Annali d'Italia, vol. 3 - 37

quorumdam pontificum vel ignorantia vel desidia, sed et judicum caeca et
inexplebili cupiditate, multorum praedia injuste fuerint confiscata.
Ideoque reddendo, quae injuste fuerant sublata, Lotharius magnam populo
romano creavit laetitiam. Statutum est etiam JUXTA ANTIQUUM MOREM, ut EX
LATERE IMPERATORIS mitterentur, qui judiciariam exercentes potestatem,
justitiam omni populo facerent, et tempore, quo visum foret imperatori,
aequa lance penderent_. Sicchè ai disordini passati si rimediò
coll'obbligare la camera pontificia alla restituzion dei beni
indebitamente confiscati; e si provvide all'avvenire col deputar giudici
_ex latere imperatoris_, che amministrassero giustizia a tutto il
popolo, e durassero nell'impiego per quel tempo che paresse
all'imperadore medesimo. Atti tali non credo che abbiano bisogna di
spiegazione. E probabilmente fu in tal congiuntura che l'imperadore
Lottario, trovati in Roma dei giudici rei di concussioni ed ingiustizie,
li gastigò con inviarli alle prigioni in Francia. Ma col tempo papa
Eugenio tanto si adoperò che riebbero la libertà. Nella vita breve
d'esso papa scrive Anastasio[873]: _Hujus diebus romani judices, qui in
Francia tenebantur captivi, reversi sunt, quos in parentum propria
ingredi permisit, et eis non modicas res ex patriarchio lateranensi
praebuit, quia erant pene omnibus facultatibus destituti_. Oltre a ciò,
pel buon governo di Roma Lottario Augusto pubblicò alcune costituzioni,
pubblicate dal cardinal Baronio[874], ma più copiose presso
l'Olstenio[875]. Nella prima egli ordina che chiunque ha spezial
privilegio, dipendenza e patrocinio del papa e dell'imperadore (_sub
speciali defensione domni apostolici, seu nostra_), inviolabilmente ne
goda, sotto pena della vita a chi li molestasse. Vedemmo di sopra il
monistero farfense posto _sub defensione regum langobardorum et Caroli
Magni_, e sopra d'esso niun dominio per conto del temporale avea il
papa. Ivi similmente comanda che si presti in tutto una giusta
ubbidienza al romano pontefice e ai suoi duchi (governatori delle città)
e ai giudici da lui deputati a far giustizia. Nella seconda son vietate
le ruberie fatte in addietro, tanto vivente il papa, come nella sede
vacante. Nella terza si prescrive, sotto pena d'esilio, che niuno
impedisca l'elezion del pontefice, e ad eleggerlo concorrano quei soli
Romani che v'hanno diritto. Nella quarta vuole che sieno deputati dei
messi dall'imperadore, che ogni anno informino esso Augusto, come si
portino i giudici nell'amministrazion della giustizia, e come sia
osservata l'imperial costituzione. Decreta inoltre che in prima istanza
le querele contra i duchi o giudici negligenti sieno portate al papa,
acciocchè egli tosto vi provvegga per mezzo de' suoi deputati; o lo
faccia sapere all'imperadore, che manderà suoi messi per provvedere.
