Annali d'Italia, vol. 3 - 41

ossia duca di Napoli, uomo cattivo, mancato di vita nell'_indizione
XII_, cioè nell'anno 834, succedette in quel dominio Leone suo
figliuolo. Ma questi, appena passati sei mesi, fu abbattuto e scacciato
da Andrea suo suocero, il quale si fece eleggere _console_. Cavò egli di
prigione il già carcerato _Tiberio_ vescovo, e il confinò sotto buona
guardia in una camera davanti alla chiesa di s. Gennaro. Ora avvenne che
_Sicardo_ principe di Benevento, non men di quel che facesse _Sicone_
suo padre, mosse aspra guerra ai Napoletani. Andrea, non avendo altro
ripiego per salvarsi, mandò in Sicilia a far venire una grossa flotta di
Saraceni. Allora Sicardo intimorito diede ascolto ad un trattato di
pace, per non poter di meno, e restituì tutti i prigionieri ad Andrea.
Ma non sì tosto furono partiti verso la Sicilia i Saraceni, che Sicardo
ruppe la pace fatta, e più che mai si diede a perseguitare il popolo e
la città di Napoli. Racconta l'Anonimo salernitano[977], che la rottura
fra Sicardo e i Napoletani procedette dall'avere il duca di questi
ultimi differito di pagare al primo i tributi secondo le convenzioni
precedenti. Però infuriato Sicardo, nel mese di maggio dell'anno 856,
come consta dalla vita di _santo Anastasio vescovo_ di Napoli[978], si
portò con tutte le sue forze all'assedio di Napoli, e per tre mesi diede
il guasto al paese, e ne asportò i corpi de' santi e gli ornamenti delle
chiese. Era già a mal partito il popolo della città, specialmente per
mancanza di viveri, quando si pensò alla maniera di placare lo sdegnato
principe loro nimico. Spedirono dunque nel mese di luglio un monaco di
buona fama, il quale arrivato alla tenda di Sicardo, subito ch'egli
spuntò, s'inginocchiò piangendo a' suoi piedi, con chiedere misericordia
per i suoi concittadini, e fargli credere ch'essi non avrebbono
difficoltà ad arrendersi. Intenerito Sicardo, ordinò a Roffredo suo
favorito di entrare nella città per vedere se aveano pur voglia di
sottomettersi. Ammesso, diede una girata per Napoli, ed avendo osservato
nella piazza una picciola montagna di grano, ne dimandò il perchè. Gli
fu risposto, che avendo le lor case piene di frumento, il rimanente lo
aveano gittato colà; ma quella montagna non era che di sabbia, sulla cui
superficie aveano fatta una coperta di grano, il quale già cominciava a
rinascere. In questa maniera restò deluso Roffredo. La comune credenza
nondimeno fu che i Napoletani il regalassero d'alcuni fiaschi creduti di
vino, ma pieni di soldi d'oro, che fecero secondo il solito, un mirabile
effetto; perchè Roffredo con significare a Sicardo la gran quantità di
grano da lui osservata nella città, il trasse a contentarsi d'una
capitolazione, in cui i Napoletani salvarono la lor libertà, ma con
obbligarsi al puntual pagamento del tributo al principe di Benevento. La
carta dell'accordo scritta nell'indizione 14, cioè nell'anno precedente,
è fatta con _Giovanni vescovo_ eletto di Napoli, e con _Andrea_ maestro
de' militi, ossia duca di quella città; e tuttavia si conservava ai
tempi dell'Anonimo suddetto nell'archivio della città di Salerno; e per
buona ventura parte d'essa è stata pubblicata da Camillo Pellegrino,
scrittore diligentissimo e giudizioso della storia dei principi
longobardi. Da essa apparisce che Amalfi e Sorrento erano allora città
sottoposte al ducato di Napoli e quivi si leggono varii riti
considerabili per l'erudizion di quei tempi. Ma, siccome dissi, non durò
gran tempo questa pace e convenzione, e forse in quest'anno Sicardo
ricominciò di bel nuovo a far delle prepotenze contro dei Napoletani, e
in fine ripigliò l'armi contro la loro città. Potrebbe anch'essere
ch'egli in quest'anno occupasse la città d'Amalfi; del che parleremo
all'anno 839. Anche l'autore della vita di santo _Antonino abbate_ di
Sorrento[979] fa menzione (senza accennarne l'anno) dell'assedio di
Sorrento, fatto dal medesimo Sicardo. Se vogliam prestar fede a quello
storico, egli se ne ritornò, perchè il santo abbate apparendogli in
sogno, non solamente lo sgridò, ma gli lasciò anche un buon ricordo con
delle bastonate. Che i santi vogliano o possano venire dal paradiso in
terra per menare il bastone, non c'è obbligazione di crederlo fuori
delle divine Scritture.
