Annali d'Italia, vol. 3 - 70

essere ben fabbricata, popolata e ricca, come prima, di modo che (dice
egli) _non solum vicinas, sed et longe positas praecellit opibus
civitates. Ipsa insignis, et toto orbe notissima Roma, hac inferior
esset, si pretiosa beatissimorum corpora non haberet_. Per attestato del
suddetto Frodoardo, gli Ungheri pieni di bottino, in vece di tornarsene
pel Friuli alle lor case, come pretende Liutprando, passarono per le
Alpi in Francia. _Rodolfo re_ di Borgogna e d'Italia si trovava allora
di là da' monti, ed unito con _Ugo conte_ di Vienna serrò questi
malandrini ad alcuni passi stretti. Ma ebbero la maniera d'uscirne per
dove men si credeva, e si spinsero verso la Linguadoca. Quanti ne potè
cogliere Rodolfo, tutti gli fece mettere a fil di spada.
Restata libera la Lombardia da questo flagello, e tolto di mezzo il
competitor Berengario, se ne tornò lieto in Italia il re Rodolfo, e
senza contrasto ebbe quasi tutto il regno a sua disposizione. Ricorse
tosto a lui _Giovanni vescovo_ di Cremona, già cancelliere dell'Augusto
Berengario, per raccomandargli la sua chiesa, _a paganis_, cioè dagli
Ungheri, _et quod magis est dolendum, a pessimis Christianis desolatam_.
Gli confermò Rodolfo tutti i suoi beni e privilegii, ad istanza di
_Beato vescovo_ di Tortona ed arcicancelliere, non conosciuto
dall'Ughelli, e di _Aicardo vescovo_ di Parma, suo _auriculario_, cioè
consigliere. Ha queste note il diploma:[1906] _Data V calendas octobris,
anno dominicae Incarnationis DCCCCXXIV, domni vero Rodulfi serenissimi
regis in Burgundia XV, in Italia IV, Indictione XIII. Actum in Pratis de
Granne_. Concedette egli ancora con un altro diploma a _Guido vescovo_
di Piacenza[1907] un sito delle mura della città di Pavia, per potervi
fabbricare la casa dei vescovi di Piacenza, perciocchè solevano tutti i
vescovi del regno aver quivi, siccome altrove accennai, casa propria per
abitarvi in occasion delle diete, e d'altre necessità da ricorrere al
re. E quivi truovasi appunto anche nominata _casa sanctae lunensis
ecclesiae_. Il diploma è mancante del luogo e giorno e mese. Dicesi dato
in quest'anno _Rodulfi regis in Italia tertio, Indictione duodecima_:
probabilmente prima di settembre. Esercitò inoltre questo re la sua
munificenza verso il suddetto _Aicardo vescovo_ di Parma, con donargli
la corte di Sabionetta, oggidì riguardevol terra. È dato quel
diploma[1908] _VIII idus octobris, anno dominicae Incarnationis
DCCCCXXIV, domni vero Rodulfi piissimi regis in Burgundia XIV, hic in
Italia IV. Actum Papiae_. Un altro ancora fu dato da lui in
_Verona[1909] pridie idus novembris, Indictione XII, anno regis in
Italia III;_ e un altro parimente dato nella stessa città e giorno
coll'_indizione XIIII_. Ma dee essere _XIII_. V'ha della discordia fra
questi diplomi intorno agli anni del regno d'Italia. Se poi sussistesse
che nell'ottobre e novembre di quest'anno corresse il di lui _anno
quarto_, si verrebbe ad intendere che nell'anno 922 non ebbe principio
il suo dominio in Italia, ma bensì circa l'ottobre del 921. Nè si dee
omettere che il privilegio dato al vescovo di Parma fu conceduto per
intercessione di _Ermengarda inclita contessa_ e di _Bonifazio
valorosissimo marchese_, che Rodolfo chiama _nostrae regiae potestatis
consiliarios_. Era _Ermengarda_ moglie di _Adalberto marchese_ d'Ivrea,
di cui ragioneremo fra poco, bastando per ora di osservare il grado di
somma confidenza che essa occupava nella corte del re Rodolfo. Bonifazio
qui mentovato potrebbe talun conjetturare che fosse quello stesso, per
la cui accortezza e bravura abbiam veduto di sopra che Rodolfo riportò
la vittoria di Fiorenzuola, e che in ricompensa l'avesse fatto marchese.