Nella quinta vuole che s'interroghi tutto il senato e popolo romano, per
sapere con che legge voglia vivere, avvertendo ognuno che se commetteran
delitto contra la legge da loro eletta e professata, secondo quella
saran gastigati per ordine del pontefice e dell'imperadore. Va inteso
delle leggi romane, saliche, bavaresi, ripuarie e longobarde, che tutte
aveano allora corso in Italia ed anche in Roma, dove concorrevano tanti
Longobardi e Franzesi. Nella sesta trovandosi dei beni occupati alla
Chiesa romana da alcuni potenti di Roma, sotto pretesto d'averli
ottenuti dai precedenti papi, vuole i ministri imperiali, il più presto
che si possa, li facciano restituire. Nella settima comanda che non si
facciano dai Romani ruberie ne' confini delle provincie suggette al
regno d'Italia; e che le già fatte ed ogni altra ingiustizia occorse di
qua e di là sia corretta secondo le leggi. Nell'ottava dà ordine, che
compariscano alla sua presenza, finchè egli si trova in Roma, tutt'i
duchi, giudici ed altri uffiziali del governo; perchè ne vuol sapere il
numero e i nomi, e fare a cadauno un'ammonizione intorno al ministero
che gli è appoggiato. In ultimo comanda ed esorta ciascuno che portino
in tutto ubbidienza e riverenza al romano pontefice, se loro sta a cuore
di goder la grazia di Dio e d'esso imperadore. Da queste ordinazioni
risulta la signoria de' papi in Roma e nel suo ducato, ma insieme la
superiore degli Augusti. Tornò poscia Lottario in Francia, e notificato
al padre come erano stati eseguiti in Roma i di lui ordini, se ne
rallegrò forte il buon imperadore, e specialmente del bene fatto agli
oppressi sotto i precedenti pontificati.
Se vogliamo prestar fede al continuatore anonimo della storia di Paolo
Diacono[876], già pubblicato dal Freero, Lottario imperatore solennizzò
in Roma la festa di san Martino, e fece fare tanto egli come papa
Eugenio al clero e popolo romano il seguente giuramento: _Promitto ego
ille per Deum omnipotentem, et per ista quatuor Evangelia et per hanc
Crucem Domini nostri Jesu Christi, et per corpus beatissimi Petri
principis Apostolorum, quod ab hac die in futurum ero fidelis dominis
nostris imperatoribus Hludovico et Hlothario, diebus vitae meae, juxta
vires et intellectum meum, sine fraude atque malo ingenio, salva fide,
quam repromisi domino apostolico. Et quod non consentiam, ut aliter in
hac sede romana fiat electio pontificis, nisi canonice et juste secundum
vires et intellectum meum; et ille, qui electus fuerit, me consentiente
consecratus pontifex non fiat, priusquam tale sacramentum faciat in
praesentia missi domini imperatoris et populi eum juramento, quale
dominus Eugenius papa sponte pro conservatione omnium factum habet per
scriptum._ Ma noi non possiam dare questo per documento sicuro, stante
il dirsi da quello scrittore che _anno DCCCXXV Lotharius imperator
iterum ad Italiam veniens, missam sancti Martini Romae celebravit_.
Bensì nell'anno presente 824 venne a Roma l'imperador Lottario, e si può
credere che vi si trovasse nella festa di san Martino, perchè solamente
nel seguente anno tornò in Francia; ma non sussiste la sua venuta
nell'anno 825. Anche il padre Pagi[877] per altre ragioni tien
quell'autore per molto posteriore a' tempi di Paolo Diacono.
Giovan-Giorgio Eccardo[878] crede errato qui l'anno per colpa de'
copisti. Tolto ciò, non è inverisimile quell'atto per i motivi che
addurremo più abbasso. Lo stesso padre Pagi lo riferisce come cosa
certa; e veramente papa Eugenio, considerata la discordia accaduta nella
propria elezione, potè condiscendervi, per rimediare ai disordini
dell'avvenire. Tuttavia lecito è a ciascuno di sentire qui ciò che gli
pare più verisimile. Prima che il suddetto Augusto Lottario imprendesse
di quest'anno il viaggio in Italia, trovandosi in Compiegne, diede un
diploma in favore di _Leone vescovo_ di Como, che si legge presso
l'Ughelli[879], dove conferma alla di lui chiesa i privilegii conceduti
da Ansprando, Cuniberto, Bertarido, Ariberto, Liutprando, Rachisio,
Astolfo e Lodovico suo padre, e nominatamente _res quas Waldo abbas
praedicto Petro episcopo quaesivit, quae erant sitae in Valle Tellina in
ducatu mediolanense_. Degno è d'osservazione questo nome di _ducato di
Milano_, e che la Valtellina fosse in esso compresa. Per altro quel
diploma è pieno di spropositi, e v'ha qualche giunta che non può venir
dall'originale, come è il dirsi sul principio _Lotharius primus
Augustus_. Quel _primus_ è stato aggiunto da qualche sciocco, e così
_Ludovicus secundus_ e _Ludovicus tertius_ ne' susseguenti, quasichè gli
imperadori d'allora usassero i riti dei tempi nostri. Negli Annali sacri
del padre Tatti[880] non compariscono così macchiati que' diplomi. La
data è questa: _III nonas januarii anno, Christo propitio, undecimo
imperii domni Ludovici piissimi Augusti, Lotharii filii ejus
gloriosissimi regnantis secundo, indictione secunda, anno DCCCXXIV.
