Annali d'Italia, vol. 3 - 48

Tanto seppero dire i due scomunicati e deposti arcivescovi _Guntario_ e
_Teotgaudo_ all'_imperador Lodovico_, quasichè il papa in condannarli
avesse fatta una patente ingiuria a lui ed al _re Lottario_ suo
fratello, ch'egli montò in furore, nè capiva per la rabbia in sè
stesso[1162]. Probabilmente cooperò a maggiormente accendere questo
furore anche _Giovanni arcivescovo_ di Ravenna, perchè sappiamo da
Anastasio[1163] ch'egli, siccome amareggiato per le cose dette all'anno
861, sosteneva quegli arcivescovi, e insieme con loro non cessò di far
più passi falsi del papa e della santa sede. Non racconta Anastasio ciò
che ne avvenisse, ma gli Annali bertiniani ce ne han conservata la
memoria: cioè l'infuriato Augusto con _Angilberga_ sua moglie, con
quegli arcivescovi e con delle soldatesche se ne andò a Roma, per far
quivi cassare dal papa la proferita sentenza; e se nol facea, coll'empio
pensiero di fargli mettere le mani addosso. Presentito questo suo mal
talento dal papa, ordinò una processione e un generale digiuno in Roma,
per pregar Dio che ispirasse all'imperadore un sano consiglio e la
reverenza dovuta ai ministri di Dio e alla sede apostolica. Giunse in
quel tempo a Roma l'inviperito Augusto, e prese alloggio vicino alla
basilica di san Pietro. Colà arrivò in quel punto la processione del
clero e popolo romano, e nel salire che faceano le scalinate di san
Pietro, eccoti scagliarsi contro di loro i soldati dell'imperadore, che
con dar loro delle bastonate e con fracassar le croci e gli stendardi,
li posero tutti in fuga. A questo fatto, diversamente nondimeno
raccontato, allude un autore di poco credito, forse vivuto prima del
mille, che sotto nome di _Eutropio longobardo_[1164] fu citato e
pubblicato da' nemici della Chiesa cattolica. Non mantengo io per vero e
legittimo tutto quel ch'egli racconta di questi e d'altri fatti non
succeduti a' giorni suoi. Tuttavia convien ascoltarlo dove dice che
l'imperador Lodovico stava a san Pietro, il papa ai santi Apostoli; e
perciocchè il pontefice facea far processioni e cantar messa _contra
principes male agentes_ i baroni dell'imperadore furono a pregarlo di
far desistere da queste preghiere. Nulla ottennero. Ora accadde che
incontratisi in una di queste processioni, diedero delle bastonate ai
Romani. _Qui fugientes projecerunt cruces iconas, quas portabant, sicut
mos est Graecorum e quibus nonnullae conculcatae, nonnullae diruptae
sunt. Unde et imperator graviter est permotus in iram, et pro qua causa
apostolicus mitior effectus est. Profectus est denique idem pontifex ad
sanctum Petrum, rogans imperatorem pro suis talia patrantibus; et vix
obtinere valuit. Jam itaque inter se familiares effecti sunt._
Erchemperto[1165] anch'egli fa menzione di questa sacrilega violenza, ed
attribuisce ad un tal fatto il gastigo di Dio che, siccome vedremo
all'anno 871, provò esso imperador Lodovico. Seguitano poi a dire gli
Annali bartiniani che il pontefice, intesa che ebbe la violenza
suddetta, e che si pensava anche di mettere le mani addosso alla sacra
sua persona, dal palazzo lateranense si portò in barca alla basilica di
san Pietro, dove per due giorni e due notti stette senza prender cibo e
bevanda.
Ma non si sa intendere come egli si ritirasse colà, dacchè lo stesso
imperadore, per confession del medesimo autore, alloggiava allora _secus
basilicam beati Petri_. Frattanto morì uno della famiglia
dell'imperadore che avea spezzata la croce di sant'Elena, e lo stesso
imperador fu preso dalla febbre. Giudicossi questo un avvertimento a lui
mandato da Dio; e però inviò l'imperadrice al papa, perchè venisse a
trovarlo; ed egli sulla di lui parola v'andò. L'abboccamento loro ben
tosto rimise la concordia. Il papa si restituì al palazzo lateranense, e
l'imperadore ordinò che i due arcivescovi se ne tornassero in Francia.
