Annali d'Italia, vol. 3 - 42

Questi favorevoli avvenimenti servirono a gonfiar maggiormente l'animo
di _Lottario Augusto_, e tanto più perchè la sua armata andava di dì in
dì crescendo; il duca e i popoli della Bretagna si dichiararono in suo
favore, _Pippino II_ pretendente il regno d'Aquitania, benchè più di una
volta messo in fuga dal _re Carlo_, valorosamente sosteneva la guerra, e
se l'intendeva con esso imperador Lottario. Contuttociò Carlo animato
dai suoi fedeli, con quelle milizie che potè aver dalla sua, venne a
postarsi ad Orleans, nel mentre che Lottario meditava di avanzarsi alla
volta del fiume Loire. Bastò questo a fermare i passi di Lottario,
ancorchè troppo superiore di forze. Andarono innanzi e indietro de'
mediatori per trattar qualche accordo, e si conchiuse per allora una
tregua, consentendo Lottario di lasciare a Carlo l'_Aquitania_, la
_Settimania_, la _Provenza_, e dieci _contadi_ tra la Senna e la Loire,
a condizione che nell'anno susseguente si terrebbe una dieta in Attigny,
dove si stabilirebbe una piena pace e concordia. Fu accettato dai baroni
del re Carlo questo per altro disgustoso ripiego, per salvare il lor
principe in sì grave pericolo di perdere tutto. Sicchè, per attestato
degli antichi Annali de' Franchi[997], Lottario sul fine del corrente
anno restò padrone della Francia orientale, di Parigi, della Alamagna,
Sassonia e Turingia, e fu riconosciuto per signore anche dai popoli
della Borgogna, o almeno da una parte di essi. Per attestato del
Dandolo, _Pietro_ doge di Venezia spedì Patricio suo inviato
all'imperadore Lottario, ed ottenne per cinque anni la conferma de'
patti già stabiliti fra il suo popolo e i vicini sudditi dell'imperio,
fra' quali erano i _Comacchiesi_, _Ravegnani_ ed altri; e fece
distinguere i confini del suo ducato nelle terre del regno d'Italia,
secondo l'accordo, già fatto fra Paoluccio doge e Marcello maestro de'
militi de' Veneziani. Parimente _Sicardo abbate_ di Farfa ottenne da
esso imperadore un riguardevole privilegio rapportato nella Cronica di
quel monistero[998] colla seguente data: _XVIII kalend. januarii, anno,
Christo propitio, imperii, domni Lotharii pii imperatoris in Italia XXI,
in Francia I, Indictione III. Actum Caliniaco, villa comitatus
cabillonensis._ Di qui abbiamo dove dimorasse Lottario verso il fine
dell'anno. Vedemmo nell'anno addietro, dopo _Sicardo_, creato principe
di Benevento _Radelgiso_: tempo è ora di raccontare ciò che appresso ne
avvenne. Abbiamo dall'Anonimo salernitano[999] che gli Amalfitani, già
passati ad abitare in Salerno, udita che ebbero la morte di esso
Sicardo, fatta insieme una congiura, mentre nel mese di agosto i
principali di Salerno villeggiavano pe' loro poderi, diedero il sacco a
varie chiese e case di Salerno, e poi tutti carichi di bottino tornarono
ad abitare la desolata lor patria di Amalfi. Intanto il nuovo principe
Radelgiso, non fidandosi di _Dauferio_ soprannominato _muto_, o pure,
come scrive Erchemperto[1000], _balbo_ dall'impedimento della lingua,
perchè suocero dell'ucciso principe Sicardo, il mandò in esilio co' suoi
figliuoli, appellati Guaiferio e Maione. Erchemperto dice ch'erano
quattro, cioè Romoaldo, Arigiso, Grimoaldo e Guaiferio; e pare, secondo
lui, che mal animati contra del nuovo principe, spontaneamente si
ritirassero da Benevento per fare delle novità. O sia che questi
andassero ad abitare nel contado di Nocera, e di là segretamente
scrivessero ai Salernitani; o pure che passati a Salerno, a dirittura
trattassero con quel popolo: la verità è che ordirono coi Salernitani un
trattato di cavar dalle carceri di Taranto _Siconolfo_ fratello dello
estinto Sicardo. Tirarono i Salernitani dalla sua anche gli Amalfitani,
e scelti dell'uno e dell'altro popolo i più scaltri, gl'inviarono a
Taranto. Finsero costoro di essere mercatanti, seco portando varie merci
da vendere; e girando per le strade di quella città, ch'era allora
ricchissima, perchè non per anche presa dai Saraceni, quando furono in
vicinanza delle carceri, cominciarono ad alta voce a dimandare chi
volesse dar loro alloggio per la notte: segno che in quei tempi erano
poco in uso le osterie pubbliche, come ai dì nostri, e per questo si
mettevano dappertutto spedali per gli pellegrini. Gl'invitarono i
carcerieri nella loro abitazione, nè altro che questo bramava l'astuta
brigata. Fatta comperare buona quantità di vin generoso e varii cibi,
ubbriacarono i carcerieri, e dopo averli veduti immersi nel sonno,
trovarono la maniera di entrar nella prigione e di trarne _Siconolfo_.
