Annali d'Italia, vol. 3 - 34
spedì una potente armata di Sassoni e di Sclavi Obotriti verso quel
regno. Ma venuto ad accamparsi contra di loro uno non men poderoso
esercito di Danesi, giudicarono i Sassoni più sicuro partito il
ritirarsi a casa, contentandosi del sacco dato ad un tratto di paese, e
di aver seco condotti alcuni ostaggi. Fu nondimeno cagione questo
armamento che i Danesi inviarono legati a trattar di pace. Secondo altri
Annali[769], tenne l'imperadore una dieta in Paderbona nel primo dì di
luglio, alla quale intervennero _Lottario re di Baviera_ e _Pippino re
d'Aquitania_, suoi figliuoli: dal che si può dedurre ch'egli avesse già
conceduto loro il titolo di re. Giunse colà anche _Bernardo re
d'Italia;_ e Tegano[770] scrive: _Bernardus ibi ad eum venit, quem
dimisit ire iterum in Italiam_. Tornarono ancora da Costantinopoli i
legati colà spediti, seco portando la concordia, di nuovo e
vantaggiosamente assodata con _Leone imperador de' Greci_, il quale in
questi tempi risvegliò e sostenne la setta degl'iconoclasti, con passar
anche a perseguitare i monaci ed altri che proteggevano il culto delle
sacre immagini, fra' quali _s. Teodoro Studita_ ed altri santi uomini
furono cacciati in esilio. Risulta poi dalle memorie del monistero di
Farfa[771], che Scatolfo e Formosa sua moglie fecero una donazion di
beni a quel sacro luogo _anno II Ludovici imperatoris, II Bernardi
regis, XXVI Guinichis ducis, mense januario, Die XVII, Indictione VIII_,
cioè nell'anno presente. Ne fo menzione, acciocchè si vegga non reggere
l'opinione del p. Pagi[772] e dell'Eccardo[773], che stimarono
_Guinigiso duca di Spoleti_ poco fa nominato, da cui fu quetato il
tumulto di Roma, diverso da _Guinigiso_ creato duca di quella provincia
nell'anno 789, perchè nel catalogo dei duchi spoletini[774] all'anno 814
si legge _Guinichus dux_, quasichè questi sia stato figliuolo del primo.
La carta suddetta ci fa conoscere che un solo _Guinigiso_ continuava
tuttavia a reggere il ducato di Spoleti, nè sussistere l'immaginazione
di due diversi duchi di questo nome. In vece di _anno II Bernardi
regis_, probabilmente quivi si leggerà anno III, per le ragioni che
altrove[775] addussi; potendo nulladimeno essere che due diverse epoche
di questo re si usassero, l'una dall'anno 812 in cui egli venne in
Italia, e l'altra dal susseguente, allorchè ebbe il titolo di re. Forse
nell'anno presente accadde ciò che narra Erchemperto[776] di _Grimoaldo
Storesaiz_, principe ossia duca di Benevento. Mentre egli andava a
Salerno, Dauferio, uomo fra' suoi di gran possanza, gli avea tese delle
insidie ad un ponte. Se ne avvide Grimoaldo, e rinforzato dalla gente
sua passò oltre senza molestia. Fece poi mettere in prigione gli
artefici di tal cospirazione. Dauferio ebbe la sorte di salvarsi colla
fuga a Napoli, e fu ben ricevuto dai Napoletani. Ciò mise in gran
collera Grimoaldo, e però senza perdere tempo corse colla sua armata
addosso a Napoli, e quella assediò, con fare strage dei Napoletani,
qualunque volta osavano di uscire contra di lui. Il duca di Napoli, che
probabilmente era _Antimo_, tanto s'ingegnò, che con lo sborso di
ottomila soldi d'oro il placò, e rimise in grazia di lui Dauferio: il
che diede fine alla guerra.
NOTE:
[766] Rer. Ital. P. I, tom. 2.
[767] Anastas. Bibliothecar., in Vita Leonis III.
[768] Astronomus, in Vita Ludovici Pii. Eginhardus, Annal. Franc.
Annales Franc. Bertiniani.
[769] Annal. Fuldens. Lambec.
[770] Theganus, de Gest. Ludovici Pii, n. 14.
[771] Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[772] Pagius, ad Annal. Baron.
[773] Eccard., Rer. Franc., lib. 27.
[774] Ante Chronic. Farfens. P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[775] Antiquit. Ital., Dissert. X.
[776] Erchempertus, Hist. Princip. Langobard., n. 7.
Anno di CRISTO DCCCXVI. Indizione IX.
STEFANO IV papa 1.
LODOVICO PIO imperadore 3.
BERNARDO re d'Italia 5.
Durò il pontificato di _Leone III_ papa fino al presente anno, in cui fu
chiamato da Dio a miglior vita nel dì 11 di giugno, o in quel torno.
Anastasio bibliotecario[777], qualunque sia l'autore della sua Vita, è
assai digiuno nel racconto delle sue azioni, ma diffusamente poi parla
delle tante fabbriche e de' risarcimenti da lui fatti alle chiese in
Roma e fuori di Roma, e dei doni ed ornamenti preziosi ch'egli alle
medesime contribuì. In questo, più che in altro sfoggiava in questi
tempi la divozion de' Cristiani, e papa Leone profuse in ciò assaissimi
tesori. Dopo dieci giorni di sede vacante fu eletto in suo luogo
_Stefano_, _quarto_ di questo nome[778], diacono della santa romana
Chiesa, che dianzi co' suoi piissimi costumi, con una vita veramente
ecclesiastica, e con predicare al popolo la parola di Dio, s'era
guadagnato l'affetto e la venerazione di tutto il clero e popolo romano.
Siccome abbiamo dall'autore della vita di Lodovico Pio[779], consecrato
ch'egli fu, si lasciò intendere di voler passare in Francia, per
abboccarsi collo imperadore, dovunque a lui piacesse. _Praemisit tamen
legationem, quae super ordinatione ejus imperatori satisfaceret_: parole
che indicano già nata in Lodovico Augusto la pretensione che non
s'avesse a consecrare il papa eletto senza il consentimento suo. Oltre a
ciò, siccome abbiam da Tegano[780], scrittore contemporaneo, _statim
postquam pontificatum suscepit, jussit omnem populum romanum fidelitatem
cum juramento promittere Ludovico_: parole che presso gl'intendenti non
han bisogno di spiegazione. Fu sommamente caro al pio imperadore d'udire
che il sommo pastor della Chiesa volesse venir a trovarlo; sebbene
Ermoldo Nigello suppone essere stato chiamato in Francia da Lodovico
esso pontefice. Comunque sia, mandò tosto l'imperadore ordine a
_Bernardo re d'Italia_ di accompagnarlo nel viaggio. Altri messi inviò
ad incontrarlo, allorchè fu entrato in Francia, ed egli si fermò nella
città di Rems ad aspettarlo. Quando poi fu in vicinanza di alquante
miglia dalla città, furono a riceverlo _Ildebaldo arcicappellano_ del
sacro palazzo, _Teodolfo vescovo di Orleans_, _Giovanni vescovo
d'Arles_, ed altri sacri ministri, tutti vestiti co' sacri abiti
sacerdotali. Un miglio poi fuori della città lo stesso imperadore con
isplendido accompagnamento l'accolse. Smontato da cavallo, tre volte
s'inginocchiò davanti al papa. Dice di più Tegano, che _princeps_ (cioè
_Lodovico_, dopo essere scesi amendue da cavallo) _se prosternens omni
corpore in terram tribus vicibus ante pedes tanti pontificis, et tertia
vice erectus, salutavit pontificem_. Ermoldo Nigello[781], che più
diffusamente degli altri descrive la andata in Francia di papa Stefano,
succeduta ai suoi tempi, racconta che il pontefice alzò da terra
l'imperadore, e il baciò. Dopo di che, preceduto da tutto il clero
cantante il _Te Deum_, andarono alla chiesa, dove il clero romano intonò
le acclamazioni consuete all'Augusto Lodovico, e il papa terminò
coll'orazione l'allegrissima funzion di quel dì. Nel giorno seguente fu
accresciuta l'allegria da un solennissimo convito, che l'imperador diede
al papa, con regalarlo ancora da par suo. Nel terzo giorno fu invitato
l'imperadore dal papa ad un somigliante magnifico convito, in cui anche
il papa gli fece de' suntuosi presenti. Venuto il quarto giorno, ch'era
domenica, essendo raunato tutto il clero e popolo nella gran basilica,
papa Stefano con una corona d'oro tempestata di gemme coronò ed unse col
sacro crisma l'_imperador Lodovico_, e similmente l'_imperadrice
Ermengarda_ sua moglie, con aggiugnere dipoi nuovi regali all'uno e
all'altra. Veggasi Ermoldo Nigello, il quale annovera appresso i
donativi fatti da Lodovico a Stefano di vasi d'oro e d'argento, di vesti
e cavalli, conchiudendo poi il catalogo con dire.
