Annali d'Italia, vol. 3 - 69

all'insigne monistero di Farfa, fatta dal medesimo imperadore. Il
diploma porta queste note[1880]: _Datum II kalendas julii, anno
dominicae Incarnationis DCCCCXX, domni vero Berengarii XXVIII_ (si dee
scrivere _XXXIII_), _regni imperii autem V. Actum in curte Olonna._ Fra
l'altre cose egli conferma a quel monistero _quidquid Albericus marchio
in idem monasterium aliqua inscriptione condonavit in comitatu Firmano_.
Anche di qui può trasparire che il _marchese Alberico_, altre volte
nominato di sopra, fosse marchese di Camerino, ed anche duca di Spoleti,
giacchè il monistero farfense era nel ducato spoletino. L'autore della
suddetta Cronica fa menzione della marca di Fermo. La stimo io una cosa
stessa colla marca di Camerino. Attesero in questi tempi gli abbati di
monte Casino, di san Clemente di Casauria e di Volturno a rimettere in
piedi i lor monisterii già distrutti dai Saraceni. Merita poi d'essere
rammentata la donazione della corte di Prato Piano, posta nel
piacentino, che Berengario Augusto fece in quest'anno alla _diletta sua
moglie Anna_. Per intercessione di _Guido vescovo di Piacenza_ e di
_Odelrico inclito marchese_. Il diploma, da me pubblicato[1881], ha
queste note: _Data VI idus septembris, anno dominicae Incarnationis
DCCCCXX, domni vero Berengarii serenissimi regis XXXIII, imperii autem
sui VI, Indictione VIIII. Actum Papiae._ Ma qui dee essere scorretto
l'_anno VI_ dell'imperio, e in suo luogo s'ha da scrivere _anno V_. Ho
io altrove[1882] citato uno strumento autentico, da me veduto in Reggio,
con queste note: _Berengarius gratia Dei imperator Augustus, anno
imperii ejus quinto, decimo kalendas decembris, Indictione nona_, cioè
nell'anno presente. Come poi diplomi, che han tutta la ciera di
originali, contengano sì fatti sbagli, non si sa così facilmente
intendere. Moglie dell'Augusto Berengario era negli anni addietro
_Bertila_. Noi qui ora troviamo _Anna_, a cui nondimeno non è dato il
titolo di Augusta. Scrive il panegirista di Berengario una rilevante
particolarità circa l'anno 889[1883].
_. . . . . . Pariter tria fulmina belli_
_Supponidae coeunt: regi sociabat amico,_
_Quos tunc fida satis conjux: peritura venenis,_
_Sed postquam haustura est inimica hortamina Circes._
Era congiunta in primo matrimonio col re Berengario _Bertila_,
probabilmente figliuola di _Suppone_, veduto da noi duca di Spoleti
nell'anno 872. Ch'ella fosse vivente anche nell'anno 910, s'è osservato
di sopra. Di qui impariamo ch'essa fu levata dal mondo col veleno, e
pare che per la sua infedeltà tanto male le avvenisse. Dovette
Berengario passare alle seconde nozze con prendere questa _Anna_. Se
inoltre le desse il titolo di Augusta, nol saprei dire.
NOTE:
[1877] Ibid., Dissert. LXIII.
[1878] Antiquit. Ital., Dissertat. XI pag. 583.
[1879] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1, Append.
[1880] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[1881] Antiquit. Ital., Dissert. XX.
[1882] Ibid., Dissert. LXVI.
[1883] Anonymus, in Panegyrico Berengarii lib. 2.


Anno di CRISTO DCCCCXXI. Indizione IX.
GIOVANNI X papa 8.
BERENGARIO imperadore 7.
RODOLFO re d'Italia 1.