Secondo Erchemperto, questi per qualche tempo si tenne ascoso presso di
_Orso conte di Consa_, che era suo cognato; poi quando se la vide bella,
passò a Salerno, dove da quel popolo e da quei d'Amalfi fu proclamato
per loro principe. Accadde ne' medesimi tempi, cioè, a mio credere,
nell'anno precedente, che _Radelgiso principe_ regnante di Benevento,
avendo conceputo dei sospetti contro di Adelgiso figliuolo di Roffredo,
e veggendolo venire a palazzo accompagnato da una schiera di molti
giovani, montò in collera, e ordinò alle sue guardie di gittarlo giù
dalle finestre. Lo ordine fu eseguito. _Landolfo conte di Capua_,
segreto fautore di Adelgiso, trovandosi presente a questo spettacolo,
finse di essere sorpreso da un dolore, e licenziatosi dal principe, se
n'andò via mostrando gran difficoltà di reggersi in piedi. Montato poi a
cavallo con quanta diligenza potè se ne tornò a Capua, e ribellatosi si
fortificò nella città di Sicopoli, e fece stretta lega con _Siconolfo_,
il quale seppe ancora unire al suo partito i conti di Consa e di
Aggerenza, ed altri signori. Stabilì eziandio Landolfo pace e lega coi
Napoletani, che non si fecero pregare per vendetta dei principi di
Benevento, dai quali aveano ricevuto tante molestie e danni. E questo fu
il principio della decadenza dell'insigne ducato beneventano, perchè in
tale occasione venne poi esso a dividersi in tre diverse signorie, cioè
nei principi di Benevento, in quei di Salerno e ne' conti di Capua. Nè
si dee tacere che, per attestato di Erchemperto, prima ancora che
Siconolfo entrasse a comandare in Salerno, quel popolo dovea aver mossa
ribellione contra di Radelgiso, ad istigazione probabilmente di Dauferio
e de' suoi figliuoli. Perciocchè avendo Radelgiso spedito un certo
Adelmario, o Ademario, a Salerno, per guadagnare e ricondurre esso
Dauferio alla sua ubbidienza, non solamente nulla fece di questo, ma
segretamente unitosi con Dauferio e coi Salernitani, manipolò una
solenne burla allo stesso Radelgiso: cioè lo invitò a venir sotto
Salerno, facendogli credere di aver disposte le cose in maniera, che gli
sarebbe facile il prendere la città. V'andò Radelgiso con un picciolo
esercito, e si attendò fuori di Salerno; ma eccoti all'improvviso uscir
di Salerno il medesimo Adelmario coi figliuoli di Dauferio e col popolo,
e così fieramente dar addosso ai Beneventani, che ne uccisero molti, e
gli altri ebbero bisogno delle gambe. Radelgiso stesso ebbe per grazia
di potersi salvar colla fuga, avendo lasciato un ricco bottino ai
Salernitani, alle porte de' quali non gli venne più voglia di andar a
picchiare. Forse questo fatto non appartiene all'anno presente.
