Annali d'Italia, vol. 3 - 65

reverentissimo patre cum sanctissimis romanis seu italicis episcopis,
adque regni sui ducibus et comitibus, ceterisque principibus, _ec._ in
palacio, quod est fundatum juxta basilica beatissimi Petri principis
Apostolorum, in Laubia magiore ipsius palacii pariter cum eodem summo
pontifice, in judicio resedisset_, ec. Sicchè ragion vuole che si
riferisca al febbraio di quest'anno, la coronazione romana di questo
principe in Roma, dove era egli tuttavia nel dì 2 di marzo, come
risultata da un suo diploma[1724], da me pubblicato, dove si legge
l'_anno I dell_'imperio. Ch'egli poi si ritrovasse in _Pavia_ sul fine
dell'anno apparisce da un altro suo privilegio, in cui concede alla
chiesa di Como la badia della Coronata, posta vicina al fiume Adda,
quella stessa che fu fondata da Cuniberto re de' Longobardi. Il
diploma[1725] è dato _VII idus decembris anno Incarnationis Domini
DCCCCI, Indictione IV, anno autem regni Ludovici serenissimi imperatoris
in Italia primo_. Non può sussistere un diploma che viene accennato
dall'Ughelli[1726] come dato da Berengario _Papiae anno DCCCCI, sexto
idus julii, Indictione IV, anno ejusdem regis_ XIII. In quest'anno
_Berengario_ non fu padrone di Pavia. L'anno XIII del suo regno correva
nell'anno precedente, e a questo si dovrà riferire il diploma con
correggere del pari l'indizione, se pur non si tratta di un documento
apocrifo. Se la guerra continuasse, o se qualche battaglia si desse fra
questo nuovo imperadore e il re Berengario nell'anno presente, non si
può raccogliere dalle troppo scarse memorie di que' tempi. Sappiamo che
riuscì al primo di cacciar l'altro fuori d'Italia; ma in qual anno
preciso questo avvenisse, non ci è permesso di accertarlo. Il cardinal
Baronio si trovò alla descrizion di questi tempi sì confuso, che
disavvedutamente inciampò in non pochi anacronismi per volersi scostare
dal Sigonio, che qui più accuratamente pose al suo sito e distinse gli
avvenimenti. Ancorchè, siccome abbiam detto di sopra all'anno 896, a
_Guaimario I_ principe di Salerno fosse stata data una buona lezione che
dovea umiliarlo, allorchè gli furono cavati gli occhi; pure ritornato
alla sua residenza, non cessò mai d'essere superbo e crudele. Tante ne
fece, che perduta la pazienza, il popolo si mise a stuzzicare _Guaimario
II_ suo figliuolo, già dichiarato nell'anno 893 collega nel principato
dal padre, acciocchè egli solo assumesse il governo. Non caddero in
terra queste esortazioni. Fu preso con buona maniera il cieco e vecchio
Guaimario, e confinato nella chiesa di san Massimo, fondata da lui
stesso: con che il figliuolo da lì innanzi signoreggiò solo, e con
soddisfazione del popolo tutto. Però dai Salernitani il primo vien
chiamato _Guaimarius malae memoriae_, e il secondo _bonae memoriae_.
Abbiamo dalla Cronica arabica cantabrigense[1727] che Abul-abbas
generale dei Saraceni in Sicilia _cepit Panormum, et caedes magna fuit
die octavo mensis septembris_. Ma lascia di dir questo autore, se
Palermo fosse allora in mano di qualche ribello del re moro, oppur de'
cristiani greci, i quali nondimeno non ci resta vestigio che
ricuperassero quella città, da che fu per la prima volta loro tolta dai
Saraceni. In quest'anno ancora _Atenolfo_, principe di Benevento e
signore di Capoa, prese per suo collega nel principato[1728] _Landolfo_
suo figliuolo. Era in questi tempi conte del palazzo e conte di Milano
_Sigifredo_, siccome apparisce da un suo placito[1729] tenuto in Milano
nella corte del duca. Secondochè ho io dimostrato altrove[1730], nella
corte dei re longobardi la principal dignità dopo la regale veniva
considerata quella del conte del palazzo, appellato anche sacro palazzo,
perchè a lui in ultima istanza si riferivano tutte le cause del regno,
stendendosi perciò la di lui autorità anche nelle città delle marche del
Friuli, della Toscana e di Spoleti, ma non già al ducato di Benevento.