NOTE:
[971] Nithardus, Hist., lib. 1.
[972] Annal. Franc. Bertiniani.
[973] Baluz., Capitular., tom. 1, p. 685.
[974] Astronom., in Vit. Ludov. Pii.
[975] Antiquit. Ital., Dissert. LX.
[976] Dandulus, in Chron., tom. 12 Rer. Italic.
[977] Anon. Salernit., Paralip. P. II, tom. a Rer. Italic.
[978] Vita S. Athanasii Neapolit., Part. II, tom. 2 Rer. Italic.
[979] Acta Sanctor., in Vit. S. Antonini Ab. Surrent.; ad diem 14
februarii.


Anno di CRISTO DCCCXXXVIII. Indiz. I.
GREGORIO IV papa 12.
LODOVICO PIO imperadore 25.
LOTTARIO imperadore e re di Italia 19 e 16.

A chiunque era del partito del _principe Carlo_ re della Neustria, ma
più degli altri all'_imperadrice Giuditta_ sua madre[980], stava
continuamente sugli occhi la cadente sanità dell'Augusto consorte, e per
conseguente l'apprensione di fiere rivoluzioni dopo la morte di lui, per
le quali si vedeva esposta a troppi pericoli la porzion degli stati
assegnati ad esso Carlo dal padre. Temevano tutti dei due fratelli
_Pippino_ e _Lodovico_ troppo ingordi, e troppo confinanti coi loro
regni a quello di Carlo. Concorsero dunque tutti in un parere: cioè, che
era il meglio di guadagnare l'Augusto _Lottario_, se pure egli voleva
dar mano ad un trattato, e di formare una lega fra Carlo e lui, bastando
ciò per tenere tutti gli altri in briglia. A tal fine spedirono dei
messi a Lottario, con rappresentargli che l'avrebbono rimesso in grazia
dell'imperador suo padre, ed inoltre Carlo avrebbe partito con lui
l'imperio, a riserva della Baviera. Assaporata questa proposizione da
Lottario, gli parve assai dolce; nè perdè tempo a mettersi in viaggio
alla volta di Vormazia, dove era l'imperador suo padre[981]. Giunto colà
si gittò ai suoi piedi in presenza di tutti, con chiedere perdono del
passato: fu accolto con tutto amore, trattati i suoi domestici con
lautezza, e in somma ottenne la buona grazia del genitore, con patto di
nulla operare in avvenire contro la volontà paterna, nè contro il
fratello Carlo. Nel dì seguente il buon imperadore, per mantenere la
parola data dai suoi ministri, esibì al figliuolo la licenza di dividere
i regni, con dirgli che facendo egli le parti, Carlo eleggerebbe, o pure
facendole i ministri di Carlo, potrebbe Lottario eleggere. Per tre di
questi dì andò Lottario ruminando l'affare, e in fine mandò a pregare il
padre che si compiacesse di far egli la divisione, con riserbare a sè
stesso di prendere la parte che maggiormente gli fosse a grado. La fece
in fatti l'imperador Lodovico, senza toccar la Baviera; e Lottario si
elesse l'una delle parti cominciando dalla Mosa, e gliene fu dato il
possesso. A Carlo restò l'occidentale, cioè la Neustria; e in questa
maniera seguì buona unione fra essi fratelli. A riserva di Lodovico re
di Baviera, che si alterò forte all'udir questa unione, i popoli ne
mostrarono un sommo giubilo. Poscia Lottario, dopo aver ricevuto dal
padre molti regali e la benedizione paterna, lieto se ne tornò in
Italia. Così Nitardo e l'autore della vita di Lodovico Pio. Ma gli
Annali bertiniani[982] imbrogliano qui la storia con riferir questo
fatto all'anno seguente. Siam nondimeno tenuti a quell'autore, perchè
specifica le parti toccate in quella divisione ai suddetti due fratelli.