_Plura quid hinc memorem? nam centuplicata recepit_
_Munera Romanis quae arcibus extulerat._
Agnello[782] nelle Vite de' vescovi di Ravenna scrive che papa Stefano
andò in Francia all'imperador Lodovico, _et quidquid postulavit ab eo,
accepit_. E dal suddetto Ermoldo abbiamo che l'imperadore confermò i
privilegii alla Chiesa romana, ordinando,
_Ut res Ecclesiae Petri, sedisque perennis_
_Inlaesae vigeant semper honore Dei._
_Ut prius ecclesia haec, pastorum munere fulta,_
_Summum apicem tenuit, et teneat, volumus._
_Addimus at, praesul, tantum eat ut supra locutum,_
_Justitiam recolat, qui sedet arce Petri._
Preso poi congedo dall'imperadore, s'incamminò il papa verso l'Italia;
ma prima di farlo, secondochè avvertì Anastasio[783], avendo trovato in
Francia molti Romani banditi per le enormità da lor commesse contro la
Chiesa romana e contra del suo predecessore Leone, tutti con somma
clemenza e carità seco li ricondusse a Roma. Arrivato _papa Stefano_ a
Ravenna, per attestato del suddetto Agnello, _Martino arcivescovo_ fu ad
incontrarlo, e si baciarono insieme. Nel dì seguente celebrò messa il
pontefice nella basilica orsiana, _et ostendit sandalias Salvatoris,
quas omnis populus vidit_.
Fece l'imperador Lodovico[784] nell'ottobre dell'anno presente (e non
già del seguente, come con errore scrisse lo Astronomo nella di lui
Vita); fece, dissi, raunare un concilio numerosissimo di vescovi ed
abati in Aquisgrana; e siccome principe piissimo e sommamente bramoso di
veder fiorire la pietà e regolatezza del clero secolare e regolare,
ordinò che si stendesse la regola de' _canonici_ e quella delle
_canonichesse_. Fu eziandio stabilito che i _monaci_ esattamente
seguitassero la regola di s. Benedetto. Era già introdotto in varie
chiese cattedrali l'uso de' _canonici_, che viveano nel medesimo
chiostro, annesso alla cattedrale, ad una mensa comune, e in coro
cantavano i divini uffizii, non solamente di giorno, ma anche di notte,
non meno che si facessero i monaci d'allora. Quel solo che li
distingueva dai monaci, era l'abito, e il poter ritenere la proprietà
dei lor beni patrimoniali; e il titolo di _priore_, e non d'_abbate_, si
dava al loro capo. Gran cura si prese il pio imperadore perchè si
dilatasse per tutte le chiese, non solo della Francia e Germania, ma
anche dell'Italia, questo lodevole istituto, per cui si accresceva il
culto di Dio e il decoro delle cattedrali. E a' suoi desiderii tenne
dietro il buon successo, perciocchè a poco a poco s'andò introducendo
anche in Italia, in guisa che in quel secolo poche chiese rimasero in
Italia che non avessero il collegio de' lor canonici, viventi secondo la
regola proposta nel concilio suddetto. Attesta poi Ermoldo Nigello[785],
che venuto l'imperador Lodovico a Compiegne (due parole ne dice anche
l'Anonimo nella vita di lui), quivi fece una spedizione di messi per
tutto il suo imperio a disaminar la vita de' vescovi e del clero
secolare, e parimente de' monaci e delle monache, con ordine di notar
tutto, e di riferire a lui tutto quanto ritrovavano degno di lode e
bisognoso di correzione.
_Nunc nunc, o missi, certis insistite rebus,_
_Atque per imperium currite rite meum;_
_Canonicumque gregem, sexumque probate virilem,_
_Femineum nec non, quae pia castra colunt._
_Qualis vita, decor, qualis doctrina, modusque,_
_Quantaque religio, quod pietatis opus._
_Pastorique gregem quae convenientia jungat,_
_Ut grex pastorem diligat, ipse ut oves._
_Si sibi e laustra, domos, potum, tegimenque, cibumque_
_Praelati tribuant tempore sive loco._
Ebbe l'imperador Lodovico in quest'anno da impiegar le sue armi contro
agli Slavi, o Sclavi Sorabi, che pareano disposti alla ribellione. Un
esercito[786] raunato dalla Franconia e Sassonia li mise tosto in
dovere. S'erano anche apertamente ribellati i popoli della Guascogna
abitanti nella falda orientale de' Pirenei. Due spedizioni furono fatte,
per le quali tornarono all'ubbidienza con poco lor gusto. Trovandosi in
Compiegne, diede un diploma con varie esenzioni[787] al monistero di s.
Salvatore di monte Amiate in Toscana nel territorio di Chiusi, e ad
_Andoaldo abbate_, con lasciar ai monaci la libertà di eleggersi i di
lui successori, _per nostram auctoritatem et consensum, vel dilecti
filii nostri Bernardi regis_. Fu dato quel privilegio _XV kal. decembr.
anno, Christo propitio, III domni Ludovici piissimi Augusti, Indictione
X. Actum Compendio palatio_. Nel catalogo dei duchi di Spoleti[788],
posto avanti alla Cronica del monistero di Farfa, si legge sotto questo
anno _Geraldus dux_: il che ha fatto credere che in quest'anno egli
fosse eletto duca di Spoleti, quantunque, siccome vedremo all'anno 821,
_Guinigiso_ seguitasse ad essere duca di quella provincia. Di questo
parleremo più abbasso. Il conte Campelli[789] francamente scrive che
questo _Geraldo_, appellato altrove più rettamente _Gerardo_, era
figliuolo del suddetto Guinigiso, e che dal padre fu _dichiarato suo
compagno nel ducato_, mentre vivea tuttavia _Romano_ altro suo
figliuolo, già creato duca. Ma non sappiam di certo che Gerardo fosse
figliuolo di Guinigiso; nè sussiste che Guinigiso godesse l'autorità di
dichiararsi un collega nel ducato, perchè ciò apparteneva
all'imperadore, o pure al re d'Italia; e meno qui sussiste (siccome si
osservò all'anno 806) che quel _Romano_ fosse figliuolo di Guinigiso, e
duca anche egli vivente di Spoleti. Può ben l'accurato storico produrre
le sue conghietture intorno ai fatti antichi che egli descrive, ma non
dee già spacciare come fatti indubitati i suoi sogni, perchè facilmente
si fabbrica un inganno ai lettori.
NOTE:
[777] Anast. Biblioth., in Leon. III.
[778] Idem, in Vit. Stephani IV.
[779] Astronom., in Vit. Ludov. Pii.
[780] Tegan., de Gest. Ludovici Pii, num. 16.
[781] Ermold. Nighell., lib. 2, P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[782] Agnell., P. I, tom. 2, Rer. Ital.
[783] Anast., in Vit. Stephani IV.
[784] Annales Franc. Lambec. Annal. Franc. Hildesheim
[785] Ermold. Nigellus, Poemat., lib. 2.
