Annali d'Italia, vol. 3 - 38

Stefano_, Sicone principe di Benevento mosse guerra a Napoli, ansioso di
conquistare quella nobilissima città ed arrecò infiniti danni a quei
contorni. Fingendo poscia di dar mano ad un trattato di pace, inviò
entro la città i suoi legati con ordine di guadagnar con danari alcuni
de' principali del popolo: il che loro venne fatto. Presentatosi Stefano
davanti alla chiesa di santa Stefania, per conchiudere il trattato,
quivi fu ucciso dai congiurati su gli occhi dei legati beneventani. Ma
costoro ne furono ben pagati dalla giustizia di Dio, perchè creato
immantinente duca _Buono_, cioè uno degli stessi uccisori, egli da lì a
poco parte de' suoi complici fece abbacinare, e parte ne cacciò in
esilio. Era costui Buono di nome, scellerato di fatti. Cominciò tosto ad
aggravare e malmenare il clero e i beni delle chiese di Napoli: e
perciocchè _Tiberio_, vescovo della città, gli minacciava l'ira di Dio,
il fece prendere e confinare in una dura prigione, dove il tenne vivo
gran tempo a pane ed acqua. Forzò dipoi _Giovanni_ ad accettar
l'elezione di lui fatta di successore nel vescovato, minacciandolo che,
se ricusava, avrebbe fatto mozzare il capo al tuttavia vivente Tiberio
vescovo. Non durò il ducato di Buono se non che un anno e mezzo; e
tuttavia esiste l'epitaffio suo rozzissimo presso Camillo Pellegrino,
che il fa morto nell'anno 834. Epitaffio nondimeno composto da qualche
poeta col privilegio di poter dire delle bugie.
NOTE:
[893] Baron., Annal. Eccl.
[894] Labbe, Concilior., tom. 7.
[895] Annal. Franc. Lauresham. Auct. Vit. Ludovici Pii.
[896] Ermold. Nigell., lib. 4, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[897] Saxo Grammat., lib. 9 Hist. Dan.
[898] Annales Franc. Eginhardi. Annal. Franc. Fuldenses, etc.
[899] Anonym. Salernitan. Paralipomen., P. II, tom. 2 Rerum Italicarum.
[900] Erchempertus, P. I, tom. 2 Rer. Ital.
[901] Johann. Diac., in Vit. Episcop. Neapol. P. II, tom. 1 Rerum
Italicarum.


Anno di CRISTO DCCCXXVII. Indiz. V.
VALENTINO papa 1.
GREGORIO IV papa 1.
LODOVICO PIO imperad. 14.
LOTTARIO imperadore e re di Italia 8 e 5.

Accadde nel mese d'agosto la morte del buon papa _Eugenio II_, poche
memorie del quale per negligenza di que' tempi son giunte a nostra
notizia, essendo stata troppo breve la vita di lui, che ci resta presso
Anastasio bibliotecario. Successore nella cattedra di s. Pietro fu
immediatamente con rara concordia di tutti eletto _Valentino_ diacono,
oppure arcidiacono, senza che apparisca[902] che si aspettasse
approvazione alcuna degl'imperadori o de' loro ministri. Di questo
pontefice erano insigni le virtù, annoverate dal suddetto
Anastasio[903], ed egli degno ben era di lunga vita; ma non passò un
mese che Dio sel tolse, con dolore di tutti i Romani. Si venne adunque
ad una nuova elezione, e i voti di tutto il clero e popolo romano
concorsero nella persona di _Gregorio IV_, parroco, ossia cardinale di
s. Marco, la cui pietà e carità verso i poveri, con assaissimi altri
pregi, gli servirono di raccomandazione per conseguire la cattedra di s.
