Annali d'Italia, vol. 3 - 29
di Carlo, in guisa che ebbero salva la vita e le membra. Ma perchè non
restasse affatto impunita l'enormità del delitto, furono mandati in
esilio in Francia. Dal che si vede non sussistere l'asserzione di
Anastasio, che li fa esiliati prima che Carlo venisse a Roma. Fra le
altre controversie che si trattarono in questi tempi in Roma alla
presenza del nuovo imperadore, quella eziandio vi fu che già vedemmo
agitata ai tempi del re Liutprando fra i vescovi d'Arezzo e di Siena, a
cagione di molte parrocchie, che il primo pretendeva usurpate alla sua
diocesi dall'altro. L'Ughelli[628] pubblicò un decreto d'esso Carlo
Magno dato _quarto nonas martias, trigesimo tertio, et trigesimo quarto
anno imperii nostri. Actum Romae in ecclesia sancti Petri_, ec. È piena
di spropositi questa data. Viziato ancora si scorge il titolo, cioè
_Karolus gratia Dei rex Francorum et Romanorum, atque Longobardorum._ E
se così fosse scritto nell'archivio della chiesa d'Arezzo, il documento
sarebbe falso. Ma forse son da attribuire sì fatti errori al Burali,
ovvero alla non ignota trascuraggine dell'Ughelli. Quivi _Ariberto_
vescovo d'Arezzo ricorre al suddetto Augusto contra di _Andrea_ vescovo
di Siena, querelandosi che teneva occupate molte chiese spettanti alla
diocesi aretina. Rimessa tal causa a papa Leone, fu deciso in favore
d'Ariberto, e Carlo Magno con suo diploma avvalorò maggiormente questa
sentenza. Un'altra particolarità degna di gran riguardo abbiamo dagli
Annali de' Franchi, cioè che sul fine del novembre e sul principio di
decembre dell'anno presente, mentre Carlo Magno era in Roma, tornò da
Gerusalemme Zacheria prete, già inviato colà da esso Carlo, conducendo
seco due monaci spediti dal patriarca di quella città[629], i quali
_benedictionis gratia claves sepulcri dominici, ac loci Calvariae cum
vexillo detulerunt_ al medesimo Carlo Magno. Si è servito il cardinal
Baronio[630] di questo stesso fatto per provare che l'aver i romani
pontefici inviato ai re Franchi _le chiavi del sepolcro di san Pietro e
il vessillo_ non è segno che il dominio di Roma e del suo ducato fosse
trasferito in quei re. Ma il dottissimo cardinale, per non aver potuto
vedere a' suoi tempi tante storie pubblicate dipoi, si servì qui d'una
pruova che fa appunto contra di lui. Imperocchè è da sapere che Carlo
Magno mantenne gran corrispondenza con Aronne califfa de' Saraceni, e re
allora anche della Persia. Eginardo[631] attesta che questo califfo si
pregiava più della amicizia d'esso Carlo (tanta era la di lui
riputazione e potenza), che di quella di tutti gli altri principi del
mondo; e mandò più volte a regalarlo. Carlo Magno, siccome principe che
stendeva il guardo a tutto quanto potea recar gloria a sè e vantaggio
alla religione cristiana, seppe ben profittare del suo credito e della
sua amicizia con esso Aronne. Trattò dunque con lui per via di lettere e
di ambasciatori, e gli riuscì di ottenere da lui il dominio della sacra
città di _Gerusalemme_. Odasi il suddetto Eginardo, che così seguita a
dire: _Quum legati ejus_ (Caroli), _quos cum donariis ad sacratissimum
Domini ac Salvatoris nostri sepulcrum, locumque resurrectionis miserat,
ad eum venissent, et ei domini sui voluntatem indicassent, non solum ea
quae petebantur, fieri permisit, sed etiam sacrum illum ac salutarem
locum, ut illius potestati adscriberetur, concessit._ Il poeta
sassone[632] conferma la stessa notizia, con dire che Aronne inviò a
Carlo Magno donativi di gemme, oro, vesti, aromati:
_Adscribique locum sanctum Hierosolymorum_
_Concessit propriae Caroli semper ditioni._
E perchè non si dubiti del dominio ancora della città di Gerusalemme,
odansi gli Annali[633]: _Zacharias cum duobus monacis de Oriente
reversus Romam venit, quos patriarcha hierosolymitanus ad regem misit.
Qui benedictionis causa claves sepulcri dominici, ac loci Calvariae
claves etiam civitatis et montis eum vexillo detulerunt._ Altrettanto si
legge nella vita di Carlo Magno d'autore incerto[634], e in quella del
monaco Engolismense[635], negli Annali bertiniani[636], di Metz[637],
ec. Veggasi dunque che significasse in tali casi l'inviare il
_vessillo_. L'acquisto fatto nella forma suddetta da Carlo Magno della
città di Gerusalemme, servì di fondamento al favoloso ed antico romanzo
di Turpino per ispacciare ch'esso imperadore si portò in Oriente, vi
conquistò la santa città, andò a Costantinopoli, e fece altre prodezze:
tutte favole, che poi il Dandolo ed assai altri storici a man baciata
come verità contanti accolsero, ma che oggidì non hanno più spaccio. Io
mi dispenserò da qui innanzi dal riferir gli anni de' greci imperadori,
perch'essi in Italia non fecero più gran figura, e solamente andarono
ritenendo il dominio in Napoli ed in alcune città della Calabria.
Finalmente non vo' lasciar di dire che da una pergamena citata dal
Fiorentini[638] apparisce essere stato in questo anno duca, cioè
governatore in Lucca _Wicheramo_, ma senza sapersi se la sua autorità si
stendesse sopra le altre città della Toscana.
NOTE:
[618] Annal. Franc. Annal. Lambec. Eginhard., in Annal.
[619] Rer. Italic., Part. II, tom. 2.
[620] Eginhardus, in Annal. Franc.
[621] Monachus Engolismensis, in Vita Carol. Magni.
[622] Anastas. Bibliothec., in Leon. III.
[623] Baron., in Annal. Eccl.
[624] Eginhardus, in Vita Caroli Magni.
[625] Johann. Diaconus., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[626] Theoph., in Chronogr.
[627] Annal. Franc. Loiselian. Poeta Saxo. Monachus Engolism.
[628] Ughell., Ital. Sacr. tom. I, in Episcop. Aretin.
[629] Eginhardus, in Annal. Franc.
[630] Baron., Annal. Eccl.
[631] Eginhardus, in Vit. Caroli Magni.
[632] Poeta Saxo. Annal. apud Du-Chesne, tom. 2. Rer. Franc.
[633] Annales, Loisel. ad ann. 800.
[634] Anonymus, in Vit. Caroli Magni.
[635] Monach. Engolism.
[636] Annales Bertiniani.
[637] Annales Metenses.
[638] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
Anno di CRISTO DCCCI. Indizione IX.
LEONE III papa 7.
CARLO MAGNO imper. 2.
PIPPINO re d'Italia 21.
Dappoichè Carlo _imperadore_ ebbe dato buon sesto al governo e agli
affari di Roma, del papa e di tutta l'Italia, e non solamente a quei del
pubblico, ma anche a quei degli ecclesiastici e de' privati, con
trattenersi apposta per tutto il verno in Roma, dove sappiamo ch'egli
fece fabbricare (è incerto il tempo) un magnifico palazzo per la sua
persona, ed anche fece dei ricchi presenti alla chiesa di s. Pietro e
alle altre di Roma; e dopo aver quivi celebrata la santa Pasqua, si mise
in viaggio per tornarsene in Francia. Nello stesso tempo[639] anche in
quest'anno ordinò a _Pippino re d'Italia_ suo figliuolo di portar la
guerra nel ducato beneventano contra di _Grimoaldo:_ del che fra poco
ragioneremo. Venne l'Augusto Carlo a Spoleti, e quivi si trovava
l'ultimo dì d'aprile, quando si fece sentire una terribile scossa di
tremuoto, che rovinò molte città di Italia, e fece cadere la maggior
parte del tetto della basilica di san Paolo fuori di Roma. Da Spoleti
passò egli a Ravenna, dove si fermò per alquanti giorni, e di là
portossi a Pavia. Stando quivi applicato, secondo il suo costume, a
stabilire il buon governo de' popoli, e a recidere gli abusi introdotti,
formò e pubblicò alcuni capitolari, o vogliam dire leggi, che servissero
da lì innanzi al regno d'Italia, come giunte al Codice delle leggi
longobardiche. Leggonsi queste in esso Codice e presso il Baluzio.