Ma non è già certo che ivi si parli di quel medesimo Bonifazio; e
quand'anche se ne parlasse, resta in dubbio di qual marca egli fosse
investito. Siamo assicurati da Liutprando[1910] che a' tempi suoi egli
fu _marchese di Camerino e di Spoleti_; ma non sappiamo già se
conseguisse in questi tempi quell'insigne governo. _Alberico marchese_
da noi veduto di sopra, era allora governatore di quella contrada. Certo
che a questo Bonifazio il re Rodolfo diede per moglie _Gualdrada_ sua
sorella. Di ciò tornerà occasion di parlare più a basso all'anno 946, al
qual anno solamente il credo io pervenuto al possesso e governo di
Spoleti e di Camerino. Sotto quest'anno poi narra Lupo protospata[1911]
le disgrazie della città d'Oria nella Calabria, con dire: _Capta est
Oria a Saracenis mense julii, et interfecerunt cunctas mulieres;
reliquos vero deduxerunt in Africam, cunctos venumdantes_. Abbiamo
parimente dalla Cronica arabica di Sicilia[1912], che venuto in
quest'anno dall'Africa un nuovo generale de' Mori, prese nella Calabria
la Rocca di Santagata.
NOTE:
[1901] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 18 et seq.
[1902] Antiq. Ital., Dissert. XIX.
[1903] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 20.
[1904] Frodoardus, in Chron., tom. 2, Rer. Franc. Du-Chesne.
[1905] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 1 et seq.
[1906] Antiq. Ital., Dissert. LXXI.
[1907] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1, Append.
[1908] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2, in Episcop. Parmens.
[1909] Antiquit. Ital., Dissert. XIX, pag. 41, et Dissert. XXXIV, p. 55.
[1910] Luitprandus, Hist., lib. 2, cap. 18.
[1911] Lupus Protospata, tom. 5 Rer. Ital.
[1912] Chronic. Arabicum, P. II, tom. 1 Rer. Ital.


Anno di CRISTO DCCCCXXV. Indiz. XIII.
GIOVANNI X papa 12.
RODOLFO re d'Italia 5.

O negli ultimi mesi dell'anno precedente, o negli otto primi del
presente, ne' quali correva l'_anno quarto_ di _Rodolfo_ re d'Italia,
_Orso_ Particiaco, ossia Participazio, doge di Venezia, per attestato
del Dandolo[1913], spediti per suoi ambasciatori ad esso re _Domenico
vescovo_ di Malamocco e _Stefano_ Caloprino, ottenne da lui la
confermazione di tutte le esenzioni e libertà, concedute al popolo di
Venezia dagli antichi re ed imperadori. Degno è d'osservazione che
Rodolfo in quel diploma _declaravit, ducem Venetiarum potestatem habere
fabricandi monetam, quia ei constitit, antiquos duces hoc continuatis
temporibus perfecisse_. In fatti è antichissimo il diritto di battere
moneta nei dogi di Venezia, e dagli strumenti di questo medesimo secolo
si ricava che era già in uso la _moneta veneta_, nè sussistere che da
Berengario II fosse loro conceduto un sì fatto privilegio, come ha
scritto più d'uno, perchè ne godevano molto prima. Si credeva il re
Rodolfo di avere ormai in pugno il regno d'Italia, senza sapere che un
altro v'aspirava anch'egli, e lavorava sott'acqua alla di lui rovina.