Rapporta l'Ughelli[1884] il testamento di _Noterio_ ossia _Notekerio_
vescovo di Verona, fatto, _imperante domno nostro Berengario imperatore,
anno sexto, sub die decimo de mense februarii, Indictione IX_. Se questo
atto è autentico, e se accuratamente trascritto dall'Ughelli, noi
vegniamo a conoscere che Berengario non dovette ricevere la corona e il
titolo imperiale nella Pasqua dell'anno 916, ma bensì prima del dì 10 di
febbraio di esso anno; e con insorgere un sospetto che ciò seguisse nel
Natale dell'anno 915, ed aver fallato il panegirista di Berengario,
sulla cui relazione fondati alcuni hanno assegnata la di lui coronazione
alla Pasqua suddetta dell'anno 916. Ma perchè l'Ughelli troppe volte
porta scorretti i documenti nella sua Italia sacra, non possiam qui
riposar sulla sola sua fede. Se un dì uscirà alla luce qualche diploma o
strumento, scritto ne' mesi di gennaio e febbraio dell'anno 916 e dei
susseguenti, finchè visse Berengario, allora si potrà meglio accertare
questa partita. Il Sigonio[1885] attestò di averne veduto uno, dato
_regni sui trigesimo primo, imperii vero quarto, VII kalend. januarii,
Indictione VII_, cioè nel dì 26 di dicembre dell'anno 918. Il padre
Pagi[1886] vuole che s'abbia, secondo i suol conti, a legger ivi
_imperii vero tertio_. Ma se il Sigonio seppe ben leggere, e se
autentico era quel diploma, vegniamo in cognizione che appunto nel dì di
Natale dell'anno 915 accadde la coronazione romana di Berengario.
Veggasi un altro documento qui sotto all'anno 924. Aggiungasi ancora che
nell'indice delle carte dell'insigne archivio dell'arcivescovo di Lucca
è notato un livello, dato da _Pietro_ vescovo nell'_anno II_ di
_Berengario Augusto_ nel dì 14 di marzo _Indict. V_, cioè nell'anno 917.
Adunque prima della pasqua dell'anno precedente Berengario dovea avere
ricevuta la corona dell'imperio. Abbiamo poi dal Dandolo[1887], che
circa questi tempi gli Ungheri usciti della Pannonia empierono di
desolazione la Moravia e la Boemia, con uccidere ancora il duca di
quella contrada. Vennero poi nella Croazia, e, passato il castello di
Leopoli, trovarono _Gotifredo ed Ardo_ duchi insieme col patriarca di
Aquileja (secondo i conti dell'Ughelli dovrebbe essere _Orso_) che
attaccarono battaglia con loro; ma sfortunatamente, perchè quei due
duchi vi lasciarono la vita, e il patriarca, mercè di un buon cavallo e
degli speroni si ridusse in salvo. Diedero i barbari vincitori un sacco
universale alla Croazia e Stiria; se ne tornaron pieni di bottino nella
Pannonia, e di là passarono a far la stessa danza nella Bulgheria. Seguì
parimente nell'aprile di quest'anno un fatto d'armi presso la città di
Ascoli fra _Landolfo_ principe di Benevento e di Capoa, ed _Ursileo_
ossia _Orseolo_, generale dei Greci, che vi restò morto. Ne fa menzione
Lupo protospata[1888] con queste parole: _Anno 921 interiit Ursileo
Stratigo in praelio de Asculo mense aprilis, et apprendit Pandulfum
Apuleo._ Secondochè osservò Camillo Pellegrino, qui si dee leggere
_Landulfus Apuliam_. E che questo principe ritogliesse ai Greci la
Puglia, si ricava da Liutprando[1889], che scrive, _principem Landulphum
septennio potestative Apuliam sibi subjugasse_. Benchè l'imperador
Berengario placidamente governasse il regno d'Italia, pure i mali che in
quei tempi guastavano troppo di leggieri la pubblica quiete ed armonia,
non gli permisero di goder più lungamente della pace. In quest'anno
appunto succedette, a mio credere, ciò che vien narrato da
Liutprando[1890]. Venuto a morte _Gariberto arcivescovo_ di Milano, se
volle _Lamberto_ eletto suo successore entrar in possesso di quella
chiesa, gli convenne, secondo i pessimi abusi d'allora, comperare il
consenso dell'imperadore con buona somma di danaro, avendone egli esatta
tanta quanta se ne solea dare ai camerieri, ai portieri e ai custodi de'
pavoni e degli altri uccellami della corte. Se l'ebbe forte a male il
novello arcivescovo, e cominciò tosto a meditarne la vendetta. Accadde
che _Adalberto marchese_ d'Ivrea, benchè genero dello stesso Berengario,
_Odelrico_ marchese e conte del sacro palazzo, benchè tanto beneficato
da esso imperadore, e _Gilberto_ potente e valoroso conte segretamente
tramarono una ribellione contra del medesimo Augusto Berengario.