Alcune poche di più ne ho io[640] dato, ed insieme la prefazione alle
medesime, dove egli s'intitola: _Carolus divino nutu coronatus,
Romanorum regens imperium, serenissimus Augustus, omnibus ducibus,
comitibus, castaldis, seu cunctis reipublicae per provinciam Italiae a
nostra mansuetudine praepositis. Anno ab Incarnatione Domini nostri Jesu
Christi DCCCI, Indictione IX, anno vero regni nostri in Francia XXXIII,
in Italia XXVIII, consulatus autem nostri primo._ Dal che e da altri
esempii si vede che cominciò allora ad usarsi con frequenza l'era nostra
volgare. Fece egli anche menzione dell'_anno primo del consolato_, per
imitar gl'imperadori greci, che gran tempo ritennero il rito di
annoverar gli anni del perpetuo lor consolato. Uso era allora che nei
casi particolari, a' quali non avessero provveduto le leggi
longobardiche, si ricorreva al re per intenderne la sua mente e volontà.
Erano perciò restate indecise molte cause in addietro: motivo per
conseguente al saggio imperadore di provvedere per l'avvenire colla
giunta di nuove leggi, _ut necessaria quae legi defuerant, supplerentur,
et in rebus dubiis non quorumlibet Judicum arbitrio, sed nostrae regiae
auctoritatis sententia praevaleret_. Stando in Pavia, ricevette
l'Augusto Carlo l'avviso che i legati di _Aronne re di Persia_, a lui
indirizzati, erano giunti a Pisa, e fra gli altri donativi veniva ancora
un elefante, cosa troppo forestiera in Occidente. Diede loro dipoi
udienza fra Vercelli ed Ivrea; e solennizzata in quest'ultima città la
festa di s. Giovanni Battista, passò dipoi in Francia. Erano già due
anni che _Lodovico re d'Aquitania_ stringeva con forte assedio o blocco
la città di Barcellona, perchè Zaddo saraceno, dopo aver fatto negli
anni addietro omaggio di quella città a Carlo Magno, allorchè Lodovico
entrò coll'armi in Catalogna, si scoprì mancator di parola, e non
fedele, anzi nemico. La fame era a dismisura cresciuta nella città, e
venuti meno i più dei difensori. Però disperato Zaddo, perchè niun
soccorso gli veniva da Cordova, si appigliò al partito d'andare egli
stesso a cercar soccorso dagli altri Mori di Spagna. Ma uscito di notte
non potè sì cautamente passare pel campo de' Francesi, che non fosse
scoperto e preso, e condotto al re Lodovico. Fu con più vigore da lì
innanzi continuato l'assedio, tantochè fu astretta quella nobil città
alla resa, e vi entrò trionfante il re Lodovico. Truovasi descritta
questa gloriosa impresa diffusamente dall'autore anonimo della vita di
Lodovico Pio[641], e similmente da Ermoldo Nigello[642], autore
contemporaneo, nel suo poema da me dato alla luce. Se crediamo al primo,
il saraceno Zaddo si partì da Barcellona per andare a trovare il re
Lodovico a Narbona, ed implorare la di lui misericordia. Sembra ben più
probabile, come ha il suddetto Ermoldo, ch'egli andasse a cercar
soccorsi dal sultano di Cordova; perchè se avesse pensato di rendersi ai
Franchi, facile gli sarebbe riuscito di ottenere un passaporto. Scorgesi
in altri punti di storia e di cronologia difettoso il suddetto Anonimo.
In Italia ancora fu posto l'assedio alla città di Rieti dall'esercito
franzese, e combattuta con tal vigore, che venne in potere del _re
Pippino_[643], insieme con tutte le castella da essa dipendenti. La
misera città data fu barbaramente alle fiamme, e _Rosulmo_ governator
d'essa incatenato, inviato in Francia all'imperadore. Ma negli Annali di
Metz, di s. Bertino e in altri, in vece di _Rieti_, sta scritto
_Theate_, cioè la città di _Chieti_, a cui toccò questa sciagura. In
fatti è scorretto nell'edizion del Du-Chesne il testo d'Eginardo.
_Rieti_ era città del ducato di Spoleti, nè alcuno scrive ch'essa si
fosse ribellata per darsi a _Grimoaldo duca di Benevento_. Oltre a ciò,
abbiamo da Erchemperto[644], che continuando la guerra fra il re Pippino
e Grimoaldo, _tellures Theatensium et urbes a dominio Beneventanorum
subtractae sunt usque in praesens_. Nel medesimo giorno furono dipoi
presentati a Carlo Magno il saraceno Zaddo, già padrone di Barcellona, e
Roselmo, governatore di Chieti, ed amendue mandati in esilio.
Al presente anno appartiene un giudicato in favore dell'insigne
monistero di Farfa, di cui è fatta menzione nelle memorie da me
pubblicate[645]. Trovavasi il re Pippino in un luogo appellato Cancello,
spettante al ducato di Spoleti, _Anno Karoli et Pippini XXVII, et XXI,
mense augusto_. Fatto ricorso a lui per aver giustizia, _Ebroardo_ conte
del palazzo, d'ordine suo decise la controversia, risedendo con lui
_Adelmo_ vescovo. Da un'altra carta d'essa badia di Farfa, scritta _sub
die XI mensis maii, Indict. IX., anno Deo propitio domni Karoli et filii
ejus Pippini XXVII et XX, in diebus illis, quando domnus Karolus ad
imperium coronatus_, apparisce che nel ducato di Spoleti veniva
esercitata giurisdizione _per Halabolt abbatem et missum domni Pippini
regis_. Dalla Cronica farfense[646] parimente si vede che _Mancione_
abbate ed altri messi erano stati inviati dal re Pippino per giudicare
eziandio di una lite vertente fra i monaci di Farfa e _Guinigiso_ duca
di Spoleti. Tenuto fu il placito nella stessa città di Spoleti, e
sentenziato contra del duca in favore del monistero. Pertanto comincia
qui ad apparire il grado di _conte del palazzo_ o pure _del sacro
palazzo_ in Italia, grado sommamente riguardevole, perchè a lui
devolvevano in ultima istanza e nelle appellazioni le cause difficili
del regno tutto d'Italia; ed allorchè egli si trovava per le città e
provincie del regno italico, godeva l'autorità di giudicar anche de'
conti, marchesi e duchi. Non ho io saputo scoprire in Italia un conte
del palazzo più antico di questo _Ebroardo_[647], a riserva di _Echerigo
conte del palazzo_, che si truova mentovato in una pergamena di
Pistoia[648] da me altrove rapportata, dove è citata, _Reclamatio
tempore domni Pippini regis facta ad Paulinum_ (patriarca d'Aquileja)
_Arnonem_ (arcivescovo di Salzburg) _Fardulfum abbatem_ (di s. Dionisio
di Parigi) _et Echerigum comitem palatii, vel reliquos loco eorum, qui
tunc hic in Italia missi fuerunt_, etc. Essendo, siccome diremo, mancato
di vita _s. Paolino_ patriarca nell'anno seguente, s'intende che questo
_Echerigo_ dovette esercitar la carica di conte del palazzo, prima che
venisse _Ebroardo_. Dei messi spediti o dai re o dagli imperadori a far
giustizia pel regno d'Italia parleremo più abbasso. Intanto da questi
placiti e giudicati abbiamo una chiara pruova che il sovrano di Spoleti
e del suo ducato erano allora Pippino re di Italia e Carlo Magno
imperadore suo padre; e non apparisce che in quelle parti esercitasse
giurisdizione alcuna, neppure subordinata, il romano pontefice. Quel
solo che merita osservazione si è, che nella maggior parte delle carte
farfensi scritte in questi tempi si veggono segnati gli anni di _Carlo
imperadore_ e di _Pippino re_, colla giunta talvolta degli anni del duca
di Spoleti. In altre poi s'incontrano i nomi di _Carlo_ e di _papa
Leone_. Ma chi potesse vedere interi quegli atti, troverebbe essere le
prime formate dai notai nel ducato di Spoleti, e le seconde in Viterbo,
e in altri luoghi del ducato romano sottoposti al pontefice. E
perciocchè anche negli strumenti dello stesso ducato romano si mirano
segnati prima gli anni di Carlo imperadore, come appunto uno farfense
scritto in questo anno si vede segnato: _Regnante domno nostro piissimo
perpetuo, et a Deo coronato Karolo Magno imperatore, anno imperii ejus
primo, seu et domno nostro Leone summo pontifice, et universali papa
anno VI, mense junio, Indictione IX_; questo ancora concorre a farci
intendere chi fosse il sovrano di Roma in que' tempi. Praticavasi lo
stesso dai duchi di Spoleti; nè si può mettere in dubbio che la
sovranità su quel ducato non fosse allora annessa ai re d'Italia.