Actum Compendio, palatio regio_. Ma quell'anno dell'era cristiana
anch'esso è una giunta, non essendo per anche stato in uso di questi
monarchi ne' loro diplomi, come risulta da tanti altri esempli. _L'anno
secondo_ di Lottario, corrente nel dì 3 di gennaio del presente anno,
suppone una epoca incominciata nell'anno 822. Un altro diploma d'esso
Lottario vien riferito dal medesimo padre Tatti sotto il precedente anno
con queste note: _Datum III nonas junii anno imperii domni Hludovici
serenissimi imperatoris X, regnique Hlotharii gloriosissimi Augusti in
Italia I, Indictione prima. Actum Venonica Villa Unfredi comitis, in Dei
nomine feliciter. Amen. Anno DCCCXXIII_. Si dee credere aggiunto l'anno
cristiano, perchè è fuor di sito e non usato allora.
Fu costretto ancora in quest'anno l'imperador Lodovico, per domare gli
umori inquieti de' popoli della minore Bretagna, di portarsi con un
potente esercito in quella provincia, insieme coi suoi due figliuoli
_Pippino_ e _Lodovico_. Secondo gli abusi di que' tempi, anche i
vescovi, gli abati ed altri ecclesiastici, che aveano de' vassalli,
erano obbligati ad intervenirvi coll'armi. E v'intervenne appunto anche
_Ermoldo Nigello_ monaco, anzi per quanto portano le conghietture,
abbate di Aniana, che racconta[881] quella guerra, con protestar
nondimeno di non aver combattuto, nè sparso il sangue d'alcuno, e con
aggiungere un motto faceto del _re Pippino_, che al vedere la bella
figura di questo buon monaco guernito d'armi, non potè contener le risa,
e gli disse che andasse a studiar lettere; che questo era il suo
mestiere, e non già il maneggiar armi. Ecco le sue parole:
_Hic egomet scutum humeris ensemque revinctum_
_Gessi, sed nemo me feriente dolet._
_Pippin hoc aspiciens, risit, miratur et infit:_
_Cede armis, frater, literam amato magis_.
Questi erano i bei costumi d'allora, che durarono anche dipoi gran tempo
al dispetto di tutte le doglianze de' sommi pontefici e de' concilii, e
benchè Carlo Magno avesse promesso di esentar gli ecclesiastici della
guerra. Per più di quaranta giorni fu devastata la minore Bretagna,
tanto che quel popolo s'indusse alla sommessione e a dar degli ostaggi
per sicurezza delle loro promesse. Vennero nel novembre di quest'anno
all'udienza dell'imperador Lodovico[882] in Roano i legati di _Michele
Balbo_ imperadore d'Oriente, per confermar la pace fra l'uno e l'altro
imperio, e gli presentarono varii regali per parte del loro padrone. Si
servì di questa congiuntura _Fortunato patriarca di Grado_ per venire
anch'egli da Costantinopoli a trovar lo imperadore desideroso d'essere
rimesso in sua grazia. Ma quegli ambasciatori nulla parlarono in favore
di lui; ne parlò ben egli; ma l'imperadore il rimise al papa, come a
giudice competente dei suoi pari. Secondochè scrive il Dandolo[883]:
questo patriarca terminò il corso della sua instabile vita in Francia, e
lasciò per testamento alla chiesa di Grado molti ricchi arredi ch'egli
aveva acquistati nelle varie sue vicende. Suo successore nel patriarcato
di Grado fu _Venerio_, nato in Rialto, ossia nella nuova Venezia, che
rifabbricò in Grado molte chiese malcondotte dalla lor vecchiaia.