Insospettitosene egli, fece mettere le mani addosso ad Odelrico, e il
diede in guardia all'arcivescovo Lamberto, per prendere poi quelle
risoluzioni che fossero credute più convenienti alla giustizia. Da lì a
qualche giorno mandò Berengario dei messi con ordine all'arcivescovo di
rimettere in mano di lui il prigioniere. La risposta ch'egli diede, fu,
che se un par suo consegnasse alla giustizia alcuno, a cui si dovesse
levar la vita, egli opererebbe contro i canoni, e meriterebbe di perdere
il vescovato. Di più non occorse all'imperador Berengario per iscoprire
il mal animo di Lamberto; e tanto più si assicurò della di lui
intelligenza e lega coi ribelli, perchè egli senza licenza alcuna d'esso
Berengario rimise in libertà Odelrico.
Allora fu che il marchese Adalberto, esso Odelrico e Gilberto conte
determinarono di chiamare in Italia un altro principe per atterrar
Berengario[1891], e rivolsero gli occhi a _Rodolfo II_ ossia Ridolfo, re
della Borgogna appellata Transjurana, che comandava alla Savoia, agli
Svizzeri e ad altri circonvicini paesi. Non mancava a questo re
l'ambizione, cioè la sete di ingrandirsi, innata in quasi tutti i
principi, e con questa voglia andava congiunta la potenza, accresciuta
dall'aver egli presa per moglie _Berta_ figliuola di _Burcardo duca_
potentissimo della Suevia. Cominciarono pertanto questi tre congiurati
un trattato segreto col suddetto re Rodolfo per farlo venire in Italia.
Ma mentre costoro sulla montagna di Brescia battevano un dì consiglio
per condurre a fine la meditata impresa, ne fu avvertito l'imperador
Berengario. Portò il caso che in questo medesimo tempo erano calati in
Italia due re, ossia due capitani degli Ungheri, appellati Dursac e
Bugat, per salassare la misera Lombardia; i quali perciò mandò a
pregare, che se gli voleano bene, andassero a fare una visita a que'
suoi ribelli. Non vi fu bisogno di speroni a quella gente, avida di
sangue e di bottino. Volarono sul Bresciano per vie sconosciute, ed
arrivarono inaspettati al luogo di quella combricola. Uccisero e presero
molti di coloro. _Odelrico_ conte del palazzo bravamente difendendosi
lasciò ivi la vita. _Adalberto_ marchese e _Gilberto_ conte furono del
numero de' prigionieri. Il primo uomo non bellicoso, ma fornito di una
mirabil sagacità ed astuzia, vedendo che non v'era maniera di scappare,
gittate via l'armi e tutti gli ornamenti preziosi, e vestitosi da
semplice soldatello, si lasciò prendere dagli Ungheri. Interrogato chi
fosse, rispose d'essere un fantaccino d'un uomo d'armi, e li pregò di
farlo menare ad un castello appellato Calcinaia dove teneva i suoi
parenti che il riscatterebbono. Condotto colà, e non conosciuto, fu a
vilissimo prezzo comperata la di lui libertà da Leone, uno dei suoi
soldati. _Gilberto_ riconosciuto per quel che era, ben bastonato, e
mezzo nudo, fu presentato all'Augusto Berengario. Se gli gittò egli
tosto a' piedi per implorar la sua misericordia; ma trovandosi senza
brache, e mostrando quelle parti che la verecondia insegnò a nascondere,
commosse al riso tutti gli astanti. Era Berengario principe sommamente
portato alla clemenza, e questa volta ancora ne volle lasciare un
illustre esempio con perdonare a costui. Dopo averlo fatto vestire
d'abiti convenevoli al suo grado, il lasciò andare con dirgli di non
volere da lui giuramento alcuno; ma che s'egli tornasse a rivoltarsi
