Annali d'Italia, vol. 3 - 62

[1634] Eccardus, Rer. German., lib. 32.
[1635] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 5.


Anno di CRISTO DCCCXCV. Indizione XIII.
FORMOSO papa 5.
LAMBERTO imperadore 4 e 2.
BERENGARIO re d'Italia 8.

Dappoichè fu partito d'Italia il re _Arnolfo_, noi non possiam giugnere
a sapere se Milano, Pavia e il resto della Lombardia seguitassero almen
per qualche tempo a star sotto il governo degli uffiziali da lui
lasciati qui, o se tornassero sotto il dominio di _Lamberto_ imperadore.
Chi vuol qui prestar fede a Liutprando storico[1636], crederà tosto che
Berengario, appena intesa la morte dell'Augusto Guido, passasse a Pavia,
e s'impadronisse non men di quella che del resto del regno. Soggiugne
esso storico: _Sed quia semper Italienses geminis uti dominis volunt,
quatenus alterum alterius terrore coerceant, Widonis regis defuncti
filium, nomine Lantbertum, elegantem juvenem, adhuc ephoebum, minusque
bellicosum, regem constituunt_. Poscia aggiugne, che, non osando
Berengario di stare a fronte di Lamberto, il quale s'era incamminato con
una grossa armata verso di Pavia, si ritirò a Verona, cedendo al più
forte. Ma Liutprando ha la disgrazia d'essere stato un cattivo storico
per conto degli affari non succeduti al suo tempo. Son chiari gli
abbagli da lui presi in differir troppo la morte di Guido, in supporre
che Lamberto solamente fosse dichiarato re, dappoichè mancò di vita suo
padre, quando egli tanto prima era anche imperadore. Tralascio altri
suoi falli: motivi tutti di non riposar sulla fede di lui per conto di
questi avvenimenti, qualora non si veggano confermati da altri
scrittori. Abbiamo nondimeno assai lume da un documento, riferito dal
Campi[1637], per intendere che Lamberto potè ricuperar, se non tutto,
almen parte degli stati paterni nell'anno presente. Questo è un diploma
d'esso imperadore, _dato in Parma mense februario, Indictione XIII, anno
vero imperii domni Lamberti serenissimi caesaris et imperatoris augusti
quarto in Italia_. Niuna menzione facendosi qui di _Guido_ suo padre,
ancor questo cel dà a conoscere mancato di vita. Di qui ancora si può
raccogliere che nel mese di febbraio dell'anno 892 Lamberto numerava il
primo anno del suo imperio. E s'egli era in Parma nel mese di febbraio
dell'anno presente, segno è o che questa città si tenne forte per lui
nella calata del re Arnolfo, il quale non arrivò che a Piacenza; ovvero
ch'egli l'avea ricuperata dopo la di lui ritirata in Germania. E qui si
vuol mentovare un altro suo diploma, già pubblicato da me[1638] con
queste note: _Anno Incarnationis Domini DCCCXCV. Domni quoque Lantberti
piissimi imperatoris quincto, VIII idus decembris, Indictione XIII.
Actum Regiae civitatis_, cioè nella città di Reggio, per quanto io vo
credendo. Pare che qui sia adoperata l'era pisana, e che questo anno
_DCCCXCV_ abbia, secondo noi, da essere l'anno 894, e massimamente se
l'_indizione XIII_ vien presa dal settembre. Certamente, siccome
vedremo, non sembra verisimile che nel dicembre di quest'anno esso
Augusto Lamberto soggiornasse in Reggio di Lombardia. Quel solo che a
tal supposto si oppone, è quell'_anno V dell'imperio_, perciocchè
possiam tenere per fermo che nel dì 6 di decembre dell'anno 894 correva
solamente l'_anno IV_ del suo imperio. Forse così sarà scritto
nell'originale, il Sigonio[1639] fa menzione di questo diploma all'anno
896. Che esemplare egli abbia veduto, nol so. E ben sarebbe da
desiderare che chi prende a trattar tali materie, arrivato a questi
dubbi ed ostacoli, potesse aver sotto agli occhi gli originali stessi,
per poter giudicare se portino seco tutti i contrassegni della loro
autenticità. Per quel che riguarda il re Berengario, abbiamo presso
l'Ughelli[1640] un suo diploma, dato sul principio di maggio in
_Verona_, dove si parla del _circo_ pubblico di quella città, una cui
parte per la vecchiezza era caduta. Le note del documento son queste:
_IV nonas maii anno ab Incarnatione dominica DCCCXCV, anno vero regni
Berengarii serenissimi regis IX. Indictione XIII_.