Lottario, oltre all'Italia, che già era in sua mano, comprendeva la
Provenza di qua dal Rodano sino al contado di Lione, e stendendosi pel
corso della Mosa fino al mare, abbracciava la valle d'Aosta, i Vallesi,
gli Svizzeri, i Grigioni, l'Alsazia, l'Alamagna, ossia la Svevia,
l'Austrasia, la Sassonia, l'Olanda, la Frisia ed altri ampii paesi. Ma
sì vasto dominio non ebbe effetto col tempo. Io non so bene se
appartenga all'anno presente ciò che hanno i suddetti Annali bertiniani,
con dire che sul principio della quaresima si fece un abboccamento alle
Chiuse d'Italia tra i due fratelli _Lottario_ Augusto e _Lodovico_ re di
Baviera; il che diede gran gelosia all'imperadore loro padre. Chiamato
perciò Lodovico a Nimega, seguì fra loro qualche altercazion di parole,
e finalmente fu costretto il figliuolo a restituire al padre tutto
quello che egli aveva usurpato, cioè l'Alsazia, la Sassonia, la
Turingia, l'Austrasia e l'Alamagna: e però potè nell'anno presente
l'imperador Lodovico assegnare queste contrade al figliuolo Lottario. Ma
non si vede il motivo per cui da sole parole s'inducesse il figliuolo di
Lodovico a far quella cessione, e qui v'ha delle tenebre. Ora, dacchè fu
stabilita la concordia d'esso Lottario col padre e con Carlo suo
fratello (se pure non fu prima, essendo ancor qui confusa la storia)
eccoti giugnere la nuova che _Pippino re di Aquitania_, altro lor
fratello, era stato da immatura morte rapito. Perchè nell'aggiustamento
poco fa descritto si truova assegnata al re Carlo l'Aquitania, par molto
probabile che questo seguisse dappoichè s'intese la morte di esso
Pippino. Non ostante poi che tra Lodovico Pio e il figliuolo Lottario
fosse stabilita la riconciliazione suddetta, pure sembra che _Bonifazio
II_ conte di Lucca e marchese della Toscana non ricuperasse peranche il
governo di quella provincia e città; perciocchè da una carta di
quest'anno, accennata dal Fiorentino[983], si raccoglie che _nell'anno
XXV di Lodovico, nel XVI di Lottario imperadori, nell'indizione prima_,
cioè nell'anno presente, fu fatto in Lucca un atto giudicatorio in
favore della chiesa di s. Frediano _per Aghanum comitem ipsius
civitatis, et Christianum venerabilem diaconum missos domini Lotharii_.
L'essere questo _Agano_ stato conte ossia governatore di Lucca nell'anno
presente, e il trovarsi egli quivi parimente nell'anno 840, esercitante
giurisdizione insieme con _Rodingo vescovo_ e _Maurino conte_, messi
imperiali, come consta da un altro documento lucchese, serve a noi
d'indizio che _Bonifazio II_, dianzi conte di Lucca, e probabilmente
ancora della Toscana, seguitasse ad essere privo della grazia di
Lottario e del suo governo, se pur egli non era già mancato di vita.
NOTE:
[980] Nithardus, Hist. lib. 1.
[981] Astronomus, in Vita Ludovici Pii.
[982] Annales Franc. Bertiniani.
[983] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.


Anno di CRISTO DCCCXXXIX. Indiz. II.
GREGORIO IV papa 13.