contra del suo sovrano, se ne aspettasse pure il gastigo da Dio. Di
questa sua soverchia indulgenza ebbe ben tosto a pentirsi Berengario;
perciocchè l'ingrato Gilberto appena fu ritornato ad Ivrea, che istigato
dagli altri ribelli se n'andò in Borgogna a spronare il re Rodolfo,
affinchè colle sue forze calasse in Italia. Nè passarono trenta giorni,
che Rodolfo, avendo mosse l'armi sue a questa volta, si diede a
detronizzar Berengario. Le scene di questi ribelli le credo io succedute
nell'anno corrente. Ed appunto nel settembre od ottobre di questo
medesimo anno son io d'avviso che esso Rodolfo venuto in Italia, e
impossessatosi di Pavia, quivi fosse eletto re dai principi suoi
parziali. Le ragioni si vedranno andando innanzi. Un placito tenuto in
Ravenna da _Onesto arcivescovo_ di essa città, e da Odelrico vassallo e
messo dell'imperadore Berengario, da me dato alla luce[1892], non so io
dire se appartenga all'anno presente, perchè le note cronologiche si
scuoprono guaste. Ben so che può esso far conoscere che in questi tempi
in _Ravenna_ e nel suo esarcato esso Augusto esercitava giurisdizione e
signoria, nè apparisce che ivi i romani pontefici ritenessero il
temporal dominio.
NOTE:
[1884] Ughell., Ital. Sacr., tom. 5, in Episcop. Veronens.
[1885] Sigonius, de Regno Ital. ad ann. 918.
[1886] Pagius, in Critic. ad Annales Baron.
[1887] Dandul., in Chronico, tom. 12 Rer. Ital.
[1888] Lupus Protospata, in Chron., tom. 5 Rer. Ital.
[1889] Liutprandus, in Legationib.
[1890] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 15.
[1891] Liutprand., Hist., lib. 2, cap. 16.
[1892] Antiq. Italic., Dissert. XXXI, pag. 969.


Anno di CRISTO DCCCCXXII. Indiz. X.
GIOVANNI X papa 9.
BERENGARIO imperadore 8.
RODOLFO re d'Italia 2.

Se crediamo a Frodoardo[1893], solamente in quest'anno dovette comparire
in Italia coll'esercito suo Rodolfo re di Borgogna, scrivendo egli:
_Berengario Longobardorum_ (dovendo dire _Romanorum_) _imperatore regno
ab optimatibus suis deturbato, Rodulfus cisalpinae Galliae rex ab ipsis
in regnum admittitur_. Ma io tengo che la calata in Italia di Rodolfo e
l'elezione sua in re d'Italia succedessero negli ultimi mesi dell'anno
precedente. Il Dandolo scrisse[1894]: _Rodulfus regnum Italiae obtinuit
anno Domini DCCCCXXI, qui invitatus ab Italicis in Lombardiam venit, et
Berengarium regem bellando vicit, et sic regnum obtinuit_. So non essere
questo autore di tale antichità da poter decidere tal controversia; ma,
a buon conto, ho io pubblicato[1895] un diploma di Rodolfo, che ci
assicura che egli nel dì 4 di febbraio dell'anno presente era già
dichiarato re d'Italia, e pacificamente soggiornava in Pavia, dove
confermò ad _Aicardo vescovo_ di Parma la badia di Berceto. Fu dato quel
diploma _II nonas februarii anno ab Incarnatione Domini nostri Jesu
Christi DCCCCXXII, Indictione X, regnante domno nostro Rodulfo rege in
Burgundia XI, in Italia I_. _Datum Ticini civitate_, ad intercessione di
_Lamberto arcivescovo_ di Milano e di _Adalberto marchese_ d'Ivrea. A
questa elezione non dovette consentire _Guido duca_ di Toscana, perchè
si veggono tuttavia notati gli anni di Berengario in una carta
dell'archivio archiepiscopale di Lucca, scritta _anno VII Berengarii
imperatoris pridie halendas majas, Indictione X_, cioè nell'anno
presente; ed altri susseguenti atti continuano col medesimo stile.