Non cessava intanto _Folco arcivescovo_ di Rems, per attestato di
Frodoardo[1641], di impegnar _papa Formoso_ in favore di _Lamberto
imperadore_, che rimasto in età giovanile dopo la morte del padre, poco
atto al governo de' popoli, abbisognava di assistenza da tutti i lati.
Gli rispondeva il pontefice, _de ipso Lamberto, patris se curam habere,
filiique carissimi loco eum diligere, atque inviolabilem cum eo
concordiam se velle servare_. In un'altra lettera Formoso si rallegra
col suddetto arcivescovo della di lui premura per gli vantaggi di
Lamberto imperadore, _asserens, se eum ipso tantam pacis et dilectionis
habere concordiam, ut nequeant aliqua jam ab invicem pravitate sejungi_.
Ma per disgrazia gran tempo è che bene spesso la lingua degli uomini non
va d'accordo col cuore; e qui si può appunto dubitare che Formoso nella
segreteria adoperasse un linguaggio differente dai desiderii
dell'interno suo gabinetto. Ciò dico io, perchè gli Annali del
Freero[1642] ci fan sapere in quest'anno che _Arnolfo re_ di Germania fu
di bel nuovo invitato da papa Formoso a ritornare in Italia, con
promessa, per quanto si può credere, di crearlo imperadore ad esclusione
di Lamberto. _Iterum rex_ (così quello storico) _a Formoso apostolico
per epistolas et missos enixe Romam venire invitatus est._ Arnolfo, dopo
avere ascoltato il parere de' suoi vescovi, determinò questa seconda
spedizione, e nel mese di settembre mosse l'esercito alla volta
dell'Italia. Passato ch'egli ebbe il Po, divise l'armata in due corpi,
l'uno de' quali inviò per la via di Bologna verso Firenze, coll'altro
marciò egli per la via di Pontremoli fino alla città di Luni, la quale,
se non è scorretto questo testo, non dovea per anche essere stata
smantellata; e quivi solennizzò il santo Natale. Ma, siccome vedremo,
non in Luni, ma bensì in Lucca ciò dovette avvenire. Probabilmente papa
Formoso non si credeva assai sicuro, dacchè il suo emulo Sergio
ricoveratosi in Toscana, molto s'era intrinsicato con _Adalberto II_,
potentissimo duca e marchese di quella provincia, e la fazione di Sergio
era tuttavia possente in Roma. Liutprando scrive[1643] che _hoc in
tempore Formosus papa religiosissimus a Romanis vehementer
afflictabatur_. Suppone egli ciò fatto, dappoichè, siccome vedremo, il
re Arnolfo fu a Roma, colà chiamato dal papa; ma non è inverisimile che
questa persecuzione cominciasse molto prima. Se un diploma di Arnolfo,
da me accennato all'anno precedente, è legittimo, e niuna scorrezione
v'ha, questo principe nel dì primo di decembre era in Pavia. Ma qui è da
ascoltare Ermanno Contratto[1644], che così scrive di Arnolfo all'anno
presente: _Per epistolas a Formoso papa rogatus, Italiam petiit;
Berengariumque perterritum, ad deditionem venientem, regnumque pervasum
Italiae reddentem, suscepit; et Waltfredo, Maginfredoque comitibus
Italiam cis Padum distribuit, et omnia vastando, divisisque ad superum
et inferum mare copiis, transiens ipse natalem domni Lucae celebravit._
Adunque Arnolfo solennizzò il santo Natale non in Luni, ma bensì in
Lucca, dove il marchese Adalberto II dovette accoglierlo. E di qui
chiaramente apparisce che Berengario fu abbattuto da Arnolfo, il quale
affatto lo spogliò di stati, perchè diede il ducato del Friuli a
_Gualfredo_, e quello di Milano a _Maginfredo_. Finalmente è da
avvertire che nel dì 4 di maggio l'imperador Lamberto si truova in
possesso di _Pavia_, ciò apparendo da un suo diploma indubitato, da me
ivi dato alla luce[1645], in cui fa una donazione all'_imperadrice
Ageltruda_ sua madre: atto bastante a far conoscere suggetto a molti
dubbii il diploma suddetto spettante al primo dì di dicembre dell'anno
precedente, dove Arnolfo comparisce padron di Pavia.