LODOVICO PIO imperadore 26.
LOTTARIO imperadore e re di Italia 20 e 17.

Pacificò bensì l'_imperador Lodovico_ ed unì per quanto potè i due suoi
figliuoli _Lottario_ e _Carlo_, con isperanza che tal unione terrebbe in
briglia _Lodovico re di Baviera_ dopo la sua morte[984]. Ma questi
sdegnato non poco per la divisione sopraccennata di stati, non volle
aspettar tanto a risentirsene. Nella quaresima dell'anno presente,
uscito egli in campagna con quante forze potè, occupò tutta la parte
della monarchia franzese di là dal Reno. A tale avviso l'imperadore suo
padre, raunato un poderoso esercito, marciò incontro al figliuolo
ribello, passò il Reno a Magonza, e dappoichè col fermarsi ebbe
maggiormente ingrossata l'armata sua, continuò il viaggio per andare a
fronte della nemica[985]. Ma accadde che le milizie della Sassonia,
Franconia, Turingia ed Alamagna, che s'erano poste sotto le insegne del
giovane Lodovico, non solamente abbandonarono lui, ma vennero a
schierarsi all'ubbidienza dell'Augusto suo genitore: colpo che fece
ritirar nella Baviera disingannato e confuso lo sconsigliato principe
suo figliuolo. Ma il buon imperadore, non mai dimentico d'essere padre,
mandò a chiamarlo; ed egli, veggendosi al disotto, benchè a suo
dispetto, v'andò. Lo accolse Lodovico Augusto con aria di sdegno, e
sulle prime lo sgridò, ma poi con amorevoli parole gli parlò e gli
perdonò: dopo di che lasciollo tornare in Baviera, con avere ricuperato
tutto il paese perduto. E qui è più probabile che accadesse quanto
abbiamo inteso di sopra dagli Annali bertiniani intorno alla cessione
fatta dal giovane Lodovico al padre. Dagli stessi Annali abbiamo sotto
quest'anno il racconto di questa guerra. Nel maggio del presente anno
vennero a trovar l'imperador Lodovico, dimorante in Ingeleim, gli
ambasciatori di _Teofilo imperadore dei Greci_, che gli presentarono
varii regali e una lettera assai cortese. Secondo i suddetti Annali
bertiniani, d'altro non trattarono, se non di confermar l'amicizia e
lega che passava fra i due imperii. Ma Costantino Porfirogenneta[986]
attesta che il principal motivo di tale spedizione fu per chiedere
soccorso all'imperador latino contra dei Saraceni che aveano occupate le
isole di Creta e di Sicilia, e varie città dell'Asia, con aver inoltre
dato varie rotte a più d'un esercito di Greci spedito contra di loro.
Non si mostrò Lodovico Augusto alieno da questa impresa; ma essendo
mancato di vita _Teodosio patrizio_, capo di quella ambasciata nel
presente anno, e nel susseguente lo stesso imperadore de' Greci, si
sciolse in fumo tutto il trattato. Intanto per la morte del _re Pippino_
era tutto in confusione il regno di Aquitania. Lodovico Pio fece tosto
intendere a que' popoli, che per concessione sua quelle contrade erano
state aggiunte al regno di Carlo, minimo tra i suoi figliuoli. Ma di
Pippino erano restati due figliuoli maschi leggittimi, cioè _Pippino II_
e _Carlo_; e una parte di que' popoli avea già acclamato per re lo
stesso Pippino II, perchè primogenito del re defunto: l'altra parte si
trovò favorevole al re Carlo. Perciò l'imperador Lodovico, per sostenere
gl'interessi dell'amato figliuolo, mosse l'armi nell'autunno contra del
nipote Pippino, prese qualche fortezza, e tirò nel suo partito alquanti
di que' nobili. Ma l'esercito suo infestato dalle febbri, e faticato
dalle scorrerie de gli Aquitani, giacchè cominciava ad inasprirsi la
stagione, stimò meglio di ritirarsi e di passare ai quartieri di verno.