Pietro. Dissi che tutti concorsero, ma se ne dee eccettuare uno, cioè
Gregorio stesso, che, per quanto potè, ripugnò ad accettar sì fatta
elezione. Abbiamo poi da Eginardo, che questi _electus, sed non prius
ordinatus est, quam legatus imperatoris Romam venit, et electionem
populi, qualis esset, examinavit_. Ecco dunque che cominciamo a vedere
verificato il decreto attribuito a papa Eugenio secondo e Lottario
Augusto intorno al divieto di consecrare il pontefice eletto senza
l'assenso dell'imperadore o de' suoi ministri, con potersi dubitare che
ciò ancora si osservasse nell'elezione di Valentino, perchè, forse in
Roma, si trovava il legato imperiale che acconsentì. L'autore della vita
di Lodovico Pio scrive[904] che fu eletto esso Gregorio, _dilata
consecratione ejus usque ad consultum imperatoris. Quo annuente et
electionam cleri et populi probante, ordinatus est in loco prioris_.
Facevano gran rumore in Italia e in Francia gli scritti di _Claudio
vescovo_ di Torino contro il culto delle sacre immagini. Presero perciò
la penna per confutare i di lui errori _Dungalo_ monaco, e poi _Giona_,
vescovo di Orleans. Il padre Mabillone[905] cercando chi fosse questo
Dungalo, autore del libro _de Cultu imaginum_, inclinò a crederlo monaco
nel monistero di s. Dionisio in Francia, e lo stesso che un _Dungalo
rinchiuso_, cioè, secondo il costume durato per molti secoli, chiuso
spontaneamente fra quattro mura, talvolta con un contiguo orticello, o
con un oratorio, per servire a Dio in un sì stretto albergo; del qual
Dungalo restano tuttavia alcuni versi. Abbracciò anche il padre
Pagi[906], con altri, questa conghiettura, ch'io ho già dimostrato non
reggere alle pruove. Cioè nelle annotazioni[907] alle giunte delle leggi
longobardiche, e molto più nelle Antichità italiane[908] ho dimostrato
che _Dungalo_, monaco, di nazione veramente _scoto_, come immaginò il
suddetto padre Mabillone, abitava non già in Francia, ma in Italia nella
città di _Pavia_, e quivi era _maestro di scuola_, inviatovi
dall'imperador Carlo Magno, affine d'insegnar le lettere in quella real
città. Ciò costa dal capitolare di Lottario Augusto, da me dato alla
luce, di cui parleremo più a basso, e da altre memorie. La di lui
vicinanza a Torino il mosse ad entrare in aringo contra del suddetto
prosuntuoso prelato. Leggesi anche una lettera di questo Dungalo,
pubblicata dal padre Dachery[909], e indirizzata a Carlo Magno nell'anno
811, in risposta alle interrogazioni fatte da quel glorioso principe
intorno a due eclissi del sole accaduti nell'anno 810. Frequenti poi
aveano cominciato ad essere le traslazioni de' corpi santi da Roma in
Francia e Germania, paesi che ne scarseggiavano. Varie se ne raccontano,
che io tralascio, e solamente osservo che strepitosa fu nell'anno
presente quella dei santi Marcellino e Pietro, procurata da _Eginardo
abate_ di vari monisteri in Germania, e quello stesso a cui siam tenuti
della vita di Carlo Magno e, per quanto si crede, degli Annali dei
Franchi. Furono que' sacri corpi rubati ed asportati dalla chiesa di s.
Tiburzio di Roma. Si contano grandi miracoli succeduti in simili
traslazioni. E però non si può dire quanto fossero avidi di queste
caccie allora i pii Oltramontani. Usavano frodi, spendevano somme d'oro,
nè lasciavano arte alcuna per giugnere ad arricchir di sacre reliquie le
lor chiese e monisteri; e di qui presero talvolta occasione i furbi e
falsarii di burlar la divozion di essi con reliquie insussistenti e
finte. E di qui parimente è venuto che alcune chiese di Francia e
Germania si gloriano di possedere i corpi d'alcuni santi insigni, come
di s. Gregorio, di s. Sebastiano e simili, che pure in Roma si credono
tuttavia seppelliti. Ebbe la Catalogna in quest'anno delle fiere
vessazioni dai Mori, ossia dai Saraceni della Spagna, e quantunque vi
accorressero con forte armata i Franzesi, pure in vece di vittorie ne
riportarono vergogna, e le campagne di Barcellona e Girona ne rimasero
devastate. Nel mese di settembre[910] giunsero a Compiegne, dove si
trovava l'imperador Lodovico, i legati di _Michele imperador dei Greci_,
per confermar la lega ed amicizia. Portarono dei regali; ma anch'essi
furono _nobiliter suscepti, opulentissime curati, liberaliter munerati_.