NOTE:
[1636] Liutprandus, Hist., lib. 1, cap. 10.
[1637] Campi, Istor. di Piacenza, tom. 1, Append.
[1638] Antiquit. Ital., Dissert. VIII.
[1639] Sigonius, de Regno Ital., lib. 6.
[1640] Ughell., Ital. Sacr., tom. 5. in Episcop. Veronens.
[1641] Frodoardus, Hist. Remens., lib. 4, cap. 3.
[1642] Annales Fuldenses Freheri.
[1643] Liutprandus, Hist., lib. 1, cap. 8.
[1644] Hermann. Contract. in Chron. edition. Canisii.
[1645] Antiquit. Itali. Dissert. XLI, pag. 739.


Anno di CRISTO DCCCXCVI. Indiz. XIV.
BONIFAZIO VI papa 1.
STEFANO VI papa 1.
LAMBERTO imperadore 5 e 3.
ARNOLFO imperadore 1.
BERENGARIO re d'Italia 9.

Mentre il _re Arnolfo_ col suo esercito svernava in Toscana, abbiamo
dagli Annali di Fulda presso il Freero[1646] che si sparse voce,
_Berengarium nepotem ejus_ (cioè Berengario piuttosto zio che nipote
suo) _a fidelitate sua defecisse, et in Italiam jam per hoc reversum
esse. Adalpertum videlicet marchionem Tusciae mutuis colloquiis
Berengarii, ne aliquo modo ad regis fidelitatem intenderet_. Manca qui
qualche parola: tuttavia si comprende avere Arnolfo avuto sentore _che
Adalberto II_, duca e marchese di Toscana, e il _re Berengario_
maneggiassero sott'acqua una ribellione contra di lui: il che conturbò
non poco l'esercito suo e lui. Nè era senza fondamento tal fama. Il
vedere che Arnolfo due volte era calato in Italia, non per aiutare, come
si credeva, alcuni de' principi in essa dominanti, ma per soggiogarli
tutti, non potea piacere neppure ai principi contendenti fra loro. Dalle
parole ancora suddette potrebbe nascere dubbio che l'ambizioso e barbaro
Arnolfo sotto qualche pretesto avesse confinato in Germania il re
Berengario; e ch'egli, come se la vide bella, se ne tornò in Italia, con
darsi poi a strignere lega col duca di Toscana, mal soddisfatto
anch'esso del procedere d'Arnolfo. Ma nel Bullario casinense v'ha un suo
diploma, dato _V nonas martii, anno dominicae Incarnationis DCCCXCVI,
domni vero Berengarii regis IX. Actum Veronae._ Questo ci fa vedere o
ch'egli non era partito da Verona, o v'era ritornato, ed esercitava
l'autorità regale. In questa ambiguità di pensieri prese Arnolfo la
risoluzion di passare a Roma, per prendervi la corona dell'imperio,
figurandosi che fatto questo passo, gli sarebbe più agevole il dissipar
chiunque si scoprisse contrario ai suoi voleri. Per istrade cattive, e
con gran perdita di cavalli arrivò colà. Ma in Roma ancora trovò quello
che non si aspettava. _Ageltruda_ vedova del defunto imperador Guido,
donna di viril coraggio, per sostenere i diritti dell'Augusto _Lamberto_
suo figliuolo, avea prevenuto l'arrivo di esso Arnolfo, e con un buon
nerbo di gente entrata in Roma, s'era accinta alla difesa non men di
quella gran città che della città Leonina. Parve irrisoluto Arnolfo alla
vista di questo inaspettato ostacolo; ma veggendo irritate le sue
squadre da qualche villania lor detta dai Romani che guardavano le mura,
e tutte avide di combattimento, diede l'ordine per un generale assalto.