Questi era _Ugo_ duca e marchese della Provenza, figliuolo di _Teobaldo_
conte e di _Berta_, nata da _Lottario re_ della Lorena, e della famosa
_Gualdrada_, illegittimamente da lui presa per moglie. In seconde nozze
fu essa _Berta_ maritata con _Adalberto II_, soprannominato il _Ricco_,
duca di Toscana, la quale appunto cessò di vivere nel dì 8 marzo del
presente anno. L'epitaffio suo, riferito dal Fiorentini[1914], tuttavia
esiste inciso in marmo nella cattedrale di Lucca; nè so intendere perchè
il padre Pagi[1915] la creda fattura de' secoli posteriori. Una sorella
d'essa Berta per nome _Ermengarda_ morì anch'essa, e fu seppellita in
Lucca, siccome apparisce dal suo epitaffio, rapportato dal Fiorentini e
da me altrove[1916]. Siccome di sopra osservammo, procreò Berta al
secondo marito due figliuoli maschi, cioè _Guido_, che dopo la morte del
padre fu duca di Toscana, e _Lamberto_, di cui parleremo a suo tempo.
Procreò eziandio una femmina appellata _Ermengarda_, che già abbiam
veduta maritata con _Adalberto marchese_ d'Ivrea dopo la morte di Gisla
sua prima moglie, figliuola dell'imperador Berengario. Lo storico
Liutprando ci descrive[1917] questa principessa per la più prostituta
donna del mondo. Non solo, se crediamo a lui, faceva essa mercato della
sua onestà con tutti i principi d'Italia, ma scialacquò ancora con
ignobili persone. In questa maniera s'era renduta arbitraria e padrona
del regno, dipendendo da' suoi voleri e cenni i principi tutti. Qual
fede si meriti qui la penna sempre satirica di Liutprando, io nol saprei
dire. Ora Ugo, che a' tempi del re Berengario era venuto in Italia, e
probabilmente sollevò contro di lui la Toscana, e contro suo volere
cagion fu che Berengario facesse prigione la duchessa Berta sua madre e
il duca Guido suo fratello; Ugo, dissi, dappoichè intese la morte di
Berengario, tornò a far dei trattati segreti per ottener la corona
d'Italia, con _Berta_ sua madre allora vivente, con _Guido_ duca e
_Lamberto_ suoi fratelli uterini, signori di gran possanza in Toscana, e
colla marchesana _Ermengarda_, che comandava a bacchetta in Lombardia. E
non li fece indarno. Ermengarda fu quella che diede principio alla tela
contro di Rodolfo, uomo ineguale, che oggi faceva una cosa e domani la
disfaceva. Già noi vedemmo questa principessa in Pavia alzata al grado
di consigliera di sua maestà. Era in questi tempi mancato di vita il
marchese d'Ivrea _Adalberto_ suo marito. Gran dissensione bolliva fra i
principi di Italia. Liutprando storico, a guisa de' romanzieri
attribuisce tutto a rivalità fra loro insorta a cagion della stessa
Ermengarda. Ora essa trovandosi in Pavia con un forte partito de' suoi
parziali, ribellò quella città al re Rodolfo che ne era uscito per suoi
affari. Qui lascerò io che il lettore esamini come Pavia, la qual si
vuole ridotta dagli Ungheri nell'anno precedente in un mucchio di
pietre, si fosse così presto ripopolata e con forza da ribellarsi.
Comunque sia, seguita a dire Liutprando che Rodolfo, unita una poderosa
armata dei suoi aderenti, per mettere in dovere quella impudica amazone,
s'accampò dove il Ticino mette capo in Po. La notte vegnente Ermengarda
con un suo biglietto gli fece intendere che in mano sua era stato ed era
tuttavia l'averlo suo prigioniere, perchè tutti quelli del partito
d'esso Rodolfo nulla più bramavano che di abbandonar lui, e di darsi a
lei; ma che ella, perchè desiderava il di lui bene e la sua amicizia, a
tali istanze non avea voluto aderire. Prestò fede e restò spaventato
Rodolfo a queste furbesche parole; e nella seguente notte, avendo finto
di andare a letto, senza che alcun dei suoi se ne avvedesse, passò a
Pavia per abboccarsi con Ermengarda. Venuto il dì, nè alzandosi mai
Rodolfo, tutti i suoi principi e cortigiani n'erano in pena; e scoperto
in fine che egli mancava, chi diceva una cosa, e chi un'altra. Quando
eccoti arrivare nel campo un avviso, che Rodolfo unitosi coi suoi
avversarii si preparava per dar loro addosso. Bastò questo per metterli
tutti in costernazione, e però se ne andarono non correndo, ma volando a
mettersi in salvo in Milano. Allora fu che Lamberto, arcivescovo di
Milano e gli altri prima aderenti a Rodolfo, si staccarono affatto da
lui, ed inviarono messi ad Ugo duca di Provenza, perchè venisse in
Italia a prendere il regno. Qualche aria di romanzo comparisce in questo
racconto di Liutprando. Intanto Rodolfo burlato dagli uni, abbandonato
dagli altri[1918], si ritirò in Borgogna; ma non dismettendo la voglia
di ritenere o di ricuperar l'Italia, si raccomandò a _Burcardo_
potentissimo duca dell'Alemagna, ossia della Suevia, suocero suo, ed
uomo bestiale, la cui figliuola _Berta_ egli avea già presa per moglie.