_Suppone_, già da noi veduto duca di Spoleti, godè per poco tempo della
sua fortuna, perchè per attestato degli Annali de' Franchi, mancò di
vita in quest'anno. Trovavasi allora in Italia a rendere giustizia ai
popoli per ordine degl'imperadori _Adalardo conte del palazzo_,
appellato il Minore. A lui fu conferito quel ducato; ma appena passarono
cinque mesi che anch'egli sloggiò da questa vita. In suo luogo venne
dichiarato duca di Spoleti _Mauringo ossia Moringo_, conte di Brescia,
che vedemmo nell'anno precedente delegato anch'esso dall'imperador
Lodovico insieme col suddetto Adalardo. Strana cosa parve che appena
ricevuta la nuova della dignità a lui conferita, cadde infermo, e passò
similmente al paese dei più. Pensa il conte Campelli[884] che a lui
succedesse nel governo di Spoleti _Guido I, ossia Guidone_ o _Widone_;
ma di ciò parleremo più abbasso. Nè vo' lasciar di dire che i legati
dell'imperador greco portarono all'Augusto Lodovico lettere del loro
padrone, dove si trattava del culto delle sacre immagini, contra le
quali esso Michele imperadore palesemente s'era dichiarato, per veder di
tirare nel suo partito il regno de' Franchi. Lodovico poscia inviò tutti
costoro a Roma, acciocchè di questo affare risguardante la Chiesa ne
fosse giudice il solo romano pontefice. Se vogliam credere ad essi
Greci, molte superstizioni e molti abusi s'erano introdotti nella
venerazion delle immagini. Ora Lodovico a cui dispiaceva la dissension
della Chiesa per questo affare, spedì anch'egli al papa i suoi legati,
con chiedergli licenza di tener delle conferenze coi vescovi per
disaminar questo punto, benchè già deciso nel concilio niceno II.
NOTE:
[869] Annal. Franc. Eginhardi. Annal. Franc. Bertiniani et alii.
[870] Anastas. Bibliothecar., in Vita Pascal.
[871] Paschasius Ratbertus, in Vit. Wallae Ab., lib. 1.
[872] Astronomus, in Vit. Ludovici Pii.
[873] Anastas. Bibliothec., in Vit. Eugenii II.
[874] Baron., in Annal. Eccl.
[875] Holstenius, Collect. Rom., P. II.
[876] Rer. Italic., P. II, tom. 1.
[877] Pagius, ad Ann. Baron.
[878] Eccard., Rer. Franc., lib. 28.
[879] Ughell., Ital. Sacr., tom. 3.
[880] Tatti, Annali Sacri di Como, tom. 1.
[881] Ermold. Nigellus, lib. 4, P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[882] Annales Franc. Eginh. Annal. Franc. Bertin., ec.
[883] Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Italic.
[884] Campelli, Storia di Spoleti, lib. 16.


Anno di CRISTO DCCCXXV. Indizione III.
EUGENIO II papa 2.
LODOVICO PIO imperadore 12.
LOTTARIO imperadore e re di Italia 6 e 3.