Ma essi, prima di partirsi fecero gittare sopra il sepolcro di san
Pietro un insolentissimo scritto contra del papa. L'imperadore anch'egli
da lì a pochi giorni se ne andò, con lasciare in Roma una infausta
memoria delle uccisioni, delle ruberie e delle violenze fatte dai suoi a
varie chiese, e a molte donne anche consecrate a Dio. Venuto a Ravenna,
quivi celebrò la santa Pasqua, che nell'anno presente cadde nel dì 2
d'aprile. Non mi fermerò qui a raccontare gli avvenimenti dei due
suddetti arcivescovi, nè un altro affare che bolliva ne' medesimi tempi
di _Rotado_ vescovo di Soissons, deposto da _Incmaro arcivescovo_ di
Rems. E solamente verrò dicendo che, secondo i suddetti Annali di san
Bertino, i vescovi del regno di Carlo Calvo, contrarii a Rotado,
spedirono i lor legati colle lettere sinodiche al papa; ma l'imperador
Lodovico non li volle lasciar passare. All'incontro il re Carlo Calvo
impedì a Rotado di venire a Roma, benchè egli avesse appellato alla sede
apostolica; ma questi seppe trovar modo di fuggire con ricorrere
all'Augusto Lodovico, per potere sotto l'ombra sua portarsi a Roma.
Aggiungono essi Annali che in quest'anno lo stesso imperadore,
trovandosi alla caccia, in volendo ferir colla saetta un cervo, fu da
esso gravemente ferito. E che _Uberto_ fratello della regina
_Teotberga_, chierico coniugato, e, secondo gli abusi d'allora, abbate
di san Martino di Tours, dopo aver occupata la badia di san Maurizio nei
Valesi, ed alcuni contadi spettanti all'imperador Lodovico, padrone di
quegli stati, fu ammazzato dagli uomini di esso Augusto. La regina
Teotberga sorella d'esso Uberto, cacciata dal re Lottario, si ricoverò
negli stati del re Carlo Calvo. Avea la morte rapito a _Pietro_ doge di
Venezia il suo figliuolo _Giovanni_ anch'esso doge[1166]. Contra di lui
tessuta fu in quest'anno una congiura da varii nobili, per cui restò
ucciso, mentre stava celebrando la festa di s. Zacheria nella chiesa del
monistero di quel nome. In luogo di lui fu eletto doge _Orso
Particiaco_, chiamato da altri _Participazio_. Tanto egli come il popolo
diedero il condegno gastigo agli uccisori dell'innocente doge, con
levarne alcuni di vita, e mandar gli altri coll'esilio in Francia.
Questo doge fu poi creato _protospatario_ da Basilio imperadore de'
Greci, e in ricompensa di tal onore gli mandò in dono dodici grosse
campane. Se crediamo al Dandolo, cominciarono solamente allora i Greci
ad usar esse campane. Leone Allazio, uomo dottissimo, anch'egli insegnò
che una volta presso i Greci cristiani non erano esse in uso; e
l'invenzione delle medesime vien comunemente attribuita ai Latini. Cosa
manifesta per altro è che anche ne' secoli pagani erano in uso i
campanelli, non già le grosse campane, come oggidì.
NOTE:
[1162] Annales Francor. Bertiniani. Annales Franc. Metenses.
[1163] Anastas., in Vit. Nicolai I.
[1164] Eutrop. Langobardus, de Imp. Rom.
[1165] Erchempertus, Hist., cap. 37.
[1166] Dandul., in Chronico, tom. 12 Rer. Italic.


Anno di CRISTO DCCCLXV. Indizione XIII.
NICCOLÒ papa 8.
LODOVICO II imp. 17, 16 e 11.