Riuscì dunque a Rodolfo re di occupar Pavia, e di farsi eleggere e
coronare re di Italia dal suddetto arcivescovo e dai principi ribelli
dell'imperador Berengario. Si ricoverò esso Berengario a Verona, e quivi
si sostenne coll'aiuto degli Ungheri, che verisimilmente in questa
congiuntura, ad istanza sua, vennero in Italia. Frodoardo chiaramente
dopo le parole sopra allegate aggiugne: _Hungari actione praedicti
Berengarii, multis captis oppidis, Italiam depraedantur_. Perciò Rodolfo
dovette contentarsi delle conquiste fatte, senza turbare Berengario nel
possesso di Verona, e conseguentemente nel ducato del Friuli. Truovasi
in Pavia Rodolfo nel dì 7 di dicembre dell'anno presente, seppure,
secondo l'era pisana, non è da riferire al precedente, ciò apparendo da
un suo diploma[1896], in cui conferma ai canonici di Parma i lor
privilegii. Fu esso dato _VI idus decembris anno dominicae Incarnationis
DCCCCXXII, domni vero Rodulfi piissimi regis in Italia I, in Burgundia
XII, Indictione X. Actum Papiae._ _L'Indizione X_ corrente nel mese di
dicembre, secondo l'uso più comune d'allora, indica l'anno precedente.
Un altro simile diploma, ma differente nelle note, vien rapportato
dall'Ughelli[1897], dato _III nonas decembris anno Incarnationis
dominicae DCCCCXXII, domni vero Rodulfi piissimi regis in Italia I, in
Burgundia XI, Indictione XI. Actum Papiae._ Come vi possa essere tal
divario fra atti spediti nello stesso tempo dalla medesima cancelleria,
chi mel sa dire? Per me credo l'un di essi difettoso. Nell'ultimo di
questi privilegii, conceduto ad istanza di _Lamberto arcivescovo_ di
Milano, di _Guido vescovo_ di Piacenza, di _Benedetto vescovo_ di
Tortona e di _Gilberto illustre conte_, diletti consiglieri suoi,
Rodolfo concede ad _Adalberto vescovo_ di Bergamo e a' cittadini di
poter fortificare la loro città già distrutta, _quae nunc maxime
Suevorum et Ungarorum incursione turbatur_.
NOTE:
[1893] Frodoardus, in Chron., tom. 2, Rer. Franc. Du-Chesne.
[1894] Dandul., in Chron., tom. 12, Rer. Ital.
[1895] Antiq. Ital., Dissert. LXXIII.
[1896] Antiq. Ital., Dissert. XXXIV.
[1897] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4, in Episcop. Bergom.


Anno di CRISTO DCCCCXXIII. Indiz. XI.
GIOVANNI X papa 10.
BERENGARIO imperad. 9.
RODOLFO re d'Italia 3.

Non mancava all'Augusto Berengario nè coraggio nelle sue avversità, nè
partito di aderenti e fedeli pronti ad impiegar la vita in difesa di
lui. Fra questi specialmente si contava _Guido vescovo_ di
Piacenza[1898], il quale poco fa abbiam veduto che era uno de'
consiglieri del re Rodolfo in Pavia. Il Campi[1899] notò che nell'anno
922 uno strumento fu scritto in quella città di Piacenza, correndo il
mese di _maggio_ e la _decima indizione_, con gli anni di _Rodolfo re
d'Italia_: il che fa conoscere che Piacenza allora ubbidiva a lui. Ma in
altre due carte, scritte nello _stesso anno_ e sotto la _stessa
Indizione_, e amendue in presenza di _Guido vescovo_, si fa menzione di
Berengario imperadore, correndo l'_anno settimo_ del suo imperio; segno
che il vescovo Guido e Piacenza erano tornati all'ubbidienza di lui.