Fu in fatti nel novembre dell'anno presente tenuta in Parigi una copiosa
conferenza di vescovi per riconoscere, se culto si dovesse, e quale,
alle sacre immagini, e si trovarono que' prelati conformi in alcuni
punti alla dottrina della Chiesa romana, stabilita nel suddetto concilio
di Nicea, ma discordi in altri. Essendo fuori dell'assunto, ch'io ho
preso, una tal controversia, rimetto i lettori bramosi di prenderne
conoscenza, a quanto sopra di ciò hanno scritto il cardinal
Baronio[885], il padre Mabillone[886] e il padre Pagi[887], e alla
storia ecclesiastica del Fleury. Mentre l'imperador Lodovico era in
Aquisgrana, vennero a trovarlo gli ambasciatori de' Bulgari per metter
fine alle dispute de' confini fra la loro nazione e i Franchi. Segno è
questo che il dominio dei Franchi si stendeva ben oltre nella Pannonia,
mentre arrivava sino ai confini della Bulgaria. Tuttavia potrebbe essere
che i Bulgari occupassero allora un paese più vasto della Bulgaria
moderna da noi conosciuta, e che potessero anche sì fatte liti essere
state dalla parte della Schiavonia. L'imperadore, come conveniva,
rispose con sue lettere al re dei Bulgari; ma per ora non seguì accordo
alcuno fra loro. Conchiuse egli bensì un trattato di pace coi Danesi, e
inoltre destinò varii messi per diverse parti della sua monarchia con
ordine di procurar l'onore delle chiese e la giustizia fra i popoli.
Leggonsi tuttavia presso il Baluzio[888] le Istruzioni sue premurose e
giuste, a tale effetto pubblicate in un capitolare. Finquando vivea papa
Pasquale, _Claudio_ vescovo di Torino, di nazione spagnuolo, avea
cominciato a riprovar la venerazione delle sacre immagini e delle
relique, e i pellegrinaggi della gente pia. Si sa che esso papa era in
collera contra di lui. Da che Pasquale fu chiamato da Dio a miglior
vita, si diede Claudio a scrivere pubblicamente contro la dottrina della
Chiesa. Non si può negare, costui era uomo dotto, ma pieno di superbia e
di presunzione: chiamava asini tutti i vescovi d'Italia. Scrisse a
Teodemiro abbate in Francia per persuadergli i suoi sentimenti; ma
l'abbate, lungi dall'accordarsi con lui, modestamente riprovò gli
erronei di lui sentimenti. Di più non vi volle perchè Claudio acceso di
collera facesse un insolente risposta in difesa de' suoi errori. Dalla
Cronica farfense[889] apprendiamo avere _papa Eugenio_ donate al
monistero di Farfa due masse, appellate l'una Pompeiana, e l'altra
Belagai, poste _infra nobilissimam urbem romanam_: il che ci fa
conoscere che entro Roma stessa si trovavano dei buoni poderi
coltivabili. _Ingoaldo abbate_ ne cercò in quest'anno la conferma da
Lottario imperadore, come costa dal suo diploma, dato _secundo kalendas
junias, anno, Christo propitio, imperii serenissimi domni Ludovici
Augusti XII, regnique Lotharii gloriosissimi imperatoris in Italia III,
Indictione III Actum Olonna palatio regio_, cioè nell'anno presente.
Dura tuttavia il nome di _corte Olonna_ nel distretto di Pavia in
vicinanza del fiume Olonna non lungi dal Po. Era una volta luogo di
delizie dei re d'Italia con palazzo per la villeggiatura; e quivi furono
dati varii loro diplomi. Oggidì appartiene ad un generoso signore della
casa d'Este, cioè a don Carlo Filiberto d'Este, principe del sacro
romano imperio e marchese di san Martino. Circa questi tempi per
attestato del Dandolo[890], i dogi di Venezia spedirono Giusto prete per
loro legato, unitamente con Pietro diacono di _Venerio patriarca_ di
Grado, agl'imperadori Lodovico e Lottario, ed ottennero la conferma
delle esenzioni de' beni spettanti alla chiesa di Grado nel regno
d'Italia. Trovavasi l'Augusto Lottario in Marengo, corte regale in
Lombardia, nel febbraio dell'anno presente, ed ivi con suo diploma[891]
assegnò un monistero in ricompensa d'uno spedale di pellegrini tolto
all'insigne monistero della Novalesa. Erano negli antichi secoli
frequentissimi gli spedali per alloggiare i pellegrini, tanto nelle
città che fuori, e massimamente nei passaggi delle montagne e de' fiumi
perchè le osterie, sì usate oggidì, erano allora cose rare. Però pochi
monisteri di monaci e canonici regolari si contavano una volta che non
avessero di sì fatti caritativi alberghi; per nulla dire di tanti altri
istituti per gl'infermi, per gli fanciulli esposti, per gli vecchi ed
altri poverelli: del che ho io trattato nelle mie Antichità
italiane[892].