[786] Annal. Franc. Laureshamens. Annal. Fran. Bertin.
[787] Ughell., Ital. Sacr., tom. 3, in Episcop. Clusin.
[788] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[789] Campelli, Storia di Spoleti, lib. 15.
Anno di CRISTO DCCCXVII. Indizione X.
PASQUALE papa 1.
LODOVICO PIO imperadore 4.
BERNARDO re d'Italia 6.
Abbiamo nella Cronica farfense una bolla di _Stefano IV_ papa, che
conferma ad _Ingealdo, abbate_ dell'insigne monastero di Farfa, tutti i
beni spettanti a quel sacro luogo. Fu essa scritta _per manus
Christophori scriniarii in mense januario. Datum X kalendas februarii
per manus Theodori Nomenclatoris sanctae sedis apostolicae, imperante
domno Hludowico Augusto a Deo coronato, magno pacifico imperatore anno
III, et patriciatus ejus anno III, Indictione X._ In vece di
_patriciatus_ crede il p. Pagi[790] che fosse scritto _P. C. ejus_, cioè
_post consulatum ejus_. Impose esso papa ai monaci di Farfa una pensione
annua di dieci soldi d'oro. Ma godendo Farfa il privilegio dei monisteri
imperiali, se crediamo al Cronografo, per cura di _Lottario imperadore_
sotto Pasquale successore nel pontificato, fu levato l'obbligo di tal
pensione. Poco stette dipoi a dar fine ai suoi giorni il suddetto buon
papa _Stefano_, essendo egli stato rapito dalla morte il dì 24 di esso
mese di gennaio. Appena fu egli passato a miglior vita, che di piena
concordia restò eletto da tutto il clero e popolo romano il sommo
pontefice _Pasquale_ romano, rettore del monistero di santo Stefano,
situato presso la basilica vaticana, alle cui virtù Anastasio
bibliotecario[791], o qualunque sia l'autore della sua vita, tesse un
illustre elogio. Riferisce il suddetto autore della Cronica farfense una
bolla conceduta da lui in favore di quel monistero, e data _kal.
februarii per manus Nomenclatoris sanctae sedis apostolicae, imperante
domno Hludowico piissimo perpetuo Augusto a Deo coronato magno pacifico
imperatore anno III, Indictione X,_ cioè nell'anno presente. Non si
truova in questa bolla menzione alcuna della pensione suddetta, e
vedremo poscia che ne' diplomi susseguenti di Lottario I Augusto essa
viene abolita. Ma ciò che potrebbe far sospettare della legittimità di
tal documento, si è, ch'esso è scritto nel primo giorno di _febbraio da
Teodoro nomenclatore della santa Sede apostolica_, quando
l'Astronomo[792], scrittore di quei tempi, ci fa sapere che papa
Pasquale _post expletam consecrationem solemnem_ (nel dì 25 di gennaio)
_legatos, ec. imperatori misit. Hujus legationis bajulus fuit Theodorus
nomenclator,_ ec. Se terminata che fu la consecrazione del nuovo papa,
_Teodoro_ fu spedito in Francia, come potè egli stendere quella bolla?
Ma dagli Annali lauresamensi si ha[793] che il papa dopo la
consecrazione spedì solamente lettera di scusa, e dipoi inviò Teodoro.
Però può egli aver tardato fin dopo il primo di febbraio a mettersi in
viaggio. Una particolarità poi si ricava dalle parole del medesimo
Astronomo, che così scrive del suddetto papa: _Legatos cum epistola
apologetica, et maximis muneribus imperatori misit, insinuans, non se
ambitione, nec voluntate, sed electione et populi acclamatione, huic
succubuisse potius quam insiluisse dignitati._ Odansi ancora gli Annali
lauresamensi: _Stephanus papa, postquam Romam venerat, mense, sed nondum
expleto, circiter VIII kalendas februarii diem obiit. Cui Paschalis
successor electus, post completam solemniter ordinationem suam, et
munera, et excusatoriam imperialem misit epistolam in qua sibi non solum
nolenti, sed etiam plurimum renitenti, pontificatus honorem veluti
impactum asseverat._ Questa lettera di scusa d'essere stato consecrato
papa Pasquale contra sua voglia, fa abbastanza intendere che ne' patti
della signoria di Roma conferita da Carlo imperadore e da Lodovico suo
figliuolo a Leone III e a Stefano IV sommi pontefici, vi doveva essere,
che per consecrare il nuovo papa eletto si dovesse aspettare
l'approvazione e il consenso dell'imperadore _pro tempore_. Abbiam
veduto che esso Stefano IV, il primo che dopo fatta la rinnovazion
dell'imperio romano nella persona di Carlo Magno, fu eletto papa e
consecrato immantenente, per attestato del medesimo autore della vita di
Lodovico, _praemisit legationem, quae super ordinatione ejus imperatori
satisfaceret_. Fin dai tempi dei re goti fu introdotto il costume,
continuato poi per più secoli dai greci imperadori (chiamisi anche
abuso, che non importa), di non venire alla consecrazione del papa
eletto, se prima non era giunto l'assenso dell'imperadore, padrone
allora e sovrano di Roma, o almeno dell'esarcato de' Ravennati. Carlo
Magno e Lodovico Pio, succeduti nel dominio di Roma, non volendo essere
da meno dei precedenti Augusti, imposero questa medesima obbligazione ed
aggravio al clero e popolo romano. Ma ai Romani quest'obbligo e peso
parve sempre grave ed ingiusto; e giacchè era passato qualche tempo,
dappoichè essi Romani si erano staccati dall'ubbidienza de' greci
imperadori, che liberamente aveano consecrati i papi, non sapevano
accomodarsi sotto Lodovico Pio a questo giogo. Però senz'altro riguardo
vennero all'ordinazione di Stefano IV e di Pasquale, confidati nella
pietà e bontà di Lodovico Pio, che accetterebbe le scuse del loro
operato: nel che non s'ingannarono. Ma andando innanzi, vedremo
sostenuto con forza questo, chiamato dagl'imperadori diritto della
corona, e dai Romani abuso.
Aggiugne il suddetto Astronomo che _hujus legationis_ (di papa Pasquale)
_bajulus fuit Theodorus nomenclator, qui negotio peracto, et petitis
impetratis, super confirmatione scilicet pacti et amicitiae more
praedecessorum suorum, reversus est_. Altrettanto abbiamo dagli Annali
lauresamensi, ne' quali _missa alia legatione, pactum, quod cum
praedecessoribus suis factum fuerat, et secum fieri et firmari rogavit.
Hanc legationem Theodorus nomenclator et detulit, et ea quae petierat,
impetravit._ E qui non si può di meno di non rammentare la famosa
costituzione _Ego Ludovicus_, accennata da Leone Ostiense, riferita da
Graziano[794], e rapportata più ampiamente negli Annali
ecclesiastici[795]. Vien questa creduta un'impostura dal padre Pagi[796]
e da altri che ne recano le pruove; laonde a me pure non dee essere
disdetto l'esporre onoratamente il sentimento mio intorno ad essa, non
mosso da veruna passione, ma guidato dal solo amore della verità, la
quale, chiunque ancora ha sommo rispetto per la santa Sede, dee preferir
sempre alla bugia. Col voler sostenere opinioni inverisimili uno
scrittore non giova ad altrui; fors'anche gli nuoce e solamente può
guadagnare a sè stesso lo svantaggioso titolo di adulatore oppur quello
di sciocco. Ora io dico non potersi mai sostenere per documento
legittimo e veramente uscito dalla cancelleria di Lodovico Pio quella
costituzione. Vi manca la data: segno che ne resta una sola copia
informe, e non autentica, la quale non può far pruova sicura. Contiene
essa veramente molti stati che erano in dominio della Chiesa romana e
de' sommi pontefici. Ivi è confermata al papa la città di Roma col suo
ducato, ma colla giunta di queste parole: _Sicut a praedecessoribus
vestris_ (dovrebbe dire nostris) _usque nunc in vestra potestate et
ditione tenuistis et disposuistis_. S'è veduto in addietro, se con
sovranità, oppure con dipendenza i papi governassero Roma e il suo
ducato, e continueremo anche a vederlo. Ma non può stare che Lodovico
Pio confermasse o donasse a papa Pasquale _Siciliam sub integritate cum
omnibus adjacentibus, et territoriis maritimis,_ ec. La _Sicilia_ era
allora dell'imperator greco, con cui durava la pace e concordia,
confermata anche nell'anno presente, come si ha dagli Annali bertiniani.