NOTE:
[1719] Sigonius, de Regno Ital., lib. 6.
[1720] Saxius, in Not. ad eumdem Sigonium.
[1721] Ughell., Ital. Sacr. lib. V, in Episc. Comens.
[1722] Antiquit. Italic., Dissert. XXI.
[1723] Fiorentini, Memor. di Matilde, Append.
[1724] Antiq. Ital., Dissert. XIX pag. 49.
[1725] Ughell., tom. 5, in Episcop. Comens.
[1726] Idem, ibidem, in Episcop. Vercellens.
[1727] Chronicon. Arab. P. I, tom. 2 Rer. Ital.
[1728] Chronicon Vulturnense, P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[1729] Antiq. Ital., Dissert. XII, pag. 717.
[1730] Ibidem. Dissertat. VII.


Anno di CRISTO DCCCCII. Indizione V.
BENEDETTO IV papa 3.
LODOVICO III imperadore 2.
BERENGARIO re d'Italia 15.

Da un diploma[1731] esistente nell'archivio de' canonici di Reggio
abbiamo che nel dì 12 di febbraio di quest'anno _Lodovico imperadore_
soggiornava in Pavia. Le note son queste: _Dat. II idus februarii, anno
Domini DCCCCII, Indictione V, anno primo imperante domno Hludovico in
Italia. Actum Papiae_. Di qui ancora apparisce che la coronazione romana
di questo imperadore dovette succedere dopo il dì 12 di febbraio
dell'anno precedente. Anche il Sigonio[1732] ne cita un altro d'esso
Lodovico, dato _IV idus maii, anno regni sui in Italia secundo, Christi
DCCCCII_, ma senza far menzione dell'anno dell'imperio. E nell'archivio
archiepiscopale di Lucca vi ha uno strumento scritto _IV kalendas junii,
anno II imperii Ludovici, Indictione V_. Non si può giugnere a conoscere
in quale degli anni, dappoichè Lodovico re di Provenza si impadronì del
regno d'Italia, riuscisse a lui di cacciar Berengario fuori non solo di
Verona, ma anche di tutta l'Italia. Crede il Sigonio che ciò avvenisse
nel precedente anno. Comunque sia, pare indubitata cosa che Berengario
ne fu cacciato; ed egli ritiratosi in Baviera presso il giovane
_Lodovico re_ di Germania, stette quivi ad aspettar qualche favorevole
vicenda del mondo, per riacquistare il perduto regno. Se vogliam
riposare sulla opinione del Sigonio, seguitata e fiancheggiata dal padre
Pagi, dal Leibnizio, dall'Eccardo e da altri, in questo medesimo anno
Berengario la ricuperò, e seguì la tragedia di Lodovico III imperadore
suddetto, descritta dal poeta panegirista di Berengario[1733], da
Liutprando[1734], Reginone[1735] ed altri antichi storici. Racconta
Liutprando, che dopo aver Lodovico conquistata l'Italia, e visitate
varie sue Provincie, gli venne voglia di vedere anche la Toscana. A
questo fine da Pavia passò a Lucca, dove con impareggiabil magnificenza
fu accolto da _Adalberto II_ duca e marchese di quella provincia. Restò
ammirato esso imperadore al trovar quivi tante truppe, tutte ben in
ordine, e nella corte d'esso Adalberto una sì gran suntuosità e
proprietà, e le immense spese fatte da quel ricchissimo principe per
onorarlo. Gli scappò pertanto detto in confidenza ai suoi domestici:
_Questo Adalberto s'avrebbe da chiamare piuttosto re che marchese,
perchè in nulla è da meno di me, fuorchè nel nome_. Riportato questo
motto al duca Adalberto e a _Berta_ sua moglie, donna accortissima,
trovarono essi sotto queste parole nascoso il tarlo d'invidia; e però
Berta da lì innanzi alienò da Lodovico l'animo del marito e degli altri
principi d'Italia. Passò dalla Toscana a Verona l'imperador Lodovico, e
quivi si mise a dimorar con tutta pace, avendo probabilmente licenziata
parte dei suoi soldati, o messili a quartiere per la campagna. Scrive il
panegirista di Berengario, aver esso Lodovico sottomessa Verona colle
città circonvicine, perchè Berengario malconcio per una molesta quartana
non potè fargli resistenza. E che andato Lodovico a quella città,
ricompensò i suoi soldati con donar loro una gran quantità di poderi,
togliendoli forse ai cittadini. Senza timore dipoi quivi se ne stava,
perchè era venuta nuova, forse apposta fatta disseminare dallo stesso
Berengario, che l'emulo Berengario era sloggiato dal mondo.