Probabilmente succedette in questo anno ciò che abbiamo da
Erchemperto[1167], le cui parole furono copiate dall'autore della
Cronica del monistero di Volturno e da Leone Ostiense. Maielpoto
gastaldo, cioè governatore di Telese, e Guandelperto gastaldo di Boiano
nel ducato di Benevento, tali e tante preghiere adoperarono, che
indussero _Lamberto duca_ di Spoleti, e _Garardo_ ossia _Gherardo_ conte
di Marsi, a voler colle loro armi dare addosso ai Saraceni. Tutti dunque
insieme assaltarono que' Barbari, nel mentre che dal territorio di Capua
e Napoli se ne tornavano a Bari, carichi tutti di bottino. Ma il feroce
loro sultano con tal bravura li ricevette, che li mise tosto in
iscompiglio e in fuga, con restare assaissimi cristiani morti sul campo,
e molti altri condotti via prigioni, ai quali parimente fu di poi
crudelmente levata la vita. Perirono in quella giornata, valorosamente
combattendo, i due gastaldi suddetti col conte Gherardo. Tali parole
sembrano indicare che a _Guido_ duca di Spoleti fosse succeduto
_Lamberto_. Presero da lì innanzi i Saraceni maggior baldanza e rabbia,
onde a man salva faceano scorrerie per tutto il ducato di Benevento, con
distruggere dovunque giugnevano; e, a riserva delle principali città,
luogo appena vi restò che non andasse a sacco. Toccò spezialmente questa
disavventura a Telese, Alife, Supino, Boiano, Isernia e al castello di
Venafro, che furono interamente disfatti. Arrivarono le loro masnade
anche al suddetto monistero di san Vincenzo di Volturno[1168] che era
dei più ricchi d'Italia, e tutto lo spogliarono con dissotterrare ed
asportare il suo tesoro. Convenne anche pagar loro tre mila scudi d'oro,
perchè perdonassero alle fabbriche, nè vi attaccassero il fuoco. Però
giusto sospetto nasce che Leone Ostiense[1169] senza fondamento
scrivesse, essere stato in tal congiuntura incendiato quell'insigne
monistero. Noi vedremo che molto più tardi gli succedette questa
disgrazia. Per altro sappiamo da lui che que' monaci si rifugiarono e
salvarono nel castello fabbricato da essi in vicinanza del monistero.
Era in questi tempi abbate di monte Casino Bertario, uomo letterato, che
compose molti trattati e sermoni, siccome ancora alcuni libri di
grammatica e medicina, ed assaissimi versi scritti all'imperadrice
_Angilberga_ e agli amici suoi. Questi pensando ai pericoli in cui per
l'addietro si era trovato il suo monistero per cagione de' Saraceni,
nemici del nome cristiano e troppo amici delle sostanze dei cristiani,
avea prima d'ora fatto cingere di forti mura e torri quel sacro luogo,
ed in oltre cominciata alle radici del monte una città, che oggidì si
appella San Germano. Giovò al monistero in tal congiuntura quella
fortificazione, ma giovogli anche più il senno d'esso abbate; perchè
appena ebbe sentore dell'avvicinamento di quei crudi infedeli, pervenuti
sino a Teano, che mandò a trattar con loro di composizione. Tre mila
scudi d'oro pagò anch'egli, e coloro contenti se n'andarono. Intanto
_Landolfo vescovo_ e signore di Capua[1170], dopo aver cacciato dalla
città i suoi nipoti, figliuoli di _Landone_ già conte, che si
fortificarono in alcune castella, tutto dì andava ordendo nuove cabale,
ingannando ora _Guaiferio principe_ di Salerno, a cui Capua avrebbe
dovuto ubbidire, ed ora _Adelgiso_ principe di Benevento. Tirò poscia in
Capua i suddetti suoi nipoti, affinchè facessero guerra agli altri suoi
nipoti, figliuoli di _Pandone_. Seguì finalmente pace fra essi cugini, e
tutti entrarono in Capua. Ma non mancò all'astuto prelato maniera di
dividerli ed ingannarli, con sostenere a forza di queste arti la sua
signoria anche nel temporale. Intanto spedì papa Niccolò in Lorena e
Francia _Arsenio vescovo_ d'Orta suo legato, che astrinse il re
_Lottario_ a richiamare e a ricevere in sua corte la _regina Teotberga_.