Liutprando narra un avvenimento[1647] che ha tutta la ciera d'una
favola: cioè che scappando una lepre verso la città, accompagnata dalle
grida grandi dell'esercito d'Arnolfo, cadde il cuore per terra ai
difensori di Roma: del che accortisi i soldati di Arnolfo, diedero
l'assalto alla città Leonina, e la presero. Per questo anche i Romani
capitolarono la resa di Roma. Certo è che Roma venne per forza alle mani
d'Arnolfo, e che _papa Formoso_, perseguitato, e forse imprigionato
dalla fazione di _Sergio_, unita coll'Augusta Ageltruda, fu rimesso in
libertà. Concertata dipoi la coronazione imperiale, tutto il senato
romano colla scuola dei Greci e colle bandiere e croci andò a ricevere
Arnolfo a Ponte Molle, e fra gl'inni e cantici sacri il condusse alla
basilica vaticana, nelle cui scalinate si trovò papa Formoso, che con
amore paterno l'accolse, ed introdottolo nel sacro tempio, quivi il creò
ed unse imperadore Augusto, con porgli in capo l'imperial corona. Da lì
a pochi dì Arnolfo, dopo aver dati molti ordini pel governo della città
e per la sicurezza del pontefice, fece raunare in san Paolo il popolo
romano, e da essi ricevette il giuramento di fedeltà secondo il rito
antico. Tale fu quel giuramento: _Juro per haec omnia Dei mysteria, quod
salvo honore et lege mea, atque fidelitate domni Formosi papae, fidelis
sum et ero omnibus diebus vitae meae Arnolfo imperatori, et numquam me
ad illius infidelitatem cum aliquo homine sociabo. Et Lamperto filio
Agildrudae_ (adunque era mancato di vita Guido Augusto suo padre, nè si
trovò in questo sconvolgimento di cose, come vuole il panegirista di
Berengario e Liutprando) _et ipsi matri suae ad secularem honorem
numquam adjutorium praebebo. Et hanc civitatem Romam ipsi Lamberto et
matri ejus Agildrudae, et eorum hominibus per aliquod ingenium, aut
argumentum non tradam._ S'era Ageltruda, per attestato di
Reginone[1648], segretamente ritirata da Roma, allorchè furono per
entrarvi le milizie d'Arnolfo. Presso il Campi[1649] si veggono due
diplomi conceduti dal novello imperadore Arnolfo in favore del monistero
delle monache di san Sisto di Piacenza. È dato il primo _VII kalendas
maii, anno Incarnationis Domini DCCCXCVI, Indictione XIV, anno imperii
ejus primo. Actum Romae._ L'altro fu dato a richiesta di papa Formoso
_kalendis maii_ colle stesse note. Anche l'Ughelli[1650] riporta un
altro diploma d'Arnolfo, con cui conferma i suoi diritti al monistero di
san Salvatore di monte Amiate. Ivi son queste note: _Signum domni
Arnulphi invictissimi imperatoris Augusti. Data IV kalendas martii die,
anno Incarnationis Domini DCCCXCVI, Indictione XIV, anno regni Arnulphi
regis in Francia nono, Italia tertio. Actum Romae._ Lascerò io
considerare ai lettori, perchè questo diploma sia dato da Arnolfo, già
dichiarato imperadore, senza poi far menzione in esso dell'_anno primo_
dell'imperio; e se sia da credere ch'egli fosse dichiarato imperador de'
Romani prima del dì 27 di febbraio di quest'anno, che fu bisestile. Noi
abbiamo appreso dai suddetti due sicuri documenti del monistero
piacentino che Arnolfo era in Roma nel dì primo di maggio; e gli Annali
freeriani[1651] ci fan sapere che _ipse XV tamdem die, postquam venerat,
ab urbe digressus est_. Adunque non potè il diploma amiatino essere dato
nel febbraio. Forse invece di _martii_ si avrà da leggere _maii_. Il
padre Papebrochio e il p. Pagi, che fondarono su questo documento alcuni
loro raziocinii, certamente non posarono il piè sicuro. Dopo le funzioni
suddette, Arnolfo fece prendere Costantino e Stefano, due de' principali
baroni di Roma, come rei di lesa maestà, per avere introdotta in Roma
l'imperadrice Ageltruda, e legati seco li condusse in Baviera: _Urbem
vero ad suas manus custodiendam Faroldo cuidam vassallo concessit_.