_Nil veritus: metuenda nimis quia sustulit ipsum_
_Fama Berengarium lethi discrimina passum._
Ma non era morto nè dormiva Berengario. Ben informato egli dello stato
delle cose da que' cittadini che tenevano per lui, e specialmente da
_Adelardo_ vescovo della città, che l'esortò a venire, per testimonianza
di Reginone: prima ben concertato l'affare, una notte giunto con grossa
brigata d'armati alle mura di Verona, vi fu introdotto, e sul far del
giorno diede all'armi. Lodovico se ne fuggì in una chiesa. Scoperto e
preso, fu presentato a Berengario, che forte il rimproverò per la
mancata fede, e per aver rotto il giuramento di non ritornare in Italia;
e, ciò non ostante, dopo avergli fatto cavar gli occhi, perdonò la vita
allo spergiuro avversario, e lasciollo anche ritornar liberamente in
Provenza. Nel panegirico di Berengario probabilmente l'adulazione fece
dire a quel poeta, che contro la volontà di Berengario i suoi partigiani
tolsero la vista a Lodovico. Giovanni Bracacurta, che forse avea per
tradimento ceduta Verona a Lodovico, colto in una torre, restò tagliato
a pezzi. I soldati provenzali, all'avviso di questa disavventura, tutti
se n'andarono chi qua chi là dispersi, e Adalberto marchese d'Ivrea,
genero di Berengario, diede loro addosso nel voler passare l'Alpi.
Dopo questo fortunato colpo non fu difficile al re Berengario di
ricuperare il regno d'Italia, al quale si può ben senza fatica credere
che l'orbo Lodovico imperadore fu obbligato di rinunziare, se volle la
libertà di ritornarsene oltramonti. Che poi nell'anno presente avvenisse
colla caduta del nemico principe il risorgimento del re Berengario,
sembra che non s'abbia a dubitarne. Nell'archivio del capitolo di Modena
tuttavia si conserva un diploma originale d'esso Berengario, già
pubblicato dal Sillingardi, e poi dall'Ughelli[1736], dato _interventu
Hegilulfi episcopi a Gotifredo_ vescovo di Modena, _VII Idus Augusti
anno Incarnationis Domini nostri Jesu Christi DCCCCII, anno vero regni
domni Berengarii gloriosissimi regis decimo quinto per Indictionem V.