Avea anch'esso vescovo indotta l'imperadrice _Gualdrada_ a venire in
Italia per presentarsi al sommo pontefice; e la medesima promessa avea
riportato da _Engeltruda_, figliuola del _conte Matfrido_ e moglie di
_Bosone_ conte, scomunicata dal papa, perchè fuggita dal marito viveva
in un totale libertinaggio. Ma dietro alla strada si trovò da ambedue
deluso. Gualdrada giunta sino a Pavia[1171], non passò oltre, richiamata
dall'adultero re, che di nuovo cominciò a maltrattare la regina
Teotberga; Engeltruda anch'ella se ne ritornò ai suoi stravizzi in
Francia. Non dormiva intanto la imperadrice _Engilberga_, attendendo ad
impetrar continuamente dei doni dall'Augusto suo consorte. Da un
documento, che io diedi alla luce[1172], apparisce che nell'anno
presente, o pure nell'antecedente, _Gualberto vescovo_ di Modena, messo
dell'imperador Lodovico, la mise in possesso _della corte_ di
_Wardestalla_, oggidì _Guastalla_, città che poi passò sotto la signoria
del monistero di San Sisto di Piacenza, fondato e dotato dalla medesima
Augusta.
NOTE:
[1167] Erchempertus, Hist., cap. 29.
[1168] Chron. Vulturn., P. II, tom. 1 Rer. Italic. pag. 403.
[1169] Leo Ostiensis, lib. 1, cap. 35.
[1170] Erchempertus, Hist., cap. 30.
[1171] Epist. 55 Nicolai I papae.
[1172] Antiquit. Italic., Dissert. XXII, pag. 241.


Anno di CRISTO DCCCLXVI. Indizione XIV.
NICCOLÒ papa 9.
LODOVICO II imp. 18, 17 e 12.

Fin dall'anno 861 aveano i popoli pagani della Bulgaria abbracciato il
Cristianesimo; e al loro re _Bogori_ battezzato, che, assunto il nome di
_Michele_, fedelmente conservava la ricevuta santa religione. Dio diede
forza per superare una terribil congiura dei suoi grandi, che pentiti
d'aver abbandonati gl'idoli, si rivoltarono contra di lui. Ora esso in
quest'anno somma consolazione recò alla sacra corte di Roma per la
spedizione de' suoi ambasciatori a _papa Niccolò_[1173], affin di
ricevere da lui istruzioni intorno ad assaissimi punti della religione e
della Chiesa. Giunti a Roma nel mese di agosto, con tutto amore ed onore
furono accolti dal saggio pontefice, il quale poco appresso inviò in
que' paesi _Paolo vescovo_ di Populonia, e _Formoso vescovo_ di Porto,
acciocchè si studiassero di convertire il resto di quei popoli, ed
ammaestrassero e cresimassero i già convertiti. Notò l'autore degli
Annali di san Bertino[1174] sotto quest'anno che il re de' Bulgari inviò
a san Pietro l'armi stesse che egli portava allorchè trionfò de' suoi
ribelli, colla giunta d'altri non pochi doni. _Hludowicus vero Italiae
imperator hoc audiens, ad Nicolaum papam misit, jubens, ut arma, et
alia, quae rex Bulgarorum sancto Petro miserat, ei dirigeret. De quibus
quidem Nicolaus papa per Arsenium ei consistenti in partibus
beneventanis transmisit, et de quibusdam excusationem mandavit._ Circa
questi medesimi tempi anche nella Moravia si piantò e crebbe la fede di
Cristo, e si dilatò questa luce fino nella Russia; ma non dovettero i
Russi tenerla salda, perchè sul fino del seguente secolo si truova la
lor conversione al Cristianesimo, con riuscire poi stabile sino ai
giorni nostri. Andrea Dandolo[1175], dopo aver narrata la conversione
de' Bulgari per opera di _san Cirillo_ da Salonichi, apostolo de' paesi
sclavi, attesta ch'esso Cirillo convertì alla fede _Sueiopolo re_ della
Dalmazia mediterranea, che abbracciava la Croazia, la Russia e la
Bossina. Abbiamo poco fa inteso che l'_imperador Lodovico_ si tratteneva
nell'anno presente nel ducato di Benevento. Sopra di che è da sapere che
que' popoli ridotti alla disperazione per gl'immensi continui saccheggi
e per le incredibili crudeltà de' Saraceni, altro scampo non veggendo se