Riferiscono i padri Cointe[649] e Pagi[650] al presente anno la vittoria
riportata da papa Leone e da Carlo Magno presso la città d'Ansidonia
nella Toscana occupata dagl'infedeli, essendo loro miracolosamente
riuscito di sconfiggere que' Barbari, con distruggere poi quella città,
situata verso Orbitello. Prestò fede a questo racconto anche il padre
Beretti[651] nella corografia de' secoli bassi. L'Ughelli, con
pubblicare il diploma dato da esso papa ed imperadore, quegli fu che
dopo il Volterrano c'insegnò questa notizia. Ma è da stupire come uomini
dotti e sperti nella critica non abbiano conosciuto che quel documento
da capo a piedi è un'impostura, nè merita d'aver luogo nelle purgate
istorie. Però, anche senza addurre il non dirsi parola di questa
battaglia e vittoria e tanto più di vittoria miracolosa, dagli storici
contemporanei, narranti tante altre minuzie dei fatti di Carlo Magno,
basta leggere quel diploma per rigettarne subito il racconto. In questi
tempi, per attestato di Giovanni Diacono[652], era console, ossia duca
di Napoli, _Teofilatto_, marito di _Euprassia_, figliuola del precedente
duca e vescovo di Napoli _Stefano_.
NOTE:
[639] Eginhard., in Annal. Franc.
[640] Rer. Italic., Part. II, tom. I.
[641] Vit. Ludovici Pii, tom. 2 Rer. Franc.
[642] Ermold., lib. I Carm. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[643] Eginhard., in Annal.
[644] Erchempert., Hist. Princip. Langobard. P. I, tom. 2, Rer. Ital.
[645] Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[646] Chron. Farfense, P. II, tom. 2, Rer. Ital.
[647] Antiquit. Ital., Dissert. 7 de Comit. Palat.
[648] Antiquit. Ital., Dissert. 70, de Cleri immunitate.
[649] Cointe, in Annal. Eccl.
[650] Pagius, Critic. Baron.
[651] Beretta, Chronogr., tom. 10 Rer. Ital.
[652] Johann. Diac., in Vita Episcopor. Neapol., Part. II, tom. 2 Rer.
Ital.
Anno di CRISTO DCCCII. Indiz. X.
LEONE III papa 8.
CARLO MAGNO imperad. 5.
PIPPINO re d'Italia 22.
Continuava l'_imperadrice Irene_ nel governo dell'imperio orientale, ma
con sentire il trono che le traballava sotto a' piedi. Più d'uno v'era
che aspirava all'imperio, e facea de' maneggi per questo, e
principalmente Aezio e Stauracio patrizii emuli lavoravano forte
sott'acqua per compiere questo disegno, ciascuno in proprio vantaggio.
Irene, per cattivarsi la benevolenza del popolo, gli avea rimesso nel
precedente anno alcuni tributi. Tuttavia, non fidandosi dell'instabilità
di esso popolo, e paventando le mine segrete de' concorrenti al soglio
imperiale, determinò di appoggiarsi a Carlo Magno, la cui riputazione e
possanza facea grande strepito anche in Oriente. Pertanto gli spedì per
suo ambasciatore _Leone spatario_[653], con ordine di stabilir pace fra
i Greci e Franchi, non ostante il disgusto provato per la dignità
imperiale a lui conferita. Ricevuta che fu l'ambasciata, e rispedito
l'ambasciatore, anche l'Augusto Carlo inviò a Costantinopoli i suoi
legati, cioè _Jesse vescovo d'Amiens_, ed _Elingaudo conte_, per
trattare con essa imperadrice. Teofane[654] scrive che v'andarono anche
gli apocrisarii di _papa Leone_. Dal medesimo storico e da Zonara[655]
viene spiegato il motivo di tale spedizione: cioè che Carlo Magno e il
papa erano dietro a fare un bellissimo colpo, consistente nello
strignere matrimonio fra esso imperador d'Occidente ed Irene imperadrice
d'Oriente, con che si sarebbono riuniti i due già divisi imperii. Se
questo glorioso disegno fosse vero, o pure una voce disseminata da chi
atterrò l'imperadrice, per renderla odiosa presso ai Greci; e se ella
stessa fosse la prima a farne proposizione a Carlo Magno, o pure ne
nascesse l'idea in mente del papa o di Carlo, al qual fine mandassero i
loro legati in Oriente, noi nol sappiamo dire. La verità si è, che
scoperto questo trattato, al quale scrivono che Irene aderiva, ma con
disapprovazione dei superbi Greci; o pure sparsane voce da chi
macchinava di salire sul trono; questo servì non poco per cagionare o
accelerar la rovina d'essa imperadrice. Si studiava Aezio patrizio di
promuover Leone suo fratello; ma fu più scaltro o fortunato _Niceforo_
patrizio e logoteta generale, che, tirati nel suo partito molti nobili e
una parte del popolo, si fece proclamare imperadore. Rinserrò nel
palazzo Irene, ed appresso con finte lusinghe e promesse tanto fece, che
le cavò di bocca il luogo dove erano i tesori; poscia per ricompensa la
mandò in esilio in un monistero di Lesbo, oggidì Metelino, dove
custodita dalle guardie, e riconoscendo dalla mano di Dio questo per un
gastigo de' suoi peccati, nell'anno seguente diede fine ai suoi giorni.
Presenti a questa tragedia, succeduta nel dì ultimo di ottobre, furono
gli ambasciatori di Carlo Magno, i quali poi seguitarono a trattenersi
in Costantinopoli, finchè videro quetati i rumori, e poterono ottenere
udienza dal novello imperadore, della cui avarizia, infedeltà, empietà e
tirannia parla assai francamente nella sua storia Teofane.
Continuava intanto la guerra fra il _re Pippino_ e _Grimoaldo duca di
Benevento_. Racconta Erchemperto[656] che fra questi due principi,
siccome giovani ed animosi amendue, passava una terribil gara, ed ognun
d'essi con gran vigore sosteneva il suo punto. Più volte Pippino spedì
ambasciatori all'altro, con fargli sapere, che siccome _Arigiso_ duca,
padre di lui, era stato suggetto al re Desiderio, nella stessa guisa
pretendea che Grimoaldo fosse suggetto a lui. Rispondeva Grimoaldo:
_Liber et ingenuus sum natus utroque parente;_
_Semper ero liber, credo, tuente Deo._
A tali risposte montava Pippino in collera, e con quante forze poteva,
di tanto in tanto passava a fargli guerra. Ma Grimoaldo non si perdeva
di coraggio. Nè a lui mancavano buone truppe e delle ben guernite
fortezze; e però si rideva di lui. Tuttavia abbiamo dagli Annali de'
Franchi, che in quest'anno riuscì al re Pippino di prendere la città
d'Ortona nell'Abruzzo[657]. Con lungo assedio ancora forzò la città di
_Lucera_ o _Nocera_ in Puglia a rendersi, e vi mise guarnigione
francese, con darne la guardia a _Guinigiso duca di Spoleti_. Grimoaldo,
che non dormiva, da che seppe che Pippino avea ricondotto a quartiere
l'esercito suo, venne colle sue brigate sotto la medesima città di
Lucera, e dopo averla stretta con assedio per alcun tempo, finalmente se
ne impadronì. Così cadde nelle mani di lui lo stesso duca Guinigiso, il
quale s'era infermato durante l'assedio, e fu da lui trattato con tutta
onorevolezza. Accadde in quest'anno una scandalosa iniquità, di cui
lasciarono memoria gli Annali de' Veneziani. Era stato eletto vescovo di
Olivola Castello (oggidì parte della città di Venezia) _Cristoforo_,
uomo greco, col favore di _Giovanni doge di Venezia_, e per
raccomandazione di _Niceforo imperadore_. Ma essendo in discordia i
tribuni di Venezia col doge, scrissero a _Giovanni patriarca di Grado_,
pregandolo di non volerlo consecrare. Non solo il patriarca gli negò la
consecrazione, ma lo scomunicò. A questo avviso andò sì mattamente nelle
furie il doge Giovanni, che preso seco _Maurizio doge_ suo figliuolo,
con una squadra di navi e di armati volò contro la terra di Grado; ed
entratovi senza resistenza, e trovato il patriarca fuggito sopra la
torre da quella il precipitò al basso. Il Sabellico[658] e Pietro
Giustiniano scrivono essere proceduta l'uccisione del patriarca,
perch'egli avea ripreso i dogi suddetti a cagione di molte loro
iniquità. Rapporta il cardinal Baronio[659] una lettera scritta da s.