Si sforza l'autore[987] della vita di Lodovico Pio d'inorpellare questa
sua spedizione contro i figli di un suo figliuolo, con dire che non
erano atti al governo i due figliuoli di Pippino per la loro età, e che
que' popoli tumultuanti aveano bisogno di un buon braccio per essere
regolati. Ma niuno lascerà di conoscere e di dire che non fa onore alla
memoria di questo imperadore l'aver voluto spogliare de' loro stati e
diritti que' principi per ingrandir maggiormente il proprio figliuolo
Carlo, già provveduto di una nobilissima porzione di stati. Il troppo
amore, ch'egli portava a questo suo Beniamino, gli dovette ben chiudere
gli occhi, e gli orecchi, per non vedere nè ascoltare in tal congiuntura
le leggi della giustizia.
Dalla storia di Andrea Dandolo[988] impariamo che circa questi tempi
_Pietro_ doge di Venezia, desiderando di far dismettere agli Sclavi, o
vogliam dire agli Schiavoni abitanti nella Dalmazia, il brutto mestiere
della pirateria, colla sua flotta andò a trovarli, e gli riuscì di
conchiudere col principe loro un trattato di pace. Passato dipoi alle
isole di Narenta, confermò la precedente lega con _Drosaico duca_ di
quella contrada; dopo di che con gloria se ne tornò a Venezia. Ed
appunto arrivato da lì a poco ad essa Venezia Teodosio patrizio,
spedito, come dicemmo poco fa, da Teofilo imperadore de' Greci, a nome
dell'Augusto medesimo, dopo aver creato il suddetto doge Pietro
_spatario imperiale_, gli fece istanza di un gagliardo armamento per
mare contra de' Saraceni. Sessanta furono le navi da guerra che in tal
congiuntura i Veneziani armarono, con passare fino a Taranto, dove
trovarono Saba principe di que' Saraceni con un formidabile esercito.
Vennero alle mani con coloro i Veneziani; ma soperchiati dall'eccessivo
numero degl'infedeli, quasi tutti vi restarono o morti o prigioni.
Insuperbiti per questa vittoria quegli infedeli, colla loro armata
navale vennero fino in Dalmazia, e nel secondo giorno di Pasqua avendo
presa la città di Ausera, la diedero alle fiamme. Lo stesso trattamento
fecero alla città d'Ancona, e nel tornarsene col bottino, scontrati per
viaggio alcuni legni mercantili de' Veneziani, li presero, con levare di
vita chiunque entro di essi si ritrovò. Ma alquanto più tardi sembra che
succedessero questi fatti, quantunque il Dandolo li racconti prima della
morte di Lodovico Pio; perciocchè abbiamo dall'Anonimo salernitano[989]
che _Taranto_ non era per anche caduto in mano de' Saraceni allorchè
_Sicardo_ principe di Benevento fu messo a morte dai suoi: del che ora
appunto io debbo favellare. Non durò molto, siccome dissi, la
capitolazione seguita fra Napoletani e il suddetto Sicardo. Narra il
sopraddetto Anonimo, che nata dissensione fra gli Amalfitani, i
principali di quel popolo si sottomisero a Sicardo e passarono ad
abitare in Salerno, città del ducato beneventano. I buoni trattamenti,
che quivi riceverono, servirono di stimolo a parecchi altri Amalfitani
di portarsi per loro maggior quiete a mettere casa in Salerno, di
maniera che fatti varii maritaggi in quella città, di due popoli se ne
formò un solo. Rimasta Amalfi spopolata, vi accorsero le brigate
longobardiche di Sicardo e la devastarono, con asportarne a Benevento il
corpo di santa Trifomene vergine e martire, come consta ancora
dall'antica sua leggenda, data alla luce dall'Ughelli[990]. Seguitò
Sicardo a maggiormente molestare e stringere colle sue armi la città e
il popolo di Napoli. Ora veggendo _Andrea_ duca di quella città di non
potere resistere, giacchè soccorso non si potea sperare dall'imperio
greco troppo avvilito, e continuamente spelato dai Saraceni, rivolse le