Non si può mai credere che il papa chiedesse e l'imperador d'Occidente
donasse la roba altrui. Gli conferma ancora Lodovico _Patrimonia ad
potestatem et ditionem nostram pertinentia, sicut est patrimonium
Calabriae inferioris et superioris, et patrimonium neapolitanum._ Ma
evidente cosa è che l'imperadore non istendeva allora la sua podestà e
dominio sopra la _Calabria_, nè sopra _Napoli_, che erano allora sotto
la giurisdizione dell'imperador d'Oriente, e ciò senza contrasto alcuno.
Almeno non toccava a Lodovico Pio di confermare al papa degli allodiali
situati sotto il dominio altrui. Più sotto si lascia ai Romani la
libertà di consecrare il nuovo papa eletto, senza obbligo di attendere
l'approvazion dell'imperadore. E i fatti precedenti e i susseguenti,
siccome vedremo, convincono d'insussistenza una tal concessione. Lascio
andare altre riflessioni, bastando queste per conchiudere che non merita
d'essere attribuita quella costituzione, almeno tal quale essa è oggidì,
a Lodovico Pio; e potersi con tutto fondamento sospettare che nascesse
quella carta, oppur fosse alterato ed interpolato il vero documento, nel
secolo undecimo, dappoichè i pontefici cominciarono a muovere delle
pretensioni sopra la Sicilia, e a non voler sofferire che gli imperadori
avessero mano nella creazion de' papi: tempo appunto in cui Leone
Ostiense cominciò a farne menzione. Una costituzione diversa da questa
viene accennata dal Dandolo nella sua Cronica[797].
Bollivano intanto delle controversie di confini nella Dalmazia tra i due
imperadori d'Occidente e d'Oriente, perchè la Dalmazia mediterranea
apparteneva al primo, la marittima al secolo. Forse ancora verso il
Levante non erano per anche bene stabiliti i confini[798]. Niceforo
ambasciatore di Leone imperador dei Greci spedito ad Aquisgrana
nell'anno presente, trattò di questo affare; ma perchè non si trovava
allora alla corte _Cadaloo_, ossia _Cadolaco_, a cui spettava la cura di
que' confini, bisognò aspettare. E da ciò possiam dedurre che Cadaloo
fosse in questi tempi duca o marchese della marca del Friuli, ed avere
unita al suo governo la Dalmazia franzese. Venuto poi Cadaloo ad
Aquisgrana, e conoscendosi necessaria l'ispezione de' siti, fu egli col
greco ambasciatore inviato in Dalmazia, e datogli per aggiunta Albigario
nipote d'Unroco, uno probabilmente degli antenati della famiglia di
Berengario, che fu poi re d'Italia sul fine di questo secolo. In
quest'anno ancora, quantunque i Danesi dessero a credere di voler pace,
Lodovico Augusto fece lor guerra in aiuto di _Erioldo re_ scacciato da
essi. Ma la più solenne azione fatta nel presente anno dall'imperadore
Lodovico fu l'aver egli in tempo di state adunata in Aquisgrana la
general dieta de' suoi stati[799], dove propose di dichiarar imperadore
e suo collega nell'imperio _Lottario_ suo primogenito. _Tunc omni populo
placuit, ut ipse se vivente, constitueret unum de suis filiis imperare,
sicut pater ejus fecerat ipsum_. Restò in fatti proclamato e coronato
imperador dei Romani ed Augusto esso Lottario, con gran giubilo e festa
del popolo; e dal giorno di questa sua esaltazione alcuni cominciarono a
contar l'epoca del di lui imperio. I due suoi fratelli, cioè _Pippino_ e
_Lodovico_, amendue, o prima o allora dichiarati re, furono mandati dal
padre l'uno in Aquitania, l'altro in Baviera, cioè ne' regni destinati
per loro porzione. Confessa Tegano[800] che _ob hoc_, cioè per la
dignità imperiale conferita a Lottario _ceteri filii indignati sunt_;
perchè l'essere d'imperadore portava superiorità non solo d'onore, ma di
comando e di giurisdizione sopra dei re, e sopra tutta la monarchia
franzese.
Più nondimeno di que' due fratelli se l'ebbe a male _Bernardo_ re
d'Italia. Non gli mancarono dei cattivi consiglieri che gli persuasero
di non sofferir la risoluzione presa dall'Augusto suo zio,
rappresentandogli, come si può credere, che a lui, siccome figliuolo di
_Pippino_ già re d'Italia, maggiore d'età che Lodovico Pio di lui
fratello, competeva maggior diritto all'imperio, e tanto più, perchè chi
era re d'Italia, parea più conveniente che fosse anche imperadore.
Pertanto lo sconsigliato giovinetto principe, senza considerare che la
sua nascita pativa delle eccezioni, e che le forze sue non poteano
competere col monarca delle Gallie e della Germania, e che massimamente
per l'interposizione di Lodovico Pio, Carlo Magno l'avea fatto re
d'Italia: si diede a far gente e a meditar ribellione[801]. Fu inviata
all'imperador Lodovico, nel mentre che tornavava in Aquisgrana, questa
nuova da più d'uno, ma principalmente da _Rataldo_ vescovo di Verona
(chiamato da altri _Rotaldo_) e da _Suppone_ conte di Brescia, con
supporgli che Bernardo avesse già preso tutti i passi alle Chiuse
dell'Italia, e messe ivi delle guarnigioni, e che tutte le città
d'Italia avessero mano in questa congiura: il che in parte era vero e in
parte falso. Però l'Augusto Lodovico con somma prestezza raccolto un
potente esercito da tutta la Gallia e Germania, s'inviò senza dimora
alla volta d'Italia. Non ci volle di più per far rientrar in sè stesso
il mal accorto Bernardo, che scorto oramai di non aver possanza da
contrastare coll'Augusto zio, perchè di dì in dì s'andavano ritirando da
lui e desertando le truppe italiane, prese finalmente il partito di
ricorrere alla clemenza dell'irritato imperadore. Deposte dunque l'armi,
andò fino alla città di Sciallon in Borgogna a gittarsi ai di lui piedi.
Gli tennero dietro altri che avevano avuta parte nella congiura, fra'
quali specialmente sono menzionati _Eggideo_, uno dei più confidenti
d'esso re Bernardo, _Rinaldo_ cameriere d'esso re, e _Reginario_ già
conte del palazzo dell'imperadore e figliuolo di Meginario conte.