Ammassato un copioso esercito, calarono in Italia; se in questo anno
oppure nel susseguente, nol so io decidere. Giunti che furono ad Ivrea,
Burcardo con disegno di esaminar le forze della città di Milano, dove
era il nerbo degli oppositori, prese l'assunto di andar colà come
ambasciatore, mostrando di trattar pace. Prima di entrarvi si fermò
fuori della città nella vaga basilica di san Lorenzo, che oggidì è
compresa entro le mura di Milano; e ben adocchiato il sito: _Qui_, disse
ai suoi familiari, _si potrà formare una fortezza, che terrà in freno
non solo i Milanesi, ma anche molti dei principi d'Italia_. Poi vicino
alle mura della città si lasciò scappar di bocca in linguaggio tedesco
che se egli non insegnava a tutti gli Italiani a contentarsi di un solo
sperone, e di cavalcar delle cavalle, egli non era Burcardo; con altri
vanti che tutti furono immediatamente rapportati all'_arcivescovo
Lamberto_. Questi da uomo accorto fece molte finezze a Burcardo, il
condusse fino alla caccia in un suo broglio con permettergli di
ammazzare un cervo: cosa che egli non soleva concedere a persona del
mondo; e il rimandò tutto gonfio di belle speranze. Ma nel mentre che
gli dava dei divertimenti in Milano, fece intendere ai Pavesi e ad
alcuni principi d'Italia che si preparassero per liberare il paese da
questo tedesco di sì mala volontà. Partito Burcardo da Milano, alloggiò
la sera in Novara. Nel dì seguente appena, ripigliato il viaggio, cadde
nell'imboscata che gli era stata tesa. Datosi alla fuga, e caduto il
cavallo nella fossa di quella città, quivi trapassato da più lance
lasciò la vita. I suoi rifugiatisi nella chiesa di san Gaudenzio, furono
tutti tagliati a pezzi. A questa nuova sbigottito Rodolfo, più che in
fretta se ne tornarono in Borgogna, nè più pensò all'Italia.
Da Ermanno Contratto[1919] e da Artmanno monaco[1920] sappiamo che dopo
la morte del re Corrado il suddetto Burcardo si era fatto tiranno della
Suevia, aveva commesse varie iniquità, _et in Italiam ingressus, dum
totam sibi terram subjicere, et multos decipere cogitat, ipse dolositate
illius gentis praeventus, dum studet evadere, subito lapsu infraenis
equi in foveam, veluti casui illius praeparatam, cecidit, hocque
insperato obitu miserabiliter vitam finivit_. Migliore forse del suocero
non era il genero suo Rodolfo. Così ne scrive Frodoardo all'anno
926[1921]. _Hugo filius Bertae rex Romae super Italiam constituitur,
expulso Rodulfo cisalpinae Galliae rege, qui regnum illud pervaserat, et
alteri feminae, vivente uxore sua, se copulaverat, occiso quoque a
filiis Bertae Burchardo Alamannorum principe, ipsius Rodulfi socero, qui
Alpes cum ipso transmearat, italici regni gratia recuperandi genero_.
Frodoardo in un fiato racconta tutti questi fatti sotto l'anno 926.