_Paolino_ patriarca di Aquileia a Carlo Magno, in cui gli dà avviso
d'aver celebrato un concilio in Altino. E poscia soggiugne, _De
sacerdotibus autem plagis impositis, semique vivis relictis, vel certe
diabolico fervescente furore, per ejus satellites interemtis, non meum,
sed vestrae definitionis erit judicium, ec. Egrediatur, si placet, una
de hac re per universam regni vestri late diffusam monarchiam decretalis
sententiae ultio_, ec. Crede esso eminentissimo Annalista che s. Paolino
implorasse il braccio di Carlo Magno per punire il sacrilego misfatto
dei dogi di Venezia. Ma è da osservare che, secondo gli Annali di
Lambecio[660] e di Fulda[661] e di Ermanno Contratto[662], e per
confessione dello stesso Baronio, in quest'anno, e non già nell'804, fu
chiamato da Dio a miglior vita il santo patriarca Paolino. Ed essendo
seguita, per quanto s'ha dal calendario aquileiense, la di lui morte nel
dì 11 di gennaio, non si può tal notizia accordare coll'elezione del
vescovo d'Olivola, per quanto si dice, a raccomandazione di Niceforo
imperadore, che appena due mesi prima aveva occupato l'imperio
d'Oriente. Oltre di che, non essendo l'isola e il patriarca di Grado
sotto la giurisdizion di Carlo Magno, è da vedere come s. Paolino
ricorresse a lui pel gastigo de' malfattori. Ed egli parla di sacerdoti
feriti o uccisi, e non già di un vescovo e patriarca. Però non sono ben
chiare le circostanze di quell'orrido e indubitato fatto, che portò poi
seco un grave sconcerto nella repubblica veneziana. Per altro nella
morte di s. Paolino mancò all'Italia un singolare ornamento, perch'egli
non meno colla sua letteratura che per le sue insigni virtù faceva in
Italia quella gloriosa figura, che allora anche Alcuino suo amicissimo
faceva in Francia. Ed è ben da maravigliarsi come il cardinal Baronio
non inserisse nel Martirologio romano questo insigne personaggio, quando
ivi ha dato luogo ad altri in merito a lui molto inferiori. Più ancora è
da dolersi perchè in quei tempi, ne' quali la Francia, la Germania e
l'Inghilterra ebbero tanti scrittori delle vite di varii vescovi, abati
ed altri riguardevoli per le loro virtù, niuno in Italia prendesse a
scrivere quella del suddetto patriarca, e che sieno restate in oblio le
vite d'altri personaggi italiani, distinti per le loro bell'opere,
dovendosi credere che neppure all'Italia mancassero allora dei sacri
vescovi e degli altri ecclesiastici e secolari di rara pietà.
NOTE:
[653] Annales Franc. Bertiniani. Eginhard., in Annal. Franc.
[654] Teoph., in Chronogr.
[655] Zonar., in Annalib.
[656] Erchempertus, Hist. Lang., P. I, tom. 2. Rer. Ital.
[657] Annales, Franc. Metens. Eginhard., in Annal. Franc.
[658] Sabellicus, Ennead. VIII, lib. 9.
[659] Baron., in Annal. Eccl.
[660] Lambecius, in Annal. Franc.
[661] Annales Francor. Fuldenses.
[662] Hermann. Contractus, in Chron.
Anno di CRISTO DCCCIII. Indizione XI.
LEONE III papa 9.
CARLO MAGNO imperadore 4.
PIPPINO re d'Italia 23.
Spediti da _Niceforo imperadore dei Greci_ tornarono quest'anno in
Italia e in Francia gli ambasciatori di _Carlo Magno_, conducendo seco
quei di Niceforo[663], cioè _Michele vescovo, Pietro abate_ e Callisto
candidato. Si presentarono questi a Carlo, che dimorava allora nella
regal villa di Salz in Franconia, e con esso lui conchiusero un trattato
di pace; dopo di che per la via di Roma se ne tornarono a
Costantinopoli. Le condizioni di questa pace non le scrivono gli
storici; tuttavia si apporrà al vero chi crederà conchiuso fra loro un
accordo coll'_uti possidetis_. Con che venne Niceforo ad assicurarsi nel
dominio della Sicilia e delle città che già restavano nella Calabria, e
ne' suoi diritti sopra Napoli, Gaeta ed Amalfi; e all'incontro Roma col
ducato romano, e tutto il regno de' Longobardi, ossia d'Italia,
restarono sottoposti alla signoria di Carlo Magno con gli altri regni o
da lui acquistati, o già dipendenti dalla corona di Francia. Per conto
della città di Venezia, e dell'altre marittime della Dalmazia, è da
ascoltare Andrea Dandolo[664], che così scrive: _In hoc foedere_ (tra
Carlo Magno e Niceforo) _seu decreto nominatim firmatum est, quod
Venetiae urbes et maritimae civitates Dalmatiae, quae in devotione
imperii_ (cioè del greco) _illibatae perstiterant, ab imperio
occidentali nequaquam debeant molestari, invadi, nec minorari; et quod
Veneti possessionibus, libertatibus et immunitatibus quas soliti sunt
habere in italico regno, libere perfruantur_. In fatti è fuor di disputa
che la città di Venezia colle isole adiacenti restò esclusa dal regno
d'Italia, nè Carlo Magno nè Pippino suo figliuolo v'ebbero dominio.
Sappiamo inoltre da Eginardo[665] ch'esso Carlo Augusto abbracciò sotto
la sua signoria _Histriam quoque et Liburniam atque Dalmatiam, exceptis
maritimis civitatibus, quas ob amicitiam, et junctum cum eo foedus,
constantinopolitanum imperatorem habere permisit_. Era prigionere
_Guinigiso_ duca di Spoleti, siccome dicemmo. _Grimoaldo_ duca di
Benevento, che cercava tutte le vie di placare il re Pippino, rimise
quest'anno con tutto garbo in libertà esso Guinigiso; e di ciò fanno
memoria gli Annali de' Franchi. Intanto era stato eletto patriarca di
Grado _Fortunato_ da Trieste, parente dell'ucciso patriarca _Giovanni_.
restasse affatto impunita l'enormità del delitto, furono mandati in
esilio in Francia. Dal che si vede non sussistere l'asserzione di
Anastasio, che li fa esiliati prima che Carlo venisse a Roma. Fra le
altre controversie che si trattarono in questi tempi in Roma alla
presenza del nuovo imperadore, quella eziandio vi fu che già vedemmo
agitata ai tempi del re Liutprando fra i vescovi d'Arezzo e di Siena, a
cagione di molte parrocchie, che il primo pretendeva usurpate alla sua
diocesi dall'altro. L'Ughelli[628] pubblicò un decreto d'esso Carlo
Magno dato _quarto nonas martias, trigesimo tertio, et trigesimo quarto
anno imperii nostri. Actum Romae in ecclesia sancti Petri_, ec. È piena
di spropositi questa data. Viziato ancora si scorge il titolo, cioè
_Karolus gratia Dei rex Francorum et Romanorum, atque Longobardorum._ E
se così fosse scritto nell'archivio della chiesa d'Arezzo, il documento
sarebbe falso. Ma forse son da attribuire sì fatti errori al Burali,
ovvero alla non ignota trascuraggine dell'Ughelli. Quivi _Ariberto_
vescovo d'Arezzo ricorre al suddetto Augusto contra di _Andrea_ vescovo
di Siena, querelandosi che teneva occupate molte chiese spettanti alla
diocesi aretina. Rimessa tal causa a papa Leone, fu deciso in favore
d'Ariberto, e Carlo Magno con suo diploma avvalorò maggiormente questa
sentenza. Un'altra particolarità degna di gran riguardo abbiamo dagli
Annali de' Franchi, cioè che sul fine del novembre e sul principio di
decembre dell'anno presente, mentre Carlo Magno era in Roma, tornò da
Gerusalemme Zacheria prete, già inviato colà da esso Carlo, conducendo
seco due monaci spediti dal patriarca di quella città[629], i quali
_benedictionis gratia claves sepulcri dominici, ac loci Calvariae cum
vexillo detulerunt_ al medesimo Carlo Magno. Si è servito il cardinal
Baronio[630] di questo stesso fatto per provare che l'aver i romani
pontefici inviato ai re Franchi _le chiavi del sepolcro di san Pietro e
il vessillo_ non è segno che il dominio di Roma e del suo ducato fosse
trasferito in quei re. Ma il dottissimo cardinale, per non aver potuto
vedere a' suoi tempi tante storie pubblicate dipoi, si servì qui d'una
pruova che fa appunto contra di lui. Imperocchè è da sapere che Carlo
Magno mantenne gran corrispondenza con Aronne califfa de' Saraceni, e re
allora anche della Persia. Eginardo[631] attesta che questo califfo si
pregiava più della amicizia d'esso Carlo (tanta era la di lui
riputazione e potenza), che di quella di tutti gli altri principi del
mondo; e mandò più volte a regalarlo. Carlo Magno, siccome principe che
stendeva il guardo a tutto quanto potea recar gloria a sè e vantaggio
alla religione cristiana, seppe ben profittare del suo credito e della
sua amicizia con esso Aronne. Trattò dunque con lui per via di lettere e
di ambasciatori, e gli riuscì di ottenere da lui il dominio della sacra
città di _Gerusalemme_. Odasi il suddetto Eginardo, che così seguita a
dire: _Quum legati ejus_ (Caroli), _quos cum donariis ad sacratissimum
Domini ac Salvatoris nostri sepulcrum, locumque resurrectionis miserat,
ad eum venissent, et ei domini sui voluntatem indicassent, non solum ea
quae petebantur, fieri permisit, sed etiam sacrum illum ac salutarem
locum, ut illius potestati adscriberetur, concessit._ Il poeta
sassone[632] conferma la stessa notizia, con dire che Aronne inviò a
Carlo Magno donativi di gemme, oro, vesti, aromati:
_Adscribique locum sanctum Hierosolymorum_
_Concessit propriae Caroli semper ditioni._
E perchè non si dubiti del dominio ancora della città di Gerusalemme,
odansi gli Annali[633]: _Zacharias cum duobus monacis de Oriente
reversus Romam venit, quos patriarcha hierosolymitanus ad regem misit.
