Annali d'Italia, vol. 3 - 18
Astolfo in _Toscana_, e udendo egli la nuova della morte accaduta d'esso
re, immantinente raunato tutto l'esercito de' Toscani, si studiò
d'occupar la corona del regno longobardico. Questo parlar d'Anastasio ha
dato occasione al Sigonio e agli altri storici susseguenti di scrivere
che lo stesso Desiderio era in questi tempi _duca di Toscana_. Ma non è
ben certa cotale notizia. Non apparisce che allora vi fosse un duca, il
qual comandasse tutta la Toscana. Ogni città di quella provincia si vede
in essi tempi governata dal suo proprio duca; e specialmente ciò si
osserva in Lucca, città che più felicemente dell'altre ha conservate le
antiche sue carte che compongono oggidì un nobilissimo archivio,
custodito da quell'arcivescovo. Nè Francesco Maria Fiorentini, e neppure
io, che sotto gli occhi ho avuto le carte medesime, abbiam trovato
vestigio alcuno che Desiderio fosse duca di quella città, e molto meno
di tutta la Toscana. All'incontro, se vogliam credere ad Andrea
Dandolo[423], Desiderio era allora _dux Istriae_. In fatti, siccome
accennerò all'anno 771, l'Istria allora si truovava signoreggiata dai
Longobardi, e ne parla anche l'Anonimo salernitano. Comunque sia, certo
è che Desiderio incontrò di gravi difficoltà per salire sul trono.
Alzossi contra di lui _Rachis_, già re, e poi monaco in Monte Casino, il
quale invaghito di nuovo dell'abbandonato regno, e dimenticato de' suoi
voti, tentò ogni via per riassumere il comando, con ritornare a tal fine
in queste parti, dove anch'egli messa insieme un'armata di Longobardi,
si oppose ai disegni di Desiderio. Allora fu ch'esso Desiderio altro
rifugio non ebbe che di fare ricorso a papa Stefano, per ottenere col
mezzo suo la corona, promettendo di fare in tutto e per tutto la volontà
dello stesso pontefice e di render alla _repubblica_ le città non per
anche restituite, colla giunta d'altri doni. Resta ancora la
testimonianza d'esso papa Stefano in una lettera scritta al re Pippino,
che il re Astolfo contro i patti avea fino alla sua morte ritenuto in
suo potere alcune città: il che fa intendere non doversi prendere a
rigore ciò che di sopra abbiam veduto riferito dal medesimo Anastasio
intorno alla restituzione delle suddette città. Perciò il papa spedì
incontanente in Toscana _Fulrado_ abbate e Paolo diacono suo fratello,
che strinsero l'accordo con Desiderio. Ed appresso inviò Stefano prete
con lettere indirizzate a Rachis e a tutti i Longobardi, con pregarli di
non contrariare all'elezione di Desiderio, esibendo in aiuto del
medesimo alquante truppe franzesi, e più brigate di Romani, quando
occorresse.
Furono sì efficaci questi maneggi, che senza venire all'armi, Desiderio
pacificamente salì sul trono, e l'ambizioso monaco Rachis se ne tornò
confuso al suo monistero. Ma ciò dovette seguire solamente nell'anno
seguente. Avea promesso Desiderio di consegnare al papa Faenza col
castello Tiberiano, Gavello, e tutto il ducato di Ferrara; ma non già
Imola, Osimo, Ancona, Numana e Bologna, siccome vedremo. Che poi
l'opposizione di Rachis monaco pentito non fosse di poca conseguenza, lo
ricavo io da un riguardevol documento che si conserva nell'archivio
archiepiscopale di Pisa, ed è stato da me dato alla luce[424]. Consiste
esso in una donazione fatta da _Andrea_ vescovo pisano con queste note
cronologiche: _Guvernante domno Ratchis famulu Christi Jesu, principem
gentis Langobardorum, anno primo, mense februario, per Inditione
decima_. Indicano queste il mese di febbraio dell'anno 757 seguente, nel
qual tempo si scorge che Rachis sotto il falso nome di _famulus
Christi_, cioè di monaco, conservava l'antica ambizione, e contrastò a
Desiderio il regno. Questo documento ci rileva che Rachis riassunse il
