Annali d'Italia, vol. 3 - 47
Carlo; ma Carlo non vi volle mai acconsentire. _Guanilone arcivescovo_
di Sens, che era stato uno dei maggiori traditori del re Carlo in quei
torbidi, fu accusato per questo in un concilio, ma quel furbo uomo seppe
trovar la maniera di rientrare in grazia di lui. Fu di parere Papirio
Massone, seguitato poi dal cardinal Baronio, che da questo _Guanilone_ i
romanzisti franzesi e poscia gl'italiani prendessero il nome di _Gano_,
che vien sempre rappresentato ne' romanzi per un perfido, o per un
traditore. Certamente _Gano_ si trova chiamato anche _Ganelone_ in
alcuni romanzi. Non è da sprezzare una tal coniettura, se non che Gano
nei romanzi vien fatto di schiatta _maganzese_, cioè di _Magonza_, la
quale città sempre è rappresentata per traditrice alla casa reale di
Francia, ed uomo secolare, e non già arcivescovo, e non già a' tempi di
Carlo Calvo, ma bensì a quei di Carlo Magno. L'autore ancora degli
Annali di san Bertino[1137] ci ha conservata la notizia seguente. Cioè
che riuscì all'imperador Lodovico di farsi cedere con un trattato
amichevole da _Carlo re di Provenza_ suo fratello quella porzion di
stati ch'egli godeva di qua dal monte Jura, e che abbracciava le città
di _Geneva_ ossia Ginevra, _Losanna_ e _Seduno_, oggidì Sion, capitale
de' Vallesi, coi loro vescovati, contadi e monisteri. Ritenne Carlo in
suo potere solamente lo spedale del Monte di Giove, e il contado
pipincense, nome forse corrotto, di cui non trovo chi ne parli. Dagli
stessi Annali abbiamo sotto questo anno che _Nicolaus pontifex romanus
de gratia Dei et libero arbitrio, de veritate geminae praedestinationis,
et sanguinis Christi, ut pro credentibus omnibus fusus est, fideliter
confirmat, et catholice decernit_. Non ne fa menzione il cardinal
Baronio, non ne apparisce vestigio fra le lettere di esso papa.
Bollivano allora queste spinose controversie nella Germania e Francia
tra _Gotescalco_, _Ratranno_ monaco di Corbeia, _Giovanni Scotto_,
_Incmaro_ dottissimo arcivescovo di Rems, ed altri. È da dolersi che non
restino tali scritti di questo dotto ed insigne pontefice. Intanto piena
era di calamità la Francia per le incessanti rapine e stragi che vi
commettevano i Normanni. Nè contenti que' barbari corsari di far provare
la lor crudeltà alle città confinanti all'Oceano, passarono anche di qua
dallo Stretto, e salendo su pel Rodano, vi saccheggiarono varie città,
che punto non s'aspettavano una sì fatta visita; e senza volersi
ritirare dal Mediterraneo svernarono dipoi alla sboccatura di quel
fiume. Poco o nulla attendevano allora l'imperadore e i re della
schiatta franzese ad aver forze in mare; ed in Francia e Germania, in
vece di darsi vicendevole aiuto contra di quei cani, ad altro non
pensavano che ad ingrandirsi colle spoglie de' fratelli o nipoti.
Sarebbe da desiderare che fosse più chiaro il testo di Erchemperto[1138]
là dove racconta (sotto il presente anno, secondo i conti di Camillo
Pellegrino, ma forse più tardi), che terminata la nuova città di Capua,
venne ad assediarla _Guido jam dictus cum universis Tuscis_; e diedele
grandi affanni, perchè il popolo non voleva ubbidire, per quanto sembra,
a _Landone conte,_ suo singolare amico, a cagione delle iniquità che
commetteano i due suoi fratelli _Landolfo vescovo e Landonolfo_. Ma in
fine furono costretti a piegare il collo sotto il giogo. Sora ed altre
terre circonvicine, tolte a Landonolfo, in vigore dei patti furono
consegnate a Guido: del che Landonolfo concepì tanta afflizione d'animo,
che da lì a poco mori. Non s'intende bene come passasse questo affare.
Cosimo della Rena[1139] per le suddette parole di Erchemperto venne in
sospetto che Guido in questi tempi duca di Spoleti fosse anche marchese
della Toscana. Ma non merita questa propria locuzione che se ne faccia
caso. Sappiamo che altri scrittori riputarono il ducato di Spoleti,
ossia l'Umbria, parte della Toscana. Ed è poi chiaro che _Adalberto I_
era allora duca e marchese d'essa Toscana, trovandosi egli nelle carte
degli anni antecedenti e de' susseguenti in possesso di quel governo. Vo
io nondimeno dubitando che questo assedio di Capua succedesse in uno
degli anni susseguenti.
NOTE:
[1136] Annal. Francor. Fuldenses.
[1137] Annales. Francor. Bertiniani.
[1138] Erchempertus, His., cap. 25.
[1139] Rena, Serie de' Duchi di Toscana.
Anno di CRISTO DCCCLX. Indizione VIII.
NICCOLÒ papa 5.
LODOVICO II imp. 12, 11 e 6.
Da un bel placito ch'io diedi alla luce[1140], tratto dalle memorie del
monistero casauriense, vegniamo in conoscenza che l'imperador Lodovico
per la _Romania_ (oggidì Romagna) era venuto nel ducato di Spoleti _pro
justitiarum commoditate, et malignorum astutia deprimenda_: al che egli
giornalmente faceva attendere i suoi ministri. Giunto poi _intra fines
Haesinos, et Camertulos_, cioè fra _Jesi_ e _Camerino_, quivi ordinò che
alzassero tribunale _Vibodo_ vescovo di Parma (il quale troppo tardi
vien supposto dall'Ughelli[1141] succeduto nella cattedra parmigiana a
_Rodoaldo_, cioè a chi non fu mai vescovo di Parma) e _Adalberto
contestabile_ e _Vepoldo conte del palazzo_ ed _Eccideo coppier
maggiore_, con altri. Venne citato alla lor presenza _Ildeberto conte,
ad oppressiones, quas fecerat, emandandas_. Aveva un certo Adalberto
ceduto all'imperadore tutti i suoi beni posti _in finibus Italiae,
Tusciae, Spoleti et Romaniae_; ma con riceverli poi di nuovo da lui a
livello, sua vita natural durante. Quindi gli avea o donati o conceduti
al suddetto _Ildeberto conte_, senza permission dell'imperadore; e però
fu giudicato che quei beni tornassero in potere e dominio d'esso
Augusto. Forse fu questo Ildeberto conte di Marsi. Tuttavia ho io
sospettato altrove che egli possa essere stato duca di _Camerino_,
perchè conti erano spesse volte appellati anche i duchi e marchesi. Un
suo placito tenuto in Marsi[1142] nell'anno 850, si dice scritto _anno
comitatus ejus VII_. E potrebbe essere che conte o duca ei fosse in
compagnia di _Guido_, da noi veduto di sopra; perciocchè quel ducato
soleva essere governato da due duchi, non so se in solido, oppure
dall'uno di qua dall'Apennino e dall'altro di là, veggendosi da qui
avanti due ducati di _Spoleti_ e di _Camerino_. Ma non ci somministra la
storia bastanti lumi per ben decidere questo punto. Sotto quest'anno
s'ha dagli Annali di s. Bertino[1143] che _l'imperador Lodovico suorum
factione impetitur, et ipse contra eos ac contra Beneventanos rapinis
atque incendiis desaevit_. Noi restiam qui al buio, perchè di questo
fatto niuna spiegazione, anzi neppur memoria ci han lasciato i pochi
scrittori d'Italia, de' quali si son salvate le storie. Forse nel ducato
di Spoleti s'era suscitata qualche ribellione, e a questo fine colà si
portò l'imperador suddetto. Ma del male fatto ai Beneventani in questi
tempi niun'altra testimonianza ci resta che questa. Seguita poi a dire
il suddetto storico bertiniano che i Danesi, cioè i Normanni, che aveano
passato il verno alla foce del Rodano, alla prima stagione vennero per
l'Arno a Pisa, e quella città con altre presero, misero a sacco e
devastarono. Se questo è vero, ben poca cura doveano allora avere gli
Italiani di ritener ben fortificate e guernite di buone mura le loro
città: che non volavano già, come gli uccelli per aria, quei Barbari; e
le mura d'una città bastavano, massimamente in que' tempi, a fermar
l'empito d'ogni più poderoso esercito. Sappiamo ancora dagli Annali di
Fulda[1144] che il verno di quest'anno fu sì fiero che _Mare Jonium
glaciali rigore ita constrictum est, ut mercatores, qui nunquam antea
nisi vecti navigio, tunc in equis quoque et arpentis mercimonia ferentes
Venetiam frequentarent_. Qui si parla della città italica di Venezia, la
cui laguna anche nel rigoroso verno del 1709 talmente aggiacciata si
vide, che su pel ghiaccio dalle carrette e dai cavalli convenne portarvi
le mercatanzie e le provvisioni del vitto.