Erasi ritirata l'imperadrice vedova _Ageltruda_ nella città di Spoleti.
Mosse a quella volta Arnolfo con pensiero di coglierla o di scacciarla
di là. Ma sopravvenutagli una grave infermità di capo (Reginone le dà il
nome di paralisia), in vece di accudire a questa impresa, ebbe da
pensare a scappar d'Italia, dove non si fidava più di fermarsi, per gli
tanti nemici ch'egli aveva, o si era fatto colle sue crudeltà e co' suoi
ambiziosi disegni. Però con isforzate marcie il più tosto che potè,
prima del fine di maggio, si ritirò dipoi per la via di Trento in
Baviera, seco conducendo la pericolosa malattia onde era stato assalito.
Secondochè lasciò scritto Liutprando[1652], fu attribuito questo suo
malore alla sagacità della suddetta Augusta Ageltruda, assediata da esso
Arnolfo nel castello di Fermo, perchè le riuscì di guadagnar coll'oro un
domestico del medesimo Arnolfo, e di fargli dare un sonnifero che gli
sconcertò la testa e la sanità in maniera, che non si riebbe mai più. Ma
questa è verisimilmente una diceria, divulgata fra il popolo che troppo
inclina a credere soprannaturali, o effetti della umana malizia, alcuni
mali, massimamente de' gran signori. Altre cose soggiugne dipoi
Liutprando, cioè che _Guido re_ (questi era imperadore e morto molto
prima) prese ad inseguire il quasi fuggitivo Arnolfo. E che esso
Arnolfo, giunto che fu a monte Bardone sul Parmigiano, determinò di
cavar gli occhi a Berengario, per tenere più sicuramente da lì innanzi
l'Italia. Ma avvertitone Berengario da un amico suo cortigiano, se ne
scappò frettolosamente a Verona: dopo di che tutti gl'Italiani
cominciarono a sprezzare Arnolfo. Parimente racconta Liutprando, che,
giunto esso Arnolfo a Pavia, e svegliatasi una sedizione del popolo, fu
fatta tanta strage della di lui gente, che n'erano piene le cloache
tutte di quella città. E perciocchè Arnolfo non potea passar per Verona,
marciò pel Piemonte ad Ivrea, città governata da _Anscario marchese_,
uomo timidissimo, che s'era dianzi ribellato. Giurò allora Arnolfo di
non partirsi prima di sotto a quella città, se non aveva nelle mani
Anscario. Ma i cittadini, fatto uscir di città Anscario, per poter
veridicamente giurare che egli era fuggito, ottennero da Arnolfo di
restare in pace. Finalmente dice Liutprando, che Arnolfo pel Mongivì e
per la Savoia passò ai proprii paesi. Tutte immaginazioni e tradizioni
false, perchè il continuatore degli Annali di Fulda, autore
contemporaneo, e però più degno di fede, attesta, siccome abbiam veduto,
che Arnolfo da Spoleti a dirittura venne a Trento, ed uscì d'Italia
prima che fosse spirato il mese di maggio. In somma la storia di questi
tempi si truova assai maltrattata dai più antichi scrittori. Falla di
molto anche la Cronica di Reginone[1653], che sotto quest'anno ci vuol
far credere accaduta la morte di _Lamberto imperadore_, e l'entrata in
Italia di _Lodovico_ figliuolo di _Bosone re_ di Provenza. Chiaramente
vedremo la falsità di tali racconti, nè è da credere che vengano da
Reginone. Le stimo io giunte, disordinatamente fatte alla di lui