Qui benedictionis causa claves sepulcri dominici, ac loci Calvariae
claves etiam civitatis et montis eum vexillo detulerunt._ Altrettanto si
legge nella vita di Carlo Magno d'autore incerto[634], e in quella del
monaco Engolismense[635], negli Annali bertiniani[636], di Metz[637],
ec. Veggasi dunque che significasse in tali casi l'inviare il
_vessillo_. L'acquisto fatto nella forma suddetta da Carlo Magno della
città di Gerusalemme, servì di fondamento al favoloso ed antico romanzo
di Turpino per ispacciare ch'esso imperadore si portò in Oriente, vi
conquistò la santa città, andò a Costantinopoli, e fece altre prodezze:
tutte favole, che poi il Dandolo ed assai altri storici a man baciata
come verità contanti accolsero, ma che oggidì non hanno più spaccio. Io
mi dispenserò da qui innanzi dal riferir gli anni de' greci imperadori,
perch'essi in Italia non fecero più gran figura, e solamente andarono
ritenendo il dominio in Napoli ed in alcune città della Calabria.
Finalmente non vo' lasciar di dire che da una pergamena citata dal
Fiorentini[638] apparisce essere stato in questo anno duca, cioè
governatore in Lucca _Wicheramo_, ma senza sapersi se la sua autorità si
stendesse sopra le altre città della Toscana.
NOTE:
[618] Annal. Franc. Annal. Lambec. Eginhard., in Annal.
[619] Rer. Italic., Part. II, tom. 2.
[620] Eginhardus, in Annal. Franc.
[621] Monachus Engolismensis, in Vita Carol. Magni.
[622] Anastas. Bibliothec., in Leon. III.
[623] Baron., in Annal. Eccl.
[624] Eginhardus, in Vita Caroli Magni.
[625] Johann. Diaconus., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[626] Theoph., in Chronogr.
[627] Annal. Franc. Loiselian. Poeta Saxo. Monachus Engolism.
[628] Ughell., Ital. Sacr. tom. I, in Episcop. Aretin.
[629] Eginhardus, in Annal. Franc.
[630] Baron., Annal. Eccl.
[631] Eginhardus, in Vit. Caroli Magni.
[632] Poeta Saxo. Annal. apud Du-Chesne, tom. 2. Rer. Franc.
[633] Annales, Loisel. ad ann. 800.
[634] Anonymus, in Vit. Caroli Magni.
[635] Monach. Engolism.
[636] Annales Bertiniani.
[637] Annales Metenses.
[638] Fiorentini, Memor. di Matilde, lib. 3.
Anno di CRISTO DCCCI. Indizione IX.
LEONE III papa 7.
CARLO MAGNO imper. 2.
PIPPINO re d'Italia 21.
Dappoichè Carlo _imperadore_ ebbe dato buon sesto al governo e agli
affari di Roma, del papa e di tutta l'Italia, e non solamente a quei del
pubblico, ma anche a quei degli ecclesiastici e de' privati, con
trattenersi apposta per tutto il verno in Roma, dove sappiamo ch'egli
fece fabbricare (è incerto il tempo) un magnifico palazzo per la sua
persona, ed anche fece dei ricchi presenti alla chiesa di s. Pietro e
alle altre di Roma; e dopo aver quivi celebrata la santa Pasqua, si mise
in viaggio per tornarsene in Francia. Nello stesso tempo[639] anche in
quest'anno ordinò a _Pippino re d'Italia_ suo figliuolo di portar la
guerra nel ducato beneventano contra di _Grimoaldo:_ del che fra poco
ragioneremo. Venne l'Augusto Carlo a Spoleti, e quivi si trovava
l'ultimo dì d'aprile, quando si fece sentire una terribile scossa di
tremuoto, che rovinò molte città di Italia, e fece cadere la maggior
parte del tetto della basilica di san Paolo fuori di Roma. Da Spoleti
passò egli a Ravenna, dove si fermò per alquanti giorni, e di là
portossi a Pavia. Stando quivi applicato, secondo il suo costume, a
stabilire il buon governo de' popoli, e a recidere gli abusi introdotti,
formò e pubblicò alcuni capitolari, o vogliam dire leggi, che servissero
da lì innanzi al regno d'Italia, come giunte al Codice delle leggi
longobardiche. Leggonsi queste in esso Codice e presso il Baluzio.
Alcune poche di più ne ho io[640] dato, ed insieme la prefazione alle
medesime, dove egli s'intitola: _Carolus divino nutu coronatus,
Romanorum regens imperium, serenissimus Augustus, omnibus ducibus,
comitibus, castaldis, seu cunctis reipublicae per provinciam Italiae a
nostra mansuetudine praepositis. Anno ab Incarnatione Domini nostri Jesu
Christi DCCCI, Indictione IX, anno vero regni nostri in Francia XXXIII,
in Italia XXVIII, consulatus autem nostri primo._ Dal che e da altri
esempii si vede che cominciò allora ad usarsi con frequenza l'era nostra
volgare. Fece egli anche menzione dell'_anno primo del consolato_, per
imitar gl'imperadori greci, che gran tempo ritennero il rito di
annoverar gli anni del perpetuo lor consolato. Uso era allora che nei
casi particolari, a' quali non avessero provveduto le leggi
longobardiche, si ricorreva al re per intenderne la sua mente e volontà.
Erano perciò restate indecise molte cause in addietro: motivo per
conseguente al saggio imperadore di provvedere per l'avvenire colla
giunta di nuove leggi, _ut necessaria quae legi defuerant, supplerentur,
et in rebus dubiis non quorumlibet Judicum arbitrio, sed nostrae regiae
auctoritatis sententia praevaleret_. Stando in Pavia, ricevette
l'Augusto Carlo l'avviso che i legati di _Aronne re di Persia_, a lui
indirizzati, erano giunti a Pisa, e fra gli altri donativi veniva ancora
un elefante, cosa troppo forestiera in Occidente. Diede loro dipoi
udienza fra Vercelli ed Ivrea; e solennizzata in quest'ultima città la
festa di s. Giovanni Battista, passò dipoi in Francia. Erano già due
anni che _Lodovico re d'Aquitania_ stringeva con forte assedio o blocco
la città di Barcellona, perchè Zaddo saraceno, dopo aver fatto negli
anni addietro omaggio di quella città a Carlo Magno, allorchè Lodovico
entrò coll'armi in Catalogna, si scoprì mancator di parola, e non
fedele, anzi nemico. La fame era a dismisura cresciuta nella città, e
venuti meno i più dei difensori. Però disperato Zaddo, perchè niun
soccorso gli veniva da Cordova, si appigliò al partito d'andare egli
stesso a cercar soccorso dagli altri Mori di Spagna. Ma uscito di notte
non potè sì cautamente passare pel campo de' Francesi, che non fosse
scoperto e preso, e condotto al re Lodovico. Fu con più vigore da lì
innanzi continuato l'assedio, tantochè fu astretta quella nobil città
alla resa, e vi entrò trionfante il re Lodovico. Truovasi descritta
questa gloriosa impresa diffusamente dall'autore anonimo della vita di
Lodovico Pio[641], e similmente da Ermoldo Nigello[642], autore
contemporaneo, nel suo poema da me dato alla luce. Se crediamo al primo,
il saraceno Zaddo si partì da Barcellona per andare a trovare il re
Lodovico a Narbona, ed implorare la di lui misericordia. Sembra ben più
probabile, come ha il suddetto Ermoldo, ch'egli andasse a cercar
soccorsi dal sultano di Cordova; perchè se avesse pensato di rendersi ai
Franchi, facile gli sarebbe riuscito di ottenere un passaporto. Scorgesi
in altri punti di storia e di cronologia difettoso il suddetto Anonimo.