non nell'aiuto dell'imperador Lodovico, sì da Benevento[1176] che da
Capoa gli spedirono degli ambasciatori, scongiurandolo di accorrere in
aiuto loro. Niuno ne spedì _Guaiferio principe_ di Salerno, perchè non
era in grazia d'esso Augusto, a cagion della deposizione e prigionia di
_Ademario principe_ da noi veduto di sopra. All'esposizione di tante
miserie patite dai cristiani, si mosse a compassione l'Augusto Lodovico,
e determinò di far guerra, ma non simile a quella degli anni precedenti,
contra di que' cani. A tal fine non so se nel seguente, o pure nel
presente, egli pubblicò quel rigoroso editto che Camillo Pellegrino
diede alla luce[1177]. In esso vien intimata a tutto il popolo del regno
d'Italia la spedizion militare verso Benevento, correndo l'_indizione
XV_, che denota l'anno susseguente. _Iter erit nostrum_ (dice ivi
l'imperadore) _per Ravennam, et immediate mense martii in Piscariam, et
omnis exercitus italicus nobiscum. Tuscani autem cum popolo, qui de
ultra veniunt, per Romam veniant ad Pontem Curvum, inde Capuam, et per
Beneventum descendant nobis obviam Luceria VIII kalendas aprilis._
Queste ultime parole sembrano accordarsi poco colle prime. Ma se è vero
che l'imperadore avea da muoversi nel marzo alla volta di Ravenna, per
andare a Pescara nel ducato beneventano, convien supporre emanato
quell'editto prima del marzo di quest'anno, giacchè è fuor di dubbio che
nel giugno dell'anno presente egli era già pervenuto coll'armata a Monte
Casino. E se fosse così, in vece di _indictione quinta decima_, si
avrebbe a scrivere _quarta decima_. Ma ritenendo l'_Indictione XV_,
l'intimazione apparterrà all'anno seguente, e si dovrà credere, che
accortosi Lodovico nell'anno presente che non bastavano le ordinarie sue
forze a schiantare quella mala razza, intimasse nel seguente
l'insurrezione dell'Italia tutta per ultimare sì importante affare. Ho
detto rigoroso quell'editto, perchè chiunque possedeva tanti mobili da
poter pagare la pena pecuniaria d'un omicidio, era tenuto ad andare
all'armata. I poveri, purchè avessero dieci soldi d'oro di valsente,
doveano far le guardie alle lor patrie e ai lidi del mare. Chi meno di
dieci soldi, era esentato. Se uno avea molti figliuoli, a riserva del
più utile che potea restar col padre, gli altri tutti aveano a marciare.
Due fratelli indivisi, amendue andavano. Se tre, il più utile si
lasciava a casa. I conti e gastaldi non potevano esentare alcuno,
eccettochè uno per lor servigio, e due per le lor mogli. Se più ne
avessero esentati, la pena era di perdere le lor dignità. E se gli
abbati e le badesse non avessero inviati all'armata tutti i lor
vassalli, restavano privi della lor dignità, e que' vassalli perdevano
il feudo e gli allodiali. Tralascio il resto. Son quivi destinati i
conti e ministri per l'esecuzione di quest'ordine. Fra gli altri _in
ministerio Witonis Rimmo et Johannes episcopus de Forcona_. Questo
governo di Guido altro non può essere che _Spoleti_. _In ministerio
Verengari Hiselmundus episcopus. Il governo di Berengario_ non dovrebbe
essere stato il Friuli, perciocchè vivea tuttavia _Eberardo_ suo padre
duca di quella contrada. Abbiamo da Andrea prete[1178], scrittore
italiano di questo secolo, che ad esso Eberardo duca o marchese del
Friuli, di cui parleremo all'anno seguente, succedette _Unroco_ suo
figliuolo. Dopo la morte d'_Unroco_ quivi comandò _Berengario_,
anch'esso figliuolo d'Eberardo, che poi giunse ad essere re d'Italia, ed
anche imperadore. Pare almeno che dalle parole suddette si possa
ricavare che Berengario signoreggiasse in qualche marca. Di questo
editto fa menzione anche Leone Ostiense[1179].