governo con sollevar la Toscana contro d'esso Desiderio, giacchè si vede
notato in Pisa l'_anno primo_ del suo governo, corrente nel febbraio
dell'anno susseguente. Una bella e non mai più veduta scena in Italia
dovette esser quella di un monaco, il quale alla testa d'un esercito
dava a conoscere il suo prurito di comandar di nuovo ad un regno. Potè a
suo piacere Angelo dalla Noce[425] dargli il titolo _sanctissimi regis
et monachi_. Certo non fu santo per questo. Il tempo, in cui diede
Desiderio principio al suo regno, si potrebbe credere verso il fine del
presente anno. Nell'archivio archiepiscopale di Lucca v'ha una carta
scritta _nell'anno VI di Desiderio, e IV di Adelchis, a dì 8 di
dicembre_, correndo l'_indizione prima_, cioè nell'anno 762: note
indicanti che dopo il dì 8 di dicembre nell'anno presente 756 cominciò
l'epoca del re Desiderio. Un'altra carta è scritta _nell'anno XI di
Desiderio, IX di Adelchis, nel dì 19 di febbraio, indizione sesta_, cioè
nell'anno 768: dalle quali note si può inferire principiato il suo regno
nell'anno 757. Altre carte ho io veduto che sembrano indicare differita
la di lui elezione sino al principio d'esso anno 757. Perciò, finchè
altri meglio decida questo punto, mi attengo a tale opinione. A buon
conto s'è veduto che anche nel febbraio dell'anno seguente durava
tuttavia l'opposizione di Rachis alle pretensioni di Desiderio. E il
padre Astesati benedettino[426] dopo lungo esame concorre anch'egli
nell'anno 757. Secondochè abbiamo dal Dandolo[427], in questo medesimo
anno l'usurpatore del ducato di Venezia _Galla_ ebbe da quel popolo il
dovuto pagamento delle sue iniquità, con essergli stati cavati gli occhi
e tolta quella dignità. Succedette in suo luogo _Domenico Monegario_,
concordemente eletto doge, ma non senza qualche novità, perchè il popolo
volle anche avere sotto di lui due tribuni, che ogni anno s'aveano da
mutare. Per quanto poi risulta dalle memorie recate dal padre
Mabillone[428], mancò di vita in quest'anno _Guido conte_ longobardo,
figliuolo di _Adalberto conte_, marito di _Adelaide_ figliuola di
_Rodoaldo_ duca di Benevento, e parente del re Desiderio. Avendo egli
negli anni addietro ricuperata la sanità per le preghiere dei monaci di
Disertina ne' Grigioni nella diocesi di Coira, avea fatto a quel
monistero una donazion copiosa di beni.
NOTE:
[418] Eginhardus, in Annalib. Annales Metenses.
[419] Sigebertus, in Chron.
[420] Andreas Presbyter, Chron., tom. 1. Antiquit. Ital. Dissert. I.
[421] Anonym. Salernitan. P. II, tom. 2. Rer. Ital.
[422] Anastas., in Stephan. II Vit.
[423] Dandulus, in Chron., tom. 12, Rer. Italic.
[424] Antiquit. Ital. T. III. Appendic., p. 1007.
[425] Angelus a Nuce, in Not. ad lib. 1, cap. 8 Chron. Casinens.
[426] Astesati, Dissert. in Manelm.
[427] Dandul., in Chron. tom. 12 Rer. Ital.
[428] Mabill., in Annal. Benedict., lib. 23, n. 20.
Anno di CRISTO DCCLVII. Indizione X.
PAOLO I papa 1.
COSTANTINO Copronimo imperadore 38 e 17.
LEONE IV imperadore 7.
DESIDERIO re 1.
Fu di parere il padre Pagi che la lettera scritta da papa _Stefano II_
al re _Pippino_[429], il cui principio è: _Explere lingua_, fosse
scritta nell'anno precedente. Io la credo ne' primi mesi dell'anno
corrente, dicendo il papa che già era passato l'anno in cui era
succeduto l'assedio e la liberazion di Roma. Ora da questa lettera
apprendiamo che _Desiderio_ avea vestito il manto regale, e promesso di
rendere il rimanente delle città non per anche restituite a s. Pietro.
Da essa parimente intendiamo che la dieta generale del ducato di Spoleti
aveva eletto un nuovo duca, e questi era _Alboino_. Nel catalogo posto
innanzi alla Cronica di Farfa[430], da me data alla luce, si vede
registrato l'anno in cui seguì tale elezione, ed è l'anno presente 757.