Cronica, quantunque il padre Mabillone[1654] ed altri le prendessero per
buona moneta. Lasciò Arnolfo, prima di abbandonare l'Italia[1655],
_Rotoldo_ suo figliuolo bastardo al governo di Milano, credendo in tal
guisa di tenere in ubbidienza il popolo d'Italia. Ma gl'Italiani
alzarono il capo, e Ratoldo fu costretto a tornarsene pel lago di Como
in Germania. _Lamberto_ imperadore, per quanto si può scorgere, non fu
pigro ad accorrere in queste parti e a ripigliare il possesso di Milano
e di Pavia col rimanente della Lombardia. _Maginfredo_ ossia
_Magnifredo_ conte di Milano, ed anche marchese della marca di Milano,
come si può dedurre da Ermanno Contratto[1656] dall'anno 895, perchè
avea tenuto forte pel partito del re Arnolfo, ebbe, d'ordine di
Lamberto, tagliata la testa; e ad un suo figliuolo e ad un suo genero
toccò la pena di perdere gli occhi. Vo' io credendo che in questa
occasione patisse dei grandi affanni la città di Milano, perchè a' tempi
di Landolfo seniore, storico di Milano[1657] del secolo undecimo, durava
la tradizione che un _Lamberto_ re d'Italia avea fatto un aspro
trattamento alla città di Milano, con averla assediata e presa con
inganno, dove poi fece un'orrida strage dei cittadini, distrusse i
palagi, le torri e l'altre belle fabbriche e fortificazioni di quella
nobil città. Pieno di favole e d'anacronismi è questo racconto di
Landolfo, copiato poi da Galvano Fiamma[1658], perchè suppone vivuto
questo re _Lamberto_ circa l'anno 570, e prima che i Longobardi
calassero in Italia: sbaglio inescusabile, e testimonio della somma
ignoranza di que' secoli, perchè solamente circa cento ottanta anni
dappoi fiorì questo Landolfo. Dice egli ancora che _Ilduino_ era allora
duca di Milano, e che Lamberto fu poi ucciso alla caccia in un bosco con
una _spina_ da _Azzo_ figliuolo di questo Ilduino. Tuttavia chiara cosa
è che egli intende di parlare dell'imperador Lamberto, siccome apparirà
dalla maniera della sua morte. E però dalle sue popolari fole abbastanza
traluce ch'esso Lamberto dovette maltrattare non poco la città di Milano
a cagion di sua ribellione. Ordinariamente non sono senza qualche
fondamento simili tradizioni de' popoli. Anche il re _Berengario_ dal
canto suo (giacchè venne in questi tempi a mancar di vita _Gualfredo
duca_ e marchese del Friuli, che ribellatosi a lui s'era dato ad
Arnolfo) ritornò in possesso di Verona e del Friuli, con istendere il
suo dominio fino all'Adda; con che si può credere che Brescia ancora e
Bergamo venissero alla di lui ubbidienza. Ho io pubblicato[1659] un suo
diploma dato _pridie kalendas decembris, anno Incarnationis Domini Jesu
Christi DCCCXCVI, regni vero domni Berengarii serenissimi regis IX, per
Indictionem XV. Actum Corte Aquis_. Vedemmo di sopra all'anno 881 un
diploma di Carlo il Grosso, scritto _Aquis Palatio_. Non so se abbia che
fare con questa _Corte Aquis_, la qual senza fallo non può essere
_Aiqui_ città del Monferrato, perchè fin là non si stendeva la
giurisdizione di Berengario.