Dell'esaltazione del re Ugo, succeduta certamente nel seguente anno,
sotto il medesimo mi riserbo io di parlare. Intanto è da osservare che
_Burcardo_ fu ucciso a _filiis Bertae_; cioè da _Guido_ duca di Toscana
e da _Lamberto_ suo fratello, coll'aiuto di _Ermengarda marchesana
d'Ivrea_, loro sorella, perchè tutti aspiravano a mettere sul capo di
Ugo duca di Provenza, lor fratello uterino, la corona del regno
d'Italia, ma per loro castigo, siccome vedremo andando innanzi. Non si
dee ora tacere un'importante particolarità del suddetto _Guido_ duca di
Toscana. Dacchè per la morte dell'imperador Berengario Roma restò senza
imperadore, cioè senza quel freno in cui la tenevano gli Augusti
sovrani, governata solo da _papa Giovanni_, ma in tempi che non si avea
quella ubbidienza e rispetto dal senato e popolo romano che si conveniva
ai pontifici, i quali pure erano veri e legittimi padroni di quella
città, del suo ducato e d'altri paesi: _Maria_, soprannominata
_Marozia_, che, secondo Liutprando, colla impudicizia sua avea già
formato un grosso partito de' suoi aderenti, s'impadronì della Mole
adriana, oggidì Castello sant'Angelo, edifizio che in que' tempi ancora
veniva creduto una fortezza quasi inespugnabile, e in tal guisa cominciò
e continuò con più baldanza a far da padrona in Roma. Obbrobriose
memorie di quell'alma città son queste. Tuttavia per maggiormente
assodar la sua possanza, cercò di avere un marito potente, alle cui
forze congiunte colle sue niuno, e neppure il papa, potesse resistere.
_Guido_ duca e marchese di Toscana, per attestato di Liutprando[1922],
non ebbe difficoltà di prendere per moglie una sì fatta donna, perchè il
dominio di Roma, che pareva da lei portato in dote, ebbe presso di lui
più peso che ogni altro riguardo. Queste indubitate nozze di Guido con
Marozia ci danno abbastanza a conoscere che _Alberico marchese_, da noi
veduto di sopra marito di Marozia, dovea già essere mancato di vita.
Martino Polacco[1923], Tolomeo da Lucca[1924], il Platina[1925], il
Sigonio[1926] ed altri ancora scrivono che intorno a questi tempi, nata
discordia fra papa _Giovanni X_ ed _Alberico marchese_, fu forzato
l'ultimo ad uscire di Roma. Ritiratosi egli nella città d'Orta, quivi
con fabbricare una fortezza si assicurò. Per vendicarsi poi dei Romani,
chiamò in Italia gli Ungheri, i quali venuti in Toscana, dopo aver dato
a tutte quelle contrade il guasto, ed uccisa gran gente, se ne tornarono
carichi di bottino al loro paese. Sdegnati per questo i Romani
trucidarono il _marchese Alberico_. Non truovo io vestigio alcuno nè in
Liutprando, nè in veruno degli antichi scrittori, che gli Ungheri
arrivassero mai in Toscana o presso Roma. Tuttavia non sarà senza
fondamento la morte del suddetto Alberico, sembrando non improbabile che
non volendo più sofferir papa Giovanni la di lui prepotenza, trovasse
maniera per farlo levare dal mondo. _Marozia_ dipoi per conservare
l'usurpata sua signoria in essa Roma, si volle maggiormente fortificare
col tirar in essa città _Guido_ marchese e duca di Toscana, e prenderlo
per marito. Noi vedremo che essa avea partorito ad _Alberico_ marchese
suo primo consorte un figliuolo che portò il nome del padre, e divenne
col tempo principe ossia tiranno di Roma. Ma essendo egli in questi
tempi fanciullo, nè potendo per la sua tenera età dar vigore agli
ambiziosi disegni della madre, essa provvide al bisogno in altra guisa,
con passare alle seconde nozze.
NOTE:
[1913] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[1914] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
[1915] Pagius, ad Annal. Baron.
[1916] Collectio Nova vet. Inscription., p. 1885.