Essendo morto in quest'anno[911] _Angelo Particiaco_ ossia
_Participazio_, doge di Venezia, _Giustiniano_ suo figliuolo, molto
prima dichiarato doge, continuò a governar que' popoli, ed ottenne da
_Michel Balbo_ imperador dei Greci il titolo di _console imperiale_.
Bramando _Masenzio_ patriarca d'Aquileia di ridurre all'antica
ubbidienza della sua Chiesa quella di Grado, siccome ancora le altre
dipendenti da esso patriarca di Grado, ed assistito dal favor di papa
Eugenio e de' regnanti Augusti, ottenne che raunasse in quest'anno un
concilio di molti vescovi nella città di Mantova. La sentenza fu quale
egli la desiderava, e gli atti di quella sacra adunanza si leggono
pubblicati dall'accuratissimo padre Bernardo Maria de Rubeis[912]. Ma nè
più nè meno continuò il patriarcato di Grado a sussistere, non ostante
lo sforzo in contrario di quello d'Aquileia.
NOTE:
[902] Annal. Franc. Eginhardus.
[903] Anastas, in Vit. Valentini.
[904] Astronomus, in Vita Ludovici Pii.
[905] Mabillonius, Annal. Benedictin. ad hunc ann.
[906] Pagius. ad Ann. Baron.
[907] Rer. Ital. P. II, tom. 1.
[908] Antiquit. Ital., Dissert. XLIII.
[909] Dachery, in Spicileg.
[910] Astronomus, in Vit. Ludovici Pii.
[911] Dandolus, in Chronic., tom. 12 Rer. Italic.
[912] De Rubeis, Monu. Eccl. Aquilejens. cap. 47.


Anno di CRISTO DCCCXXVIII. Indiz. VI.
GREGORIO IV, papa 2.
LODOVICO PIO imperadore 15.
LOTTARIO imperatore e re di Italia 9 e 6.

Cominciava già la monarchia franzese a sentire che più non la reggeva un
Carlo Magno. Avea l'armata imperiale di Catalogna fatta una vergognosa
figura incontro ai Mori di Spagna. Altrettanto aveva operato nella
Pannonia superiore, o pur nella Carintia quella d'Italia incontro ai
Bulgari, che aveano dato il guasto ad un buon tratto di paese suggetto
allo imperadore, senza che alcuno avesse fatta resistenza e
contrasto[913]. Però l'Augusto _Lodovico_ nel febbraio di quest'anno,
tenuta una gran dieta in Aquisgrana, cassò gli uffiziali che in sì fatte
congiunture aveano mancato al loro dovere. Cadde questo medesimo gastigo
sopra _Baldrico_ duca o marchese del Friuli; e quella marca, _quam solus
tenebat, inter quatuor comites divisa est_. Sicchè veggiamo che prima
d'ora era stata formata la _marca del Friuli_, e ch'essa per questo
avvenimento cessò d'avere un duca ossia marchese, con esserne dato il
governo a quattro conti, cioè a quattro governatori di città,
indipendenti l'uno dall'altro. Probabilmente queste città furono
_Cividal di Friuli, Trivigi, Padova_ e _Vicenza_, se pur fra queste non
si computò anche _Verona_. Il nome di _marca_ vuol dire _confine_. Fin
sotto Carlo Magno per maggior sicurezza delle provincie situate ai
confini furono istituiti uffiziali che ne avessero cura, chiamati perciò
_marchensi_ e _marchesi_, che è quanto dire custodi de' confini. E
perchè secondo i bisogni non mancasse forza a tali uffiziali, al
marchese furono subordinati i conti, cioè i governatori delle città
della provincia. Che il marchese della marca del Friuli risedesse in
_Trivigi_, sembra che si possa conghietturare dal vedere che in quella
città era la zecca dell'imperadore, come costa da una moneta di Carlo
Magno ch'io ho data alla luce[914]. Ma non andrà molto che questa marca
ci comparirà davanti risorta come prima. Non so onde abbia preso il
Sigonio[915] che la marca del Friuli fu allora divisa fra dodici conti,
e che _Lottario_ figliuolo dell'Augusto Lodovico se ne credette
stranamente offeso. Nell'anno precedente avea lo stesso imperadore
inviati a Costantinopoli per suoi ambasciatori _Alitgario vescovo_ di
Cambrai, e _Anfrido abbate_ di Nonantola sul modenese: contrassegno
della singolar considerazione in cui erano allora gli abati di questo
insigne monistero, ma che fra poco decaderono, siccome dirò a suo luogo.