In Italia ancora fu posto l'assedio alla città di Rieti dall'esercito
franzese, e combattuta con tal vigore, che venne in potere del _re
Pippino_[643], insieme con tutte le castella da essa dipendenti. La
misera città data fu barbaramente alle fiamme, e _Rosulmo_ governator
d'essa incatenato, inviato in Francia all'imperadore. Ma negli Annali di
Metz, di s. Bertino e in altri, in vece di _Rieti_, sta scritto
_Theate_, cioè la città di _Chieti_, a cui toccò questa sciagura. In
fatti è scorretto nell'edizion del Du-Chesne il testo d'Eginardo.
_Rieti_ era città del ducato di Spoleti, nè alcuno scrive ch'essa si
fosse ribellata per darsi a _Grimoaldo duca di Benevento_. Oltre a ciò,
abbiamo da Erchemperto[644], che continuando la guerra fra il re Pippino
e Grimoaldo, _tellures Theatensium et urbes a dominio Beneventanorum
subtractae sunt usque in praesens_. Nel medesimo giorno furono dipoi
presentati a Carlo Magno il saraceno Zaddo, già padrone di Barcellona, e
Roselmo, governatore di Chieti, ed amendue mandati in esilio.
Al presente anno appartiene un giudicato in favore dell'insigne
monistero di Farfa, di cui è fatta menzione nelle memorie da me
pubblicate[645]. Trovavasi il re Pippino in un luogo appellato Cancello,
spettante al ducato di Spoleti, _Anno Karoli et Pippini XXVII, et XXI,
mense augusto_. Fatto ricorso a lui per aver giustizia, _Ebroardo_ conte
del palazzo, d'ordine suo decise la controversia, risedendo con lui
_Adelmo_ vescovo. Da un'altra carta d'essa badia di Farfa, scritta _sub
die XI mensis maii, Indict. IX., anno Deo propitio domni Karoli et filii
ejus Pippini XXVII et XX, in diebus illis, quando domnus Karolus ad
imperium coronatus_, apparisce che nel ducato di Spoleti veniva
esercitata giurisdizione _per Halabolt abbatem et missum domni Pippini
regis_. Dalla Cronica farfense[646] parimente si vede che _Mancione_
abbate ed altri messi erano stati inviati dal re Pippino per giudicare
eziandio di una lite vertente fra i monaci di Farfa e _Guinigiso_ duca
di Spoleti. Tenuto fu il placito nella stessa città di Spoleti, e
sentenziato contra del duca in favore del monistero. Pertanto comincia
qui ad apparire il grado di _conte del palazzo_ o pure _del sacro
palazzo_ in Italia, grado sommamente riguardevole, perchè a lui
devolvevano in ultima istanza e nelle appellazioni le cause difficili
del regno tutto d'Italia; ed allorchè egli si trovava per le città e
provincie del regno italico, godeva l'autorità di giudicar anche de'
conti, marchesi e duchi. Non ho io saputo scoprire in Italia un conte
del palazzo più antico di questo _Ebroardo_[647], a riserva di _Echerigo
conte del palazzo_, che si truova mentovato in una pergamena di
Pistoia[648] da me altrove rapportata, dove è citata, _Reclamatio
tempore domni Pippini regis facta ad Paulinum_ (patriarca d'Aquileja)
_Arnonem_ (arcivescovo di Salzburg) _Fardulfum abbatem_ (di s. Dionisio
di Parigi) _et Echerigum comitem palatii, vel reliquos loco eorum, qui
tunc hic in Italia missi fuerunt_, etc. Essendo, siccome diremo, mancato
di vita _s. Paolino_ patriarca nell'anno seguente, s'intende che questo
_Echerigo_ dovette esercitar la carica di conte del palazzo, prima che
venisse _Ebroardo_. Dei messi spediti o dai re o dagli imperadori a far
giustizia pel regno d'Italia parleremo più abbasso. Intanto da questi
placiti e giudicati abbiamo una chiara pruova che il sovrano di Spoleti
e del suo ducato erano allora Pippino re di Italia e Carlo Magno
imperadore suo padre; e non apparisce che in quelle parti esercitasse
giurisdizione alcuna, neppure subordinata, il romano pontefice. Quel
solo che merita osservazione si è, che nella maggior parte delle carte
farfensi scritte in questi tempi si veggono segnati gli anni di _Carlo
imperadore_ e di _Pippino re_, colla giunta talvolta degli anni del duca
di Spoleti. In altre poi s'incontrano i nomi di _Carlo_ e di _papa
Leone_. Ma chi potesse vedere interi quegli atti, troverebbe essere le
prime formate dai notai nel ducato di Spoleti, e le seconde in Viterbo,
e in altri luoghi del ducato romano sottoposti al pontefice. E
perciocchè anche negli strumenti dello stesso ducato romano si mirano
segnati prima gli anni di Carlo imperadore, come appunto uno farfense
scritto in questo anno si vede segnato: _Regnante domno nostro piissimo
perpetuo, et a Deo coronato Karolo Magno imperatore, anno imperii ejus
primo, seu et domno nostro Leone summo pontifice, et universali papa
anno VI, mense junio, Indictione IX_; questo ancora concorre a farci
intendere chi fosse il sovrano di Roma in que' tempi. Praticavasi lo
stesso dai duchi di Spoleti; nè si può mettere in dubbio che la
sovranità su quel ducato non fosse allora annessa ai re d'Italia.
Riferiscono i padri Cointe[649] e Pagi[650] al presente anno la vittoria
riportata da papa Leone e da Carlo Magno presso la città d'Ansidonia
nella Toscana occupata dagl'infedeli, essendo loro miracolosamente
riuscito di sconfiggere que' Barbari, con distruggere poi quella città,
situata verso Orbitello. Prestò fede a questo racconto anche il padre
Beretti[651] nella corografia de' secoli bassi. L'Ughelli, con
pubblicare il diploma dato da esso papa ed imperadore, quegli fu che
dopo il Volterrano c'insegnò questa notizia. Ma è da stupire come uomini
dotti e sperti nella critica non abbiano conosciuto che quel documento
da capo a piedi è un'impostura, nè merita d'aver luogo nelle purgate
istorie. Però, anche senza addurre il non dirsi parola di questa
battaglia e vittoria e tanto più di vittoria miracolosa, dagli storici
contemporanei, narranti tante altre minuzie dei fatti di Carlo Magno,
basta leggere quel diploma per rigettarne subito il racconto. In questi
tempi, per attestato di Giovanni Diacono[652], era console, ossia duca
di Napoli, _Teofilatto_, marito di _Euprassia_, figliuola del precedente
duca e vescovo di Napoli _Stefano_.
NOTE:
[639] Eginhard., in Annal. Franc.
[640] Rer. Italic., Part. II, tom. I.
[641] Vit. Ludovici Pii, tom. 2 Rer. Franc.
[642] Ermold., lib. I Carm. P. II, tom. 2 Rer. Ital.
[643] Eginhard., in Annal.
[644] Erchempert., Hist. Princip. Langobard. P. I, tom. 2, Rer. Ital.
[645] Antiquit. Ital., Dissert. LXVII.
[646] Chron. Farfense, P. II, tom. 2, Rer. Ital.
[647] Antiquit. Ital., Dissert. 7 de Comit. Palat.
[648] Antiquit. Ital., Dissert. 70, de Cleri immunitate.