Aggiungono gli Annali di Metz[1145], che il suddetto imperador Lodovico
in questo anno _plurima bella strenuissime gessit adversus Sclavorum
gentem_. È ben da compiagnere la storia d'Italia, che ci lascia per
tanto tempo digiuni de' fatti ed avvenimenti d'allora, con restarne solo
un qualche barlume presso gli storici oltramontani; se non che Andrea,
prete italiano e scrittore di questo secolo, nella sua storia
breve[1146] attesta anch'egli essere stata, _domni Hludovici imperatoris
anno X, Indictione octava_, cioè nell'anno presente, tanta la neve
caduta, e sì fuor di misura il freddo, che perì gran copia di seminato,
e si seccarono le viti alla pianura, e gelò nelle botti il vino. Dopo di
che, un cerio _Uberto_, dimentico dei tanti benefizii a lui fatti
dall'imperador Lodovico, e dei giuramenti a lui prestati, unitosi coi
Borgognoni, se gli ribellò. Spedì Lodovico contra di lui _Conrado_ colle
sue milizie, e bisognò venire ad un fatto d'armi, in cui restò ucciso il
suddetto Uberto, colla perdita ancora di molti dalla parte
dell'imperadore. Ci fa poi sapere la storia ecclesiastica che cominciò a
bollir forte la controversia della deposizione di _santo Ignazio_
patriarca di Costantinopoli, e dell'intrusione di _Fozio_, per cui il
vigilantissimo ed intrepido papa _Niccolò_ non perdonò a diligenza,
uffizii, preghiere e minacce, affin di medicar quella piaga. Spedì egli
in quest'anno a Costantinopoli i suoi legati, perchè s'informassero ben
di quegli affari. Fece anche istanza all'imperador _Michele_, perchè
restituisse alla Chiesa romana i _patrimonii di Calabria e Sicilia_. Non
men di rumore faceva allora la persecuzion di _Lottario re_ di Lorena
contra della regina _Teotberga_ sua moglie, che nell'anno presente fu
imputata di varii finti delitti; e quantunque ella si difendesse col
giudizio dell'acqua bollente, qual rea fu cacciata dall'impudico marito
in un monistero. Ma ella se ne fuggì di colà, e si ridusse in casa di
Uberto suo fratello nel regno di Carlo Calvo. Ora paventando Lottario
che Carlo non si movesse contra di lui, comperò la lega ed assistenza
del re della Germania _Lodovico_ suo zio, con cedergli tutta l'Alsazia.
In questo anno ancora (se pur fece bene i conti Camillo Pellegrino)
Erchemperto racconta[1147] che _Landone conte_, ossia principe di Capua,
colto da una grave paralisia, fu confinato in un letto. _Sergio_ duca di
Napoli, ciò inteso, senza mettersi pensiero delle convenzioni già
seguite fra lui e i Capuani, assistito da un rinforzo datogli da
_Ademario principe_ di Salerno, mosse guerra al giovane _Landone_, che
in difetto del padre aveva assunto il governo. Nè avendo rispetto alcuno
alla festa di san Michele, celebrata con solennità dai Capuani, anzi da
tutti i Longobardi, nel dì 8 di maggio, siccome tenuto per protettore da
tutta quella nazione; e senza ricordarsi che in quello stesso giorno
anticamente i Beneventani aveano data una gran rotta ai Napoletani,
mandò i suoi due figliuoli, cioè _Gregorio_ maestro de' militi, e
_Cesario_, coll'esercito di Napoli e di Amalfi all'assedio di Capua. Ma
allorchè giunsero al ponte di Teodemondo, il giovanetto Landone coi
Capuani, a guisa di un lione, sì bravamente gli assalì, che
sbaragliolli, e fece prigioni ottocento di essi col suddetto Cesario.
NOTE:
[1140] Rer. Italic, P. II, tom. 2, pag. 928.
[1141] Ughell., Ital. Sacr., in Episcop. Parmensib.
[1142] Antiquit. Ital., Dissert. VI.
[1143] Annal. Francor. Bertiniani.
[1144] Annal. Francor. Fuldenses.
[1145] Annal. Franc. Metenses.
[1146] Andreas Presbyt., Chron., tom. 1 Rer. Germ. Menckenii.
[1147] Erchempertus, Hist., cap. 27.
Anno di CRISTO DCCCLXI. Indizione IX.
NICCOLÒ papa 4.
LODOVICO II imp. 13, 12 e 7.
Reggeva in questi tempi la chiesa di Ravenna _Giovanni_ arcivescovo,
uomo, in cui non si sa se maggior fosse l'ambizione o pur l'interesse.
Portaronsi a Roma varii cittadini ravennati a farne doglianza al sommo
pontefice, e ad implorare rimedio alle continue ed intollerabili
vessazioni che da lui ricevevano. Anastasio bibliotecario[1148] ne tesse
il catalogo, con dire che questo arcivescovo scomunicava la gente a suo
capriccio. Non permetteva ai vescovi della sua diocesi e ad altri di
andare a Roma. Aveva occupato non pochi beni della Chiesa romana e di
varii particolari. Sprezzava i messi della Sede apostolica, stracciava
gli strumenti degli affitti o livelli della Chiesa romana, e gli
appropriava a quella di Ravenna. Quei preti e diaconi che non solo in
Ravenna, ma in altre città dell'Emilia erano immediatamente sottoposti
alla santa Sede, li deponeva senza giudizio canonico, e li faceva
mettere in prigione, o in fetenti ergastoli; senza sapersi ben capire
come, se comandavano in quella città gli uffiziali del papa, si
potessero dall'arcivescovo commettere tante oppressioni, e tener birri e
prigioni. Fu pertanto esso arcivescovo più volte ammonito con lettere e
messi dal papa a desistere da sì fatte violenze e novità; ma egli faceva
il sordo. Citato a comparire in Roma al concilio, si vantava di non
essere tenuto ad andarvi. In fine fu scomunicato nel concilio romano. Ci
è stata conservata parte d'un concilio tenuto appunto in Roma per questo
affare in un antichissimo codice della cattedrale di Modena; e questa fu
poi pubblicata dal padre Bacchini nelle giunte ad Agnello[1149]. Dicesi
quivi celebrato esso concilio, _pontificatus domni Nicolai summi
pontificis, et universalis papae anno IIII imperii piissimi augusti
Lodovici anno XI, die octavodecimo mensis novembris, Indictione decima_:
note che non so se sieno corrette, o se riguardino l'anno presente. Ivi
l'epoca dell'imperadore è presa dalla sua coronazione dall'anno 850.
Ascoltiamo ora di nuovo il suddetto Anastasio. Racconta egli che
quell'arcivescovo, udito ch'ebbe l'anatema contro di lui fulminato,
corse ad implorar l'aiuto dell'imperador Lodovico, e da lui ottenne due
legati che per lui parlassero al papa. Con questi se ne andò egli a Roma
pien d'alterigia, persuadendosi di far col loro braccio tremare il papa.