Tornarono questi legati circa il tempo della dieta suddetta contenti
dell'onorevol trattamento lor fatto da _Michel Balbo_ imperador de'
Greci. Poscia nel mese di giugno, trovandosi Lodovico nella villa
d'Ingeleim (perciocchè i re ed imperadori di allora mutavano spesso
paese, nè soleano avere un luogo fisso di residenza, a riserva di
Aquisgrana, dove era il loro più ordinario soggiorno di là da' monti, ed
eccettuata Pavia per i re d'Italia) quivi si presentarono a lui con dei
ricchi doni Quirino primicerio e Teofilatto nomenclatore, legati del
romano pontefice _Gregorio_. La cagione della lor venuta è a noi ignota.
Furono ben accolti e rimandati. Sparsasi poi voce che i Saraceni di
Spagna con grande sforzo minacciavano la Catalogna ed anche l'Aquitania,
diede l'imperadore commessione a Lottario augusto di accorrere con un
grosso nerbo di milizie in ajuto del fratello _Pippino_. Venne Lottario
a Lione per questo; ma svanita la nuova, e cessato il pericolo, se ne
tornò al padre; il quale intanto religiosamente attendeva a placar Dio,
che parea sdegnato colla Francia, e diede in quest'anno ordine che si
celebrassero quattro concilii per la correzione del clero e del popolo.
Abbiamo ancora dagli Annali dei Franchi[916] che nell'anno presente
_Bonifazio II_, conte di Lucca, del quale abbiam parlato di supra
all'anno 823, e a cui l'imperadore avea dato il carico di difendere
l'isola di Corsica dalle incursioni de' Saraceni, preso seco _Beretario_
(che _Berehario_ vien nominato dall'autore della vita di Lodovico Pio)
con alquanti altri conti della Toscana, Corsica e Sardegna, _assumto
secum fratre Berethario, et aliis quibusdam comitibus de Tuscia_, e
formata una picciola flotta, uscì in corso contro quegl'infedeli. Non
avendo trovato nei contorni della Corsica alcun corsaro, passò in Africa
colle sue navi, e fece uno sbarco fra Utica e Cartigine. Accorse una
innumerabile quantità di quegl'infedeli, e ben cinque volte vennero alle
mani coi Cristiani, de' quali ancora ne trucidarono alcuni che vollero
far troppo da bravi. Però Bonifazio, fatta una saggia ritirata, se ne
tornò co' suoi legni a casa. Poco certamente di profitto riportò seco;
tuttavia gli Africani, avvezzi solamente a portare il terrore e la
desolazione nelle contrade cristiane, al vedere i Cristiani questa volta
comparire coll'armi in casa loro, se non sentirono danno, ebbero almeno
un fiero spavento. Allora veramente trascuravano forte gl'imperadori
d'Occidente l'aver forze in mare, e perciò cotanto insolentivano i
Saraceni di Spagna, d'Africa e di Soria. Ed appunto circa questi tempi
riuscì a quei d'Africa di mettere il piede nell'isola di Sicilia, e
poscia di conquistarla a poco a poco con danno e vergogna del nome
cristiano. Per quanto si ricava da Cedreno[917], un certo Eufemio
capitano di milizia perdutamente innamorato di una monaca, la rapì per
forza dal monistero, e tenne questa preda come cosa sua in sua casa.
