
avventure, ne conta qui una alquanto oscena, e le fa i ricci colla sua
piacevole eloquenza. Cioè che Teobaldo quanti Greci gli capitavano alle
mani, tutti li faceva castrare, lasciandoli poi ire in pace, e con
ordine di dire al loro generale, che sapendo egli quanto preziose e care
cose fossero alla corte dell'imperadore di lui padrone gli eunuchi, gli
faceva que' regali, e che se ne aspettasse molti più andando innanzi.
Accadde che un dì usciti di un castello i Greci coi terrazzani, fecero
una zuffa con quei di Teobaldo, e ne restarono molti prigioni. Si
preparava la festa a questi infelici, quando dal castello giunse alle
tende infuriata una giovane donna, moglie di uno di essi, che
presentatasi a Teobaldo, seppe così ben dire le sue ragioni, e perorare
i suoi diritti sopra il corpo e le membra del marito, che mosse a riso
tutta la brigata, e le riuscì di avere sano e salvo il suo uomo. In qual
anno precisamente succedesse questa guerra di Landolfo e di Teobaldo
contra de' Greci, non si può dichiarare.
Circa questi tempi, per relazione del Dandolo[2007], avendo i
Comacchiesi messi in prigione alquanti Veneziani, _Pietro doge_ di
Venezia spedì contro di loro un'armata, che presa la città, la diede
alle fiamme, uccise molti di que' cittadini, e condusse il rimanente a
Venezia. Furono questi poi rilasciati con promessa di essere da lì
innanzi sudditi della repubblica veneta. A questi tempi ancora dovrebbe
appartenere la venuta in Italia di _Manasse arcivescovo_ di Arles, di
cui parla Liutprando[2008]. Questo ambizioso prelato, non contento del
grado e gregge suo, siccome parente del re Ugo, venne a pescar maggiori
grandezze in Italia. Il re, che per politica amava di esaltare i suoi
parenti e nazionali, gli assegnò le rendite delle chiese di Verona,
Trento e Mantova, e il fece anche marchese di Trento con iscandalo di
tutti i fedeli. Avendo, siccome dicemmo, ripigliata forza i Saraceni
abitanti in Frassineto, può essere che in quest'anno avvenisse ciò che
narra il suddetto Liutprando[2009]. Cioè che alcune brigate di que'
manasdieri calarono fino ad Aiqui nel Monferrato; ma raunatisi i
Cristiani di quelle contrade, con tal bravura diedero loro addosso, che
neppur uno ne scampò dalle loro spade. In Genova si vide scaturire una
fontana coll'acque color di sangue. Fu creduto sangue ciò che
verisimilmente fu un accidente naturale, e preso perciò come un presagio
di qualche calamità. Nè maggiore infatti poteva avvenire a quel popolo;
perciocchè nell'anno stesso venuti dall'Africa colla loro armata i Mori,
entrarono in quella città all'improvviso, e tagliarono a pezzi tutti i
cittadini, con riserbar solamente le donne e i fanciulli, che furono
condotti schiavi in Africa insieme col bottino di tutte le chiese e case
di Genova. Pietro bibliotecario, Martin Pollaco e il Belluacense
scrivono accaduta così funesta disgrazia nell'anno I di Giovanni XI
papa, cioè nell'anno 931. Non so qual fede meritino simili scrittori.
Liutprando, di gran lunga più antico di loro, la mette più tardi.
Leggesi nelle mie Antichità italiane[2010] un bellissimo placito, che ci
fa intendere che il re Ugo avea fabbricato un palazzo nuovo in Pavia,
dove anche dimorava nel dì 18 di settembre del presente anno. Il suo
principio è questo: _Dum in Dei civitate Papia in palacium noviter
aedificatum ab domnum Ughonem gloriosissimum rex in caminata dormitorii
ipsius palacii, ubi ipse domnus Ugo, et Lotherio filio ejus
gloriosissimi reges praeessent, in eorum praesentia Enesaribo comes
palatii_, ec. In vece di _Enesaribo_, che fu mal copiato, si dee
scrivere _esset Sarilo_, ciò riconoscendosi dalle sottoscrizioni, dove è
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