Trovaronsi inoltre mischiati in questo trattato _Anselmo_ arcivescovo di
Milano, _Wolfoldo_ vescovo di Cremona, e, quel che è più da stupire,
_Teodolfo_ vescovo d'Orleans in Francia, sedotti forse dall'amore verso
l'Italia sua patria. Questi personaggi, non solamente dopo la deposizion
dell'armi spontaneamente si misero nelle forze dell'imperadore, ma anche
ai primi interrogatorii scoprirono tutta l'orditura della lor tela. Noi
non abbiamo se non gli autori franzesi che parlano di questo affare. Per
buona ventura, pochi anni sono, Gian Burcardo Menchenio diede alla luce
una Cronichetta longobarda, composta da Andrea prete italiano[802] in
questo medesimo secolo, e da me ristampata[803], che scrive essere stato
fraudolentemente chiamato in Francia l'infelice Bernardo
dall'_imperadrice Ermengarda_, e ch'egli dopo aver ricavato dagli
ambasciatori che doveano averne sufficiente mandato, un giuramento di
regno. Ma venuto ad accamparsi contra di loro uno non men poderoso
esercito di Danesi, giudicarono i Sassoni più sicuro partito il
ritirarsi a casa, contentandosi del sacco dato ad un tratto di paese, e
di aver seco condotti alcuni ostaggi. Fu nondimeno cagione questo
armamento che i Danesi inviarono legati a trattar di pace. Secondo altri
Annali[769], tenne l'imperadore una dieta in Paderbona nel primo dì di
luglio, alla quale intervennero _Lottario re di Baviera_ e _Pippino re
d'Aquitania_, suoi figliuoli: dal che si può dedurre ch'egli avesse già
conceduto loro il titolo di re. Giunse colà anche _Bernardo re
d'Italia;_ e Tegano[770] scrive: _Bernardus ibi ad eum venit, quem
dimisit ire iterum in Italiam_. Tornarono ancora da Costantinopoli i
legati colà spediti, seco portando la concordia, di nuovo e
vantaggiosamente assodata con _Leone imperador de' Greci_, il quale in
questi tempi risvegliò e sostenne la setta degl'iconoclasti, con passar
anche a perseguitare i monaci ed altri che proteggevano il culto delle
sacre immagini, fra' quali _s. Teodoro Studita_ ed altri santi uomini
furono cacciati in esilio. Risulta poi dalle memorie del monistero di
Farfa[771], che Scatolfo e Formosa sua moglie fecero una donazion di
beni a quel sacro luogo _anno II Ludovici imperatoris, II Bernardi
regis, XXVI Guinichis ducis, mense januario, Die XVII, Indictione VIII_,
cioè nell'anno presente. Ne fo menzione, acciocchè si vegga non reggere
l'opinione del p. Pagi[772] e dell'Eccardo[773], che stimarono
_Guinigiso duca di Spoleti_ poco fa nominato, da cui fu quetato il
tumulto di Roma, diverso da _Guinigiso_ creato duca di quella provincia
nell'anno 789, perchè nel catalogo dei duchi spoletini[774] all'anno 814
si legge _Guinichus dux_, quasichè questi sia stato figliuolo del primo.
La carta suddetta ci fa conoscere che un solo _Guinigiso_ continuava
tuttavia a reggere il ducato di Spoleti, nè sussistere l'immaginazione
di due diversi duchi di questo nome. In vece di _anno II Bernardi
regis_, probabilmente quivi si leggerà anno III, per le ragioni che
altrove[775] addussi; potendo nulladimeno essere che due diverse epoche
di questo re si usassero, l'una dall'anno 812 in cui egli venne in
Italia, e l'altra dal susseguente, allorchè ebbe il titolo di re. Forse
nell'anno presente accadde ciò che narra Erchemperto[776] di _Grimoaldo
Storesaiz_, principe ossia duca di Benevento. Mentre egli andava a
Salerno, Dauferio, uomo fra' suoi di gran possanza, gli avea tese delle
insidie ad un ponte. Se ne avvide Grimoaldo, e rinforzato dalla gente
sua passò oltre senza molestia. Fece poi mettere in prigione gli
artefici di tal cospirazione. Dauferio ebbe la sorte di salvarsi colla
fuga a Napoli, e fu ben ricevuto dai Napoletani. Ciò mise in gran
collera Grimoaldo, e però senza perdere tempo corse colla sua armata
addosso a Napoli, e quella assediò, con fare strage dei Napoletani,
qualunque volta osavano di uscire contra di lui. Il duca di Napoli, che
probabilmente era _Antimo_, tanto s'ingegnò, che con lo sborso di
ottomila soldi d'oro il placò, e rimise in grazia di lui Dauferio: il
che diede fine alla guerra.
NOTE:
[766] Rer. Ital. P. I, tom. 2.
[767] Anastas. Bibliothecar., in Vita Leonis III.
[768] Astronomus, in Vita Ludovici Pii. Eginhardus, Annal. Franc.
Annales Franc. Bertiniani.
[769] Annal. Fuldens. Lambec.
[770] Theganus, de Gest. Ludovici Pii, n. 14.
[771] Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[772] Pagius, ad Annal. Baron.
[773] Eccard., Rer. Franc., lib. 27.
[774] Ante Chronic. Farfens. P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[775] Antiquit. Ital., Dissert. X.
[776] Erchempertus, Hist. Princip. Langobard., n. 7.
Anno di CRISTO DCCCXVI. Indizione IX.
STEFANO IV papa 1.
LODOVICO PIO imperadore 3.
BERNARDO re d'Italia 5.
Durò il pontificato di _Leone III_ papa fino al presente anno, in cui fu
chiamato da Dio a miglior vita nel dì 11 di giugno, o in quel torno.
Anastasio bibliotecario[777], qualunque sia l'autore della sua Vita, è
assai digiuno nel racconto delle sue azioni, ma diffusamente poi parla
delle tante fabbriche e de' risarcimenti da lui fatti alle chiese in
Roma e fuori di Roma, e dei doni ed ornamenti preziosi ch'egli alle
medesime contribuì. In questo, più che in altro sfoggiava in questi
tempi la divozion de' Cristiani, e papa Leone profuse in ciò assaissimi
tesori. Dopo dieci giorni di sede vacante fu eletto in suo luogo
_Stefano_, _quarto_ di questo nome[778], diacono della santa romana
Chiesa, che dianzi co' suoi piissimi costumi, con una vita veramente
ecclesiastica, e con predicare al popolo la parola di Dio, s'era
guadagnato l'affetto e la venerazione di tutto il clero e popolo romano.
Siccome abbiamo dall'autore della vita di Lodovico Pio[779], consecrato
ch'egli fu, si lasciò intendere di voler passare in Francia, per
abboccarsi collo imperadore, dovunque a lui piacesse. _Praemisit tamen
legationem, quae super ordinatione ejus imperatori satisfaceret_: parole
che indicano già nata in Lodovico Augusto la pretensione che non
s'avesse a consecrare il papa eletto senza il consentimento suo. Oltre a
ciò, siccome abbiam da Tegano[780], scrittore contemporaneo, _statim
postquam pontificatum suscepit, jussit omnem populum romanum fidelitatem
cum juramento promittere Ludovico_: parole che presso gl'intendenti non
han bisogno di spiegazione. Fu sommamente caro al pio imperadore d'udire
che il sommo pastor della Chiesa volesse venir a trovarlo; sebbene
Ermoldo Nigello suppone essere stato chiamato in Francia da Lodovico
esso pontefice. Comunque sia, mandò tosto l'imperadore ordine a
_Bernardo re d'Italia_ di accompagnarlo nel viaggio. Altri messi inviò
ad incontrarlo, allorchè fu entrato in Francia, ed egli si fermò nella
città di Rems ad aspettarlo. Quando poi fu in vicinanza di alquante
miglia dalla città, furono a riceverlo _Ildebaldo arcicappellano_ del
sacro palazzo, _Teodolfo vescovo di Orleans_, _Giovanni vescovo
d'Arles_, ed altri sacri ministri, tutti vestiti co' sacri abiti
sacerdotali. Un miglio poi fuori della città lo stesso imperadore con
isplendido accompagnamento l'accolse. Smontato da cavallo, tre volte
s'inginocchiò davanti al papa. Dice di più Tegano, che _princeps_ (cioè
_Lodovico_, dopo essere scesi amendue da cavallo) _se prosternens omni
corpore in terram tribus vicibus ante pedes tanti pontificis, et tertia
vice erectus, salutavit pontificem_. Ermoldo Nigello[781], che più
diffusamente degli altri descrive la andata in Francia di papa Stefano,
succeduta ai suoi tempi, racconta che il pontefice alzò da terra
l'imperadore, e il baciò. Dopo di che, preceduto da tutto il clero
cantante il _Te Deum_, andarono alla chiesa, dove il clero romano intonò
le acclamazioni consuete all'Augusto Lodovico, e il papa terminò
coll'orazione l'allegrissima funzion di quel dì. Nel giorno seguente fu
accresciuta l'allegria da un solennissimo convito, che l'imperador diede
al papa, con regalarlo ancora da par suo. Nel terzo giorno fu invitato
l'imperadore dal papa ad un somigliante magnifico convito, in cui anche
il papa gli fece de' suntuosi presenti. Venuto il quarto giorno, ch'era
domenica, essendo raunato tutto il clero e popolo nella gran basilica,
papa Stefano con una corona d'oro tempestata di gemme coronò ed unse col
sacro crisma l'_imperador Lodovico_, e similmente l'_imperadrice
Ermengarda_ sua moglie, con aggiugnere dipoi nuovi regali all'uno e
all'altra. Veggasi Ermoldo Nigello, il quale annovera appresso i
donativi fatti da Lodovico a Stefano di vasi d'oro e d'argento, di vesti
e cavalli, conchiudendo poi il catalogo con dire.