Actum civitate Papiae_. Ho io inoltre pubblicato[1737] un altro suo
diploma, dato in favore di Pietro vescovo di Reggio, _XVI kalendas
augusti, anno dominicae Incarnationis DCCCCII, regni vero domni
Berengarii piissimi regis XV, Indictione V. Actum palatio ticinensi,
quod est caput regni nostri_. Sicchè dee mettersi per cosa certa che
riuscì nel mese di luglio al re Berengario di ricuperare il regno, e di
far mutar paese all'Augusto Lodovico. Vedremo, andando innanzi, altre
pruove concorrenti a persuaderci la sussistenza di questa opinione, e
che si vede autenticata ancora da Leone Ostiense là dove scrive[1738]:
_Ludovicus Bosonis regis provinciae filius regnavit annis tribus:_ cioè
preso il principio del suo regno dalla elezione, siccome dicemmo,
seguita in Pavia l'anno 900. Contuttociò insorgono tali difficoltà, non
già intorno alla depression di Lodovico, ma sì bene intorno
all'acciecamento suo, che, secondo me, convien credere molto più tardi
balzato affatto dal trono d'Italia, e insieme privato degli occhi esso
Lodovico. Queste le ho già esposte altrove[1739], e le addurrò anche nel
progresso di questi racconti. Altro, per quanto a me sembra, non accadde
in quest'anno, se non che prevalse la fortuna di Berengario, aiutato da
_Adalberto duca_ di Toscana: laonde l'_Augusto Lodovico_ fu obbligato a
ritirarsi in Provenza con giuramento di più non tornare in Italia.
Abbiamo poi da Lupo Protospata[1740], che nell'anno presente Ibrahim re
de' Saraceni africani venne a Cosenza nella Calabria, e vi morì colpito
da un fulmine. Altra Cronica arabica[1741] mette la sua morte per
disenteria nell'anno presente, o pur nel seguente, e la dice succeduta
in Sicilia.
NOTE:
[1731] Antiquit. Ital., Dissert. XXI.
[1732] Sigonius, de Regno Ital., lib. 6.
[1733] Anonymus, in Paneg. Berengarii, lib. 4.
[1734] Liutprandus, Hist., lib. 2, cap. 11.
[1735] Rhegino, in Chronico.
[1736] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2 in Episcop. Mutinens.
[1737] Antiquit. Ital., Dissertat. XIV.
[1738] Leo Ostiensis, Chronic., lib. 1, cap. 44.
[1739] Antiquit. Italic., Dissert. XIV.
[1740] Protospata, in Chronico., tom. 5, Rer. Ital.
[1741] Chronicon Arabic. Ismaelis Abulfeda.


Anno di CRISTO DCCCCIII. Indizione VI.
LEONE V papa 1.
CRISTOFORO papa 1.
LODOVICO III imperadore 3.
BERENGARIO re d'Italia 16.

Seguì nell'anno presente la fondazione del monistero di S. Savino, fatta
in Piacenza da _Everardo vescovo_ di quella città. Dice questo vescovo
nello strumento[1742] che la chiesa di questo santo era dianzi fuori di
Piacenza, e ch'egli pensava di quivi fabbricare un monistero di
Benedettini: _Haec itaque vota dum ferventi amore cuperemus explere (heu
proh dolor!) supervenit misera horridaque gens infelicium paganorum, qui
hostili gladio corpora trucidantes, igneque furoris ecclesias Dei
cremantes, concremaverunt pariter praefatam beati Savini ecclesiam_.
Aggiugne, cioè che per timore che i pagani suddetti, gli Ungheri, non
tornassero un'altra volta ad infierire contra di quel sacro luogo, avea
fabbricata entro la città la chiesa e il monistero di S. Savino: notizie
tutte che ci fan conoscere seguita la prima funestissima irruzione degli
Ungheri in Italia nell'anno 899, o nel 900. Lo strumento è scritto
_Regnante domno Berengario gratia Dei rege anno regni ejus in Dei nomine
sextodecimo, III kalendas aprilis., Indict. VI. Actum Placentiae._ Per
conseguente vegniamo ad intendere che il re Berengario nel fine di marzo
dell'anno presente signoreggiava in Piacenza, ed era già stato da lui
abbattuto e cacciato fuor d'Italia Lodovico III imperadore. Anche il
Fiorentini[1743] e Cosimo della Rena[1744] osservarono che nell'anno 903
e 904 sono segnati gli strumenti di Lucca coll'anno XVI e XVII del re
Berengario; e però veggiamo confermata la medesima verità. Abbiamo
inoltre due privilegii conceduti dallo stesso re Berengario all'insigne
monistero di Bobbio, e già dati alla luce dall'Ughelli[1745]. Il primo
fu scritto _III idus septembris anno dominicae Incarnationis DCCCCIII,
regni vero domni Berengarii piissimi regis XVI, Indictione VII, Actum
apud ecclesiam sancti Petri corte nostra Fulcia_. L'altro fu dato _XII
kalendas novembris anno dominicae Incarnationis DCCCCIII, regni domni
Berengarii XVI. Actum in Papia civitate palatio ticinensi_. Però non
pare che resti dubbio intorno all'essere stato in questi tempi signore
di Pavia e del regno d'Italia il re Berengario ad esclusione di
_Lodovico III imperadore_, soprannominato dai susseguenti scrittori
l'_Orbo_, per distinguerlo dagli altri Augusti di questo nome.