NOTE:
[885] Baron., Annal. in Eccl.
[886] Mabill., Praef. p. 1. Saecul. IV, Benedictio.
[887] Pagius, in Crit. Baron. ad hunc annum.
[888] Baluz., Capitular. Reg. Franc. tom. 1.
[889] Part. II, tom. 2 Rer. Ital.
[890] Dandolus, in Chron., tom. 12 Rer. Italic.
[891] Antiquit. Italic., Dissertat. XXXVII, p. 577.
[892] Antiquit. Italic., Dissert. XXXVII, pag. 577.


Anno di CRISTO DCCCXXVI. Indizione IV.
EUGENIO II papa 3.
LODOVICO PIO imperadore 13.
LOTTARIO imperadore e re di Italia 7 e 4.

Tenne in quest'anno _papa Eugenio_ un concilio in Roma riferito in parte
dal cardinal Baronio[893] ed interamente poi dall'Olstenio e dal
Labbe[894]. Si dice ivi raunata quella sacra assemblea, _imperante
domino nostro piissimo Augusto Hludovico a Deo coronato magno
imperatore, anno XIII, et post consulatum ejus anno XIII, et Hlothario
novo imperatore ejus filio anno X, Indictione IV_ (probabilmente sarà
stato ivi scritto _Indictione V_, cominciata nel settembre) _mensis
novembris die XV_. Si vede qui praticato per gl'imperadori d'Occidente
lo stesso stile che si usava nei tempi addietro per gli greci Augusti,
allorchè erano padroni di Roma. Merita anche osservazione l'epoca di
Lottario Augusto presa non già dall'anno della coronazione romana 823,
ma bensì dalla sua prima elezione dell'anno 817. A questo concilio
intervennero sessantatrè vescovi, e furono fatti trentotto canoni. Fra
l'altre cose dice il pontefice d'aver inteso come in alcuni luoghi non
si trovavano maestri di lettere, e che di ciò niuno prendeva cura. Il
perchè ordina che in tutti i palazzi dei vescovi e in tutte le pievi,
cioè nelle case de' parrochi di villa e negli altri luoghi, dove occorra
il bisogno, vi sia chi insegni le lettere e l'arti liberali, e spieghi
la divina Scrittura. C'era quest'obbligo anche prima, e Carlo Magno ebbe
anche egli a cuore che non meno in Francia e Germania, che in Italia
rifiorisse lo studio delle lettere. Ma in che stato fosse allora per
questo conto l'Italia, e ciò che allora insegnassero i maestri, lo
vedremo all'anno susseguente. In esso concilio ancora fece premura il
papa perchè dappertutto s'introducesse l'istituto dei canonici, e della
vita loro comune in chiostro unito alle cattedrali. Sappiamo eziandio
dagli Annali de' Franchi[895], che nell'anno presente furono spediti da
papa Eugenio _all'imperador Lodovico_ due nunzii, cioè _Leone vescovo_
di Selva Candida e Teofilatto nomenclatore; ma senza essere a noi
pervenuto il motivo e soggetto di quest'ambasceria. Vi tornò ancora un
legato del re de' Bulgari, e questi, giacchè non era anche decisa la
controversia de' confini, fece nuove istanze per determinarle senza
maggior dilezione, altrimente protestava che cadauno difenderebbe
coll'armi ciò che possedeva. Andò l'imperadore tirando in lungo le
risposte, perchè v'era qualche sentore che il re suddetto in questo
mentre fosse stato ucciso o cacciato dal regno; e per chiarirsene inviò
_Bertrico_, conte del palazzo, a _Baldrico, duca_ o marchese del Friuli,
e a _Geroldo, conte_ della Carintia, con ordine d'informarsene. Si trovò
falsa la voce: però l'imperadore rispedì quel legato, ma però senza
lettere.