Però concorre ancor questa notizia a indicar l'anno della lettera
suddetta di Stefano II papa, il quale fa inoltre sapere ad esso re, che
i popoli dei ducati di Spoleti e Benevento a lui si raccomandavano.
Esorta dipoi e prega il re Pippino, che, se Desiderio eseguirà i patti
con restituir pienamente a _san Pietro_ e _alla repubblica de' Romani_
ciò che avea promesso, voglia esso Pippino aver pace con lui, e
concedergli quanto bramava. Fa eziandio istanza che Pippino spedisca a
Desiderio i suoi messi, per comandargli la restituzione intera di quei
che restava a rendersi, cioè le città di sopra accennate. E qui si vuol
ricordare aver Leone Ostiense[431] lasciato scritto, che la donazione
fatta da Pippino e da' suoi figliuoli consisteva ne' seguenti paesi: _A
Lunis cum insula Corsica Inde in Surianum Inde in Montem Bardonem. Inde
in Bercetum. Inde in Parmam. Inde in Regium. Inde in Mantuam, et Montem
Sicilis. Simulque universum exarchatum Ravennae, sicut antiquitus fuit,
cum provinciis Venetiarum et Histriae; necnon et cunctum ducatum
spoletinum, seu beneventanum_. Trasse Leone Marsicano tali notizie da
Anastasio nella vita di papa Adriano. Ma non apparisce punto che fossero
donate dal re Pippino alla Chiesa romana le province della Venezia e
dell'Istria, nè i ducati di Spoleti e di Benevento, che noi seguiteremo
a vedere porzioni del regno d'Italia. Bologna fu all'occidente il
confine dell'esarcato conceduto alla santa Sede, senza mai stendersi il
dominio dei papi alla città di Luni, nè a Parma, Reggio, Mantova, ec.
Però non possono venir quelle parole da autore assai informato di questi
affari. Ricavasi dalla medesima lettera di papa Stefano II che tuttavia
un _silenziario_, cioè un segretario dell'imperadore, si trovava alla
corte del re Pippino, bramando il papa di sapere che negoziati fossero
passati con lui, e con quali lettere egli fosse stato licenziato dal re.
In fatti abbiamo dagli Annali de' Franchi, che in questi tempi andavano
innanzi e indietro ambasciatori dell'imperadore e di Pippino, e che il
primo mandò a donare al re un organo, che in que' tempi era mirabil cosa
presso i Franzesi. Ma _Stefano II_ papa sopravvisse poco alla lettera
suddetta, essendo mancato di vita nel dì 24 d'aprile dell'anno corrente:
pontefice assai benemerito di Roma e della santa Sede, spezialmente nel
temporale. L'elezione del suo successore non seguì senza qualche
discordia del clero e del popolo. Una parte concorse coi suoi voti in
_Teofilatto_ arcidiacono, un'altra in _Paolo_ diacono, fratello del
defunto papa Stefano, personaggio specialmente eminente nella carità
verso i poveri, e sommamente mansueto e benigno. Dopo trentacinque
giorni di sede vacante questi prevalse, e fu consecrato papa nel dì 29
di maggio. Non tardò egli a significare a _Pippino re di Francia e
patrizio de Romani_ l'assunzione sua al pontificato in una lettera che
si legge nel Codice Carolino, assicurandolo d'essere non men egli che
tutto il popolo romano saldissimi nella fede, amore, concordia di
carità, e lega di pace che il suo predecessore e fratello avea stabilito
con lui. Era già stato circa l'anno 752 ordinato arcivescovo di Ravenna
Sergio; e quantunque il testo delle sua vita scritta da Agnello
ravennate[432] sia scorretto, pure ci fa abbastanza intendere che
essendo nell'anno appresso in viaggio verso la Francia _Stefano II_
papa, non andò ad incontrarlo quell'arcivescovo, probabilmente per tema
del re _Astolfo_, padrone allora di Ravenna. Se l'ebbe a male il papa,
gli tolse il monistero di sant'Ilario della Galliata, e tornato a Roma,
cominciò a dargli delle molestie. Sergio confidato nella protezione del
re de' Longobardi si andò riparando; ma venuta alle mani del papa
Ravenna, egli fu con frode di que' cittadini condotto a Roma e posto in
prigione, dove stette circa tre anni. Finalmente papa Stefano era in
procinto di deporlo, adducendo per suo reato l'esser egli salito in