Finalmente ho io pubblicato un bellissimo placito[1746] tenuto in
Piacenza _anno regni domni Berengarii regis, Deo propitio, XV, mense
januario, Indictione sexta_, da Sigefredo conte del sacro palazzo. Che
quivi allora si trovasse anche il re Berengario, si ricava dal principio
del placito: _Dum in Dei nomine civitate Placentia ad monasterium
sanctae Resurrectionis Jesu Christi domnus gloriossimus Berengarius rex
praeerat_. Da questo documento ancora apprendiamo che _Ermengarda_
figliuola di _Lodovico II imperadore_ e della _regina Angelberga_, e
madre di Lodovico re di Provenza ed imperadore vivente, s'era fatta
monaca in san Sisto di Piacenza, ed era allora badessa di quel
monistero.
Venne a morte nell'anno presente _Benedetto IV_ papa. Se non fosse
Frodoardo che ci ha lasciato qualche memoria de' romani pontefici di
questo disgraziato secolo, noi non sapremmo le rare doti e virtù di un
tale papa. Merita d'essere riferito ancor qui l'elogio ch'egli ne fa con
dire[1747]:
_Tum sacra consurgunt Benedicti regmina quarti_
_Pontificis magni, merito qui nomine tali_
_Enituit, cunctis ut dapsilis atque benignus._
_Huic generis necnon pietatis splendor opimus_
_Ornat opus cunctum. Meditatur jussa Tonantis._
_Praetulit hic generale bonum lucro speciali._
_Despectas viduas, inopes vacuosque patronis,_
_Assidua ut natos propria bonitate fovebat,_
_Mercatusque polum, indignis sua cuncta refudit._
Gli succedette nella cattedra di san Pietro _Leone V_, ma non durò
neppur due mesi il suo pontificato. Secondochè s'ha da Vicenzo
Belluacense, da Martino Polacco, da Tolomeo da Lucca, dal Platina e da
altri, _Crisoforo_ suo prete o cappellano il cacciò in prigione, ed
occupò egli la sedia apostolica. Fa il cardinal Baronio[1748] un giusto
lamento sopra l'infelice ed obbrobrioso secolo, di cui ora andiamo
parlando, con attribuire specialmente la sorgente di tanti disordini e
mostri, che si videro sul trono di Pietro, alla prepotenza de' principi
secolari, che vollero mischiarsi nell'elezione de' romani pontefici,
concludendo in fine: _Nihil penitus Ecclesiae romanae contingere posse
funestius, tetrius nihil atque lugubrius, quam si principes saeculares
in romanorum pontificum electionem munus immittant_. L'osservazione del
saggio e zelante porporato è bella e buona, e noi dobbiam desiderar che
sempre duri la libertà ben regolata e da tanti secoli introdotta nel
sacro collegio de' cardinali di eleggere il romano pontefice. Ma qui è
fuor di sito l'epifonema dello zelante Annalista; perchè i malanni della
sedia apostolica in questi tempi vennero dai Romani stessi, e non dai
principi secolari. Per lo contrario in que' secoli, ne' quali il clero e
il senato, i militi, cioè i nobili, e il popolo romano aveano tutti mano
nell'elezione del sommo pontefice, nascevano bene spesso contese e
scismi, non fu già creduto un abbominevol ripiego che i buoni imperadori
adoperassero il loro consenso per frenare in questa guisa le gare, le
fazioni e le prepotenze degli elettori. Abbiam veduto che il buon papa
Giovanni IX conobbe _canonico_ e necessario questo freno. Abbiamo anche
veduto tanti buoni ed ottimi papi eletti in addietro; nè si può dire che
nuocesse alla santa Sede l'esservi intervenuto il consentimento degli
Augusti. Anzi allorchè non vi furono imperadori o non ebbero essi alcuna
parte nell'elezion de' nuovi pontefici, e Roma si trovò piena di mali
umori, allora succederono i disordini più grandi, come si può conoscere
consultando la storia della Chiesa. Lodiamo dunque i principi buoni e i