Ma il papa, perchè assistito dalla ragione, si trovò più forte d'una
torre. Con buon garbo il santo padre fece dei rimproveri ai legati,
perchè comunicassero con uno scomunicato, e da lui altro non poterono
essi capire, se non che Giovanni si presentasse al concilio che si dovea
tenere in Roma nel primo dì di novembre, per dar le dovute soddisfazioni
dei suoi eccessi. Senza volerne far altro, egli se ne tornò indietro.
Allora i senatori di Ravenna, ed altra gente dell'Emilia, gittatisi ai
piedi del pontefice, lo scongiurarono di venire in persona a Ravenna per
dar sesto a tanti disordini. V'andò egli infatti, e restituì il suo ad
ognuno, e tornossene di poi a Roma.
Intanto l'arcivescovo ricorse di bel nuovo a Pavia per ottenere il
patrocinio dell'imperadore. Ma quivi trovò che il vescovo della città
_Liutardo_ e i cittadini non volevano commercio con lui, neppure lo
stesso Augusto, che solamente gli fece dire che, deposta la sua
alterigia, si umiliasse al papa, a cui gli stessi imperadori e tutta la
Chiesa prestano sommessione ed ubbidienza, altrimenti non intendeva
assisterlo, nè di favorirlo. Tanto nondimeno si adoperò, che ottenne di
essere accompagnato a Roma da due ambasciatori dell'imperadore; ma
questi giunti colà, si accorsero di non aver parole bastevoli a muovere
la fermezza dello zelantissimo papa. Perciò l'arcivescovo si gittò alla
misericordia, promise quanto gli fu prescritto, e fu assoluto. Nel dì
seguente avendo i vescovi suoi suffraganei dato un libello contra di
lui, fu risoluto: ch'egli non potesse consecrar vescovo alcuno, se non
precedeva l'elezione fattane dal _duca_, cioè dal governatore della
città, dal _clero_ e _popolo_. Che non impedisse ai vescovi l'andata a
Roma. Che non esigesse da loro alcuna sorta di danaro o di doni. Che si
levasse via l'uso cattivo della trentesima. Questa probabilmente erano
costretti i vescovi di pagarla agli arcivescovi di Ravenna delle rendite
delle lor chiese. Soleva Giovanni ogni due anni far la visita dei
vescovati a lui sottoposti, e tanto si fermava colla sua corte addosso
ai vescovi, che divorava tutte le lor rendite. Gli obbligava ancora
(aggravio non praticato in alcuna altra parte del mondo) a contribuire
ogni anno alla mensa archiepiscopale, all'arciprete, all'arcidiacono, e
ad altre dignità della chiesa di Ravenna, un determinato numero di
castrati, di oblate, cioè dell'ostie, del vino, dei polli e dell'uva.
Gli astringeva a dimorare or l'uno, ora l'altro in Ravenna, un mese sì e
un mese no, per farsi servir da loro. A suo capriccio ancora toglieva
loro quei cherici che sarebbero stati più utili alle loro chiese. Questi
ed altri abusi, ch'io tralascio, abolì il saggio papa; e dal concilio
suddetto apparisce che fu posto fine alle avanie di questo tiranno
arcivescovo, con essere intervenuti settantadue vescovi a quella sacra
raunanza. Abbiamo da Erchemperto[1150] che in quest'anno (per quanto
crede Camillo Pellegrino) il vecchio _Landone conte_ di Capua, cedendo
alla contratta paralisia, si sbrigò dai guai del mondo presente. Pria
nondimeno di morire, caldamente raccomandò il giovinetto suo figliuolo
_Landone_ a _Landolfo vescovo_ di quella città, e a _Pandone_ suoi
fratelli e zii del giovane, senza prevedere che raccomandava l'agnello
ai lupi. Era Landolfo uomo dimentico affatto del sacro suo carattere, e
tutto dato alle cabale secolaresche. Quand'anche era in vita il suddetto
Landone seniore (credesi in questo medesimo anno), egli segretamente
istigò _Guaiferio_, figliuolo di Danferio Balbo, a formare una congiura
contra di _Ademario_ principe di Salerno. Poco ben voleva ad esso
Ademario il popolo, per testimonianza dell'Anonimo salernitano[1151], a
cagion dell'avarizia non men sua che di _Guimeltruda_ sua moglie, donna
che ad altro non attendeva se non ad accumular denari. Preso egli
adunque dai congiurati, fu cacciato in una scura prigione, e il suddetto
Guaiferio costituito principe di Salerno. Era stato eletto vescovo
d'essa città di Salerno _Pietro_ figliuolo del medesimo Ademario.
Questi, udita la rovina del padre, se ne fuggì a Sant'Angelo; e
spontaneamente poi datosi al nuovo principe, fu condotto a Salerno, nè
si sa cosa ne divenisse. Ora _Landolfo vescovo di Capua_, quantunque
avesse giurata sopra tutte le cose più sacre fedeltà a Guaiferio, come a
suo principe, pure stette poco ad alienarsi da lui e a fargli guerra.
Barbaramente ancora cacciò di Capua Landone gli altri suoi nipoti, che
si misero sotto la protezion di Guaiferio. Dopo di che usurpò il dominio
di quella città, e vi restò solo signore, perchè suo fratello Pandone
lasciò la vita in un combattimento contra de' Salernitani. In quest'anno
ancora dai diplomi rapportati dal Margarino[1152] impariamo che _Gisla_
figliuola dell'_imperador Lodovico_ era in educazione nel monistero
appellato nuovo, ed ora di santa Giulia di Brescia; e che l'Augusto suo
padre, secondo gli abusi di que' tempi, che tuttavia durano in qualche
paese della Cristianità, le conferì quel sacro luogo da signoreggiare,
usufruttare e governare per tutta la sua vita, secondo la regola di san
Benedetto. Il diploma è dato in Brescia. Con un altro diploma, dato in
Marengo confermò esso imperadore tutti i privilegii e beni del monistero
di san Colombano di Bobbio ad _Amalarico vescovo_ di Como, chiamato ivi
_abbas monasterii bobiensis_; giacchè, siccome fu avvertito di sopra,
s'era già introdotta la biasimevol usanza di conferir le badie ai
vescovi, e talvolta fino ai secolari, i quali, lasciata una parte delle
rendite pel magro sostentamento de' monaci, si divoravano, senza
mettersi scrupolo, il resto.
NOTE:
[1148] Anastas., in Vit. Nicolai I.
[1149] Agnell., Vit. Episc. Ravenn., P. I, tom. 2 Rer. Italic.
[1150] Erchempertus, Hist., cap. 26.
[1151] Anonymus Salernitan., Paralipom., P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[1152] Bull. Casin., tom. 2, Const. XXXVII et XXXVIII.
Anno di CRISTO DCCCLXII. Indizione X.
NICCOLÒ papa 5.
LODOVICO II imp. 14, 13 e 8.