speranze, per quanto s'ha da Giovanni Diacono nelle vite de vescovi di
Napoli[991], a _Lottario Augusto_. Gli spedì i suoi ambasciatori, che
dovettero portarsi fino in Francia per trovarlo. Furono questi
graziosamente accolti da Lottario, e rispediti coll'accompagnamento
d'uno de' suoi baroni appellato _Contardo_, affinchè a suo nome
comandasse a Sicardo di desistere dalla persecuzione de' Napoletani:
altrimenti egli avrebbe medicato il di lui furore. Ritornarono gli
ambasciatori, ma non ci fu bisogno della calda parlata di Contardo,
perchè si trovò che in questi giorni Sicardo era stato tolto con
violenza dal mondo. Intorno a che è da sapere che il suddetto _Sicardo_
principe di Benevento, per attestato non men dell'Anonimo salernitano
che di Erchemperto storico[992] più riguardevole, era macchiato di molti
vizii d'incontinenza e d'avarizia, per i quali aggravava forte i suoi
popoli. A renderlo nondimeno peggiore concorse l'essersi egli messo
tutto in mano di Roffredo, figliuolo di Dauferio, sopprannominato
Profeta, ed uno de' più astuti uomini di que' paesi da cui fu ridotto a
tale, che nulla si faceva senza il suo parere e consentimento, e tanto
più perchè lo indusse a prendere per moglie _Adelgisa_ sua parente. Per
i consigli di costui Sicardo mise le mani addosso a _Siconolfo_ suo
fratello, per i sospetti ch'egli aspirasse al principato, e mandollo
prigione a Taranto; costrinse a farsi Monaco _Maione_ suo parente, e
proditoriamente fece impiccare _Alfano_, uno de' più illustri personaggi
di Benevento. In una parola, pochi de' nobili beneventani si contarono
che non fossero uccisi, o posti in prigione, o non eleggessero un
volontario esilio. Credevasi tutto questo operato da Roffredo con
disegno di occupar egli il principato, dacchè i migliori del paese
fossero depressi, e divenuto Sicardo odioso al popolo tutto. Ora non
potendo più reggere i Beneventani a tali iniquità, formata una congiura
da un certo Adalferio, con più ferite un giorno l'uccisero. Crede
Camillo Pellegrino che ciò avvenisse nell'anno presente. Dipoi passarono
all'elezione del nuovo principe. Cadde questa nella persona di
_Radelchi_, ossia _Radelgiso_, dianzi tesoriere del defunto Sicardo; e
quasi tutti si accordarono in proclamarlo principe, perchè era uomo di
buoni e dolci costumi. Ma qui ebbe principio la divisione e
l'abbassamento dell'ampissimo ducato di Benevento: intorno a che mi
riserbo di parlare all'anno seguente. Potrebbe essere che in questo
succedesse quanto narra Agnello[993], autore contemporaneo, di _Giorgio
arcivescovo_ di Ravenna. Destinato avea l'imperador Lottario di fare con
solennità il battesimo di _Rotrude_ sua figliuola. L'ambizioso
arcivescovo tanto si adoperò, che ottenne di poter levare al sacro fonte
questa principessa; onore che costò ben caro alla sua chiesa, perchè
egli la spogliò di parte del suo tesoro, e tutto portò seco a Pavia. Di
grandi regali fece al suddetto imperadore e all'Augusta sua moglie
_Ermengarda_. I soli abiti battesimali della principessa furono da lui
pagati cinquecento soldi d'oro; e al medesimo Agnello scrittore toccò di
vestirla, alzata che fu, secondo i riti d'allora, dal sacro fonte.
Intervenne alla funzione l'imperadrice col volto coperto, riccamente
abbigliata e carica di gioie; e nota Agnello ch'essa prima della messa,
che fu celebrata dall'arcivescovo, sentendosi una gran sete, si fece
portare una buona tazza di vino forestiere, ed occultamente la tracannò,
e ciò non ostante andò in quella mattina a partecipare della mensa
celeste.
NOTE:
[984] Astronomus, in Vit. Ludovici Pii.