Ricorsi i fratelli della monaca all'imperadore d'Oriente padrone
dell'isola, venne ordine di dargli il convenevol gastigo; ciò gli fece
prendere la fuga, e ritirarsi presso i Saraceni dell'Africa. Così un
greco storico. Ma un italiano, cioè l'Anonimo salernitano[918] ne
rigetta la colpa sopra gli stessi Greci, con dire che Eufemio avea
contratti gli sponsali con una giovine appellata Omoniza di maravigliosa
bellezza. Ma il governator greco della Sicilia, sedotto con danari,
gliela levò, e la diede per moglie ad un altro. Infuriato per tale
affronto Eufemio coi suoi famigli s'imbarcò, e passato in Africa, tante
speranze diede a quel re maomettano della conquista della Sicilia, che
in fatti condusse que' Barbari colà, ed aprì loro la strada ad
impadronirsene interamente nello spazio di pochi anni, avvenimento che
recò lunghi ed incredibili disastri all'Italia. Aggiugne lo stesso
Anonimo che i Saraceni presero a tutta prima Catania, con farvi un gran
macello di que' cittadini, e dello stesso greco governatore. Portata
questa infausta nuova a _Sicone_ principe di Benevento, se ne afflisse
forte, ben prevedendo che questo turbine andrebbe un dì a cadere sulle
proprie contrade. Giovanni Diacono, scrittore di questi tempi,
racconta[919] che i Siracusani _cujusdam Euthymii factione rebellantes_
(chiama egli _Eutimio_ lo stesso, che gli altri appellano _Eufemio_),
uccisone _Gregora patrizio_, cioè il governatore della Sicilia. Perciò
_Michele imperadore_ de' Greci spedì contra di loro un riguardevol
esercito, al quale non potendo resistere, presero que' cittadini la
fuga. Allora fu che Eutimio ossia Eufemio _colla moglie e coi figliuoli_
(adunque non potè cercare Omoniza per moglie) passò in Africa; e
sollecitò quel re saraceno all'impresa della Sicilia. Vennero que'
Barbari, e talmente strinsero Siracusa, che i Greci pagarono di tributo
cinquantamila soldi, forse per riscattare la lor vita e la facoltà di
andarsene in pace. Diedero da lì innanzi i Saraceni un terribil guasto a
tutta la Sicilia. La narrativa nondimeno di Giovanni Diacono pare che
metta alcuni anni prima del presente l'entrata d'essi Saraceni in quella
dianzi sì felice e dappoi sì sventurata isola. Ma giacchè abbiam fatto
di sopra menzione del suddetto _Bonifazio_, bene sarà che il lettore non
ne perda la memoria, sì perchè fortissime conghietture concorrono a
farci credere questo personaggio per uno degli antenati della
nobilissima ed antichissima casa d'Este, siccome ho fatto vedere nella
parte I delle Antichità estensi; e sì ancora perchè di qui possiam
ricavare che già la Toscana avesse ricevuto anch'essa la forma di
_marca_, stante il vedersi che già Bonifazio comandava ai conti di
quella provincia. Truovansi simili personaggi chiamati nello stesso
tempo _conti_, perchè governatori d'una città, ed appunto Bonifazio era
conte di Lucca; ed anche _marchesi_, perchè la lor provincia era
limitanea, ed essi custodi di quei confini; ed ancora _duchi_,
secondochè piaceva agli Augusti di decorarli coi titoli. Trovandosi
parimente monete battute in Lucca fino nei tempi di Carlo Magno,
concorre ancor questa notizia a farci credere quella città per capitale
in questi tempi di tutta la Toscana longobarda. Si ha poi da riferire
all'anno presente, per attestato del Dandolo[920], la traslazione del
corpo di s. Marco evangelista da Alessandria a Venezia: sopra di che è
da vedere la sua leggenda. Ed avendo l'imperador de' Greci _Michele_
fatta istanza di molte navi da guerra a _Giustiniano_ doge di Venezia
contra dei Saraceni che a poco a poco andavano conquistando la Sicilia,
le inviò ben egli, ma inutile riuscì il loro viaggio e sforzo.