I disgusti dati dai Romani a _papa Formoso_, prima che giungesse a Roma
Arnolfo, ed accresciuti a dismisura dappoichè egli se ne fu partito, il
fecero finalmente soccombere al peso degli affanni, se pure non
intervennero mezzi anche più violenti per troncare il corso di sua vita,
perchè egli era incorso nell'odio non solo della maggior parte di quel
popolo, ma anche di _Lamberto imperadore_, contra del quale aveva esso
pontefice alzato al trono imperiale il germanico re Arnolfo. Il cardinal
Baronio[1660] dopo Onofrio Panvinio, differì la morte di questo papa
sino al dicembre dell'anno presente, fondato sull'asserzione di Adamo
Bremense, che scrivea circa l'anno 1080 la sua storia. Ma il padre
Pagi[1661] con addurre due bolle di _papa Stefano VI_ suo successore,
date nell'agosto e settembre di quest'anno, ha mostrata la insussistenza
di tale opinione. Quel che è più, il continuatore degli Annali di
Fulda[1662] pubblicati dal Freero, autore, per quanto pare,
contemporaneo, scrive mancato di vita questo pontefice _die sanctae
Paschae_. Ed Ermanno Contratto[1663] anche egli scrive che _Formoso papa
die Paschae obiit_. Ma neppur questo si può credere, qualora esistano i
due diplomi, dati da Arnolfo imperadore in Roma sul fine di aprile e nel
dì primo di maggio pel monistero di san Sisto, che si sono accennati di
sopra. Nel dì 4 di aprile cadde la Pasqua nell'anno presente.
Confessando il medesimo Annalista freeriano che Arnolfo non si fermò in
Roma più di quindici dì, ed essendo egli stato senza dubbio coronato
imperadore da papa Formoso, per necessità non dovette accader la sua
morte nel dì di Pasqua. Lo storico suddetto freeriano ne fa menzione
solamente, dappoichè Arnolfo fu ritornato in Germania. Può essere che un
dì si scuopra qualche documento, onde venga assai lume per decidere
questo punto. Intanto è certo che a papa Formoso, dopo tre giorni di
sede vacante, succedette _Bonifazio VI_, pontefice efimero, perchè non
più che quindici giorni durò il suo pontificato. La podagra quella fu
che il portò all'altro mondo, secondo gli Annali freeriani suddetti; nè
fu già cacciato dalla sedia, come pretende il cardinal Baronio, tuttochè
veramente Giovanni IX papa nel concilio romano dell'anno 898 riprovasse
la di lui elezione. Si venne pertanto ad eleggere un nuovo papa, e
questi fu _Stefano VI_, di fazione contraria al defunto papa Formoso.
Sulle prime mostrò egli di approvare l'operato da lui nella persona
d'Arnolfo, con riconoscere anch'egli per imperadore, come costa da una
sua bolla citata dal padre Pagi, e data nel dì 20 d'agosto dell'anno
precedente, _imperante domno piissimo Augusto Arnulfo a Deo coronato
magno, imperatore, anno primo_. Ma da lì a poco o perchè fosse cacciato
di Roma il ministro lasciatovi da Arnolfo, o per gli potenti maneggi di
Lamberto Augusto, e per l'inclinazione dello stesso papa, riconobbe egli
_Lamberto_ per legittimo imperadore. Un'altra sua bolla rapportata dal
padre Dachery[1664], si vede scritta sotto l'_indizione XV_, cominciata
nel settembre di quest'anno, _imperante domno nostro Lamberto piissimo
Augusto, a Deo coronato magno imperatore_. Otto mesi poi dopo
l'assunzione sua arrivò questo pontefice ad un eccesso che renderà
sempre detestabile la memoria sua nella Chiesa di Dio; perchè egli fatto
disotterrare il cadavero di _papa Formoso_, e con una ridicola funzione
degradatolo in un concilio non assistito dallo Spirito Santo, lo fece
gittar nel Tevere, e dichiarò nulle tutte le sue ordinazioni, e in primo
luogo quella dello stesso Formoso. Intorno a ciò è da vedere la storia
ecclesiastica e la difesa di Formoso negli opuscoli di Ausilio, il quale
ci ha conservata una notizia fra l'altre: cioè, che in un concilio
tenuto in Ravenna, dove intervennero quasi tutti i vescovi d'Italia, era