tempi presenti, e biasimiamo i principi cattivi di tutti i tempi; e
rendiamo grazie a Dio che da tanti anni in qua camminano di sì buon
concerto le elezioni de' romani pontefici, e questi buoni, e questi di
edificazione, e non più di scandolo al popolo di Dio, senza che vi sia
bisogno di freno ai disordini per mezzo della potenza secolare. Se Roma
avesse allora avuto in Italia un imperadore, non sarebbe succeduta la
deforme scena di Cristoforo, che illegittimamente si assise sulla
cattedra pontificia, piuttosto tiranno che vero pontefice. Riferisce il
Dachery[1749] una bolla di questo _papa Cristoforo_, scritta nel fine
dell'anno presente in favore della badia di Corbeia, _Indictione VII,
septimo kalendas januarii, imperante domno nostro piissimo Augusto
Lodovico a Deo coronato imperatore sanctissimo_. Si osservi questo
nominar tuttavia imperadore Lodovico III, il quale pur vien creduto,
siccome abbiam detto, che accecato fosse spinto fuori d'Italia.
NOTE:
[1742] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1, Append.
[1743] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
[1744] Rena, Serie de' duchi di Toscana.
[1745] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4 in Episcop. Bobiens.
[1746] Antiq. Ital., Dissert. VII.
[1747] Frodoardus, de Roman. Pont., P. II, tom. 2, Rer. Ital.
[1748] Baron., in Annal. Eccl. ad annum 900.
[1749] Dachery, Spicileg., tom. 6.


Anno di CRISTO DCCCCIV. Indizione VII.
SERGIO III papa 1.
LODOVICO III imperadore 4.
BERENGARIO re d'Italia 17.

Da un privilegio conceduto al monistero di San Vittore di Marsiglia, e
pubblicato dai padri Martene[1750] e Durand, noi impariamo che _Lodovico
imperadore_ soggiornava in Arles in Provenza nel dì 21 di marzo
dell'anno presente, essendo dato quel diploma _XI kalendas maii, anno
Domini DCCCCIV, Indictione septima, anno quarto, imperante domno nostro
Illudovico. Actum Arelate_. All'incontro noi troviamo in Verona il _re
Berengario_ nel dì 4 d'aprile di questo medesimo anno, ciò costando da
un suo diploma originale da me veduto nell'insigne monistero di san
Zenone di quella città, e pubblicato con queste note[1751]: _Data pridie
nonas aprilis, anno dominicae Incarnationis DCCCCIV, regni vero domni
Berengarii piissimi regis XVII, Indictione VII. Actum Veronae_. Ne
abbiamo un altro già dato alla luce dal Sillingardi e poi
dall'Ughelli[1752], cioè un privilegio conceduto a _Gotifredo vescovo_
di Modena, dato _VIII kalendas julias, anno Incarnationis Domini
DCCCCIV, anno vero domni Berengarii serenissimi regis XVII. Actum urbe
ticinensi_. Così sta nel suo originale. Un altro ancora spedito _XVIII
kalendas julii_ di quest'anno, _Actum villa Itazani_, si legge
nell'archivio de' canonici di Modena. Perciò possiam conietturare che la
pace per quest'anno continuasse in Italia, nè fosse turbato il re
Berengario nel possesso dell'italico regno. Egregiamente già ha provato
il padre Pagi[1753] che nel presente anno fu cacciato dal trono
pontificio l'usurpato re _Cristoforo_, e in suo luogo eletto e
consecrato _Sergio_ prete, cioè quel medesimo che dianzi nell'anno 898
vedemmo eletto papa in concorrenza di papa _Giovanni IX_. Ebbe più polso
in esso anno 898 la fazione opposta; laonde egli senza poter giugnere
alla consecrazione, fu necessitato a mutar cielo e a fuggirsene in
Toscana, dove stette nascoso per sette anni. Bisogna qui ascoltar
Frodoardo, scrittore di questi tempi[1754], che ne parla nella seguente
maniera:
_Sergius inde redit, dudum. qui lectus ad arcem_