Era in questi tempi tutta sconvolta la Francia e la Germania, parte per
le interne discordie, parte per le continue scorrerie e crudeltà dei
Normanni. _Lodovico_ figliuolo del re _Carlo Calvo_ si rivoltò contra
del padre. Altrettanto fece in Germania _Carlomanno_ contra del re
_Lodovico_ suo padre. Nella porzione della Pannonia suggetta ad esso re
Lodovico, per attestato degli Annali bertiniani[1153], si cominciò a
provar la fierezza di una nazione dianzi incognita (_Ungri_ erano
costoro appellati), che saccheggiò il paese. Di razza tartarica erano
questi Barbari, e pur troppo ne avremo a favellare andando innanzi,
perchè li vedremo portar la desolazione anche alle contrade d'Italia. Ma
gli autori parlano moltissimi anni dopo di così barbara gente, talchè si
può quasi mettere in dubbio l'asserzione d'essi Annali. Avvenne ancora
che _Baldoino_, il quale era o fu dipoi conte di Fiandra, sedusse
_Giuditta_ figliuola del re Carlo Calvo, e nascostamente condottala via,
la prese per moglie con gran risentimento del di lei padre. _Carlo re_
d'Aquitania, altro figliuolo d'esso Calvo, anche egli fu in discordia
col padre, per aver presa moglie senza saputa e licenza di lui. E
_Lottario_ re di Lorena, cedendo agli assalti della sfrenata sua
concupiscenza, in quest'anno ripudiò con grave scandalo del
Cristianesimo la legittima sua moglie _Teotberga regina_, e
pubblicamente sposò la concubina Gualdrada, con aver guadagnata a questa
risoluzione sacrilega l'approvazione di _Guntario arcivescovo_ di
Colonia, e di _Teotgaudo_ arcivescovo di Treveri, e d'altri vescovi,
tutti cortigiani ed estimatori più della grazia del principe che di
quella di Dio. Ma in quasi tutta l'Italia si godeva allora buona pace,
se non che era gravemente affannata la sacra corte di Roma per gli
disordini delle chiese orientali, cagionati dall'intrusione di _Fozio_
nella cattedra di Costantinopoli, e per la suddetta scandalosa
risoluzione del re Lottario. L'infaticabil papa Niccolò avea spedito
alla corte imperiale d'Oriente _Rodoaldo vescovo_ di Porto e _Zacheria
vescovo_ d'Anagni, per sostener gli affari di _santo Ignazio patriarca_
ingiustamente deposto e carcerato. Restò tradito da essi, perchè ebbe
più forza in loro l'avidità dei regali, che la religione e la giustizia.
Tornarono in Italia questi due legati pontificii, e il papa non avendo
per anche scoperta la lor fellonia, si servì del medesimo Rodoaldo per
inviarlo in Francia insieme con _Giovanni vescovo_ di Ficocle (oggidì
Cervia), affine di esaminar la causa del re Lottario e di Teotberga, e
dei vescovi prevaricatori. Quivi ancora si lasciò vincere Rodoaldo dai
copiosi doni a lui fatti, e tradì le rette intenzioni e speranze del
papa. Mancò di vita _Gisla_ sorella dell'imperador Lodovico, badessa nel
monistero nuovo, cioè di santa Giulia di Brescia. Vedesi nel bollario
casinense[1154] un diploma d'esso Augusto, con cui concede a
quell'insigne monistero alcuni beni, affinchè si faccia ogni anno in
avvenire l'anniversario della sua deposizione, e ne goda il refettorio
delle monache. Ma forse invece di _quinto kalendas junias_, in cui si
dice passata a miglior vita quella principessa, quivi si ha da leggere
_quinto kalendas januarias_, cioè nel dì 28 di decembre dell'anno
precedente, perchè il diploma è dato _Brixia civitate pridie idus
januarii_ o _januarias_ dell'anno presente; e Lodovico asserisce seguita
la di lei morte _nobis astantibus_. Per relazione di Erchemperto[1155],
in questi ultimi tempi l'iniquissimo e scelleratissimo _Seodan_, o
_Saugdam_ (siccome ho già osservato questo nome vuol dire _soldano_), re
o sia principe dei Saraceni, signoreggiante in Bari, uscendo di tanto in
tanto colle sue squadre, andava mettendo a sacco tutte le contrade dei
ducati di Benevento e Salerno, di modo che gran parte di quel paese
restava disabitato. Per metter freno alla crudeltà di costoro, più volte
fu invitato, e andò l'esercito franzese; ma o sia che non potessero, o
che non volessero venire essi Franzesi alle mani con quella canaglia,
dopo aver fatta una inutil comparsa, se ne tornavano alle lor case senza
profitto alcun del paese. Però _Adelgiso principe_ di Benevento
s'appigliò al partito di comperar la pace da essi Barbari, con
promettere loro una pensione annua, e dar loro ostaggi per sicurezza del
pagamento.
NOTE:
[1153] Annal. Francor. Bertiniani.
[1154] Bullar. Casinens., tom. 2, Constitut. XXXIX.
[1155] Erchempert., Hist., cap. 29.
Anno di CRISTO DCCCLXIII. Indiz. XI.
NICCOLÒ papa 6.
LODOVICO II imp. 15, 14 e 9.
Fin qui poca sanità avea goduto _Carlo re della Provenza_, fratello
dell'imperador Lodovico; e giacchè non avea figliuoli, tanto il re
_Carlo Calvo_ suo zio, quanto _Lottario re_ della Lorena s'erano
precedentemente maneggiati per succedergli, caso che venisse a
morire[1156]. Arrivò appunto il fine di sua vita nell'anno presente.
_Lodovico imperadore_, che stava cogli occhi aperti, volò in Provenza, e
tirò dalla sua molti dei principali del paese. Ma eccoti sopraggiugnere
anche Lottario re della Lorena, comune loro fratello, pretendente al
pari di Lodovico a quella eredità. Si conchiuse che amendue se ne
tornassero alle lor case, per tener poscia un amichevol placito, in cui
si decidesse della lor controversia. E tal risoluzione fu eseguita.
Succedette poi fra loro una concordia, per cui la maggior parte della
Provenza toccò all'imperador Lodovico. Impiegò in questo anno i suoi
paterni uffizii _papa Niccolò_ presso del re Carlo Calvo, acciocchè
perdonasse a _Baldoino conte_, che gli avea rapita la figliuola
Giuditta, ed ottenne quanto desiderava. Gli perdonò il re, e credono
alcuni che a titolo di dote gli assegnasse il paese oggidì appellato
Fiandra; e certamente da questo Baldoino discesero gli antichi rinomati
conti di quelle contrade. Avvertito dipoi esso pontefice[1157], come un
concilio tenuto a Metz nel regno della Lorena, que' vescovi venduti alla
corte iniquamente erano proceduti nella causa della regina _Teotberga_,
ed aveano palliato l'illegittimo matrimonio del re Lottario con
Gualdrada, in un concilio romano cassò e riprovò il celebrato a Metz,
scomunicò e depose i due suddetti arcivescovi di Colonia e di Treveri,
che erano stati spediti dal concilio e dal re Lottario con isperanza di
sorprendere colle lor relazioni il saggio ed avveduto pontefice; e
cominciò a processare i legati apostolici _Rodoaldo_ e _Giovanni_,
subornati in quella congiuntura coll'oro. Se vogliam credere a
Reginone[1158], agli Annali di Metz[1159] all'Annalista sassone[1160],
che hanno le stesse parole, si trovava in questi tempi l'imperador
_Lodovico_ nel ducato di Benevento, probabilmente ito colà per le
preghiere de' popoli, troppo spesso divorati dai masnadieri saraceni. A
lui ricorsero i due deposti e scomunicati arcivescovi, cioè _Guntario_ e
_Teotgaudo_; e gran rumore fecero, perchè venuti a Roma con
salvocondotto di lui, erano stati sì maltrattati dal papa, con disonore
del re Lottario, della regal famiglia, e di altri metropolitani, senza
il consenso dei quali non si dovea procedere a sì fiera sentenza. In
somma fecero quanto fu in loro potere per accendere un fuoco, di cui
vedremo gli effetti nell'anno seguente. Ma perchè gli Annali suddetti
han fallato in qualche punto di tale affare, e massimamente nel riferire
sotto l'anno 865 quello che avvenne nel presente, perciò non si può con
tutta certezza asserire che in questi tempi l'Augusto Lodovico dimorasse
nel ducato di Benevento. Abbiamo nulladimeno nelle giunte da me
pubblicate[1161] alla Cronica del monistero casauriense uno strumento
d'acquisto di varii beni fatto da esso Augusto nell'anno presente nel dì
19 di dicembre _in villa Rufano intus caminata, quam ipse Augustus ad
cortem ipsam paraverat_. Tal villa probabilmente era in quelle parti.
NOTE:
[1156] Anastas. Biblioth., in Vit. Nicolai I.
[1157] Idem, ibidem.
[1158] Regino, in Chron.
[1159] Annal. Francor. Metens.
[1160] Annalista Saxo.
[1161] Rerum Italicarum, P. II, tom. 2.
Anno di CRISTO DCCCLXIV. Indizione XII.