Ora l'imperador Lodovico con una formidabil armata, conducendo anche
seco l'Augusta sua moglie _Angilberga_, per Sora entrò nel ducato di
Benevento, e correndo il mese di giugno, arrivò al monistero di Monte
Casino, dove fu magnificamente ricevuto dall'abbate Bertario, al quale
confermò i privilegii di quel sacro luogo[1180]. Colà fu a trovarlo
_Landolfo vescovo_ e signore di Capoa, che gli presentò le truppe del
suo paese, ma col giuoco altravolta fatto, cioè con farle disertar tutte
a poco a poco. Restò egli solo presso di Lodovico, quasichè niuna parte
avesse nella fuga de' suoi. Ma l'imperadore sdegnato, ed assai
conoscente che avea che fare con gente doppia, pensò ch'era meglio
d'assicurarsi dei dubbiosi amici, prima di procedere contra de' patenti
nemici. Però, senza badare alle scuse e ai lamenti del malvagio vescovo,
passò ad assediar Capoa. Vi stette sotto ben tre mesi; soggiorno che
costò ai Capuani la distruzione di tutti i loro contorni. E perciocchè
non volle mai l'imperadore riceverli a patti, finalmente s'arrenderono a
_Lamberto conte_, cioè al duca di Spoleti, uno dei generali
dell'imperadore, che li trattò alla peggio da lì innanzi. Da ciò si
conosce che _Guido_ duca di Spoleti era morto, con succedergli
_Lamberto_ suo figliuolo, come apparirà all'anno seguente. Per attestato
dell'Anonimo salernitano[1181], _Guaiferio_ principe di Salerno venne
fino a Sarno ad incontrare l'Augusto Lodovico, il quale tosto gli fece
istanza d'aver nelle mani il deposto principe _Ademario_ da lui amato.
Gli rispose Guaiferio: _Che volete farne, signore, s'egli è già privo di
luce?_ E tosto segretamente inviò ordine a Salerno che gli cavassero gli
occhi. Portossi dipoi l'imperadore a Salerno, e vi fu ricevuto come
sovrano: e di là passò ad Amalfi e a Pozzuolo, dove prese quei bagni, e
sul finire dell'anno arrivò a Benevento, dove _Adelgiso_ principe gli
fece un suntuoso accoglimento. Nella Cronica di Volturno v'ha un diploma
di questo imperadore, dato _III idus junii anno, Christo propitio, XVII
imperii Domini Hludovici piissimi Augusti, indictione XIV, et postquam
cepit Capuam anno primo_. L'indizione XIV mostra l'anno presente. Ma nel
giugno dell'anno presente Capua non era peranche stata presa da lui, nè
correa l'anno XVII dell'imperio, dedotto dalla coronazione romana. Però
può credersi che in vece dell'_indictione XIV_, s'abbia quivi a scrivere
_indictione XV_, cioè nell'anno susseguente. Nel presente, se pur
sussistono le conghietture del padre Mabillone[1182], lo stesso Augusto,
desideroso di lasciare un'insigne memoria della sua pietà, ordinò che si
fabbricasse da' fondamenti l'insigne basilica e monistero di Casauria
nell'Abruzzo, in un'isola del fiume Pescara, oggidì nella diocesi di
Chieti. Aveva egli molto prima adocchiato quel sito, posto allora nel
ducato di Spoleti, siccome proprio per abitazione di monaci, cercanti in
que' tempi più le solitudini che gli strepiti delle città; e dopo aver
fatto acquisto di assai beni destinati al sostentamento de' servi di
Dio, essendo capitato colà in occasion della sua spedizion verso
Benevento, fece dar principio alla fabbrica di quel monistero. Lo crede
esso padre Mabillone appellato _Casa aurea_ o per la suntuosità e
ricchezza degli edifizii, o pure per la copia ed ampiezza de' suoi beni.