[1917] Liutprandus, lib. 3 Hist., cap. 2 et seq.
[1918] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 4.
[1919] Hermannus Contract., in Chron. edition Canisii.
[1920] Hartmannus, in Vita S. Wiboradae.
[1921] Frodoardus, in Chronico.
[1922] Liutprandus, Hist., lib,. 3, cap. 4.
[1923] Martin. Polonus, Chron. Rom. Pont.
[1924] Ptolom. Lucensis, Hist. Eccl.
[1925] Platina, de Roman. Pontif.
[1926] Sigon., de Regno Italiae.


Anno di CRISTO DCCCCXXVI. Indiz. XIV.
GIOVANNI X papa 13.
UGO re d'Italia 1.

Ricevette in quest'anno l'Italia un nuovo re, cioè _Ugo_ marchese e
duca, e non già re di Provenza, come osservò il padre Pagi[1927]. Se
vogliam credere allo storico Liutprando[1928], molte virtù concorrevano
in questo principe. _Fuit rex Hugo_, dice egli, _non minoris scientiae
quam audaciae, nec inferioris fortitudinis quam calliditatis. Dei etiam
cultor, sanctaeque Religionis amatorum amator; in pauperum
necessitatibus curiosus; erga ecclesias sollicitus, religiosus.
Philosophosque viros non solum amabat, verum etiam fortiter honorabat.
Qui etsi tot virtutibus clarebat, mulierum tamen illecebris eas
foedabat._ Così Liutprando, che da fanciullo fu paggio nella corte
d'esso re Ugo, ma forse non dovette allora per la sua età saper bene
scandagliare le qualità di questo principe. Noi, pesando le di lui
azioni nel progresso della storia, inclineremo piuttosto a crederlo un
picciolo Tiberio, una solennissima volpe ed un vero ipocrita, che per
fini umani mostrava gran venerazione alle chiese e persone sacre, ma
poca nelle sue operazioni verso Dio e verso la giustizia. Non solamente
tirò egli, stando in Provenza, nel suo partito _Lamberto arcivescovo_ di
Milano e buona parte dei principi d'Italia, e specialmente i suoi
fratelli uterini, ma anche lo stesso papa _Giovanni X_, facendo credere
a tutti ch'egli porterebbe in Italia il secolo d'oro, e principalmente
sosterrebbe l'autorità del papa entro e fuori di Roma. Dagli effetti ce
ne accorgeremo. Venuto per mare, sbarcò egli a Pisa, _quae est Tusciae
provinciae caput_ (lo dice Liutprando), ed appena giunto colà, vi
comparvero gli ambasciatori di papa Giovanni, anzi vi concorsero a
braccia aperte quasi tutti i principi d'Italia, per accogliere questo
creduto novello ristoratore del regno, ed invitarlo a prendere la corona
ch'egli vagheggiava da tanto tempo. Passò dipoi a Pavia, dove
concordemente fu eletto re, ed appresso coronato in Milano nella
basilica ambrosiana dal suddetto arcivescovo Lamberto. Non è sì facile
il determinare, non dirò solamente il giorno e il mese, ma neppur l'anno
in cui questo principe ottenne il titolo e la corona di re. Il Sigonio
fu d'opinione[1929] ch'egli giugnesse a Pisa nel luglio di questo anno,
e poscia in Milano fosse innalzato al trono. Il signor Sassi[1930]
bibliotecario dell'ambrosiana inclinò a crederlo creato re fra il maggio
e l'agosto dell'anno precedente 925, e ne addusse alcune ragioni. Ho io
all'incontro osservato dei combattimenti fra gli stessi diplomi di
questo principe, o per colpa de' copisti, o perchè alcuni d'essi
esistenti negli archivii paiono bene a prima vista originali, ma tali
non sono in fatti, ed alcun d'essi è anche fattura di falsarii.
S'aggiugne l'imbroglio altre volte accennato di tre diverse ere
dall'Incarnazione, cioè dell'anno volgare preso dal dì 25 di dicembre, o
dal primo di gennaio, e dell'anno pisano e del fiorentino; oltre a
quello delle indizioni ora mutate nel settembre, ed ora sul principio
dell'anno nostro. In questa controversia ecco ciò che io sono andato
osservando.