_Plura quid hinc memorem? nam centuplicata recepit_
_Munera Romanis quae arcibus extulerat._
Agnello[782] nelle Vite de' vescovi di Ravenna scrive che papa Stefano
andò in Francia all'imperador Lodovico, _et quidquid postulavit ab eo,
accepit_. E dal suddetto Ermoldo abbiamo che l'imperadore confermò i
privilegii alla Chiesa romana, ordinando,
_Ut res Ecclesiae Petri, sedisque perennis_
_Inlaesae vigeant semper honore Dei._
_Ut prius ecclesia haec, pastorum munere fulta,_
_Summum apicem tenuit, et teneat, volumus._
_Addimus at, praesul, tantum eat ut supra locutum,_
_Justitiam recolat, qui sedet arce Petri._
Preso poi congedo dall'imperadore, s'incamminò il papa verso l'Italia;
ma prima di farlo, secondochè avvertì Anastasio[783], avendo trovato in
Francia molti Romani banditi per le enormità da lor commesse contro la
Chiesa romana e contra del suo predecessore Leone, tutti con somma
clemenza e carità seco li ricondusse a Roma. Arrivato _papa Stefano_ a
Ravenna, per attestato del suddetto Agnello, _Martino arcivescovo_ fu ad
incontrarlo, e si baciarono insieme. Nel dì seguente celebrò messa il
pontefice nella basilica orsiana, _et ostendit sandalias Salvatoris,
quas omnis populus vidit_.
Fece l'imperador Lodovico[784] nell'ottobre dell'anno presente (e non
già del seguente, come con errore scrisse lo Astronomo nella di lui
Vita); fece, dissi, raunare un concilio numerosissimo di vescovi ed
abati in Aquisgrana; e siccome principe piissimo e sommamente bramoso di
veder fiorire la pietà e regolatezza del clero secolare e regolare,
ordinò che si stendesse la regola de' _canonici_ e quella delle
_canonichesse_. Fu eziandio stabilito che i _monaci_ esattamente
seguitassero la regola di s. Benedetto. Era già introdotto in varie
chiese cattedrali l'uso de' _canonici_, che viveano nel medesimo
chiostro, annesso alla cattedrale, ad una mensa comune, e in coro
cantavano i divini uffizii, non solamente di giorno, ma anche di notte,
non meno che si facessero i monaci d'allora. Quel solo che li
distingueva dai monaci, era l'abito, e il poter ritenere la proprietà
dei lor beni patrimoniali; e il titolo di _priore_, e non d'_abbate_, si
dava al loro capo. Gran cura si prese il pio imperadore perchè si
dilatasse per tutte le chiese, non solo della Francia e Germania, ma
anche dell'Italia, questo lodevole istituto, per cui si accresceva il
culto di Dio e il decoro delle cattedrali. E a' suoi desiderii tenne
dietro il buon successo, perciocchè a poco a poco s'andò introducendo
anche in Italia, in guisa che in quel secolo poche chiese rimasero in
Italia che non avessero il collegio de' lor canonici, viventi secondo la
regola proposta nel concilio suddetto. Attesta poi Ermoldo Nigello[785],
che venuto l'imperador Lodovico a Compiegne (due parole ne dice anche
l'Anonimo nella vita di lui), quivi fece una spedizione di messi per
tutto il suo imperio a disaminar la vita de' vescovi e del clero
secolare, e parimente de' monaci e delle monache, con ordine di notar
tutto, e di riferire a lui tutto quanto ritrovavano degno di lode e
bisognoso di correzione.
_Nunc nunc, o missi, certis insistite rebus,_
_Atque per imperium currite rite meum;_
_Canonicumque gregem, sexumque probate virilem,_
_Femineum nec non, quae pia castra colunt._
_Qualis vita, decor, qualis doctrina, modusque,_
_Quantaque religio, quod pietatis opus._
_Pastorique gregem quae convenientia jungat,_
_Ut grex pastorem diligat, ipse ut oves._
_Si sibi e laustra, domos, potum, tegimenque, cibumque_
_Praelati tribuant tempore sive loco._
Ebbe l'imperador Lodovico in quest'anno da impiegar le sue armi contro
agli Slavi, o Sclavi Sorabi, che pareano disposti alla ribellione. Un
esercito[786] raunato dalla Franconia e Sassonia li mise tosto in
dovere. S'erano anche apertamente ribellati i popoli della Guascogna
abitanti nella falda orientale de' Pirenei. Due spedizioni furono fatte,
per le quali tornarono all'ubbidienza con poco lor gusto. Trovandosi in
Compiegne, diede un diploma con varie esenzioni[787] al monistero di s.
Salvatore di monte Amiate in Toscana nel territorio di Chiusi, e ad
_Andoaldo abbate_, con lasciar ai monaci la libertà di eleggersi i di
lui successori, _per nostram auctoritatem et consensum, vel dilecti
filii nostri Bernardi regis_. Fu dato quel privilegio _XV kal. decembr.
anno, Christo propitio, III domni Ludovici piissimi Augusti, Indictione
X. Actum Compendio palatio_. Nel catalogo dei duchi di Spoleti[788],
posto avanti alla Cronica del monistero di Farfa, si legge sotto questo
anno _Geraldus dux_: il che ha fatto credere che in quest'anno egli
fosse eletto duca di Spoleti, quantunque, siccome vedremo all'anno 821,
_Guinigiso_ seguitasse ad essere duca di quella provincia. Di questo
parleremo più abbasso. Il conte Campelli[789] francamente scrive che
questo _Geraldo_, appellato altrove più rettamente _Gerardo_, era
figliuolo del suddetto Guinigiso, e che dal padre fu _dichiarato suo
compagno nel ducato_, mentre vivea tuttavia _Romano_ altro suo
figliuolo, già creato duca. Ma non sappiam di certo che Gerardo fosse
figliuolo di Guinigiso; nè sussiste che Guinigiso godesse l'autorità di
dichiararsi un collega nel ducato, perchè ciò apparteneva
all'imperadore, o pure al re d'Italia; e meno qui sussiste (siccome si
osservò all'anno 806) che quel _Romano_ fosse figliuolo di Guinigiso, e
duca anche egli vivente di Spoleti. Può ben l'accurato storico produrre
le sue conghietture intorno ai fatti antichi che egli descrive, ma non
dee già spacciare come fatti indubitati i suoi sogni, perchè facilmente
si fabbrica un inganno ai lettori.
NOTE:
[777] Anast. Biblioth., in Leon. III.
[778] Idem, in Vit. Stephani IV.
[779] Astronom., in Vit. Ludov. Pii.
[780] Tegan., de Gest. Ludovici Pii, num. 16.
[781] Ermold. Nighell., lib. 2, P. II, tom. 2 Rer. Italic.
[782] Agnell., P. I, tom. 2, Rer. Ital.
[783] Anast., in Vit. Stephani IV.
[784] Annales Franc. Lambec. Annal. Franc. Hildesheim
[785] Ermold. Nigellus, Poemat., lib. 2.
[786] Annal. Franc. Laureshamens. Annal. Fran. Bertin.