[985] Annales Francor. Bertiniani.
[986] Porphyrogenneta, lib. 3, num. 36.
[987] Astronomus, in Vit. Ludov. Pii.
[988] Dandul., in Chron. tom. 12 Rer. Italic.
[989] Anonym. Salernit., Paralip. P. II. tom. 2 Rer. Ital.
[990] Ughell., tom. 7 Ital. Sacr. in Episcop. Minorit.
[991] Johann. Diac., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[992] Erchempertus, cap. 12, P. 1, tom. 2 Rer. Italic.
[993] Agnell., in Vit. Episcopor. Ravenn., P. I, Tom. 2 Rer. Italic.


Anno di CRISTO DCCCXL. Indiz. III.
GREGORIO IV papa 14.
LOTTARIO imperad. 21, 18 e 1.

Sul principio dell'anno presente si trova l'_imperador Lodovico_ in
Poitiers[994], allorchè gli giunse nuova che _Lodovico_ suo figliuolo re
della Baviera, uscito coll'armi in campagna, ed assistito dai Sassoni e
Turingi, era già entrato nell'Alamagna, e vi si faceva riconoscere per
signore. Amaramente sentì questo colpo il buon imperadore, e tuttochè la
di lui sanità fosse già ridotta in un compassionevole stato, pure si
animò alle fatiche per reprimere l'orgoglio del ribellante figliuolo.
Raunò nello spazio di alquante settimane una buona armata, e dopo di
aver solennizzato in Aquisgrana il santo giorno della pasqua, si mosse
alla volta della Turingia, dove era il re Lodovico, e pervenne nel paese
d'Assia-Cassel. Non volle aspettarlo il figliuolo Lodovico, e
frettolosamente pel paese degli Sclavi si ritirò in Baviera. Allora
Lodovico Augusto intimò una dieta generale in Vormazia, con far sapere
anche al figliuolo Lottario che v'intervenisse per trattare de' mezzi di
mettere in dovere l'inquieto re della Baviera. Stando egli in quelle
parti[995], nel dì 5 di maggio accadde un'ecclisse spaventosa del sole,
che restò quasi tutto scurato, in guisa che si miravano le stelle in
cielo. Secondo l'opinione che correva in quei secoli d'ignoranza, fu
comunemente creduto essere questo un presagio di qualche strepitosa
disgrazia, senza por mente che, secondo le leggi invariabili del corso
dei pianeti avea da succedere quell'oscuramento del sole. Cominciò da lì
a poco l'imperador Lodovico a sentire svogliatezza grande di stomaco,
depression di forze, e frequenza di sospiri e singhiozzi. Ordinò che se
gli preparasse l'abitazione in un'isola del Reno di sotto a Magonza, in
faccia alla villa d'Ingeleim, e quivi si pose in letto. Scrivono che per
quaranta giorni altro cibo non prese, fuorchè il sacratissimo corpo del
Signore, e andava egli chiamando giusto il Signore Iddio, perchè non
avendo fatta quaresima in quell'anno, lo obbligava a farla con quella
malattia. Fece fare un inventario di tutti i mobili suoi preziosi, e ne
assegnò la distribuzione alle chiese, ai poveri e ai figliuoli. Non
gl'incresceva già di dover lasciare il mondo, ma si doleva forte di
averlo a lasciare sì sconcertato, ben prevedendo i fieri disordini che
poi succederono. Mandò al figliuolo _Lottario_ la corona, la spada e lo
scettro ornato d'oro e di gemme, cioè le insegne imperiali, con
ricordargli di mantener la fede a _Carlo_ suo fratello e all'imperadrice
sua matrigna, e di lasciar godere e di difendere la porzion degli stati
ad esso Carlo assegnata. Ammonito da _Dragone vescovo_ di Metz suo
fratello di perdonare al figliuolo _Lodovico_, volentieri protestò di
farlo, ma con ordine agli astanti di avvisarlo che riconoscesse i suoi
falli, e massimamente quello di aver condotto il padre a morirsi di
dolore. Finalmente in mezzo alle orazioni de' sacerdoti, con somma