NOTE:
[994] Astronomus, in Vit. Ludovici Pii.
[995] Annales Francor., Fuldenses., Metens. Bertiniani, etc.
[996] Nithardus, Hist. lib. 1.
[997] Annales Francor. Metenses., Fuldenses, etc.
[998] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[999] Anonym. Salernitan., Paralipomen., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[1000] Erchempertus, c. 14, P. I, tom. 2 Rer. Ital.


Anno di CRISTO DCCCXLI. Indiz. IV.
GREGORIO IV papa 15.
LOTTARIO imper. 22, 19 e 2.

Venuta la primavera, Lottario _Augusto_ passò colle sue forze a
Vormazia, perchè sentiva essere in armi il fratello _Lodovico re_[1001];
e passato il Reno, l'incalzò talmente che il fece ritirar nella Baviera.
Intanto il _re Carlo_ colle brusche avea tirato nel suo partito
_Bernardo_, già rimesso in possesso della Settimania, e colle buone
s'era cattivato l'amore e la assistenza de' popoli dell'Aquitania; nè
gli mancava nella Neustria e nella Borgogna gran copia di fedeli ed
aderenti. Raunata perciò una non isprezzabile armata, coraggiosamente,
s'inoltrò fino alla Senna e, non ostante la opposizione delle
soldatesche quivi lasciate da Lottario per difendere que' passi, gli
riuscì di valicarla, e d'inoltrarsi fino alla città di Troyes. Portato
questo avviso a Lottario, fu cagione, ch'egli, lasciato stare Lodovico,
retrocedesse per badare all'altro fratello, al quale spedì ambasciatori
per lagnarsi di lui, perchè avesse passato i confini a lui poco avanti
prescritti. Li rimandò Carlo bene informati delle sue ragioni, cioè con
dolersi che Lottario perseguitasse il comune fratello Lodovico, e contro
i giuramenti usurpasse tanti stati ad esso Carlo assegnati nelle
precedenti convenzioni, con altre ragioni ch'io tralascio; esibendosi
contuttociò pronto ad un congresso, per vedere se all'amichevole si
potea stabilire un accordo: se no, che sarebbe rimessa all'armi la
decision delle loro controversie. In questo mentre i due fratelli
Lodovico e Carlo trattarono e conchiusero una lega fra loro contro di
Lottario: dopo di che Lodovico si mosse con quanto sforzo gli fu
permesso, e riuscitogli di dare una rotta ad _Adalberto_, creato duca
d'Austrasia da Lottario, e da lui lasciato alla guardia del Reno,
felicemente valicò quel real fiume, tendendo ad unir le sue forze con
quelle di Carlo, siccome in fatti avvenne. Andarono innanzi e indietro
varie ambasciate, varii progetti, per veder pure di concordar gli animi
senza spargimento di sangue; ma niuna condizione piaceva a Lottario,
perchè intanto aspettava che seco si venisse a congiugnere Pippino suo
nipote, pretendente alla corona d'Aquitania, che conduceva un buon
rinforzo di truppe. Venuto Pippino, sempre più si vide allontanar la
speranza dell'accordo, e però amendue le parti si accinsero alla
battaglia. Il sito, dove si azzuffarono nel dì 25 di giugno le due
armate nemiche fu Fontaneto, ossia Fontenay nel contado di Auxerre.
Agnello[1002], scrittore italiano di questi tempi, afferma che
l'esercito di Lottario era composto d'innumerabil gente, e però di lunga
mano superiore a quello de' due fratelli avversarii. Ciò non ostante,
con tal rabbia e vigore combattè l'armata d'essi due fratelli, che ne
restò in fine sconfitta quella di Lottario, il quale per altro fece
maraviglie di valore nel combattimento. Ma questo memorabil fatto d'armi
fu la rovina della Francia, per attestato degli Annali di Metz[1003],
perchè vi perì la gente più brava di tutta la Francia, cosicchè da lì
innanzi cominciò ad andare in declinazione quel regno, ridotto
all'impotenza di difendere sè stesso, non che di conquistare l'altrui.