_Culminis, exsilio tulerat rapiente repulsam._
_Quo profugus latuit septem volventibus annis._
_Hinc populi remeans precibus, sacratur honore_
_Pridem adsignato. quo nomine tertius exit_
_Antistes, Petri eximia quo sede recepto_
_Praesule, gaudet ovans annis septem amplius orbis._
Sicchè non è vero ciò che scrisse Liutprando istorico dell'elezion di
_Sergio_ nell'anno 891, nè che a lui prevalesse quella occasione papa
Formoso. Ciò avvenne, come ho detto, solamente all'anno 898; e però
convien ripetere che Liutprando, a cui per altro siam tanto obbligati
per la storia d'Italia di questo secolo, non può negarsi che non l'abbia
molto imbrogliata ne' fatti accaduti, prima ch'egli nascesse, perchè li
scrisse solamente per altrui relazione. L'han seguitato alla cieca i
susseguenti storici, perchè negli affari d'Italia non aveano di meglio
da poter consultare. Si scatena qui contra _Sergio_ il cardinal
Baronio[1755] con parlarne all'anno 908, sino al quale egli differisce
l'ingresso del medesimo Sergio nel papato, con dargli i titoli di
_nefandus, quem audisti in Formosum papam ita saevisse. Potens iste
armis Marchionis Tusciae Adalberti, homo vitiorum omnium servus
facinorosissimus omnium, quae intentata reliquit? Invasit iste sedem
Christophori. Ab omnibus non legitimus pontifex, sed conclamatur
invasor_. Se il porporato Annalista avesse potuto vedere a' suoi di ciò
che di Sergio scrive Frodoardo, oltre ad altre memorie venute dopo di
lui alla luce, avrebbe insegnato alla sua penna maggior moderazione
contra di questo pontefice. Certo non fu egli esente da' vizii, ma non
giunse mai agli eccessi che qui gli vengono attribuiti. Fidossi qui
troppo il cardinale di Sigeberto, come anche prima avea fatto il
Platina. Ma Sigeberto forte s'ingannò con addossare a _Sergio_
l'iniquissimo procedere di papa _Stefano VI_ contra del cadavero e delle
ordinazioni di papa Formoso. Nè sussiste che Sergio colla potenza
dell'armi di Adalberto duca di Toscana usurpasse la sedia pontificia. Fu
egli richiamato a Roma _precibus populi romani_, e affin di deporre
_Cristoforo_, cioè un ingiusto occupatore del pontificato. Certo è
finalmente che _Sergio_ fu riguardato da tutta la Chiesa di Dio come
vero e legittimo pontefice, e non già come usurpatore della sedia di s.
Pietro. Vedremo a suo luogo l'epitaffio di questo papa che va d'accordo
coll'asserzione di Frodoardo. Per testimonianza dell'Ostiense[1756], il
deposto _Cristoforo_ si fece monaco, ed ebbe tempo da far penitenza dei
falli della sua ambizione. Secondo i conti di Camillo Pellegrino e del
padre Mabillone[1757], il nobilissimo monistero di Monte Casino, circa
ventidue anni prima smantellato dai Saraceni, in quest'anno per cura di
_Leone abbate_ si cominciò a rifabbricare, affinchè vi tornassero ad
abitare i monaci, i quali dopo la rovina di quel sacro luogo aveano
eletto il loro soggiorno in Teano. Potrebbesi credere che sul fine di
quest'anno ritornasse in Italia con grandi forze l'imperador _Lodovico
III_, quando fosse stato esattamente copiato dal Campi il decreto
dell'elezione di _Guido vescovo_ di Piacenza[1758], fatta dopo la morte
di _Everardo_, con queste note: _Anno ab Incarnatione Domini nostri Jesu
Christi DCCCCIV, Indictione VIII, imperante domno Hludovico serenissimo
imperatore anno quinto_. Ma di ciò parleremo all'anno seguente, siccome
ancora di _Guido_ parlerà la storia andando innanzi. Basti per ora
osservare che essendo qui nominato _Lodovico Augusto_, si comprende
ch'egli, e non già il re Berengario, signoreggiava allora in Piacenza.