NOTE:
[913] Annal. Francor. Bertiniani. Astronom., in Vit. Ludovici Pii.
[914] Antiquit. Ital., Dissert. XXVII.
[915] Sigonius, de Regno Italiae.
[916] Annales Franc. Eginhard.
[917] Cedren., in Annal. ad ann. 826.
[918] Anonym. Salernit., Paralip., cap. 45. P. II, tom. 2 Rerum Ital.
[919] Johann. Diac., in Vit. Episcopor. Neap., P. II, Tom. 2 Rer. Ital.
[920] Dandul., in Chron. tom. 12 Rer. Italic.


Anno di CRISTO DCCCXXIX. Indiz. VII.
GREGORIO IV, papa 3.
LODOVICO PIO imperadore 16.
LOTTARIO imperadore e re d'Italia 10 e 7.

L'anno ultimo della vita e dell'imperio di _Michele Balbo_ imperadore
de' Greci fu questo. Morì egli nel mese d'ottobre, con lasciare presso i
Cattolici un'abbominevol memoria a cagione de' suoi giudaici ed
ereticali sentimenti, e della persecuzione fatta ai protettori delle
sacre immagini. Gli succedette _Teofilo_ suo figliuolo, che sulle prime
finse mansuetudine e zelo della giustizia, e poi, cavatasi la maschera,
non sì lasciò vincere dal padre ne' vizii. Intanto l'_imperador
Lodovico_ continuamente pensava a provveder di stati il picciolo
_Carlo_, cioè il quarto dei suoi figliuoli, a lui nato dall'_imperadrice
Giuditta_; perciocchè dianzi avea divisi i suoi regni fra i tre
maggiori. Nitardo[921] è quello che ci ha conservate tali notizie. Nè
parlò più volte Lodovico con _Lottario_, e questi in fine consentì che
ne fosse assegnata anche a lui una porzione, con giurar anche di
sostenerlo e di difenderlo in tutte le occorrenze. Perciò l'Allamagna
ossia la Suevia, che allora abbracciava l'Elvezia, cioè gli Svizzeri, fu
data in sua parte al regio fanciullo. Tegano[922] vi aggiugne anche la
Rezia ossia i Grigioni, con parte della Borgogna. Di qui prese origine
un'iliade di sconcerti nella famiglia imperiale, che costò tanti
disturbi tanto sangue alla monarchia dei Franchi. Convien nulladimeno
osservare che prima ancora di questo avvenimento non mancavano nella
corte e fuor della corte d'esso Augusto de' cattivi umori contra della
stessa di lui persona. Quei medesimi, a' quali egli avea donata la vita,
o fatti altri benefizii, quegli erano che covavano un mal animo, e
segretamente sparlavano di lui, macchinando anche, o almen desiderando
la di lui rovina; effetti tutti del concetto, in cui egli era d'essere
un principe debole. Poco stettero ancora l'invidia e l'interesse a
maggiormente soffiar nel coperto fuoco. Ora altra via non seppe prendere
il buon imperadore che di costituire aio del figliuolo Carlo un uomo da
lui creduto di polso, cioè _Bernardo duca_ o marchese di quella che
oggidì chiamiamo Linguadoca, con insieme conferirgli il grado di
presidente della sua camera, e una straordinaria balìa nella sua corte.