Scrissero alcuni che cento mila persone rimasero estinte sul campo. Sì
gran macello non si dee molto facilmente credere. Agnello attesta che
dalla parte di Lottario e di Pippino vi perirono quarantamila persone:
sacrifizio ben grande alla matta ambizione.
Ci ha poi questo medesimo autore conservata una particolarità che vien
taciuta dagli Annalisti francesi e tedeschi d'allora. Cioè che _Gregorio
papa_, assai prevedendo dove aveva a terminare la abbominevol
dissensione dei tre fratelli, mosso da zelo ed amore paterno, determinò
d'inviare in Francia tre legati, affinchè s'interponessero per la
concordia e pace. Saputo ciò da _Giorgio arcivescovo_ di Ravenna,
scrisse all'imperador Lottario, pregandolo d'impetrare dal papa che
anch'egli in compagnia de' legati potesse intraprendere quel viaggio.
L'ottenne, ma andò colla maledizione apostolica, perchè ben conosceva il
pontefice che vano e torbido cervello fosse un tal prelato. Andò, dissi,
con trecento cavalli, seco portando gran copia d'oro e d'argento, con
aver saccheggiato il resto del tesoro della sua Chiesa, ed asportate
corone, calici, e patene d'oro, e vasi di argento e di oro, e tolte le
gemme dalle croci, tutto per far dei regali. Nè Agnello dissimula che le
mire di questo arcivescovo erano di sovvertire a forza di donativi
Lottario augusto, per sottrarsi dall'ubbidienza e podestà del papa, come
avea fatto qualche suo predecessore scismatico: al qual fine seco portò
i privilegii conceduti da alcuni empii imperadori greci alla sua Chiesa.
Giunto Giorgio all'armata di Lottario, siccome abbiamo dagli Annali di
san Bertino[1004], fu ritenuto da esso Augusto senza permettergli di
trattare d'accordo co' suoi fratelli. Altrettanto possiam credere che
succedesse ai legati del papa, perchè Lottario non sapeva intendere
consigli di pace, lusingandosi di maggior vantaggio per la via
dell'armi. Ora Iddio permise che dopo la rotta dell'esercito lottariano,
l'ambizioso arcivescovo Giorgio fosse preso dai vincitori soldati,
spogliato del piviale, di cui era vestito, e con grande strapazzo
condotto alla presenza del re Carlo, il quale per tre giorni il fece
stare sotto buona guardia, come prigione. I legati apostolici ebbero la
fortuna di potersi salvar colla fuga ad Auxerre: i preti e cherici che
accompagnavano l'arcivescovo suddetto, chi qua, chi là. Tutto il suo
tesoro restò in preda ai soldati. I suoi privilegii gittati nel fango,
calpestati e lacerati, si perderono; ed egli stesso fu in pericolo di
essere cacciato in esilio da _Carlo_ e da _Lodovico_, dappoichè furono
informati della di lui malignità; ma l'_imperadrice Giuditta_ mossane a
compassione, gl'impetrò la libertà. Sel fece venire davanti il re Carlo,
e dopo averlo rabbuffato ben bene, e fattogli prestar giuramento, il
lasciò andare, con ordine che gli fosse restituito tutto quanto si potea
trovare spettante a lui. Si trovò ben poco. Tutti i suoi preti, se
vollero tornare in Italia, furono costretti a venirsene a piedi e in
farsetto, e chiedendo la limosina. Promise Giorgio di compensar loro i
danni, giunto che fosse a Ravenna; ma i fatti non corrisposero poi alle
parole. Si ritirò lo sconfitto Lottario ad Aquisgrana, per attendere a
far gente di nuovo da poter sostenere la guerra, e lasciossi tanto
trasportare dal suo mal talento, che per aver soccorso da i Sassoni
Stellingi, permise loro di ritornare agli antichi riti pagani, con grave