Due diplomi originali, da me veduti in Verona, già sono alla luce[1931].
L'uno ha queste note: _Data anno dominicae Incarnationis DCCCCXXVIII
pridie idus februarii, Indictione prima, regni vero domni Hugonis
gloriosissimi regis secundo. Actum Verona_. L'altro ha le medesime note,
a riserva dell'essere stato dato _XVIII kalendas martii_; e in questo
tuttavia si conserva il sigillo di cera coll'effigie d'esso Ugo coronato
e barbato, e colle lettere intorno Ugo GRA DI REX. Quel _XVIII kalendas
martii_ ha qualche cosa di straniero, ma non ne mancano esempli. Adunque
nel dì 12 di febbraio dell'anno 926 non dovette peranche Ugo aver presa
la corona del regno d'Italia. Un placito lucchese ha parimente queste
note[1932]: _Anno regni domni Hugonis_, ec. _quintodecimo, VIII kalendas
aprilis Indictione quartadecima_, cioè nel dì 25 di marzo dell'anno 941:
dalle quali note risulta che neppure nel dì 25 di marzo questo principe
avea cominciato a contar gli anni del suo regno. Un altro diploma
conforme a questi ho io prodotto altrove[1933], dato _VII kalendas
aprilis_ dello stesso anno 941. E nell'archivio de' canonici di Modena
v'ha uno strumento di donazione fatto a _Gotifredo_ vescovo, _regnante
domno Ugho rex ic in Italia anno quinto, de mense aprilis, Indictione
quarta_, cioè nell'anno 931, che conferma la verità suddetta. Rapporta
l'Ughelli un altro diploma dato[1934] _ anno dominicae Incarnationis
DCCCCXXVII, decimotertio kalendas martii, Indictione XV, anno Hugonis
primo_, che va d'accordo con gli antecedenti. Ne riferisce poi un altro
dato _IV idus maii, anno dominicae Incarnationis DCCCCXXIX regni Hugonis
IV, Indictione II_. Se non vi ha errore in questo documento, vegniamo a
conoscere che prima del dì 12 di maggio dell'anno 926 Ugo fu promosso
alla dignità regale. Ma forse ivi sarà scritto _regni anno III_,
trovando io altre memorie indicanti che neppure nel dì 7 di giugno
dell'anno 926 egli contò l'anno primo del regno. Uno strumento
dell'archivio dei canonici di Modena è scritto: _Regnante domno nostro
Ugho rex ic in Italia anno tercio, de mense julio, Indictione
quintadecima_, cioè nell'anno 927. Adunque nel mese di luglio dell'anno
925 si truova che egli avea già conseguita la corona del regno d'Italia.
Un altro è scritto regnante domno nostro Hugo, gratia dei rex in Italia
anno octavo, et regnante domno nostro Lottario filio ejus, gratia Dei
rex ic in Italia anno tertio, et dies XII de mense julio per Indictione
VI, cioè nell'anno 933. Queste note significano che egli era già re nel
dì 12 di luglio dell'anno 926. Uno strumento, riferito dal padre
Tatti[1935], fu scritto: _Ugo gratia Dei rex. Anni regni ejus in Italia
quinto, mense maii, Indictione quarta_, cioè nell'anno 931: fa conoscere
che nel maggio del 926 egli non era per anche re. Sicchè dopo tanto
scandaglio sembra potersi decidere che il regno di questo principe
cominciò nell'anno presente 926 nel mese di giugno, o poco prima, o poco
dopo. Truovasi poi esso Ugo[1936] in _Verona VII idus augusti_ dell'anno
presente, come costa da un altro suo diploma, in cui è espresso l'_anno
primo_ del suo regno. Chi avendo sotto gli occhi le carte di qualche
antico e dovizioso archivio, le esaminerà con pazienza, potrà più
sicuramente decidere questo punto di controversia.