Ma forse anche prima del monistero e della basilica si nominava
_Casauria_ quel luogo. Da un documento da me dato alla luce[1183],
spettante all'anno 871, si vede un acquisto di beni fatto da esso
imperador Lodovico _in loco, qui dicitur Casauria, pago pinnensi_. In un
altro dell'anno seguente è nominata _Ecclesia Trinitatis, quae sita est
in insula prope Piscariae fluvium, quae dicitur Casauria, monasterium
aedificatum esse debet_. In un altro è menzionata insula, _quae vocatur
Casaurea_. Però sembra che l'isola ossia il luogo desse il nome a quel
monistero, e non giù che lo ricevesse. Tengo inoltre che solamente
nell'anno 871 si fondasse quel monistero, siccome vedremo. Oggidì è esso
ridotto in somma desolazione; ed è da stupire come le belle porte di
bronzo della basilica tuttavia sussistenti abbiano potuto durar tanto
contro la forza dei prepotenti, de' soldati e de' ladri.
NOTE:
[1173] Respons. Nicolai papae ad Consult. Bulg.
[1174] Annal. Francor. Bertiniani.
[1175] Dandul., in Chronico, tom. 12 Rer. Italic.
[1176] Erchempertus, Hist., cap. 32. Leo Ostiensis, lib. 1, cap. 36.
[1177] Peregrinus, Hist. Princip. Langobard., P. I, tom. 2 Rer. Ital.
[1178] Andreas Presbyter, tom. 1 Rer. Germ. Menchenii.
[1179] Leo Ostiensis, Chron., lib. 1, cap. 36.
[1180] Erchempertus, Hist., cap. 52.
[1181] Anonym. Salernit., Paralip., cap. 90. P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[1182] Mabill., in Annal. Benedict., lib. 36, cap. 59.
[1183] Cron. Casauriens., P. II. tom. 2 Rer. Ital.


Anno di CRISTO DCCCLXVII. Indiz. XV.
ADRIANO II papa 1.
LODOVICO II imp. 19, 18 e 13.

_Michele_ imperador de' Greci, che avea dei gran conti a fare a
Domeneddio, per aver accesa la guerra nella sua chiesa colla ingiusta
deposizione di _santo Ignazio_ patriarca di Costantinopoli, e
coll'intrusione di _Fozio_, ebbe in questo anno il suo pagamento. Aveva
egli nel precedente fatto levar di vita _Barda Cesare_, e per ricompensa
creato suo collega nell'imperio ed Augusto l'uccisor di esso Barda,
_Basilio_, Macedone, uomo di bassa nascita, ma provveduto di molte
virtù, e più di fortuna. Ossia che Basilio avesse sicure testimonianze
che si macchinava contro della sua vita, o che venisse il timor di
cadere dall'ubbriachezza, vizio familiare d'esso Michele: la verità si
è, che Michele fu ucciso dalle guardie nel dì 24 di settembre dell'anno
presente, e Basilio restò solo sul trono. Era questo novello Augusto
uomo sommamente cattolico, e tale non tardò a farsi conoscere con
cacciare dalla sedia patriarcale di Costantinopoli Fozio, e rimettervi
sant'Ignazio; risoluzione che recò immenso giubilo alla Chiesa di Dio.
In questo medesimo anno, nel dì 13 di settembre passò a miglior vita
_papa Niccolò I_, e in lui la santa sede venne a perdere uno de' più
dotti e zelanti pontefici che da gran tempo ella avesse avuto[1184].