scandalo del Cristianesimo. Ad _Erioldo_ ancora re di Danimarca,
apostata della religion cristiana e persecutor de' Cristiani, concedette
da godere alcune terre ne' suoi confini. Intanto il re Lodovico, parte
col terrore, parte col maneggio trasse nel suo partito molti de'
Sassoni: inoltre tutti i popoli dell'Austrasia, Turingia ed Alamagna
ridusse sotto il suo dominio. Nello stesso tempo i Normanni[1005],
profittando della discordia dei re fratelli, sbarcarono in Francia,
presero la città di Roano, e dopo il sacco la diedero alle fiamme, con
restar desolati dalla lor crudeltà alcuni monasteri e un buon tratto di
paese. Rinforzato alquanto di gente l'imperador Lottario passò il Reno,
quasi che volesse impedire i progressi di Lodovico suo fratello, ma poi
senza far altro se ne tornò a Vormazia. Passò poi nel Maine, commettendo
dappertutto le sue truppe immensi disordini e saccheggi, ed obbligando
colla forza que' popoli a giurargli fedeltà. Non era men della Francia
sconvolto in questi tempi il ducato di Benevento per la guerra insorta
fra _Siconolfo_ dominante in Salerno[1006] e Radelgiso principe
beneventano. Siconolfo, siccome uom bellicoso, aiutato anche da
_Landolfo conte di Capoa_ e da' suoi figliuoli, senza perdere tempo,
s'inoltrò nella Calabria, e tutta la ridusse sotto il suo dominio. Prese
anche buona parte nella Puglia, e rivoltosi addosso all'altro paese di
Benevento, s'impadronì di alcune altre città e terre. Una donazione
fatta da esso Siconolfo principe ad _Aione vescovo_ di Salerno e alla
sua chiesa nel mese di agosto dell'anno presente si legge nelle mie
Antichità italiane[1007].
NOTE:
[1001] Annales Franc. Fuldenses. Nithard., lib. 2.
[1002] Agnell., Vit. Episcopor. Ravenn. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[1003] Annales Franc. Metenses.
[1004] Annales Franc. Bertiniani.
[1005] Monach. Fontenell. apud Du-Chesne, tom. II Rer. Franc.
[1006] Erchempertus, Hist., cap. 15.
[1007] Antiquit. Ital. Dissert. XXXV, pag. 77.


Anno di CRISTO DCCCXLII. Indiz. V.
GREGORIO IV papa 16.
LOTTARIO imperad. 25, 20 e 3.

Durando tuttavia la guerra e gli sconcerti in Francia tra _Lottario
Augusto_ e i due re suoi fratelli, seguirono varii movimenti dall'una e
dall'altra parte, minutamente descritti da Nitardo[1008]. Fra l'altre
cose con piacere si legge presso di lui la conferma della lega stabilita
fra i suddetti due fratelli _Lodovico_ e _Carlo_ in Argentina, o vogliam
dire in Strasburg. L'uno fece il suo giuramento in lingua tedesca, e
l'altro in lingua romanza, che era fin d'allora la volgare franzese, e
s'accostava più alla nostra italiana di quel che faccia oggidì. Sarebbe
da desiderare che fosse restato un pezzo simile della lingua nostra
italiana di que' tempi, per conoscere in che stato essa allora si
trovasse; ma finora nulla di ciò s'è veduto, perchè tutte le scritture
che restano sono di lingua latina, mischiata nondimeno di molti
solecismi e barbarismi. I Tedeschi e gl'Inglesi hanno interi opuscoli di
que' secoli nella lor lingua. Nulla ne ha l'Italia. Ora io non mi
fermerò a descrivere le vicende della guerra di Francia, perchè furono
di poco momento. Basterà qui dire, che incalzato l'_imperadore Lottario_
dai fratelli[1009], dopo avere spogliato il palazzo d'Aquisgrana di
tutte le cose più preziose, si ritirò a Lione, e quivi dopo aver finora