Anzi da questi atti si può ricavar pruova che i due diplomi da me
accennati, come spediti nel precedente anno in Pavia, possano
appartenere (almeno l'uno d'essi) piuttosto all'anno 921, come io
sospettava. Perciocchè, come potè sul fine dell'anno 922 essere _Guido_
in Pavia consigliere del re Rodolfo, quando noi già il troviamo passato
nel partito di Berengario, correndo l'_indizione decima_, cioè
probabilmente prima del settembre d'esso anno 922? E se così fosse, il
principio del regno di Rodolfo in Italia sarà stato nel fine dell'anno
921, come io già conjetturai, e non già nell'anno susseguente. Aggiugne
il Campi, che sotto il dì 18 di maggio dell'anno presente 923 si vede
altro strumento scritto con gli anni di _Rodolfo_ in Piacenza. Sicchè
dovea già Rodolfo avere ricuperata quella città. Intanto l'imperador
Berengario, adunate quante forze potè, volle tentar la fortuna di una
battaglia, che troppo svantaggiosa in fine riuscì per lui. La rapporto
io all'anno presente sulla testimonianza di Frodoardo, che ne scrive
così:[1900] _Rodulphus cisalpinae Galliae rex, quem Italici, abjecto
rege suo Berengario, in regnum receperant, cum ipso Berengario
conflixit, eumque devicit, ubi mille quingenti viri cecidisse dicuntur_.
È narrato questo fatto d'armi da Liutprando colle seguenti circostanze.
S'incontrarono le due armate nemiche a Fiorenzuola tra Piacenza e Borgo
San Donnino, nel dì 29 di luglio, e quivi vennero alle mani con un
conflitto tanto più detestabile, perchè per la diversità delle fazioni
si videro imbrandire il ferro i padri contra de' figliuoli, i figliuoli
contra de' padri, i fratelli l'un contra dell'altro.
_. . . . Acer avus lethum parat ecce nepoti_
_Sternendus per eum...._
Sembrano queste parole indicar _Berengario_ imperadore, che dovette in
quella giornata avere per avversario il suo stesso nipote _Berengario_,
figliuolo di _Gisla_ figliuola sua e di _Adalberto_ marchese d'Ivrea. Di
grandi prodezze vi fece l'Augusto Berengario, non minori il re Rodolfo.
Ma finalmente si dichiarò la vittoria in favore del primo, e andò rotto
tutto il campo del re borgognone. Avea questo re maritata con
_Bonifazio_ conte potentissimo, che divenne poi marchese di Spoleti e di
Camerino, _Gualdrade_ sua sorella, donna per beltà e per saviezza
illustre, che era anche vivente allorchè Liutprando scrivea le sue
storie. Comparve questo Bonifazio insieme con Gariardo conte, menando
seco un buon corpo d'armati, in soccorso del re suo cognato, ed avrebbe
desiderato di entrare anche egli nel primo fuoco di quella battaglia. Ma
siccome personaggio di rara astuzia, giudicò meglio di tenersi in
agguato, aspettando l'esito del combattimento, per dare addosso a quei
di Berengario, caso che vincessero e si sbandassero, cioè per far quello
che tante volte è avvenuto in simili casi o per la poca accortezza de'
generali, o per la disubbidienza de' soldati troppo ansiosi del bottino.
E così appunto avvenne, talchè i berengariani di vincitori divennero
vinti. _Jam Rodulphi_, dice Liutprando, _paene omnes milites fugerant,
et Berengarii dato victoriae signo colligere spolia satagebant: quum
Bonifacius atque Gariardus subito ex insidiis properantes, hos tanto
levius quanto inopinatius sauciabant._ Gariardo accettava chiunque se
gli rendeva prigione. Bonifazio a niuno dava quartiere. Mutata perciò la
faccia della fortuna, e tornati alle bandiere i soldati fuggitivi di
Rodolfo, facilmente sconfissero l'armata di Berengario, con tanta strage
nondimeno dell'una e dell'altra parte, che, se vogliamo prestar fede a
Liutprando, a' suoi dì pochi uomini di arme restavano in Italia.