Intanto non è improbabile che accadesse nei primi mesi dell'anno
presente l'ultima venuta in Italia del re Rodolfo, e la morte di
Burcardo duca di Suevia, narrata sotto quest'anno da Ermanno
Contratto[1937]: del che abbiamo favellato nell'anno precedente. Per
attestato di Liutprando[1938], dacchè fu entrato Ugo in possesso del
regno, _post paululum Mantuam abiit: ubi et Johannes papa ei occurrens,
foedus cum eo percussit_. Questa lega di papa Giovanni col re Ugo non si
può attribuire ad altro che alla speranza che questo principe gli desse
braccio per sostenere il suo dominio in Roma. Andava quivi probabilmente
ogni dì più venendo meno la di lui autorità a cagion di _Marozia_,
assistita dalle forze di _Guido marchese_ e duca di Toscana, marito suo,
laonde il papa cercò questo appoggio, ma appoggio sopra di un principe
che non avea se non un solo interesse, cioè quello della propria
grandezza. Nel dì 12 di novembre di quest'anno il re Ugo trovandosi in
Asti, confermò a quel vescovo[1939] tutti i suoi privilegii e beni.
Secondo la Cronica arabica di Cantabrigia[1940], il re de' Saraceni
facendo guerra ai Cristiani in Calabria, prese un luogo nominato _Urah_,
che forse è _Oria_, caduta, secondo il Protospata, nelle mani di
quegl'infedeli nell'anno 924. Poscia fece tregua coi Calabresi, ed ebbe
per ostaggio _Leone vescovo_ siciliano, governatore allora della
Calabria. Attesta inoltre il suddetto Protospata[1941] che in quest'anno
_comprehendit Michael Sclabus Sipontum mense julii_. E Romoaldo
salernitano[1942] ne parla anch'egli con iscrivere: _Venerunt Sclavi in
Apuliam, et civitatem Sipontum hostili direptione et gladio
vastaverunt_. Sicchè quelle contrade non men dai Saraceni che dagli
Schiavoni miseramente infestate si truovano in questi tempi.
NOTE:
[1927] Pagius, ad Annales Baron.
[1928] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 5.
[1929] Sigonius, de Reg. Ital., lib. 6.
[1930] Saxius, in Not. ad Sigonium.
[1931] Antiquit. Ital., Dissert. LXX.
[1932] Ibid., Dissertat. X.
[1933] Ibid., Dissert. LXII.
[1934] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2 in Episcop. Parmens.
[1935] Tatti, Annali Sacri di Como, tom. 2.
[1936] Antiq. Ital., Dissertat. XV, p. 851.
[1937] Hermannus Contractus, in Chronico.
[1938] Liutprandus, Hist., lib. 3, cap. 4.
[1939] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4, in Episcop. Astens.
[1940] Cronicon Arabicum, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[1941] Lupus Protospata, Chronic., tom. 5 Rer. Ital.
[1942] Romualdus Salern., Chron., tom. 7 Rer. Ital.


Anno di CRISTO DCCCCXXVII. Indiz. XV.
GIOVANNI X papa 14.
UGO re d'Italia 2.

Attese in quest'anno l'accorto _re Ugo_ a trattar amicizia e lega con
tutti i vicini potentati. Pensò ancora a spedire ambasciatori alla corte
imperiale di Costantinopoli, e scelse per tale incumbenza il padre di
Liutprando storico[1943], siccome persona di gran credito per
l'onoratezza de' suoi costumi e per essere bel parlatore. Andò questi, e
fu ben ricevuto da _Romano_ allora imperador de' Greci. Liutprando non
fa menzione se non di lui, quasichè il primo fra i greci Augusti non
fosse in que' tempi _Costantino VIII_ figliuolo di Leone il Saggio. Nè
si sazia d'encomiar esso Romano, come principe dotato di valore non
ordinario, e di pietà, liberalità e prudenza, che non avea pari. Portò
questo ambasciatore dei gran regali a quella corte. Ma ciò che riuscì
più caro all'Augusto Romano, fu che essendo stato assalito nel viaggio
esso ambasciatore da alcuni Sclavi, o vogliam dire Schiavoni, ribelli