La funzione più riguardevole dell'anno presente nella corte dell'augusto
Lodovico fu la venuta di _Erioldo_ ossia _Exoldo_, re di Danimarca,
colla moglie ed un figliuolo ad Ingeleim, presso al Reno, dove esso
imperadore tenne una gran dieta. Aveva _Ebbone, arcivescovo di Rems_,
esortato questo re pagano ad abbracciar la fede di Gesù Cristo, e a
questo fine venne egli a trovar l'imperadore; ma vel trassero anche dei
riguardi politici, mentre non si sentiva egli sicuro sul trono per la
concorrenza de' figliuoli del _re Gotifredo_, e potea molto giovargli la
protezione e l'aiuto dell'imperadore. _Ermoldo Nigello abbate_, il cui
poema, ricavato dalla biblioteca cesarea, ho io dato in luce[896],
descrive minutamente questo avvenimento, di cui sembra essere stato
spettatore, cioè tutta la solennità del ricevimento d'esso Erioldo: il
battesimo a lui conferito, alla moglie ed al figliuolo; la sua
coronazione, e i regali a lui presentati da Lodovico, a sua moglie
dall'_imperadrice Giuditta_, e a suo figliuolo da _Lottario Augusto_; e
una sontuosa caccia fatta in tal occasione col convito di campagna
preparato dall'imperadrice. Terminate queste funzioni, Erioldo sottopose
il regno suo danese all'imperio romano, con giurar fedeltà all'Augusto
Lodovico. Finalmente accompagnato da _Anscario_ monaco, il quale col
tempo divenne vescovo di Amburgo ed apostolo del Settentrione, ed ora
veniva destinato a predicar la religione di Cristo nelle di lui
contrade, s'incamminò verso la Danimarca, dove, per quanto si ha
dall'antico storico di quel regno[897], da lì a qualche tempo abiurò la
credenza e i riti del Cristianesimo, mancando di fede a Dio e
all'Augusto suo benefattore; Degnissima ancora di memoria, e non senza
ragione, parve agli scrittori d'allora l'introduzione in Occidente di
far gli _organi_ da fiato. Fin qui era stata ristretta nei Greci, che
forte se ne gloriavano; e chi volea degli organi anche in Italia, li
facea venir fatti di colà. Fin dall'anno 757 _Costantino imperador_ de'
Greci ne inviò uno in dono a _Pippino re_ di Francia: e questo sonato
empiè di maraviglia i Francesi. Noi, avvezzi ad udir sì fatte
ingegnosissime macchine, non ce ne stupiamo ora punto; ma se per la
prima volta ne udissimo una, tasteggiata da qualche buon maestro,
l'ammireremmo ancor noi al pari di quelli. Dissi che il saper fabbricare
di questi organi era mestiere allora affatto ignoto in Occidente.
Accadde, che tornando alla corte imperiale _Baldrico duca_ del
Friuli[898], per informar l'imperadore delle diligenze da sè praticate
per risaper lo stato dei Bulgari, menò seco un prete veneziano, per nome
Giorgio, il quale si esibì pronto a lavorar di questi organi. Accettata
ben volentieri una tal proposizione, l'imperadore il mandò ad
Aquisgrana, con ordine di somministrargli tutto il bisognevole. L'opera
fu compiuta, e perciò essendosi in quelle parti introdotta quest'arte,
che s'andò poi sempre più dilatando, non ci fu più bisogno da lì innanzi
di ricorrere alla Grecia per arricchir d'organi i sacri templi. Ebbe il
suddetto Giorgio prete in ricompensa una badia in Francia. Siccome fu
detto di sopra, era divenuto duca, ossia principe di Benevento _Sicone_.