[649] Cointe, in Annal. Eccl.
[650] Pagius, Critic. Baron.
[651] Beretta, Chronogr., tom. 10 Rer. Ital.
[652] Johann. Diac., in Vita Episcopor. Neapol., Part. II, tom. 2 Rer.
Ital.
Anno di CRISTO DCCCII. Indiz. X.
LEONE III papa 8.
CARLO MAGNO imperad. 5.
PIPPINO re d'Italia 22.
Continuava l'_imperadrice Irene_ nel governo dell'imperio orientale, ma
con sentire il trono che le traballava sotto a' piedi. Più d'uno v'era
che aspirava all'imperio, e facea de' maneggi per questo, e
principalmente Aezio e Stauracio patrizii emuli lavoravano forte
sott'acqua per compiere questo disegno, ciascuno in proprio vantaggio.
Irene, per cattivarsi la benevolenza del popolo, gli avea rimesso nel
precedente anno alcuni tributi. Tuttavia, non fidandosi dell'instabilità
di esso popolo, e paventando le mine segrete de' concorrenti al soglio
imperiale, determinò di appoggiarsi a Carlo Magno, la cui riputazione e
possanza facea grande strepito anche in Oriente. Pertanto gli spedì per
suo ambasciatore _Leone spatario_[653], con ordine di stabilir pace fra
i Greci e Franchi, non ostante il disgusto provato per la dignità
imperiale a lui conferita. Ricevuta che fu l'ambasciata, e rispedito
l'ambasciatore, anche l'Augusto Carlo inviò a Costantinopoli i suoi
legati, cioè _Jesse vescovo d'Amiens_, ed _Elingaudo conte_, per
trattare con essa imperadrice. Teofane[654] scrive che v'andarono anche
gli apocrisarii di _papa Leone_. Dal medesimo storico e da Zonara[655]
viene spiegato il motivo di tale spedizione: cioè che Carlo Magno e il
papa erano dietro a fare un bellissimo colpo, consistente nello
strignere matrimonio fra esso imperador d'Occidente ed Irene imperadrice
d'Oriente, con che si sarebbono riuniti i due già divisi imperii. Se
questo glorioso disegno fosse vero, o pure una voce disseminata da chi
atterrò l'imperadrice, per renderla odiosa presso ai Greci; e se ella
stessa fosse la prima a farne proposizione a Carlo Magno, o pure ne
nascesse l'idea in mente del papa o di Carlo, al qual fine mandassero i
loro legati in Oriente, noi nol sappiamo dire. La verità si è, che
scoperto questo trattato, al quale scrivono che Irene aderiva, ma con
disapprovazione dei superbi Greci; o pure sparsane voce da chi
macchinava di salire sul trono; questo servì non poco per cagionare o
accelerar la rovina d'essa imperadrice. Si studiava Aezio patrizio di
promuover Leone suo fratello; ma fu più scaltro o fortunato _Niceforo_
patrizio e logoteta generale, che, tirati nel suo partito molti nobili e
una parte del popolo, si fece proclamare imperadore. Rinserrò nel
palazzo Irene, ed appresso con finte lusinghe e promesse tanto fece, che
le cavò di bocca il luogo dove erano i tesori; poscia per ricompensa la
mandò in esilio in un monistero di Lesbo, oggidì Metelino, dove
custodita dalle guardie, e riconoscendo dalla mano di Dio questo per un
gastigo de' suoi peccati, nell'anno seguente diede fine ai suoi giorni.
Presenti a questa tragedia, succeduta nel dì ultimo di ottobre, furono
gli ambasciatori di Carlo Magno, i quali poi seguitarono a trattenersi
in Costantinopoli, finchè videro quetati i rumori, e poterono ottenere
udienza dal novello imperadore, della cui avarizia, infedeltà, empietà e
tirannia parla assai francamente nella sua storia Teofane.
Continuava intanto la guerra fra il _re Pippino_ e _Grimoaldo duca di
Benevento_. Racconta Erchemperto[656] che fra questi due principi,
siccome giovani ed animosi amendue, passava una terribil gara, ed ognun
d'essi con gran vigore sosteneva il suo punto. Più volte Pippino spedì
ambasciatori all'altro, con fargli sapere, che siccome _Arigiso_ duca,
padre di lui, era stato suggetto al re Desiderio, nella stessa guisa
pretendea che Grimoaldo fosse suggetto a lui. Rispondeva Grimoaldo:
_Liber et ingenuus sum natus utroque parente;_
_Semper ero liber, credo, tuente Deo._
A tali risposte montava Pippino in collera, e con quante forze poteva,
di tanto in tanto passava a fargli guerra. Ma Grimoaldo non si perdeva
di coraggio. Nè a lui mancavano buone truppe e delle ben guernite
fortezze; e però si rideva di lui. Tuttavia abbiamo dagli Annali de'
Franchi, che in quest'anno riuscì al re Pippino di prendere la città
d'Ortona nell'Abruzzo[657]. Con lungo assedio ancora forzò la città di
_Lucera_ o _Nocera_ in Puglia a rendersi, e vi mise guarnigione
francese, con darne la guardia a _Guinigiso duca di Spoleti_. Grimoaldo,
che non dormiva, da che seppe che Pippino avea ricondotto a quartiere
l'esercito suo, venne colle sue brigate sotto la medesima città di
Lucera, e dopo averla stretta con assedio per alcun tempo, finalmente se
ne impadronì. Così cadde nelle mani di lui lo stesso duca Guinigiso, il
quale s'era infermato durante l'assedio, e fu da lui trattato con tutta
onorevolezza. Accadde in quest'anno una scandalosa iniquità, di cui
lasciarono memoria gli Annali de' Veneziani. Era stato eletto vescovo di
Olivola Castello (oggidì parte della città di Venezia) _Cristoforo_,
uomo greco, col favore di _Giovanni doge di Venezia_, e per
raccomandazione di _Niceforo imperadore_. Ma essendo in discordia i
tribuni di Venezia col doge, scrissero a _Giovanni patriarca di Grado_,
pregandolo di non volerlo consecrare. Non solo il patriarca gli negò la
consecrazione, ma lo scomunicò. A questo avviso andò sì mattamente nelle
furie il doge Giovanni, che preso seco _Maurizio doge_ suo figliuolo,
con una squadra di navi e di armati volò contro la terra di Grado; ed
entratovi senza resistenza, e trovato il patriarca fuggito sopra la
torre da quella il precipitò al basso. Il Sabellico[658] e Pietro
Giustiniano scrivono essere proceduta l'uccisione del patriarca,
perch'egli avea ripreso i dogi suddetti a cagione di molte loro
iniquità. Rapporta il cardinal Baronio[659] una lettera scritta da s.
_Paolino_ patriarca di Aquileia a Carlo Magno, in cui gli dà avviso
d'aver celebrato un concilio in Altino. E poscia soggiugne, _De
sacerdotibus autem plagis impositis, semique vivis relictis, vel certe
diabolico fervescente furore, per ejus satellites interemtis, non meum,
sed vestrae definitionis erit judicium, ec. Egrediatur, si placet, una
de hac re per universam regni vestri late diffusam monarchiam decretalis
sententiae ultio_, ec. Crede esso eminentissimo Annalista che s. Paolino
implorasse il braccio di Carlo Magno per punire il sacrilego misfatto
dei dogi di Venezia. Ma è da osservare che, secondo gli Annali di
Lambecio[660] e di Fulda[661] e di Ermanno Contratto[662], e per
confessione dello stesso Baronio, in quest'anno, e non già nell'804, fu
chiamato da Dio a miglior vita il santo patriarca Paolino. Ed essendo
seguita, per quanto s'ha dal calendario aquileiense, la di lui morte nel
dì 11 di gennaio, non si può tal notizia accordare coll'elezione del
vescovo d'Olivola, per quanto si dice, a raccomandazione di Niceforo
imperadore, che appena due mesi prima aveva occupato l'imperio
d'Oriente. Oltre di che, non essendo l'isola e il patriarca di Grado
sotto la giurisdizion di Carlo Magno, è da vedere come s. Paolino
ricorresse a lui pel gastigo de' malfattori. Ed egli parla di sacerdoti
feriti o uccisi, e non già di un vescovo e patriarca. Però non sono ben
chiare le circostanze di quell'orrido e indubitato fatto, che portò poi
seco un grave sconcerto nella repubblica veneziana. Per altro nella
morte di s. Paolino mancò all'Italia un singolare ornamento, perch'egli
non meno colla sua letteratura che per le sue insigni virtù faceva in
Italia quella gloriosa figura, che allora anche Alcuino suo amicissimo
faceva in Francia. Ed è ben da maravigliarsi come il cardinal Baronio
non inserisse nel Martirologio romano questo insigne personaggio, quando
ivi ha dato luogo ad altri in merito a lui molto inferiori. Più ancora è
da dolersi perchè in quei tempi, ne' quali la Francia, la Germania e
l'Inghilterra ebbero tanti scrittori delle vite di varii vescovi, abati
ed altri riguardevoli per le loro virtù, niuno in Italia prendesse a
scrivere quella del suddetto patriarca, e che sieno restate in oblio le
vite d'altri personaggi italiani, distinti per le loro bell'opere,
dovendosi credere che neppure all'Italia mancassero allora dei sacri
vescovi e degli altri ecclesiastici e secolari di rara pietà.