rifiutato di dare orecchio a progetti di pace, finalmente la debolezza
delle forze sue il consigliò ad ascoltarli. Si convenne tra i tre
fratelli di fare un abboccamento presso alla città di Mascon in un'isola
del fiume Sona che divideva le armate. Questo seguì verso la metà di
giugno, e vicendevolmente tutti e tre dimandarono perdono del passato,
giurarono di conservar tra loro una buona pace e fratellanza; e
determinarono di tenere un congresso nella città di Metz nel primo dì di
ottobre, per regolare la division della monarchia franzese, di cui si
andò poi seriamente trattando da lì innanzi. Ma questo congresso si
differì fino a' cinque di novembre, e per varii impedimenti o pretesti
trasportato fu al giugno dell'anno seguente. Per altro i due fratelli
_Lodovico_ e _Carlo_, dappoichè ebbero costretto l'augusto _Lottario_ a
ritirarsi da Aquisgrana, colà si portarono essi, e ordinata quivi una
raunanza di molti vescovi, fecero loro decidere che Lottario per
gl'insulti fatti al padre, per la mancanza ai giuramenti, per l'indebita
guerra fatta ai fratelli avea provato il flagello della vendetta di Dio,
ed era decaduto dai regni di Francia e di Germania, de' quali erano
divenuti giusti possessori i re Lodovico e Carlo. Ciò fatto, i due
fratelli divisero tra loro i regni; ma per l'accordo che nell'anno
susseguente seguì tra essi e l'imperadore Lottario, si fece una più
stabil divisione. Terminò i suoi giorni nel gennaio dell'anno presente
_Teofilo imperador de' Greci_, con lasciare successor nell'imperio
_Michele_ suo figliuolo in età di soli tre anni. Una malattia pericolosa
sopraggiunta a questo novello Augusto diede occasione ai monaci di
Studio di promovere la restituzione delle sacre immagini con promessa
della di lui guarigione. Risanato egli in fatti, con giubilo de'
Cattolici furono rimesse in uso ne' sacri templi le immagini; e cacciato
via Janne falso patriarca di Costantinopoli, in luogo suo fu eletto
_Metodio_, uomo di santa vita e di sentimenti ortodossi. La divisione e
guerra tra i principi di Benevento seguitava più che mai vigorosa,
quando i _Saraceni_ africani, chiamati da altri _Agareni_, o pure
_Mori_, padroni della vicina Sicilia, seppero ben prendere pe' capelli
la buona fortuna, con passare forse prima di quest'anno in Calabria,
dove a man salva s'impadronirono di alcune città e terre, e vi si
radicarono talmente, che l'Italia tutta ne ebbe a piagnere dipoi per
lungo tempo. Sotto quest'anno Nitardo[1010] e gli Annali
bertiniani[1011] mettono l'entrata di costoro nel ducato di Benevento.
_Radelgiso principe_ di quelle contrade veggendo prosperar sì forte gli
affari dell'emulo _Siconolfo_, da cui or una, or una altra città gli
veniva occupata, senza trovar maniera da potere resistere, s'appigliò ad
un consiglio dettato dalla disperazione: cioè chiamò in aiuto suo
alquante brigate de' Saraceni postati nella Calabria[1012]. Ebbe ordine
da lui Pandone governatore di Bari di dar quartiere a quegl'infedeli
fuori della città dalla parte del mare. Ma i Saraceni, gente la più
furba del mondo, andarono tanto spiando le fortificazioni della città,
che trovarono modo una notte di arrampicarsi e di entrarvi dentro senza
resistenza d'alcuno. Misero a fil di spada una parte del misero
innocente popolo, l'altra la fecero schiava, e Pandone fra gli altri
dopo molti tormenti fu gittato ed affogato nel mare.