umiltà e rassegnazione passò a miglior vita nel dì 20 di giugno
dell'anno presente in età quasi d'anni sessantaquattro, e il corpo suo
fu seppellito nella basilica di santo Arnolfo di Metz: principe glorioso
per l'insigne suo amore e zelo della santa religione e della disciplina
ecclesiastica, per la premura della giustizia, per la costanza nelle
avversità, per la munificenza verso i poveri e verso il clero secolare e
regolare: principe che non ebbe pari nella clemenza e nella
mansuetudine, ed in altre virtù, per le quali si meritò ben giustamente
il titolo di _Pio_; ma stranamente sfortunato ne' figliuoli del primo
letto, tutti ingrati a così buon padre, cui fecero provar tanti affanni,
e troppo amante della seconda moglie e dell'ultimo dei figliuoli, onde
ebbero origine tanti sconcerti, de' quali s'è fatta menzione. Allorchè
succedette la morte del padre, stava _Lottario_ imperadore in Italia, ed
avvisato di quel funesto avvenimento, spedì tosto, secondo la
testimonianza di Nitardo[996], dei messi per tutta la Francia, con far
sapere ch'egli a momenti andrebbe a posseder l'imperio, un pezzo fa a
lui assegnato, con promessa di confermare, anzi d'accrescere a cadauno i
governi, i benefizii e gli onori che prima godevano, e con varie minacce
ai disubbidienti. Diede egli principio ad un'epoca nuova, che s'incontra
spesso ne' suoi diplomi. Poscia si accostò alle Alpi; ma prima
d'inoltrarsi volle sapere come fossero disposti gli animi dei nobili e
de' popoli oltramontani. Nulla meno meditava l'ambizioso principe che di
assorbire tutta la monarchia dei Franchi, senza curarsi delle promesse e
dei giuramenti fatti al padre. Colla spedizione di alcuni ambasciatori
al _re Carlo_ suo fratello, ch'era passato in Aquitania, si studiò di
addormentarlo, con ispacciarsi pronto a mantenere quanto dianzi egli
avea promesso, ma con pregarlo che per allora desistesse dal
perseguitare _Pippino II_ figliuolo del defunto _Pippino_ re
dell'Aquitania. Il primo nondimeno a cominciar la nuova tragedia fu
_Lodovico re di Baviera_ suo fratello. Questi colla sua armata venne ad
occupar gli stati assegnati dal padre all'imperador Lottario nella
Germania, ed arrivò sino a Vormazia, dove lasciata guarnigione, attese a
conquistar altri paesi. Intanto passò Lottario le Alpi colle sue truppe,
e trovò gran concorso di gente che venne a riceverlo. Cacciò da Vormazia
il presidio di Lodovico, e continuò il viaggio sino a Francoforte. A
fronte sua in quelle vicinanze comparve con tutte le sue forze anche
Lodovico, e s'era per venire ad un fatto d'armi; ma Lottario propose una
tregua sino al dì undici di novembre, in cui si farebbe un abboccamento
fra loro, e si tratterebbe di concordia; e, mancante questa, si
deciderebbe coll'armi l'affare, e così si restò. Erano i disegni di
Lottario di guadagnar questo tempo, per la speranza di poter frattanto
occupare gli stati di Carlo suo fratello, creduto per la sua età non
molto atto a difendersi; nè mancò di dar buone parole agli ambasciatori
mandati da esso Carlo per precedenti capitolazioni, promettendogli dal
canto suo quella fedeltà ed ubbidienza che dee un fratello minore al
maggiore. Ma non curante Lottario de' giuramenti, poco stette a passar
la Mosa e ad entrar negli stati di Carlo. Arrivato alla Senna, cioè
verso Parigi, _Gerardo_ conte governatore di quella città, _Ilduino
abbate_ di s. Dionisio, e _Pippino_ figliuolo del già re d'Italia
_Bernardo_, per paura di perdere i lor beni e governo, andarono a
sottomettersi a lui.