NOTE:
[653] Annales Franc. Bertiniani. Eginhard., in Annal. Franc.
[654] Teoph., in Chronogr.
[655] Zonar., in Annalib.
[656] Erchempertus, Hist. Lang., P. I, tom. 2. Rer. Ital.
[657] Annales, Franc. Metens. Eginhard., in Annal. Franc.
[658] Sabellicus, Ennead. VIII, lib. 9.
[659] Baron., in Annal. Eccl.
[660] Lambecius, in Annal. Franc.
[661] Annales Francor. Fuldenses.
[662] Hermann. Contractus, in Chron.
Anno di CRISTO DCCCIII. Indizione XI.
LEONE III papa 9.
CARLO MAGNO imperadore 4.
PIPPINO re d'Italia 23.
Spediti da _Niceforo imperadore dei Greci_ tornarono quest'anno in
Italia e in Francia gli ambasciatori di _Carlo Magno_, conducendo seco
quei di Niceforo[663], cioè _Michele vescovo, Pietro abate_ e Callisto
candidato. Si presentarono questi a Carlo, che dimorava allora nella
regal villa di Salz in Franconia, e con esso lui conchiusero un trattato
di pace; dopo di che per la via di Roma se ne tornarono a
Costantinopoli. Le condizioni di questa pace non le scrivono gli
storici; tuttavia si apporrà al vero chi crederà conchiuso fra loro un
accordo coll'_uti possidetis_. Con che venne Niceforo ad assicurarsi nel
dominio della Sicilia e delle città che già restavano nella Calabria, e
ne' suoi diritti sopra Napoli, Gaeta ed Amalfi; e all'incontro Roma col
ducato romano, e tutto il regno de' Longobardi, ossia d'Italia,
restarono sottoposti alla signoria di Carlo Magno con gli altri regni o
da lui acquistati, o già dipendenti dalla corona di Francia. Per conto
della città di Venezia, e dell'altre marittime della Dalmazia, è da
ascoltare Andrea Dandolo[664], che così scrive: _In hoc foedere_ (tra
Carlo Magno e Niceforo) _seu decreto nominatim firmatum est, quod
Venetiae urbes et maritimae civitates Dalmatiae, quae in devotione
imperii_ (cioè del greco) _illibatae perstiterant, ab imperio
occidentali nequaquam debeant molestari, invadi, nec minorari; et quod
Veneti possessionibus, libertatibus et immunitatibus quas soliti sunt
habere in italico regno, libere perfruantur_. In fatti è fuor di disputa
che la città di Venezia colle isole adiacenti restò esclusa dal regno
d'Italia, nè Carlo Magno nè Pippino suo figliuolo v'ebbero dominio.
Sappiamo inoltre da Eginardo[665] ch'esso Carlo Augusto abbracciò sotto
la sua signoria _Histriam quoque et Liburniam atque Dalmatiam, exceptis
maritimis civitatibus, quas ob amicitiam, et junctum cum eo foedus,
constantinopolitanum imperatorem habere permisit_. Era prigionere
_Guinigiso_ duca di Spoleti, siccome dicemmo. _Grimoaldo_ duca di
Benevento, che cercava tutte le vie di placare il re Pippino, rimise
quest'anno con tutto garbo in libertà esso Guinigiso; e di ciò fanno
memoria gli Annali de' Franchi. Intanto era stato eletto patriarca di
Grado _Fortunato_ da Trieste, parente dell'ucciso patriarca _Giovanni_.
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 3 - 01
- Annali d'Italia, vol. 3 - 02
- Annali d'Italia, vol. 3 - 03
- Annali d'Italia, vol. 3 - 04
- Annali d'Italia, vol. 3 - 05
- Annali d'Italia, vol. 3 - 06
- Annali d'Italia, vol. 3 - 07
- Annali d'Italia, vol. 3 - 08
- Annali d'Italia, vol. 3 - 09
- Annali d'Italia, vol. 3 - 10
- Annali d'Italia, vol. 3 - 11
- Annali d'Italia, vol. 3 - 12
- Annali d'Italia, vol. 3 - 13
- Annali d'Italia, vol. 3 - 14
- Annali d'Italia, vol. 3 - 15
- Annali d'Italia, vol. 3 - 16
- Annali d'Italia, vol. 3 - 17
- Annali d'Italia, vol. 3 - 18
- Annali d'Italia, vol. 3 - 19
- Annali d'Italia, vol. 3 - 20
- Annali d'Italia, vol. 3 - 21
- Annali d'Italia, vol. 3 - 22
- Annali d'Italia, vol. 3 - 23
- Annali d'Italia, vol. 3 - 24
- Annali d'Italia, vol. 3 - 25
- Annali d'Italia, vol. 3 - 26
- Annali d'Italia, vol. 3 - 27
- Annali d'Italia, vol. 3 - 28
- Annali d'Italia, vol. 3 - 29
- Annali d'Italia, vol. 3 - 30
- Annali d'Italia, vol. 3 - 31
- Annali d'Italia, vol. 3 - 32
- Annali d'Italia, vol. 3 - 33
- Annali d'Italia, vol. 3 - 34
- Annali d'Italia, vol. 3 - 35
- Annali d'Italia, vol. 3 - 36
- Annali d'Italia, vol. 3 - 37
- Annali d'Italia, vol. 3 - 38
- Annali d'Italia, vol. 3 - 39
- Annali d'Italia, vol. 3 - 40
- Annali d'Italia, vol. 3 - 41
- Annali d'Italia, vol. 3 - 42
- Annali d'Italia, vol. 3 - 43
- Annali d'Italia, vol. 3 - 44
- Annali d'Italia, vol. 3 - 45
- Annali d'Italia, vol. 3 - 46
- Annali d'Italia, vol. 3 - 47
- Annali d'Italia, vol. 3 - 48
- Annali d'Italia, vol. 3 - 49
- Annali d'Italia, vol. 3 - 50
- Annali d'Italia, vol. 3 - 51
- Annali d'Italia, vol. 3 - 52
- Annali d'Italia, vol. 3 - 53
- Annali d'Italia, vol. 3 - 54
- Annali d'Italia, vol. 3 - 55
- Annali d'Italia, vol. 3 - 56
- Annali d'Italia, vol. 3 - 57
- Annali d'Italia, vol. 3 - 58
- Annali d'Italia, vol. 3 - 59
- Annali d'Italia, vol. 3 - 60
- Annali d'Italia, vol. 3 - 61
- Annali d'Italia, vol. 3 - 62
- Annali d'Italia, vol. 3 - 63
- Annali d'Italia, vol. 3 - 64
- Annali d'Italia, vol. 3 - 65
- Annali d'Italia, vol. 3 - 66
- Annali d'Italia, vol. 3 - 67
- Annali d'Italia, vol. 3 - 68
- Annali d'Italia, vol. 3 - 69
- Annali d'Italia, vol. 3 - 70
- Annali d'Italia, vol. 3 - 71
- Annali d'Italia, vol. 3 - 72
- Annali d'Italia, vol. 3 - 73
- Annali d'Italia, vol. 3 - 74
- Annali d'Italia, vol. 3 - 75
- Annali d'Italia, vol. 3 - 76
- Annali d'Italia, vol. 3 - 77
- Annali d'Italia, vol. 3 - 78
- Annali d'Italia, vol. 3 - 79
- Annali d'Italia, vol. 3 - 80
- Annali d'Italia, vol. 3 - 81
- Annali d'Italia, vol. 3 - 82
- Annali d'Italia, vol. 3 - 83
- Annali d'Italia, vol. 3 - 84
- Annali d'Italia, vol. 3 - 85
- Annali d'Italia, vol. 3 - 86
- Annali d'Italia, vol. 3 - 87