[787] Ughell., Ital. Sacr., tom. 3, in Episcop. Clusin.
[788] Chron. Farfens., P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[789] Campelli, Storia di Spoleti, lib. 15.
Anno di CRISTO DCCCXVII. Indizione X.
PASQUALE papa 1.
LODOVICO PIO imperadore 4.
BERNARDO re d'Italia 6.
Abbiamo nella Cronica farfense una bolla di _Stefano IV_ papa, che
conferma ad _Ingealdo, abbate_ dell'insigne monastero di Farfa, tutti i
beni spettanti a quel sacro luogo. Fu essa scritta _per manus
Christophori scriniarii in mense januario. Datum X kalendas februarii
per manus Theodori Nomenclatoris sanctae sedis apostolicae, imperante
domno Hludowico Augusto a Deo coronato, magno pacifico imperatore anno
III, et patriciatus ejus anno III, Indictione X._ In vece di
_patriciatus_ crede il p. Pagi[790] che fosse scritto _P. C. ejus_, cioè
_post consulatum ejus_. Impose esso papa ai monaci di Farfa una pensione
annua di dieci soldi d'oro. Ma godendo Farfa il privilegio dei monisteri
imperiali, se crediamo al Cronografo, per cura di _Lottario imperadore_
sotto Pasquale successore nel pontificato, fu levato l'obbligo di tal
pensione. Poco stette dipoi a dar fine ai suoi giorni il suddetto buon
papa _Stefano_, essendo egli stato rapito dalla morte il dì 24 di esso
mese di gennaio. Appena fu egli passato a miglior vita, che di piena
concordia restò eletto da tutto il clero e popolo romano il sommo
pontefice _Pasquale_ romano, rettore del monistero di santo Stefano,
situato presso la basilica vaticana, alle cui virtù Anastasio
bibliotecario[791], o qualunque sia l'autore della sua vita, tesse un
illustre elogio. Riferisce il suddetto autore della Cronica farfense una
bolla conceduta da lui in favore di quel monistero, e data _kal.
februarii per manus Nomenclatoris sanctae sedis apostolicae, imperante
domno Hludowico piissimo perpetuo Augusto a Deo coronato magno pacifico
imperatore anno III, Indictione X,_ cioè nell'anno presente. Non si
truova in questa bolla menzione alcuna della pensione suddetta, e
vedremo poscia che ne' diplomi susseguenti di Lottario I Augusto essa
viene abolita. Ma ciò che potrebbe far sospettare della legittimità di
tal documento, si è, ch'esso è scritto nel primo giorno di _febbraio da
Teodoro nomenclatore della santa Sede apostolica_, quando
l'Astronomo[792], scrittore di quei tempi, ci fa sapere che papa
Pasquale _post expletam consecrationem solemnem_ (nel dì 25 di gennaio)
_legatos, ec. imperatori misit. Hujus legationis bajulus fuit Theodorus
nomenclator,_ ec. Se terminata che fu la consecrazione del nuovo papa,
_Teodoro_ fu spedito in Francia, come potè egli stendere quella bolla?
Ma dagli Annali lauresamensi si ha[793] che il papa dopo la
consecrazione spedì solamente lettera di scusa, e dipoi inviò Teodoro.
Però può egli aver tardato fin dopo il primo di febbraio a mettersi in
viaggio. Una particolarità poi si ricava dalle parole del medesimo
Astronomo, che così scrive del suddetto papa: _Legatos cum epistola
apologetica, et maximis muneribus imperatori misit, insinuans, non se
ambitione, nec voluntate, sed electione et populi acclamatione, huic
succubuisse potius quam insiluisse dignitati._ Odansi ancora gli Annali
lauresamensi: _Stephanus papa, postquam Romam venerat, mense, sed nondum
expleto, circiter VIII kalendas februarii diem obiit. Cui Paschalis
successor electus, post completam solemniter ordinationem suam, et
munera, et excusatoriam imperialem misit epistolam in qua sibi non solum
nolenti, sed etiam plurimum renitenti, pontificatus honorem veluti
impactum asseverat._ Questa lettera di scusa d'essere stato consecrato
papa Pasquale contra sua voglia, fa abbastanza intendere che ne' patti
della signoria di Roma conferita da Carlo imperadore e da Lodovico suo
figliuolo a Leone III e a Stefano IV sommi pontefici, vi doveva essere,
che per consecrare il nuovo papa eletto si dovesse aspettare
l'approvazione e il consenso dell'imperadore _pro tempore_. Abbiam
veduto che esso Stefano IV, il primo che dopo fatta la rinnovazion
dell'imperio romano nella persona di Carlo Magno, fu eletto papa e
consecrato immantenente, per attestato del medesimo autore della vita di
Lodovico, _praemisit legationem, quae super ordinatione ejus imperatori
satisfaceret_. Fin dai tempi dei re goti fu introdotto il costume,
continuato poi per più secoli dai greci imperadori (chiamisi anche
abuso, che non importa), di non venire alla consecrazione del papa
eletto, se prima non era giunto l'assenso dell'imperadore, padrone
allora e sovrano di Roma, o almeno dell'esarcato de' Ravennati. Carlo
Magno e Lodovico Pio, succeduti nel dominio di Roma, non volendo essere
da meno dei precedenti Augusti, imposero questa medesima obbligazione ed
aggravio al clero e popolo romano. Ma ai Romani quest'obbligo e peso
parve sempre grave ed ingiusto; e giacchè era passato qualche tempo,
dappoichè essi Romani si erano staccati dall'ubbidienza de' greci
imperadori, che liberamente aveano consecrati i papi, non sapevano
accomodarsi sotto Lodovico Pio a questo giogo. Però senz'altro riguardo
vennero all'ordinazione di Stefano IV e di Pasquale, confidati nella
pietà e bontà di Lodovico Pio, che accetterebbe le scuse del loro
operato: nel che non s'ingannarono. Ma andando innanzi, vedremo
sostenuto con forza questo, chiamato dagl'imperadori diritto della
corona, e dai Romani abuso.
Aggiugne il suddetto Astronomo che _hujus legationis_ (di papa Pasquale)
_bajulus fuit Theodorus nomenclator, qui negotio peracto, et petitis
impetratis, super confirmatione scilicet pacti et amicitiae more
praedecessorum suorum, reversus est_. Altrettanto abbiamo dagli Annali
lauresamensi, ne' quali _missa alia legatione, pactum, quod cum
praedecessoribus suis factum fuerat, et secum fieri et firmari rogavit.
Hanc legationem Theodorus nomenclator et detulit, et ea quae petierat,
impetravit._ E qui non si può di meno di non rammentare la famosa
costituzione _Ego Ludovicus_, accennata da Leone Ostiense, riferita da
Graziano[794], e rapportata più ampiamente negli Annali
ecclesiastici[795]. Vien questa creduta un'impostura dal padre Pagi[796]
e da altri che ne recano le pruove; laonde a me pure non dee essere
disdetto l'esporre onoratamente il sentimento mio intorno ad essa, non
mosso da veruna passione, ma guidato dal solo amore della verità, la
quale, chiunque ancora ha sommo rispetto per la santa Sede, dee preferir
sempre alla bugia. Col voler sostenere opinioni inverisimili uno
scrittore non giova ad altrui; fors'anche gli nuoce e solamente può
guadagnare a sè stesso lo svantaggioso titolo di adulatore oppur quello
di sciocco. Ora io dico non potersi mai sostenere per documento
legittimo e veramente uscito dalla cancelleria di Lodovico Pio quella
costituzione. Vi manca la data: segno che ne resta una sola copia
informe, e non autentica, la quale non può far pruova sicura. Contiene
essa veramente molti stati che erano in dominio della Chiesa romana e
de' sommi pontefici. Ivi è confermata al papa la città di Roma col suo
ducato, ma colla giunta di queste parole: _Sicut a praedecessoribus
vestris_ (dovrebbe dire nostris) _usque nunc in vestra potestate et
ditione tenuistis et disposuistis_. S'è veduto in addietro, se con
sovranità, oppure con dipendenza i papi governassero Roma e il suo
ducato, e continueremo anche a vederlo. Ma non può stare che Lodovico
Pio confermasse o donasse a papa Pasquale _Siciliam sub integritate cum
omnibus adjacentibus, et territoriis maritimis,_ ec. La _Sicilia_ era
allora dell'imperator greco, con cui durava la pace e concordia,
confermata anche nell'anno presente, come si ha dagli Annali bertiniani.