NICCOLÒ papa 7.
LODOVICO II imp. 16, 15 e 10.
di Sens, che era stato uno dei maggiori traditori del re Carlo in quei
torbidi, fu accusato per questo in un concilio, ma quel furbo uomo seppe
trovar la maniera di rientrare in grazia di lui. Fu di parere Papirio
Massone, seguitato poi dal cardinal Baronio, che da questo _Guanilone_ i
romanzisti franzesi e poscia gl'italiani prendessero il nome di _Gano_,
che vien sempre rappresentato ne' romanzi per un perfido, o per un
traditore. Certamente _Gano_ si trova chiamato anche _Ganelone_ in
alcuni romanzi. Non è da sprezzare una tal coniettura, se non che Gano
nei romanzi vien fatto di schiatta _maganzese_, cioè di _Magonza_, la
quale città sempre è rappresentata per traditrice alla casa reale di
Francia, ed uomo secolare, e non già arcivescovo, e non già a' tempi di
Carlo Calvo, ma bensì a quei di Carlo Magno. L'autore ancora degli
Annali di san Bertino[1137] ci ha conservata la notizia seguente. Cioè
che riuscì all'imperador Lodovico di farsi cedere con un trattato
amichevole da _Carlo re di Provenza_ suo fratello quella porzion di
stati ch'egli godeva di qua dal monte Jura, e che abbracciava le città
di _Geneva_ ossia Ginevra, _Losanna_ e _Seduno_, oggidì Sion, capitale
de' Vallesi, coi loro vescovati, contadi e monisteri. Ritenne Carlo in
suo potere solamente lo spedale del Monte di Giove, e il contado
pipincense, nome forse corrotto, di cui non trovo chi ne parli. Dagli
stessi Annali abbiamo sotto questo anno che _Nicolaus pontifex romanus
de gratia Dei et libero arbitrio, de veritate geminae praedestinationis,
et sanguinis Christi, ut pro credentibus omnibus fusus est, fideliter
confirmat, et catholice decernit_. Non ne fa menzione il cardinal
Baronio, non ne apparisce vestigio fra le lettere di esso papa.
Bollivano allora queste spinose controversie nella Germania e Francia
tra _Gotescalco_, _Ratranno_ monaco di Corbeia, _Giovanni Scotto_,
_Incmaro_ dottissimo arcivescovo di Rems, ed altri. È da dolersi che non
restino tali scritti di questo dotto ed insigne pontefice. Intanto piena
era di calamità la Francia per le incessanti rapine e stragi che vi
commettevano i Normanni. Nè contenti que' barbari corsari di far provare
la lor crudeltà alle città confinanti all'Oceano, passarono anche di qua
dallo Stretto, e salendo su pel Rodano, vi saccheggiarono varie città,
che punto non s'aspettavano una sì fatta visita; e senza volersi
ritirare dal Mediterraneo svernarono dipoi alla sboccatura di quel
fiume. Poco o nulla attendevano allora l'imperadore e i re della
schiatta franzese ad aver forze in mare; ed in Francia e Germania, in
vece di darsi vicendevole aiuto contra di quei cani, ad altro non
pensavano che ad ingrandirsi colle spoglie de' fratelli o nipoti.
Sarebbe da desiderare che fosse più chiaro il testo di Erchemperto[1138]
là dove racconta (sotto il presente anno, secondo i conti di Camillo
Pellegrino, ma forse più tardi), che terminata la nuova città di Capua,
venne ad assediarla _Guido jam dictus cum universis Tuscis_; e diedele
grandi affanni, perchè il popolo non voleva ubbidire, per quanto sembra,
a _Landone conte,_ suo singolare amico, a cagione delle iniquità che
commetteano i due suoi fratelli _Landolfo vescovo e Landonolfo_. Ma in
fine furono costretti a piegare il collo sotto il giogo. Sora ed altre
terre circonvicine, tolte a Landonolfo, in vigore dei patti furono
consegnate a Guido: del che Landonolfo concepì tanta afflizione d'animo,
che da lì a poco mori. Non s'intende bene come passasse questo affare.
Cosimo della Rena[1139] per le suddette parole di Erchemperto venne in
sospetto che Guido in questi tempi duca di Spoleti fosse anche marchese
della Toscana. Ma non merita questa propria locuzione che se ne faccia
caso. Sappiamo che altri scrittori riputarono il ducato di Spoleti,
ossia l'Umbria, parte della Toscana. Ed è poi chiaro che _Adalberto I_
era allora duca e marchese d'essa Toscana, trovandosi egli nelle carte
degli anni antecedenti e de' susseguenti in possesso di quel governo. Vo
io nondimeno dubitando che questo assedio di Capua succedesse in uno
degli anni susseguenti.
NOTE:
[1136] Annal. Francor. Fuldenses.
[1137] Annales. Francor. Bertiniani.
[1138] Erchempertus, His., cap. 25.
[1139] Rena, Serie de' Duchi di Toscana.
Anno di CRISTO DCCCLX. Indizione VIII.
NICCOLÒ papa 5.
LODOVICO II imp. 12, 11 e 6.
Da un bel placito ch'io diedi alla luce[1140], tratto dalle memorie del
monistero casauriense, vegniamo in conoscenza che l'imperador Lodovico
per la _Romania_ (oggidì Romagna) era venuto nel ducato di Spoleti _pro
justitiarum commoditate, et malignorum astutia deprimenda_: al che egli
giornalmente faceva attendere i suoi ministri. Giunto poi _intra fines
Haesinos, et Camertulos_, cioè fra _Jesi_ e _Camerino_, quivi ordinò che
alzassero tribunale _Vibodo_ vescovo di Parma (il quale troppo tardi
vien supposto dall'Ughelli[1141] succeduto nella cattedra parmigiana a
_Rodoaldo_, cioè a chi non fu mai vescovo di Parma) e _Adalberto
contestabile_ e _Vepoldo conte del palazzo_ ed _Eccideo coppier
maggiore_, con altri. Venne citato alla lor presenza _Ildeberto conte,
ad oppressiones, quas fecerat, emandandas_. Aveva un certo Adalberto
ceduto all'imperadore tutti i suoi beni posti _in finibus Italiae,
Tusciae, Spoleti et Romaniae_; ma con riceverli poi di nuovo da lui a
livello, sua vita natural durante. Quindi gli avea o donati o conceduti
al suddetto _Ildeberto conte_, senza permission dell'imperadore; e però
fu giudicato che quei beni tornassero in potere e dominio d'esso
Augusto. Forse fu questo Ildeberto conte di Marsi. Tuttavia ho io
sospettato altrove che egli possa essere stato duca di _Camerino_,
perchè conti erano spesse volte appellati anche i duchi e marchesi. Un
suo placito tenuto in Marsi[1142] nell'anno 850, si dice scritto _anno
comitatus ejus VII_. E potrebbe essere che conte o duca ei fosse in
compagnia di _Guido_, da noi veduto di sopra; perciocchè quel ducato
soleva essere governato da due duchi, non so se in solido, oppure
dall'uno di qua dall'Apennino e dall'altro di là, veggendosi da qui
avanti due ducati di _Spoleti_ e di _Camerino_. Ma non ci somministra la
storia bastanti lumi per ben decidere questo punto. Sotto quest'anno
s'ha dagli Annali di s. Bertino[1143] che _l'imperador Lodovico suorum
factione impetitur, et ipse contra eos ac contra Beneventanos rapinis
atque incendiis desaevit_. Noi restiam qui al buio, perchè di questo
fatto niuna spiegazione, anzi neppur memoria ci han lasciato i pochi
scrittori d'Italia, de' quali si son salvate le storie. Forse nel ducato
di Spoleti s'era suscitata qualche ribellione, e a questo fine colà si
portò l'imperador suddetto. Ma del male fatto ai Beneventani in questi
tempi niun'altra testimonianza ci resta che questa. Seguita poi a dire
il suddetto storico bertiniano che i Danesi, cioè i Normanni, che aveano
passato il verno alla foce del Rodano, alla prima stagione vennero per
l'Arno a Pisa, e quella città con altre presero, misero a sacco e
devastarono. Se questo è vero, ben poca cura doveano allora avere gli
Italiani di ritener ben fortificate e guernite di buone mura le loro
città: che non volavano già, come gli uccelli per aria, quei Barbari; e
le mura d'una città bastavano, massimamente in que' tempi, a fermar
l'empito d'ogni più poderoso esercito. Sappiamo ancora dagli Annali di
Fulda[1144] che il verno di quest'anno fu sì fiero che _Mare Jonium
glaciali rigore ita constrictum est, ut mercatores, qui nunquam antea
nisi vecti navigio, tunc in equis quoque et arpentis mercimonia ferentes
Venetiam frequentarent_. Qui si parla della città italica di Venezia, la
cui laguna anche nel rigoroso verno del 1709 talmente aggiacciata si
vide, che su pel ghiaccio dalle carrette e dai cavalli convenne portarvi
le mercatanzie e le provvisioni del vitto.