quella cattedra, quantunque avesse moglie. Ma Sergio rispondeva d'essere
stato eletto da tutto il clero e popolo di Ravenna, e che andato a Roma
ed interrogato dal medesimo papa, non avea taciuto d'essere ammogliato,
ma che era seguito divorzio colla moglie _Eufemia_, ed essa era entrata
dipoi nell'ordine delle diaconesse. Ciò non ostante, il papa gli avea
data la consecrazione. Sopra ciò diversi erano i sentimenti de' vescovi
raunati in un concilio; ma il papa in collera rispose che nel dì
seguente colle sue mani gli volea strappare la stola, ossia il pallio,
dal collo. Passò Sergio quella notte in lagrime e preghiere; ma nella
medesima appunto, essendo morto papa Stefano, fu a trovarlo segretamente
Paolo di lui fratello, che gli dimandò cosa voleva egli dargli se il
rimandava onorato e in pace a casa. Sergio spalancò la porta alle
promesse. Creato poi papa Paolo, il mise in libertà, e rimandollo con
onore alla sua chiesa. Non è Agnello assai esatto scrittore nelle cose
lontane da' suoi tempi, e si scuopre poi sospetto in tutto ciò che
riguarda i papi; però possiam giustamente dubitare della verità di
questo fatto. Certo s'inganna Girolamo Rossi, seguitato poi dal Baronio,
che lo rapporta ai tempi di Stefano III papa; scusabile nondimeno,
perchè ai suoi dì non si trovava più in Ravenna il Pontificale d'esso
Agnello, del cui rinascimento alla luce siam debitori alla biblioteca
estense. Nell'epistola vigesima settima del Codice Carolino, il
pontefice Paolo in iscrivendo al re Pippino, si mostra disposto di
restituire alla sua Chiesa l'arcivescovo _Sergio_: il che ci fa
intendere che non sì tosto dopo l'assunzione d'esso Paolo alla cattedra
pontificia fu rimesso il medesimo Sergio in libertà, ma da lì ad un
anno, o due, per cui forse ancora lo stesso re Pippino avea presa
qualche favorevole ingerenza.
NOTE:
[429] Codex Carolinus, Epistol. 6.
[430] Chron. Farfense, P. II. T. II Rer. Ital.
[431] Leo Ostiensis, Chron. Casinens. l. 1, c. 8.
[432] Agnell., Vit. Episcopor. Ravennat. P. I. Tom. II Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCCLVIII. Indizione XI.
PAOLO I papa 2.
COSTANTINO Copronimo imperatore 39 e 18.
LEONE IV imperadore 8.
DESIDERIO re 2.
Dimenticò ben presto il re _Desiderio_ i benefizii ricevuti da papa
_Stefano II_, e le promesse da lui fatte di restituire interamente alla
Chiesa romana quanto era stato occupato da' suoi predecessori al greco
Augusto. Perciò papa _Paolo_ per questi affari fervorosamente scrisse al
re _Pippino_ nella lettera decimaquinta del Codice Carolino che
comincia: _Quotiens perspicua_. Questa lettera dal padre Pagi fu creduta
spettante all'anno precedente: io la stimo inviata nel presente. Da essa
impariamo alcune particolarità di molta importanza. Cioè, che mentre fu
l'ultimo assedio di Pavia, oppure nell'interregno dopo la morte del re
Astolfo, i duchi di Spoleti e di Benevento _se sub vestra a Deo servata
potestate contulerunt_: il che in buon linguaggio vuol dire che s'erano
ribellati al re, ossia regno longobardico, e messi sotto la protezione,
anzi sotto la sovranità del re di Francia, comparendo anche da ciò
l'insussistenza della donazione di que' ducati alla Chiesa romana, che
nel secolo XI fu immaginata, oppure interpolata. Ora il re Desiderio
altamente sdegnato contra di quei duchi, nell'anno presente si mosse
coll'esercito per castigarli. Abbiamo dalla lettera suddetta ch'egli
passò per le città della Pentapoli, cioè per Rimini, Fano, Pesaro, ec,
consumando col ferro e col fuoco i raccolti e le sostanze di quegli
abitanti. Altrettanto fece appresso ne' ducati di Spoleti e di Benevento
_ad magnum spretum regni vestri_, perchè que' duchi si erano dati al re
Pippino. Mise Desiderio in prigione _Alboino_ duca di Spoleti e molti di
que' baroni. E di là passato nel ducato di Benevento, tal terrore vi
portò, che _Liutprando_ duca di quel vasto paese si rifugiò nella città
d'Otranto. Non avendolo potuto far uscire di là, il re Desiderio creò un