Non si può mai credere che il papa chiedesse e l'imperador d'Occidente
donasse la roba altrui. Gli conferma ancora Lodovico _Patrimonia ad
potestatem et ditionem nostram pertinentia, sicut est patrimonium
Calabriae inferioris et superioris, et patrimonium neapolitanum._ Ma
evidente cosa è che l'imperadore non istendeva allora la sua podestà e
dominio sopra la _Calabria_, nè sopra _Napoli_, che erano allora sotto
la giurisdizione dell'imperador d'Oriente, e ciò senza contrasto alcuno.
Almeno non toccava a Lodovico Pio di confermare al papa degli allodiali
situati sotto il dominio altrui. Più sotto si lascia ai Romani la
libertà di consecrare il nuovo papa eletto, senza obbligo di attendere
l'approvazion dell'imperadore. E i fatti precedenti e i susseguenti,
siccome vedremo, convincono d'insussistenza una tal concessione. Lascio
andare altre riflessioni, bastando queste per conchiudere che non merita
d'essere attribuita quella costituzione, almeno tal quale essa è oggidì,
a Lodovico Pio; e potersi con tutto fondamento sospettare che nascesse
quella carta, oppur fosse alterato ed interpolato il vero documento, nel
secolo undecimo, dappoichè i pontefici cominciarono a muovere delle
pretensioni sopra la Sicilia, e a non voler sofferire che gli imperadori
avessero mano nella creazion de' papi: tempo appunto in cui Leone
Ostiense cominciò a farne menzione. Una costituzione diversa da questa
viene accennata dal Dandolo nella sua Cronica[797].
Bollivano intanto delle controversie di confini nella Dalmazia tra i due
imperadori d'Occidente e d'Oriente, perchè la Dalmazia mediterranea
apparteneva al primo, la marittima al secolo. Forse ancora verso il
Levante non erano per anche bene stabiliti i confini[798]. Niceforo
ambasciatore di Leone imperador dei Greci spedito ad Aquisgrana
nell'anno presente, trattò di questo affare; ma perchè non si trovava
allora alla corte _Cadaloo_, ossia _Cadolaco_, a cui spettava la cura di
que' confini, bisognò aspettare. E da ciò possiam dedurre che Cadaloo
fosse in questi tempi duca o marchese della marca del Friuli, ed avere
unita al suo governo la Dalmazia franzese. Venuto poi Cadaloo ad
Aquisgrana, e conoscendosi necessaria l'ispezione de' siti, fu egli col
greco ambasciatore inviato in Dalmazia, e datogli per aggiunta Albigario
nipote d'Unroco, uno probabilmente degli antenati della famiglia di
Berengario, che fu poi re d'Italia sul fine di questo secolo. In
quest'anno ancora, quantunque i Danesi dessero a credere di voler pace,
Lodovico Augusto fece lor guerra in aiuto di _Erioldo re_ scacciato da
essi. Ma la più solenne azione fatta nel presente anno dall'imperadore
Lodovico fu l'aver egli in tempo di state adunata in Aquisgrana la
general dieta de' suoi stati[799], dove propose di dichiarar imperadore
e suo collega nell'imperio _Lottario_ suo primogenito. _Tunc omni populo
placuit, ut ipse se vivente, constitueret unum de suis filiis imperare,
sicut pater ejus fecerat ipsum_. Restò in fatti proclamato e coronato
imperador dei Romani ed Augusto esso Lottario, con gran giubilo e festa
del popolo; e dal giorno di questa sua esaltazione alcuni cominciarono a
contar l'epoca del di lui imperio. I due suoi fratelli, cioè _Pippino_ e
_Lodovico_, amendue, o prima o allora dichiarati re, furono mandati dal
padre l'uno in Aquitania, l'altro in Baviera, cioè ne' regni destinati
per loro porzione. Confessa Tegano[800] che _ob hoc_, cioè per la
dignità imperiale conferita a Lottario _ceteri filii indignati sunt_;
perchè l'essere d'imperadore portava superiorità non solo d'onore, ma di
comando e di giurisdizione sopra dei re, e sopra tutta la monarchia
franzese.
Più nondimeno di que' due fratelli se l'ebbe a male _Bernardo_ re
d'Italia. Non gli mancarono dei cattivi consiglieri che gli persuasero
di non sofferir la risoluzione presa dall'Augusto suo zio,
rappresentandogli, come si può credere, che a lui, siccome figliuolo di
_Pippino_ già re d'Italia, maggiore d'età che Lodovico Pio di lui
fratello, competeva maggior diritto all'imperio, e tanto più, perchè chi
era re d'Italia, parea più conveniente che fosse anche imperadore.
Pertanto lo sconsigliato giovinetto principe, senza considerare che la
sua nascita pativa delle eccezioni, e che le forze sue non poteano
competere col monarca delle Gallie e della Germania, e che massimamente
per l'interposizione di Lodovico Pio, Carlo Magno l'avea fatto re
d'Italia: si diede a far gente e a meditar ribellione[801]. Fu inviata
all'imperador Lodovico, nel mentre che tornavava in Aquisgrana, questa
nuova da più d'uno, ma principalmente da _Rataldo_ vescovo di Verona
(chiamato da altri _Rotaldo_) e da _Suppone_ conte di Brescia, con
supporgli che Bernardo avesse già preso tutti i passi alle Chiuse
dell'Italia, e messe ivi delle guarnigioni, e che tutte le città
d'Italia avessero mano in questa congiura: il che in parte era vero e in
parte falso. Però l'Augusto Lodovico con somma prestezza raccolto un
potente esercito da tutta la Gallia e Germania, s'inviò senza dimora
alla volta d'Italia. Non ci volle di più per far rientrar in sè stesso
il mal accorto Bernardo, che scorto oramai di non aver possanza da
contrastare coll'Augusto zio, perchè di dì in dì s'andavano ritirando da
lui e desertando le truppe italiane, prese finalmente il partito di
ricorrere alla clemenza dell'irritato imperadore. Deposte dunque l'armi,
andò fino alla città di Sciallon in Borgogna a gittarsi ai di lui piedi.
Gli tennero dietro altri che avevano avuta parte nella congiura, fra'
quali specialmente sono menzionati _Eggideo_, uno dei più confidenti
d'esso re Bernardo, _Rinaldo_ cameriere d'esso re, e _Reginario_ già
conte del palazzo dell'imperadore e figliuolo di Meginario conte.
Trovaronsi inoltre mischiati in questo trattato _Anselmo_ arcivescovo di
Milano, _Wolfoldo_ vescovo di Cremona, e, quel che è più da stupire,
_Teodolfo_ vescovo d'Orleans in Francia, sedotti forse dall'amore verso
l'Italia sua patria. Questi personaggi, non solamente dopo la deposizion
dell'armi spontaneamente si misero nelle forze dell'imperadore, ma anche
ai primi interrogatorii scoprirono tutta l'orditura della lor tela. Noi
non abbiamo se non gli autori franzesi che parlano di questo affare. Per
buona ventura, pochi anni sono, Gian Burcardo Menchenio diede alla luce
una Cronichetta longobarda, composta da Andrea prete italiano[802] in
questo medesimo secolo, e da me ristampata[803], che scrive essere stato
fraudolentemente chiamato in Francia l'infelice Bernardo
dall'_imperadrice Ermengarda_, e ch'egli dopo aver ricavato dagli
ambasciatori che doveano averne sufficiente mandato, un giuramento di
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