Fuggissene l'imperador Berengario a Verona. Rodolfo allora, nulla
temendo più dell'abbattuto avversario, dopo questa vittoria, diede una
scorsa in Borgogna, colà richiamato da varii suoi premurosi affari.
NOTE:
[1898] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 17 et seq.
[1899] Campi, Istor. di Piacenza, lib. 8.
[1900] Frodoardus, in Chron., tom. 2 Rer. Franc. Du-Chesne.


Anno di CRISTO DCCCCXXIV. Indiz. XII.
GIOVANNI X papa 11.
RODOLFO re d'Italia 4.

Altra via non seppe trovare l'imperador _Berengario_ per sostenersi in
capo la crollante sua corona, che l'indegno ripiego di chiamar in Italia
la spietata nazione degli Ungheri, co' quali avea trattenuta fin qui a
forza di regali una buona amicizia. Calati costoro nel febbraio di
quest'anno, li spinse egli alla volta di Pavia. Ma ad alcuni dei suoi
medesimi Veronesi, stati in addietro sì fedeli ed attaccati a lui,
dovette dispiacer non poco questa risoluzione barbarica, prevedendo
ognuno quanto sangue e danno cagionerebbe agli amici stessi la venuta di
quella gente, nemica del nome cristiano, e troppo avvezza alle crudeltà.
E per questo motivo, oppure per altri a noi ignoti, cominciarono
alquanti di quei cittadini ad ordire una congiura contra di
Berengario[1901]. Ne ebbe sentore l'infelice principe, e saputo che un
certo Flamberto suo compare, perchè gli avea tenuto un figliuolo al
sacro fonte, ne era capo, fattoselo venir davanti, gli ricordò i
benefizii a lui compartiti, ne promise de' maggiori, purchè egli fosse
costante nella fedeltà verso del suo sovrano. E donatagli una tazza
d'oro, lasciollo andare in pace. Altro non fece nella notte seguente,
dopo essersi veduto scoperto, lo sconoscente Flamberto, che istigare i
suoi congiurati a fare il colpo divisato contra la vita dell'Augusto
Berengario. Che la malizia e l'accortezza non avessero gran luogo in
cuore di questo principe, si può riconoscere dall'aver egli preso il
riposo in quella notte, non già nel palazzo, che si potea difendere, ma
in un picciolo gabinetto contiguo ad una chiesa, per poter essere
presto, secondo il suo costume, a levarsi di mezza notte ed assistere ai
divini uffizii. Perchè nulla sospettava di male, neppure si precauzionò
colle guardie. Alzossi al suono della campana del mattutino notturno e
andò alla chiesa. Ma vi comparve da lì a poco anche Flamberto con una
mano di sgherri, e venutogli incontro Berengario per intendere il lor
volere, trafitto da varii colpi delle loro spade, cadde morto ai lor
piedi. E questo miserabil fine ebbe l'imperador Berengario, principe a
cui nel valore pochi andarono innanzi, niuno nella pietà, nella clemenza
e nell'amore della giustizia. Vo io credendo che nel mese di marzo del
presente anno egli fosse tolto dal mondo, perchè ho avuto sotto gli
occhi e poi stampato[1902] uno stromento originale, esistente
nell'archivio dell'arcivescovato di Lucca, con queste note: _Regnante
domno nostro Berengario gratia Dei imperatore augusto, anno imperii ejus
nono, duodecimo kalendas aprilis, Indictione duodecima_. Contiene una
permuta fatta di alcuni beni tra Flaiberto Scavino e _Pietro vescovo_ di
Lucca, con avere _Guido duca_ inviati i suoi messi per conoscere che non
seguisse lesione della chiesa in quel contratto. Ora di qui apparisce
che nel dì 21 di marzo non era per anche giunta a Lucca la nuova della
morte dell'Augusto Berengario. Quel che è più, un tal documento
maggiormente ci assicura che nel dì 24 di marzo, ossia nella Pasqua
dell'anno 916, Berengario non fu promosso alla dignità imperiale, ma
prima di quel giorno: altrimenti nel dì 21 di marzo del presente anno