Con Erchemperto va d'accordo l'Anonimo salernitano[1013] intorno a
questi fatti. Racconta egli che _Radelgiso_ principe di Benevento con
un'armata di ventiduemila persone tra cavalleria e fanteria si portò
all'assedio di Salerno; ma _Siconolfo_ principe colla gente di Salerno,
Capua, Aggerenza, Consa ed Amalfi, venne a battaglia, e sbaragliò i
Beneventani. Questa probabilmente è la rotta, di cui all'anno 840 s'è
fatta menzione coll'autorità di Erchemperto. Seguita poi a dire, che
Siconolfo, raunato un buon esercito, si portò anch'egli addosso ai
Beneventani; ma questi, usciti dalla città, sì valorosamente gli
assalirono, che li misero in fuga. Dopo questo i Saraceni con grandi
forze calarono in Calabria; presero Taranto con facilità, ed entrati
nella Puglia, diedero il sacco a quasi tutte le città con uccidere le
persone che erano cresciute a guisa delle biade. Per attestato poi di
Erchemperto, Radelgiso trovandosi impotente a cacciar fuori di Bari que'
barbari ospiti, cominciò a trattar con loro amichevolmente e a valersi
del loro aiuto. Comandò ad _Orso_ suo figliuolo di menarli all'assedio
di un castello, e v'andarono con una potente oste. Ma ciò saputo da
Siconolfo, arditamente andò a trovarli, e gli sconfisse con istrage di
chi non potè ben menar le gambe. Il re d'essi per nome Calfo, cadutogli
sotto per la stanchezza il cavallo, stentò a giugnere coi suoi piedi a
Bari. Crebbero poi le miserie di quelle contrade, perchè, secondo
l'Anonimo salernitano, Radelgiso prese al suo soldo il principe de'
Saraceni abitante in Bari, per nome _Saotan_, o _Saudan_, come altri
hanno scritto. Tengo io che questo fosse non il proprio suo nome, ma
quello bensì della sua dignità, e lo stesso sia che _Soldano_, o
_Sultano_, come han detto dipoi gl'Italiani. Veggasi il d'Erbelot[1014]
alla parola _Solthan_. Col rinforzo di costui e delle sue masnade, i
Beneventani passarono addosso ai Salernitani, e non meno agli uomini che
alle case e ai poderi recarono infiniti danni. Furono costoro appena
ritornati indietro, che pervenuta tosto a Siconolfo signoreggiante in
Salerno la notizia che Radelgiso aveva spogliata la cattedrale di
Benevento di buona parte del suo tesoro per ingaggiare e pagare i
Saraceni del suo partito: anch'egli si prevalse di questo scellerato
esempio, e presa per forza dalla cattedrale di Salerno gran copia d'oro,
se ne servì per impegnare alla difesa de' suoi stati il comandante
saraceno di Taranto, chiamato Apollafar. Ben volentieri costui passò con
buon nerbo di gente al servigio di Siconolfo, e poscia unito coi
Salernitani al guasto dei Beneventani. Accadde poi che tornato Apollafar
da quella spedizione con Siconolfo a Salerno, mentre amendue con festa
salivano le scale del palazzo, Siconolfo per ischerzo il prese colle
braccia e portollo di peso sopra, e nel posarlo giù l'abbracciò e baciò.
Ma il superbo e delicato Saraceno se l'ebbe forte a male; e tuttochè
Siconolfo dicesse d'aver fatto ciò per burla e non per inganno, pure
giurò di non volerlo più servire, ed immantinente con tutti i suoi si
partì da Salerno e tornossene a Taranto. Quivi trattò con Radelgiso,
esibendosi ai suoi servigi. Nè potea giugnere a lui nuova più cara di
questa. Accettato e venuto coll'esercito suo, tosto fu spedito contra
de' Salernitani, nel paese de' quali commise enormità e danni
incredibili. Così gl'infedeli andavano profittando della discordia de'
principi cristiani colla rovina de' popoli innocenti. Ottenne in
quest'anno, se pur non fu nel precedente, il doge di Venezia Pietro da
_Lottario_ imperadore la conferma delle esenzioni dei bani goduti dai
Veneziani nel regno d'Italia. Il diploma, rapportato dal Dandolo[1015],
fu dato _kalendis septembris anno, Christo propitio imperii domni
Lotharii piissimi Augusti in Italia XXII, in Francia II. Indictione
VIII. Actum termis villa palatioregio._ Queste note cronologiche non
sussistono. Fors'anche tale spedizione la stessa è, di cui s'è fatto
troppo presto menzione di sopra all'anno 840. Terminò in quest'anno,
secondo i conti di Camillo Pellegrino[1016], i suoi giorni _Landolfo_
conte ossia principe di Capua[1017]. Restarono di lui quattro figliuoli,
cioè Landone, che signoreggiò in Capua, _Pandone_ in Sora, e
_Landonolfo_ in Tiano. Il quarto figliuolo _Landolfo_ seguitò la via
ecclesiastica, con divenir poi vescovo di Capua, e personaggio famoso
per le sue iniquità. Lasciò il vecchio Landolfo per ricordo a' suoi
figliuoli, che non permettessero mai la riunione de' principati di
Benevento e Salerno, e tutti da lì innanzi cominciarono a tirar de'
calci contra del principe di Benevento, e a poco a poco stabilirono
l'indipendenza del principato di Capua da Benevento e da Salerno.