Aggiungono gli Annali di Metz[1145], che il suddetto imperador Lodovico
in questo anno _plurima bella strenuissime gessit adversus Sclavorum
gentem_. È ben da compiagnere la storia d'Italia, che ci lascia per
tanto tempo digiuni de' fatti ed avvenimenti d'allora, con restarne solo
un qualche barlume presso gli storici oltramontani; se non che Andrea,
prete italiano e scrittore di questo secolo, nella sua storia
breve[1146] attesta anch'egli essere stata, _domni Hludovici imperatoris
anno X, Indictione octava_, cioè nell'anno presente, tanta la neve
caduta, e sì fuor di misura il freddo, che perì gran copia di seminato,
e si seccarono le viti alla pianura, e gelò nelle botti il vino. Dopo di
che, un cerio _Uberto_, dimentico dei tanti benefizii a lui fatti
dall'imperador Lodovico, e dei giuramenti a lui prestati, unitosi coi
Borgognoni, se gli ribellò. Spedì Lodovico contra di lui _Conrado_ colle
sue milizie, e bisognò venire ad un fatto d'armi, in cui restò ucciso il
suddetto Uberto, colla perdita ancora di molti dalla parte
dell'imperadore. Ci fa poi sapere la storia ecclesiastica che cominciò a
bollir forte la controversia della deposizione di _santo Ignazio_
patriarca di Costantinopoli, e dell'intrusione di _Fozio_, per cui il
vigilantissimo ed intrepido papa _Niccolò_ non perdonò a diligenza,
uffizii, preghiere e minacce, affin di medicar quella piaga. Spedì egli
in quest'anno a Costantinopoli i suoi legati, perchè s'informassero ben
di quegli affari. Fece anche istanza all'imperador _Michele_, perchè
restituisse alla Chiesa romana i _patrimonii di Calabria e Sicilia_. Non
men di rumore faceva allora la persecuzion di _Lottario re_ di Lorena
contra della regina _Teotberga_ sua moglie, che nell'anno presente fu
imputata di varii finti delitti; e quantunque ella si difendesse col
giudizio dell'acqua bollente, qual rea fu cacciata dall'impudico marito
in un monistero. Ma ella se ne fuggì di colà, e si ridusse in casa di
Uberto suo fratello nel regno di Carlo Calvo. Ora paventando Lottario
che Carlo non si movesse contra di lui, comperò la lega ed assistenza
del re della Germania _Lodovico_ suo zio, con cedergli tutta l'Alsazia.
In questo anno ancora (se pur fece bene i conti Camillo Pellegrino)
Erchemperto racconta[1147] che _Landone conte_, ossia principe di Capua,
colto da una grave paralisia, fu confinato in un letto. _Sergio_ duca di
Napoli, ciò inteso, senza mettersi pensiero delle convenzioni già
seguite fra lui e i Capuani, assistito da un rinforzo datogli da
_Ademario principe_ di Salerno, mosse guerra al giovane _Landone_, che
in difetto del padre aveva assunto il governo. Nè avendo rispetto alcuno
alla festa di san Michele, celebrata con solennità dai Capuani, anzi da
tutti i Longobardi, nel dì 8 di maggio, siccome tenuto per protettore da
tutta quella nazione; e senza ricordarsi che in quello stesso giorno
anticamente i Beneventani aveano data una gran rotta ai Napoletani,
mandò i suoi due figliuoli, cioè _Gregorio_ maestro de' militi, e
_Cesario_, coll'esercito di Napoli e di Amalfi all'assedio di Capua. Ma
allorchè giunsero al ponte di Teodemondo, il giovanetto Landone coi
Capuani, a guisa di un lione, sì bravamente gli assalì, che
sbaragliolli, e fece prigioni ottocento di essi col suddetto Cesario.
NOTE:
[1140] Rer. Italic, P. II, tom. 2, pag. 928.
[1141] Ughell., Ital. Sacr., in Episcop. Parmensib.
[1142] Antiquit. Ital., Dissert. VI.
[1143] Annal. Francor. Bertiniani.
[1144] Annal. Francor. Fuldenses.
[1145] Annal. Franc. Metenses.
[1146] Andreas Presbyt., Chron., tom. 1 Rer. Germ. Menckenii.
[1147] Erchempertus, Hist., cap. 27.
Anno di CRISTO DCCCLXI. Indizione IX.
NICCOLÒ papa 4.
LODOVICO II imp. 13, 12 e 7.
Reggeva in questi tempi la chiesa di Ravenna _Giovanni_ arcivescovo,
uomo, in cui non si sa se maggior fosse l'ambizione o pur l'interesse.
Portaronsi a Roma varii cittadini ravennati a farne doglianza al sommo
pontefice, e ad implorare rimedio alle continue ed intollerabili
vessazioni che da lui ricevevano. Anastasio bibliotecario[1148] ne tesse
il catalogo, con dire che questo arcivescovo scomunicava la gente a suo
capriccio. Non permetteva ai vescovi della sua diocesi e ad altri di
andare a Roma. Aveva occupato non pochi beni della Chiesa romana e di
varii particolari. Sprezzava i messi della Sede apostolica, stracciava
gli strumenti degli affitti o livelli della Chiesa romana, e gli
appropriava a quella di Ravenna. Quei preti e diaconi che non solo in
Ravenna, ma in altre città dell'Emilia erano immediatamente sottoposti
alla santa Sede, li deponeva senza giudizio canonico, e li faceva
mettere in prigione, o in fetenti ergastoli; senza sapersi ben capire
come, se comandavano in quella città gli uffiziali del papa, si
potessero dall'arcivescovo commettere tante oppressioni, e tener birri e
prigioni. Fu pertanto esso arcivescovo più volte ammonito con lettere e
messi dal papa a desistere da sì fatte violenze e novità; ma egli faceva
il sordo. Citato a comparire in Roma al concilio, si vantava di non
essere tenuto ad andarvi. In fine fu scomunicato nel concilio romano. Ci
è stata conservata parte d'un concilio tenuto appunto in Roma per questo
affare in un antichissimo codice della cattedrale di Modena; e questa fu
poi pubblicata dal padre Bacchini nelle giunte ad Agnello[1149]. Dicesi
quivi celebrato esso concilio, _pontificatus domni Nicolai summi
pontificis, et universalis papae anno IIII imperii piissimi augusti
Lodovici anno XI, die octavodecimo mensis novembris, Indictione decima_:
note che non so se sieno corrette, o se riguardino l'anno presente. Ivi
l'epoca dell'imperadore è presa dalla sua coronazione dall'anno 850.
Ascoltiamo ora di nuovo il suddetto Anastasio. Racconta egli che
quell'arcivescovo, udito ch'ebbe l'anatema contro di lui fulminato,
corse ad implorar l'aiuto dell'imperador Lodovico, e da lui ottenne due
legati che per lui parlassero al papa. Con questi se ne andò egli a Roma
pien d'alterigia, persuadendosi di far col loro braccio tremare il papa.