Ciò servirà di lume per quello che verremo dicendo all'anno seguente.
NOTE:
[1750] Martene, Veter. Scriptur., tom. I.
[1751] Antiquit. Ital., Dissert. XIV.
[1752] Ughell., Ital. Sacr., tom. 2, in Episcop. Mutinens.
[1753] Pagius, in Critic. ad Annal. Baron.
[1754] Frodoardus, de Roman. Pontificib., P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[1755] Baron., Annal. Eccl., ad ann. 908.
[1756] Leo Ostiensis, lib. 1, cap. 50.
[1757] Mabillon., in Annal. Benedictin. lib. 41, num. 25.
[1758] Campi, Istor. di Piacenza tom. 1, Append.


Anno di CRISTO DCCCCV. Indizione VIII.
SERGIO III papa 2.
LODOVICO III imperadore 5.
BERENGARIO re d'Italia 18.

Sul fine dell'anno precedente, siccome ho detto, dovette succedere la
seconda venuta in Italia di _Lodovico III_ Augusto, non già orbo, ma
tuttavia guernito d'un paio d'occhi sani e veggenti. E in quest'anno poi
crebbe la sua felicità, ma che andò a terminare in una grave miseria,
con essere avvenuto tutto quel che abbiamo narrato di sopra all'anno
902. Era dalla sua _Adalberto II_ duca di Toscana; avea questi tratto
nel suo partito varii altri principi d'Italia; in guisa che essendo
venuto Lodovico con grandi forze, e mancando al re Berengario quelle dei
principi suoi vassalli, fu astretto a dar luogo a questa prepotente
tempesta, con perdere non solo Pavia e Milano, ma anche Verona, e con
doversi ritirare in esilio fuori d'Italia. Si trovava egli[1759] _VII
kalendas junii anno dominicae Incarnationis DCCCCV. domni vero
Berengarii invictissimi regis XVIII Indictione VIII, in valle Pruviniano
juxta plebem sancti Floriani_. Dove sia questa valle, altri più pratico
di me lo dirà. S'aggiunse, secondo il panegirista di Berengario[1760],
che un'indiscreta quartana rendè esso Berengario inabile alla difesa e
ad accudire al bisogno sì pressante de' proprii affari. Dacchè egli si
fu messo in salvo, Lodovico si portò a Verona, dove prestando fede, alla
voce o accidentalmente corsa o maliziosamente sparsa, che Berengario
fosse morto, se ne stava senza buone guardie e senza sospetto, quasi che
fosse oramai terminata ogni disputa del regno. Questa sua trascuratezza
animò Berengario e la sua fazione ad entrare furtivamente di notte in
Verona, dove colto lo sconsigliato Lodovico, gli fece dipoi buon mercato
con solamente privarlo degli occhi. Che in quest'anno, e non già
nell'anno 902, accadesse la di lui venuta e rovina, ecco le ragioni che
ce lo han da persuadere, da me dedotte prima d'ora nelle Antichità
italiche[1761]. Siccome poco fa avvertii, abbiamo presso il Campi la
carta dell'elezion di _Guido_ vescovo di Piacenza, fatta da quel clero e
popolo, e scritta[1762] _anno ab Incarnatione Domini nostri Jesu Christi
DCCCCIIII, Indictione octava imperante domno Hludovico serenissimo
imperatore anno V_. Probabilmente il Campi non ha con assai attenzione
copiata quella carta, e in vece dell'anno presente _DCCCCV_, ha letto