Ma ad altro non servì una tal risoluzione che a maggiormente inasprire
non meno i figliuoli che i malcontenti, con somministrar loro nuovi
pretesti per le novità che andremo esponendo. Fu celebrato in quest'anno
un concilio di moltissimi vescovi nella città di Parigi, dove furono
formati varii canoni di disciplina ecclesiastica, e dati anche de' saggi
documenti agl'imperadori per governo de' popoli. In quest'anno
l'imperador Lodovico spedì il figliuolo Lottario in Italia, acciocchè
accudisse agli affari di questo regno. Sia lecito a me di rammentar qui
un suo capitolare, che già diedi alla luce fra le leggi
longobardiche[923], quantunque sia incerto l'anno in cui esso fu formato
dal suddetto Lottario Augusto. Dice egli di aver trovato che lo studio
delle lettere, per colpa e dappocaggine dei ministri sacri e profani, è
_affatto estinto_ nel regno d'Italia; e però di aver deputati maestri
che insegnino le lettere, con raccomandar loro di usar tutta la premura
possibile affinchè i giovani ne cavino profitto. Vien poscia annoverando
le città, in cadauna delle quali era destinato un maestro, acciocchè
concorressero colà a studiare gli scolari delle circonvicine città.
_Primieramente_, dice egli, _dovran venire a studiare sotto Dungallo in
Pavia i giovani di Milano, Brescia, Lodi, Bergamo, Novara, Vercelli e
Como_. Questo _Dungallo_ altri non può essere che _Dungalo_ monaco,
autore del trattato contra di Claudio vescovo di Torino, di cui s'è
parlato di sopra, che abitava e faceva scuola in Pavia. Seguita a dire
che _in Ivrea lo stesso vescovo insegnerà le lettere. A Torino
concorreranno da Albenga, da Vado, da Alba. In Cremona dovran venire
allo studio quei di Reggio, Piacenza, Parma_ e _Modena_. Ed ecco
chiaramente comprese queste quattro città nel regno d'Italia, e non già
nell'esarcato conceduto alla santa Sede, come alcuno (non so mai come)
ha preteso ai dì nostri. _In Firenze_ (son parole di Lottario
volgarizzate) _si farà scuola a tutti gli studenti della Toscana: in
Fermo a quei del ducato di Spoleti: a Verona concorreranno da Mantova e
da Trento: a Vicenza da Padoa, da Trivigi, da Feltro, Ceneda ed Asolo.
L'altre città di quelle parti manderanno i lor giovani alla scuola del
Foro di Giulio_, cioè a Cividal del Friuli. Questo bel documento ci fa
intendere tutte le contrade del regno d'Italia dalla parte occidentale.
Non vi si parla del ducato di Benevento, perchè que' duchi o principi, a
riserva del tributo, godevano quasi un supremo dominio ne' loro stati. E
neppur si fa parola delle città della Chiesa romana, perchè esse erano
ben sottoposte alla sovrana signoria degl'imperadori, ma escluse dal
regno d'Italia. Si vuol inoltre osservare che i maestri di scuola
d'allora altro non insegnavano che la grammatica, nome nondimeno che
abbracciava un largo campo, cioè, oltre alla lingua latina, anche le
lettere umane, la spiegazion degli antichi scrittori e poeti latini, una
qualche tintura delle sacre Scritture, colla giunta talvolta del computo
per intendere le lunazioni, e simili altre conoscenze. Ci ha contato
delle favole chi ha spacciato delle università di arti e scienze in que'
tempi, come oggidì, e ne ha fatto istitutore Carlo Magno in Italia e in
Francia. Era fortuna in quei secoli rozzi il poter avere un buon maestro
di scuola. Sì fatte scuole in molti monisteri di monaci si trovavano e
in alcune città. Anche i vescovi talora insegnavano, e i parrochi di
villa erano tenuti ad ammaestrar nelle lettere i fanciulli.