Ma il papa, perchè assistito dalla ragione, si trovò più forte d'una
torre. Con buon garbo il santo padre fece dei rimproveri ai legati,
perchè comunicassero con uno scomunicato, e da lui altro non poterono
essi capire, se non che Giovanni si presentasse al concilio che si dovea
tenere in Roma nel primo dì di novembre, per dar le dovute soddisfazioni
dei suoi eccessi. Senza volerne far altro, egli se ne tornò indietro.
Allora i senatori di Ravenna, ed altra gente dell'Emilia, gittatisi ai
piedi del pontefice, lo scongiurarono di venire in persona a Ravenna per
dar sesto a tanti disordini. V'andò egli infatti, e restituì il suo ad
ognuno, e tornossene di poi a Roma.
Intanto l'arcivescovo ricorse di bel nuovo a Pavia per ottenere il
patrocinio dell'imperadore. Ma quivi trovò che il vescovo della città
_Liutardo_ e i cittadini non volevano commercio con lui, neppure lo
stesso Augusto, che solamente gli fece dire che, deposta la sua
alterigia, si umiliasse al papa, a cui gli stessi imperadori e tutta la
Chiesa prestano sommessione ed ubbidienza, altrimenti non intendeva
assisterlo, nè di favorirlo. Tanto nondimeno si adoperò, che ottenne di
essere accompagnato a Roma da due ambasciatori dell'imperadore; ma
questi giunti colà, si accorsero di non aver parole bastevoli a muovere
la fermezza dello zelantissimo papa. Perciò l'arcivescovo si gittò alla
misericordia, promise quanto gli fu prescritto, e fu assoluto. Nel dì
seguente avendo i vescovi suoi suffraganei dato un libello contra di
lui, fu risoluto: ch'egli non potesse consecrar vescovo alcuno, se non
precedeva l'elezione fattane dal _duca_, cioè dal governatore della
città, dal _clero_ e _popolo_. Che non impedisse ai vescovi l'andata a
Roma. Che non esigesse da loro alcuna sorta di danaro o di doni. Che si
levasse via l'uso cattivo della trentesima. Questa probabilmente erano
costretti i vescovi di pagarla agli arcivescovi di Ravenna delle rendite
delle lor chiese. Soleva Giovanni ogni due anni far la visita dei
vescovati a lui sottoposti, e tanto si fermava colla sua corte addosso
ai vescovi, che divorava tutte le lor rendite. Gli obbligava ancora
(aggravio non praticato in alcuna altra parte del mondo) a contribuire
ogni anno alla mensa archiepiscopale, all'arciprete, all'arcidiacono, e
ad altre dignità della chiesa di Ravenna, un determinato numero di
castrati, di oblate, cioè dell'ostie, del vino, dei polli e dell'uva.
Gli astringeva a dimorare or l'uno, ora l'altro in Ravenna, un mese sì e
un mese no, per farsi servir da loro. A suo capriccio ancora toglieva
loro quei cherici che sarebbero stati più utili alle loro chiese. Questi
ed altri abusi, ch'io tralascio, abolì il saggio papa; e dal concilio
suddetto apparisce che fu posto fine alle avanie di questo tiranno
arcivescovo, con essere intervenuti settantadue vescovi a quella sacra
raunanza. Abbiamo da Erchemperto[1150] che in quest'anno (per quanto
crede Camillo Pellegrino) il vecchio _Landone conte_ di Capua, cedendo
alla contratta paralisia, si sbrigò dai guai del mondo presente. Pria
nondimeno di morire, caldamente raccomandò il giovinetto suo figliuolo
_Landone_ a _Landolfo vescovo_ di quella città, e a _Pandone_ suoi
fratelli e zii del giovane, senza prevedere che raccomandava l'agnello
ai lupi. Era Landolfo uomo dimentico affatto del sacro suo carattere, e
tutto dato alle cabale secolaresche. Quand'anche era in vita il suddetto
Landone seniore (credesi in questo medesimo anno), egli segretamente
istigò _Guaiferio_, figliuolo di Danferio Balbo, a formare una congiura
contra di _Ademario_ principe di Salerno. Poco ben voleva ad esso
Ademario il popolo, per testimonianza dell'Anonimo salernitano[1151], a
cagion dell'avarizia non men sua che di _Guimeltruda_ sua moglie, donna
che ad altro non attendeva se non ad accumular denari. Preso egli
adunque dai congiurati, fu cacciato in una scura prigione, e il suddetto
Guaiferio costituito principe di Salerno. Era stato eletto vescovo
d'essa città di Salerno _Pietro_ figliuolo del medesimo Ademario.
Questi, udita la rovina del padre, se ne fuggì a Sant'Angelo; e
spontaneamente poi datosi al nuovo principe, fu condotto a Salerno, nè
si sa cosa ne divenisse. Ora _Landolfo vescovo di Capua_, quantunque
avesse giurata sopra tutte le cose più sacre fedeltà a Guaiferio, come a
suo principe, pure stette poco ad alienarsi da lui e a fargli guerra.
Barbaramente ancora cacciò di Capua Landone gli altri suoi nipoti, che
si misero sotto la protezion di Guaiferio. Dopo di che usurpò il dominio
di quella città, e vi restò solo signore, perchè suo fratello Pandone
lasciò la vita in un combattimento contra de' Salernitani. In quest'anno
ancora dai diplomi rapportati dal Margarino[1152] impariamo che _Gisla_
figliuola dell'_imperador Lodovico_ era in educazione nel monistero
appellato nuovo, ed ora di santa Giulia di Brescia; e che l'Augusto suo
padre, secondo gli abusi di que' tempi, che tuttavia durano in qualche
paese della Cristianità, le conferì quel sacro luogo da signoreggiare,
usufruttare e governare per tutta la sua vita, secondo la regola di san
Benedetto. Il diploma è dato in Brescia. Con un altro diploma, dato in
Marengo confermò esso imperadore tutti i privilegii e beni del monistero
di san Colombano di Bobbio ad _Amalarico vescovo_ di Como, chiamato ivi
_abbas monasterii bobiensis_; giacchè, siccome fu avvertito di sopra,
s'era già introdotta la biasimevol usanza di conferir le badie ai
vescovi, e talvolta fino ai secolari, i quali, lasciata una parte delle
rendite pel magro sostentamento de' monaci, si divoravano, senza
mettersi scrupolo, il resto.
NOTE:
[1148] Anastas., in Vit. Nicolai I.
[1149] Agnell., Vit. Episc. Ravenn., P. I, tom. 2 Rer. Italic.
[1150] Erchempertus, Hist., cap. 26.
[1151] Anonymus Salernitan., Paralipom., P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[1152] Bull. Casin., tom. 2, Const. XXXVII et XXXVIII.
Anno di CRISTO DCCCLXII. Indizione X.
NICCOLÒ papa 5.
LODOVICO II imp. 14, 13 e 8.