NOTE:
[1008] Nithardus, Hist. lib. 3.
[1009] Annal. Franc. Bertiniani.
[1010] Nithard., Hist., lib. 3.
[1011] Annales Franc. Bertiniani.
[1012] Erchempertus, Hist., cap. 16.
[1013] Anonymus Salernitan. Paralipom. cap. 65. Part. II, tom. 2 Rer.
Ital.
[1014] Erbelot., Bibliot. Orient.
[1015] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[1016] Camill. Peregr., Hist. Princip. Langobard.
[1017] Erchempertus, Hist., cap. 22.


Anno di CRISTO DCCCXLIII. Indiz. VI.
GREGORIO IV papa 17.
LOTTARIO imperad. 24, 21 e 4.

Di somma consolazione a tutta la monarchia francese riuscì l'anno
presente, perchè si venne finalmente alla divisione de' regni tra i
figliuoli di Lodovico Pio: il che produsse la concordia fra loro e la
pace fra tutti i popoli loro sudditi[1018]. Seguì questa nel mese di
agosto nella città di Verdun presso alla Mosa, con essersi quivi
abboccati i tre re, e pacificati fra loro. La parte che toccò al re
_Carlo_, appellato dipoi il _Calvo_, fu la parte occidentale della
Francia, cioè dall'Oceano fino alla Mosa e alla Schelda, e sino al
Rodano, alla Sona, al Mediterraneo e alla Spagna. Al re _Lodovico_ toccò
la Baviera, parte della Pannonia, la Sassonia, e tutte le provincie
della Germania di là del Reno, con qualche parte ancora di paese di qua
da esso Reno, e nominatamente Magonza; e qui ebbe principio il regno
della Germania, appellato anche _Francia orientale_. All'imperador
_Lottario_ restò tutto il tratto di paese situato fra il Reno e la Mosa,
andando sino all'Oceano, la Provenza, la Savoia, gli Svizzeri e
Grigioni, cioè quasi tutta l'antica Borgogna e l'Alsazia; _nec non et
omnia regna Italiae cum ipsa romana urbe_, come ha l'autore degli Annali
di Metz: con che egli venne a perdere tante provincie che il padre gli
avea lasciato in Germania, e ch'egli avrebbe potuto agevolmente ritenere
se l'incontentabile sua ambizione non l'avesse condotto a mancar di
parola e a far guerra al re Carlo suo fratello. E qui non lasciano
alcuni scrittori di que' tempi di deplorar questo trinciamento della
dianzi sì vasta monarchia franzese, che unita faceva paura a tutti,
divisa, aprì il campo ai Normanni, Saraceni, ed Ungheri d'infierire e
prevalere contra de' Cristiani d'Occidente, e d'inferir loro un'iliade
di mali. E tanto più restò essa indebolita, perchè al re _Carlo Calvo_
toccò bensì in questa divisione, almen tacitamente, anche l'Aquitania;
ma in quelle contrade si fece forte il suo nipote _Pippino II_,
figliuolo del re _Pippino I_, riconosciuto per re dalla maggior parte di