_Radelchi_, o vogliam dire _Radelgiso_, che tanto avea cooperato alla di
lui esaltazione, per qualche tempo fu uno de' suoi favoriti. Nulla
d'importante, per quanto scrive l'Anonimo salernitano[899], si faceva in
quella corte senza il parere di esso Radelgiso. Ma ritrovandosi egli al
suo governo di Conza, e venutogli all'orecchio che Sicone senza
partecipazione sua avea presa non so qual risoluzione, se l'ebbe a male,
e gli scappò detto: _Poco fa io ho tolto di mezzo il falcone_ (cioè
_Grimoaldo Storesaiz_ duca, da lui ucciso), _mi resta anche la volpe_
(cioè Sicone). Non cadde in terra questo motto, e fu rapportato ben
tosto al principe Sicone, che con grande amarezza l'ascoltò, e cominciò
a pensar le vie di fortificarsi con delle parentele contro ai disegni di
Radelgiso. Per questo maritò tre sue figliuole con tre de' più nobili e
potenti beneventani.
Allora fu che Radelgiso, il quale dianzi si teneva in pugno le nozze
d'una di quelle principesse con un suo figliuolo, non solamente conobbe
perduta per lui questa fortuna, ma eziandio si avvide di essere caduto
di grazia, e si riputò come perduto. Però si appigliò al partito di
abbandonare il mondo, per motivo, diceva egli, di far penitenza
dell'omicidio commesso nella persona del suo principe, e ne ottenne
licenza da Sicone, il quale fece vista di concederla mal volentieri.
Raccomandatogli il figliuolo, si cinse al collo una catena; e presa
questa da un suo famiglio, si fece condurre al monistero di Monte
Casino, e quivi con assai gemiti e lagrime chiese l'abito monastico, che
non gli fu negato. Sì l'Anonimo salernitano che Erchemperto[900], monaci
amendue, raccontano cose grandi della sua penitenza, e v'aggiungono
anche de' miracoli. Fecesi monaca anche sua moglie in un monistero fuori
di Conza, e menò vita santa. Ora Sicone, che da Erchemperto ci vien
dipinto per uomo bestiale e troppo pesante ai Beneventani, e dal
suddetto Anonimo, per lo contrario, uomo mansueto e liberale: attaccò
lite coi Napoletani, che tutta la potenza de' Longobardi non avea mai
potuto sottomettere, e fece loro un'aspra guerra per più anni, con
assediar Napoli per mare e per terra. Convien credere che già questa
cominciasse molto prima dell'anno presente, e che quel popolo si
trovasse anche a mal partito, perchè sappiamo dal sopraddetto
Erchemperto che i Napoletani furono costretti a ricorrere a Lodovico
imperadore. Gli Annali dei Franchi appunto notano sotto quest'anno che
in Aquisgrana sì presentarono all'udienza dell'imperadore i _legati dei
Napoletani_, i quali, ricevuta che ebbero la risposta, se ne tornarono a
casa loro. Forse ottennero qualche lettera di raccomandazione al duca di
Benevento. Ma che non per questo cessasse la guerra, o la molestia al
loro territorio, lo conosceremo andando innanzi. Non si può ben chiarire
la cronologia dei _duchi di Napoli_; tuttavia sappiamo da Giovanni
Diacono[901], scrittore di questi tempi, che _Teofilatto_ circa il
principio di questo secolo governava quella anche allora potente città.
A lui succedette _Antimo_, dopo la cui morte non accordandosi i
Napoletani nell'elezione del duca (ed aveano essi il gius di eleggerlo),
stimarono meglio di prendere uno straniero che un lor cittadino pel
governo. Spediti dunque dei messi in Sicilia, fecero venire di colà un
greco _Teottisto_, e il costituirono maestro de' militi, cioè generale
dell'armi loro. I rettori di Napoli erano in que' tempi chiamati ora
_duchi_, ora _consoli_, ora _maestri de' militi_: tre nomi che
significavano il governatore, ossia principe di Napoli, il quale
nondimeno riconosceva per sovrano l'imperadore de' Greci. Teottisto ebbe
per successore _Teodoro_, decorato del titolo di _protospatario_ da esso
imperadore. Costui fu cacciato via dai Napoletani, e sustituito in suo
luogo _Stefano_ nipote di _Stefano_ dianzi vescovo di quella città. Per
attestato del medesimo Giovanni Diacono, ai tempi di questo _duca