Raunatisi poscia i vescovi, il clero, i nobili e il popolo romano, per
passare all'elezion del successore, cadde questa nella persona
d'_Adriano II_, prete cardinale del titolo di san Marco, che tosto fu
portato al palazzo lateranense fra gli applausi sonori di tutta la
città, ma non giù de' messi dell'imperadore, i quali per avventura si
trovarono allora in Roma. S'ebbero questi a male di non essere stati
invitati all'elezione: non già che loro dispiacesse il buon papa eletto,
ma perchè parea che la loro esclusione ridondasse in poco rispetto
all'Augusto, di cui teneano le veci. Ma si quetarono all'intendere che
s'era ciò fatto non in dispregio dell'imperadore, ma per non introdurre
il costume di dover aspettare i ministri imperiali all'elezione de'
papi, la quale non ammetteva dilazione. In fatti quest'obbligo non
v'era, nè si trovava praticato in addietro. Erano tenuti solamente i
Romani ad aspettar l'approvazione imperiale dell'eletto: il che appunto
anche in quest'occasione si eseguì. Lodò l'Augusto Lodovico con sue
lettere l'elezion fatta e l'eletto; e certificato che non v'era
intervenuta promessa alcuna di danaro, diede ben volentieri l'assenso
per la consecrazione del nuovo pontefice. Confessa Guglielmo
bibliotecario che soleano succedere dei disordini nelle sedi vacanti
d'allora, e prevalendo le fazioni, venivano cacciati in esilio non pochi
ecclesiastici. Tutti sotto questo amorevolissimo papa se ne ritornarono
liberi a Roma. Accadde nulladimeno in questa vacanza una calamità
insolita. _Lamberto figliuolo di Guido, duca di Spoleti_ (così è
nominato da esso Guglielmo), tirannicamente entrò in Roma, senza
penetrarsi qual pretesto egli usasse; e come se avesse trovata quella
città ribelle all'imperadore, permise che fosse messa a sacco dai suoi
sgherri. Non perdonò a monistero, nè a chiesa alcuna; e senza farne
risentimento alcuno, lasciò che la sua gente rapisse non poche nobili
fanciulle, sì entro che fuori di Roma. Furono perciò portate
all'imperador Lodovico le doglianze de' Romani per tante iniquità, di
maniera che tutti i Franzesi sparlavano di _Lamberto_, benchè fosse
anch'egli di quella nazione; e non finì la faccenda che l'imperadore
gastigò questo nemico della santa sede con levargli il ducato, ma non
così tosto; siccome vedremo. Allorchè esso bibliotecario scrive che
Lamberto _apud Augustos piissimos Romanorum querimoniis praegravatus
fuit_, altro non si può intendere, se non che i Romani fecero ricorso a
_Lodovico_ solo imperadore in questi tempi, e all'Augusta _Angilberga_
sua consorte. Trovavansi allora esiliati dall'imperadore medesimo
_Gaudenzio vescovo_ di Veletri, _Stefano vescovo_ di Nepi, e Giovanni
soprannominato Simonide, per false imputazioni loro date alla corte
imperiale. In loro favore scrisse caldamente il pontefice, ed impetrò
non solo ad essi la libertà, ma anche a molti altri Romani, che come
_rei di lesa maestà_ esso Lodovico Augusto avea fatto carcerare.
Sparsesi poi un'ingiuriosa ciarla contra di questo buon papa, quasichè
egli avesse intenzion di cassare ed abolire tutti gli atti di papa
Niccolò suo predecessore, come fatti con zelo troppo indiscreto. Ma
Adriano informato di questa calunnia, con tanta umiltà e destrezza la
superò, che restò ognuno convinto della di lui retta intenzione di non
discostarsi punto dalle massime dell'antecessore. Giunsero poi a Roma i
legati del nuovo imperador cattolico _Basilio_ e del patriarca
_sant'Ignazio_; e il papa mandò anch'egli a Costantinopoli i suoi:
intorno a che è da vedere la storia ecclesiastica.
Venuta la primavera, l'imperador Lodovico[1185], ammassato in Lucera
ossia Nocera, città della Puglia, tutto l'esercito suo, si mosse contra
de' Saraceni, con disegno di assediar Bari, capitale delle loro
conquiste. Ma sì Erchemperto che Leone Ostiense[1186] ci assicurano, che
venuto l'esercito imperiale ad una giornata campale col sultano di