stata riconosciuta legittima ed approvata l'ordinazione di Formoso,
ancorchè egli dal vescovato di Porto fosse passato alla cattedra di san
Pietro. Appartiene a quest'anno la mutazione seguita nel principato di
Benevento, raccontata dall'Anonimo salernitano[1665], da Leone
Ostiense[1666] e da altre Cronichette presso Camillo Pellegrino. Non
potevano più sofferire i Beneventani l'orgoglioso governo de' Greci,
dominanti nella loro città. Comunicarono essi i lor desiderii a
_Guaimario I_ principe di Salerno; e questi a _Guido duca_ e marchese di
Spoleti. Passò all'assedio della città lo stesso Guido con copioso
esercito, e per molto tempo la strinse. Veggendosi a mal partito
_Giorgio patrizio_, quivi governatore per _Leone imperador_ de' Greci,
incitò i cittadini alla difesa. Altro non cercavano essi; e però prese
l'armi tanto i Greci che i Beneventani, uscirono di città, per dare
addosso ai nemici; ma secondo il concerto fatto, quei di Benevento si
diedero alla fuga, ritornando nella città, e seco trassero nella mischia
le genti di Spoleti. Giorgio patrizio, se volle salvar la vita, pagò
cinquemila soldi d'oro, e fu lasciato andare. Restò in potere di Guido
duca quella città col suo principato. Ma chi è questo _Guido_? Lo stesso
Anonimo salernitano il credette quel medesimo che abbiam veduto re
d'Italia ed imperadore, con iscrivere ch'egli tenne per _un anno e mesi
nove_ quel principato, e che portatosi in occasion della morte di Carlo
il Grosso Augusto, _adeptus est regalem dignitatem. Beneventum namque
imperatrix Racheltruda nomine_ (Ageltruda vuol dire) _regendum suscepit,
et praefuit Beneventanis anno uno et octo mensibus. In eamdem urbem
ingressa est pridie kalendas aprilis_, ec. Sicchè, secondo questo
autore, il conquistatore di Benevento fu _Guido imperadore_, e prima
ancora di essere creato re d'Italia: il che vuol dire che la conquista
di Benevento da lui fatta cadrebbe nell'anno 887. Ma ciò non può
sussistere, quanto al tempo, perchè, siccome abbiam veduto, i Greci
entrarono in possesso di Benevento nell'anno 891, e ne stettero padroni
quasi quattro anni. Immaginò il conte Campelli[1667] che questo _Guido_
fosse figliuolo secondogenito di _Guido_ imperadore creato duca di
Spoleti nell'anno 891, e che egli nell'anno 894 assediasse Benevento, e
se ne impadronisse nell'anno 895. Nè è senza qualche fondamento la sua
opinione per quel che dirò. Tuttavia meglio avrebbe fatto questo autore
col guardarsi dal produrre i sogni suoi dappertutto come verità
contanti, e dal descrivere i fatti da lui immaginati, quasichè coi
proprii occhi gli avesse veduti. Egli mette anche fuor di sito la morte
di Guido imperadore, e differisce quella di Lamberto Augusto suo
figliuolo fino all'anno 910, che è uno spaventoso anacronismo contro la
storia di questi tempi.
Potrebbe in vero sospettarsi che _Guido_ duca e marchese di Spoleti, di
cui fanno menzione le Croniche suddette, fosse stato il medesimo _Guido_
imperadore, il quale nell'anno 894, qualche mese prima della sua morte,
impiegasse le forze sue in conquistar Benevento. Pure un anonimo
cronista beneventano assai chiaramente racconta che dopo la morte d'esso
Augusto entrò _Guido_ duca e marchese in Puglia, e vi conquistò
Benevento, dove era già morto Giorgio patrizio, e comandava Teodoro
Turmoca: e che _Guaimario I_ principe di Salerno avea per moglie una
sorella di _Guido_ per nome _Jota_. Però possiam conghietturare che
questo Guido fosse fratello, o almeno parente di Lamberto imperadore.
S'erano impadroniti i Greci di Benevento nell'anno 891. Secondo le
Cronichette pubblicate da Camillo Pellegrino[1668], _tribus annis,
novemque mensibus et diebus viginti dominatio Graecorum tenuit
Beneventum, Samniique provinciam. Post hoc Guido marchense introivit in