sarebbe corso l'anno _ottavo_, e non già il _nono_, del suo imperio. Ma
se è così, vegniamo ad intendere che la di lui coronazione romana si ha
da riferire al santo Natale dell'anno 915, e che il panegirista di
Berengario si dee differentemente spiegare, se è possibile; e se non si
può, convien confessare ch'egli anche in questo fallò, nè ci è permesso
di crederlo autore contemporaneo di Berengario stesso. Fu compianta dai
più la morte di così buon principe; e se si vuol prestar fede a
Liutprando[1903], restava tuttavia a' tempi suoi in Verona davanti ad
una chiesa una pietra intrisa del sangue di esso Berengario, che, per
quanto fosse lavata con varii liquori, mai non perdè quel colore. Aveva
allevato Berengario in sua corte un nobile e valoroso giovane, appellato
_Milone_, ai cui consigli se si fosse egli attenuto, non gli sarebbe
avvenuta quella sciagura. La notte stessa che egli restò trucidato, avea
voluto _Milone_ mettergli le guardie, ma a patto alcuno nol permise
Berengario. Ora questo generoso giovane, giacchè non potè difendere il
suo sovrano vivente, non lasciò almeno di prontamente vendicarlo morto.
Prese egli l'iniquo Flamberto con tutti i suoi complici, e nel terzo
giorno dopo l'uccision di Berengario tutti li fece impiccar per la gola.
Questo Milone fu dipoi (forse anche era allora) conte, cioè governator
di Verona, e personaggio di rare e perfette virtù.
Doveano prima di questa tragedia avere avuto ordine gli Ungheri da
Berengario di passare all'assedio di Pavia, perchè se gli riusciva di
ricuperar quella città, capo del regno, il _re Rodolfo_ verisimilmente
più non rivedeva l'Italia. Andarono que' Barbari, sotto il comando di
Salardo lor generale, commettendo pel viaggio tutte le inumanità loro
consuete, e strinsero coll'assedio la regal città. Volle la disgrazia
che non seppero que' cittadini difendere coraggiosamente quella forte
piazza, nè saggiamente renderla a patti di buona guerra. V'entrarono per
forza gli Ungheri, fecero man bassa sopra tutto il popolo, ed attaccato
il fuoco a chiese, palagi e case, ridussero in un monte di pietre quella
dianzi sì felice e ricca città, avendo cooperato un vento gagliardo a
dilatare quell'incendio. In quella rovina perì pel fumo e per le fiamme
anche _Giovanni_ ottimo vescovo d'essa; e trovandosi con lui il vescovo
di Vercelli, anch'egli miseramente vi lasciò la vita. In somma da gran
tempo in qua non s'era udita una sì spaventosa calamità in città
cristiane. Nè tralasciar si dee l'orrida descrizione che ne fece
Frodoardo[1904], scrittore allora vivente: _Hungari ductu regis
Berengarii, quem Langobardi pepulerant, Italiam depopulantur. Papiam
quoque urbem populatissimam atque opulentissimam, igne succendunt, ubi
opes periere innumerabiles; ecclesiae quadraginta tres succensae; urbis
ipsius episcopus cum episcopo vercellensi, qui secum erat, igne fumoque
necatur. Atque ex illa paene innumerabili multitudine ducenti tantum
superfuisse memorantur. Qui ex reliquiis urbis incensae, quas inter
cineres legerant, argenti modios octo dederunt Hungaris, vitam murosque
civitatis vacuae redimentes,_ ec. _Interea Berengarius Italiae rex a
suis interimitur_. Anche Liutprando non si sazia di deplorar la
lagrimevole rovina di quella bella città[1905], e assegna il tempo
preciso della medesima con dire: _Usta est infelix olim formosa Papia
anno dominicae Incarnationis DCCCCXXIV, quarto idus martii, Indictione
XII, feria VI, hora III_. Aggiugne appresso, che Pavia distrutta, a
differenza di Aquileia, risorse, e da lì a non molti anni tornò ad