Appartiene a quest'anno un celebre placito ossia giudizio tenuto in Roma
dai ministri dell'_imperador Lodovico_, che il padre Mabillone[924] già
diede alla luce, e si legge nell'appendice alla piena esposizione dei
diritti cesarei ed estensi sopra Comacchio. Anche il Du-Chesne[925],
cento anni sono, l'avea comunicato al pubblico negli estratti della
Cronica di Farfa. Il padre Pagi[926] ne fa menzione all'anno 839, perchè
non ne avea veduta la data, che è questa: _Anno imperii domni Hludovici
XVI, mense januario, per Indictione VII_, cioè nell'anno presente. Da
esso placito impariamo che _Giuseppe vescovo_, e _Leone conte, missi
ipsius Augusti ad singulorum hominum causas audiendas et deliberandas_,
erano per ordine del grande imperador Lodovico venuti da Spoleti e dalla
Romagna a Roma, e che _residentibus nobis in judicio in palatio
lateranensi, in praesentia domni Gregorii papae, et una simul nobiscum
aderant Leo episcopus et bibliothecarius sanctae romanae Ecclesiae,
Theodorus episcopus,_ etc., _Petrus dux de Ravenna,_ etc., comparve
Ingoaldo abate del monistero di Farfa col suo avvocato, lamentandosi che
_domnus Adrianus et Leo pontifices per fortia invasissent res ipsius
monasterii, idest curtem cornianianum, etc. unde tempore Stephani,
Paschalis et Eugenii semper reclamavimus, et justitiam minime invenire
potuimus_: perciò chiedeva giustizia dai ministri imperiali, secondo
l'ordine dato loro dall'imperadore. Interrogato l'avvocato del papa,
rispose che la santa Chiesa romana teneva giustamente que' beni. Allora
fu intimato all'avvocato dall'abate di produrre, se ne avea, delle
ragioni. E questi esibì strumento, dal quale appariva che _Anselberga
badessa del monistero di s. Salvatore di Brescia_ (oggidì di santa
Giulia), e figliuola del re Desiderio, avea ceduto quei beni al
monistero farfense, siccome ancora un'altra pergamena, per cui si
chiariva che _Teodicio duca di Spoleti_ glieli avea venduti; e un'altra
comprovante che _Ansa regina_ avea acquistato con un cambio la corte di
s. Vito da _Teutone vescovo di Rieti_, e poi l'avea donata alla suddetta
Anselberga sua figliuola. Produsse ancora i diplomi del re Desiderio e
di Carlo Magno, che aveano confermato quelle corti al suo monistero. E
perciocchè negava l'avvocato pontificio che i monaci ne avessero mai
avuto il possesso, l'abbate si esibì pronto a produrre testimoni
legittimi del possesso, _usque dum praefati pontifices per fortia eas
tollere fecissent_. Nel giorno appresso furono esaminati varii idonei
testimonii che deposero in favore dei monaci; e non avendo l'avvocato
del papa che rispondere a tali testimonianze, i giudici diedero la
sentenza che que' poderi fossero riconsegnati al monistero di Farfa. Ma
l'avvocato pontificio disse di non voler farlo; e il papa protestò di
non accettar quella sentenza, con riserbarsi di trattarne di nuovo coi
medesimi davanti al signor imperadore. Se dal vedere che i ministri
imperiali alzano tribunale in Roma e nello stesso palazzo lateranense, e
ad istanza di chi si pretende gravato, chiamano al loro giudizio il
pontefice per beni temporali, e proferiscono sentenza, non risulti
chiaramente il dominio sovrano tuttavia conservato in Roma dagli
Augusti: io ne rimetto la decisione a chiunque fa profession d'amare le
verità in Roma stessa, con credenza che ognuno ivi l'ami e non
l'abborrisca. Secondo il Dandolo[927], mancò in quest'anno di vita
_Giustiniano Particiaco_, ossia Participazio, doge di Venezia, con
lasciar molti legati ai luoghi pii, e un buon fondo per fabbricare una
chiesa in onore di s. Marco evangelista, il cui corpo, siccome dicemmo,
sotto di lui fu portato a Venezia. Aveva egli richiamato alla patria
_Giovanni_ suo fratello, già relegato in Costantinopoli, ed ottenuto dal
popolo d'averlo per suo collega; laonde, accaduta la di lui morte, esso
Giovanni continuò ad esser doge.
NOTE:
[921] Nithardus. Hist., lib. 2.
[922] Theganus, de Gest. Ludovici Pii.
[923] P. I, tom. 2 Rer. Italic.
[924] Mabill. Append. ad tom. 2 Annal. Bened.
[925] Du-Chesne, Rer. Franc., tom. 3.
[926] Pagius, in Crit. Baron.
[927] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.