Era in questi tempi tutta sconvolta la Francia e la Germania, parte per
le interne discordie, parte per le continue scorrerie e crudeltà dei
Normanni. _Lodovico_ figliuolo del re _Carlo Calvo_ si rivoltò contra
del padre. Altrettanto fece in Germania _Carlomanno_ contra del re
_Lodovico_ suo padre. Nella porzione della Pannonia suggetta ad esso re
Lodovico, per attestato degli Annali bertiniani[1153], si cominciò a
provar la fierezza di una nazione dianzi incognita (_Ungri_ erano
costoro appellati), che saccheggiò il paese. Di razza tartarica erano
questi Barbari, e pur troppo ne avremo a favellare andando innanzi,
perchè li vedremo portar la desolazione anche alle contrade d'Italia. Ma
gli autori parlano moltissimi anni dopo di così barbara gente, talchè si
può quasi mettere in dubbio l'asserzione d'essi Annali. Avvenne ancora
che _Baldoino_, il quale era o fu dipoi conte di Fiandra, sedusse
_Giuditta_ figliuola del re Carlo Calvo, e nascostamente condottala via,
la prese per moglie con gran risentimento del di lei padre. _Carlo re_
d'Aquitania, altro figliuolo d'esso Calvo, anche egli fu in discordia
col padre, per aver presa moglie senza saputa e licenza di lui. E
_Lottario_ re di Lorena, cedendo agli assalti della sfrenata sua
concupiscenza, in quest'anno ripudiò con grave scandalo del
Cristianesimo la legittima sua moglie _Teotberga regina_, e
pubblicamente sposò la concubina Gualdrada, con aver guadagnata a questa
risoluzione sacrilega l'approvazione di _Guntario arcivescovo_ di
Colonia, e di _Teotgaudo_ arcivescovo di Treveri, e d'altri vescovi,
tutti cortigiani ed estimatori più della grazia del principe che di
quella di Dio. Ma in quasi tutta l'Italia si godeva allora buona pace,
se non che era gravemente affannata la sacra corte di Roma per gli
disordini delle chiese orientali, cagionati dall'intrusione di _Fozio_
nella cattedra di Costantinopoli, e per la suddetta scandalosa
risoluzione del re Lottario. L'infaticabil papa Niccolò avea spedito
alla corte imperiale d'Oriente _Rodoaldo vescovo_ di Porto e _Zacheria
vescovo_ d'Anagni, per sostener gli affari di _santo Ignazio patriarca_
ingiustamente deposto e carcerato. Restò tradito da essi, perchè ebbe
più forza in loro l'avidità dei regali, che la religione e la giustizia.
Tornarono in Italia questi due legati pontificii, e il papa non avendo
per anche scoperta la lor fellonia, si servì del medesimo Rodoaldo per
inviarlo in Francia insieme con _Giovanni vescovo_ di Ficocle (oggidì
Cervia), affine di esaminar la causa del re Lottario e di Teotberga, e
dei vescovi prevaricatori. Quivi ancora si lasciò vincere Rodoaldo dai
copiosi doni a lui fatti, e tradì le rette intenzioni e speranze del
papa. Mancò di vita _Gisla_ sorella dell'imperador Lodovico, badessa nel
monistero nuovo, cioè di santa Giulia di Brescia. Vedesi nel bollario
casinense[1154] un diploma d'esso Augusto, con cui concede a
quell'insigne monistero alcuni beni, affinchè si faccia ogni anno in
avvenire l'anniversario della sua deposizione, e ne goda il refettorio
delle monache. Ma forse invece di _quinto kalendas junias_, in cui si
dice passata a miglior vita quella principessa, quivi si ha da leggere
_quinto kalendas januarias_, cioè nel dì 28 di decembre dell'anno
precedente, perchè il diploma è dato _Brixia civitate pridie idus
januarii_ o _januarias_ dell'anno presente; e Lodovico asserisce seguita
la di lei morte _nobis astantibus_. Per relazione di Erchemperto[1155],
in questi ultimi tempi l'iniquissimo e scelleratissimo _Seodan_, o
_Saugdam_ (siccome ho già osservato questo nome vuol dire _soldano_), re
o sia principe dei Saraceni, signoreggiante in Bari, uscendo di tanto in
tanto colle sue squadre, andava mettendo a sacco tutte le contrade dei
ducati di Benevento e Salerno, di modo che gran parte di quel paese
restava disabitato. Per metter freno alla crudeltà di costoro, più volte
fu invitato, e andò l'esercito franzese; ma o sia che non potessero, o
che non volessero venire essi Franzesi alle mani con quella canaglia,
dopo aver fatta una inutil comparsa, se ne tornavano alle lor case senza
profitto alcun del paese. Però _Adelgiso principe_ di Benevento
s'appigliò al partito di comperar la pace da essi Barbari, con
promettere loro una pensione annua, e dar loro ostaggi per sicurezza del
pagamento.
NOTE:
[1153] Annal. Francor. Bertiniani.
[1154] Bullar. Casinens., tom. 2, Constitut. XXXIX.
[1155] Erchempert., Hist., cap. 29.
Anno di CRISTO DCCCLXIII. Indiz. XI.
NICCOLÒ papa 6.
LODOVICO II imp. 15, 14 e 9.
Fin qui poca sanità avea goduto _Carlo re della Provenza_, fratello
dell'imperador Lodovico; e giacchè non avea figliuoli, tanto il re
_Carlo Calvo_ suo zio, quanto _Lottario re_ della Lorena s'erano
precedentemente maneggiati per succedergli, caso che venisse a
morire[1156]. Arrivò appunto il fine di sua vita nell'anno presente.
_Lodovico imperadore_, che stava cogli occhi aperti, volò in Provenza, e
tirò dalla sua molti dei principali del paese. Ma eccoti sopraggiugnere
anche Lottario re della Lorena, comune loro fratello, pretendente al
pari di Lodovico a quella eredità. Si conchiuse che amendue se ne
tornassero alle lor case, per tener poscia un amichevol placito, in cui
si decidesse della lor controversia. E tal risoluzione fu eseguita.
Succedette poi fra loro una concordia, per cui la maggior parte della
Provenza toccò all'imperador Lodovico. Impiegò in questo anno i suoi
paterni uffizii _papa Niccolò_ presso del re Carlo Calvo, acciocchè
perdonasse a _Baldoino conte_, che gli avea rapita la figliuola
Giuditta, ed ottenne quanto desiderava. Gli perdonò il re, e credono
alcuni che a titolo di dote gli assegnasse il paese oggidì appellato
Fiandra; e certamente da questo Baldoino discesero gli antichi rinomati
conti di quelle contrade. Avvertito dipoi esso pontefice[1157], come un
concilio tenuto a Metz nel regno della Lorena, que' vescovi venduti alla
corte iniquamente erano proceduti nella causa della regina _Teotberga_,
ed aveano palliato l'illegittimo matrimonio del re Lottario con
Gualdrada, in un concilio romano cassò e riprovò il celebrato a Metz,
scomunicò e depose i due suddetti arcivescovi di Colonia e di Treveri,
che erano stati spediti dal concilio e dal re Lottario con isperanza di
sorprendere colle lor relazioni il saggio ed avveduto pontefice; e
cominciò a processare i legati apostolici _Rodoaldo_ e _Giovanni_,
subornati in quella congiuntura coll'oro. Se vogliam credere a
Reginone[1158], agli Annali di Metz[1159] all'Annalista sassone[1160],
che hanno le stesse parole, si trovava in questi tempi l'imperador
_Lodovico_ nel ducato di Benevento, probabilmente ito colà per le
preghiere de' popoli, troppo spesso divorati dai masnadieri saraceni. A
lui ricorsero i due deposti e scomunicati arcivescovi, cioè _Guntario_ e
_Teotgaudo_; e gran rumore fecero, perchè venuti a Roma con
salvocondotto di lui, erano stati sì maltrattati dal papa, con disonore
del re Lottario, della regal famiglia, e di altri metropolitani, senza
il consenso dei quali non si dovea procedere a sì fiera sentenza. In
somma fecero quanto fu in loro potere per accendere un fuoco, di cui
vedremo gli effetti nell'anno seguente. Ma perchè gli Annali suddetti
han fallato in qualche punto di tale affare, e massimamente nel riferire
sotto l'anno 865 quello che avvenne nel presente, perciò non si può con
tutta certezza asserire che in questi tempi l'Augusto Lodovico dimorasse
nel ducato di Benevento. Abbiamo nulladimeno nelle giunte da me
pubblicate[1161] alla Cronica del monistero casauriense uno strumento
d'acquisto di varii beni fatto da esso Augusto nell'anno presente nel dì
19 di dicembre _in villa Rufano intus caminata, quam ipse Augustus ad
cortem ipsam paraverat_. Tal villa probabilmente era in quelle parti.
NOTE:
[1156] Anastas. Biblioth., in Vit. Nicolai I.
[1157] Idem, ibidem.
[1158] Regino, in Chron.
[1159] Annal. Francor. Metens.
[1160] Annalista Saxo.
[1161] Rerum Italicarum, P. II, tom. 2.
Anno di CRISTO DCCCLXIV. Indizione XII.
NICCOLÒ papa 7.
LODOVICO II imp. 16, 15 e 10.
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