altro duca di Benevento, cioè _Arichis_, ossia _Arigiso_, secondo di
questo nome. Osservò Camillo Pellegrini[433] che il governo del suddetto
duca Liutprando in Benevento si truova continuato fino al febbraio del
presente anno: il che ci fa conoscere doversi riferire a questo medesimo
anno, e non già all'antecedente, la lettera di papa Paolo I
soprammentovata. Aggiunge dipoi esso pontefice che il re Desiderio avea
chiamato a sè da Napoli _Giorgio_ silenziario, ossia segretario, quel
medesimo ministro imperiale che poco prima era tornato di Francia, e
trattato con lui per indurre l'imperadore ad inviare un potente esercito
in Italia, con promessa di seco unir le sue armi per fargli ricuperare
la città di Ravenna. Che inoltre era convenuto fra loro che la flotta
delle navi di Sicilia venisse all'assedio di Otranto, colla quale di
concerto coi Longobardi si potesse obbligar quella città alla resa, con
patto di cederla all'imperadore, purchè Desiderio avesse in mano il duca
Liutprando col suo balio. Dopo tali imprese e maneggi, seguita a dire il
papa, che essendo venuto il re Desiderio a Roma, in un abboccamento
avuto con lui l'avea scongiurato di restituire le città d'Imola,
Bologna, Osimo ed Ancona a san Pietro, secondo le promesse
antecedentemente da lui fatte. Ma che egli tergiversando avea fatta
istanza di riaver prima gli ostaggi longobardi che erano in Francia;
dopo di che avrebbe adempiuto quanto avea promesso. Perciò il papa si
raccomanda a Pippino, acciocchè con braccio forte insista appresso il re
longobardo per fargli mantener la parola, con avvisarlo ancora d'avergli
trasmessa altra lettera di tenor differente a petizione del re
Desiderio, dove il pregava di rendere gli ostaggi e di aver pace con
lui; ma che si guardasse però dal renderli, finchè non fosse seguita la
total restituzione delle città suddette. Questa lettera è la vigesima
nona del Codice Carolino. Quindi apparisce qual fosse il disparere tra
il papa e il re Desiderio, cadaun di loro pretendendo di aver la
preminenza nell'esecuzione de' patti.
Probabilmente ancora in quest'anno il pontefice Paolo scrisse al re
Pippino la lettera vigesima quarta, che comincia _A Deo institutae_, in
cui l'avvisa d'avere inteso da più parti che sei patrizii imperiali con
trecento legni e con lo stuolo delle navi di Sicilia venivano da
Costantinopoli verso Roma, senza che si sapesse il loro disegno, se non
che voce correva che fossero incamminati verso la Francia. Motivo abbiam
di maravigliarci come il papa, trattandosi di venire a Roma una sì
potente flotta, non ne mostri apprensione alcuna, quando tanta ne mostra
altrove per le minacce dei Greci contro di Ravenna. S'egli al dispetto
dell'imperadore, come suppongono alcuni, signoreggiava in Roma, perchè
non temere di quella visita? Seguita a dire il pontefice di aver
trattato col re Desiderio per ottenere _le giustizie dei Romani_ da
tutte le città de' Longobardi, cioè i patrimonii ed allodiali spettanti
in esse alla Chiesa Romana e ai particolari; ma esigere da Desiderio che
nello stesso tempo dalla parte de' Romani fosse fatta giustizia ai
Longobardi; e che mentre una città longobarda restituisse l'occupato,
anche un'altra dei Romani scambievolmente soddisfacesse al suo dovere.
Incagliato per questi puntigli l'affare, Desiderio avea fatto delle
scorrerie nelle terre dei Romani, ed inviato al papa delle gravi
minacce. In quest'anno, prima che terminasse il secondo del suo regno,
tengono alcuni che il re Desiderio dichiarasse suo collega nel regno e
re il suo figliuolo _Adelchis_, ossia _Adelgiso_. I miei sospetti sono
che all'anno seguente piuttosto appartenga tal promozione. Buona parte
dei documenti che restano di quei regnanti ci fan conoscere che l'epoca
del padre precede di due anni quella del figliuolo, e in altre carte di
tre. Nell'archivio dell'arcivescovo di Lucca è scritto uno strumento con
queste note: _Anno Domni Desiderii primo, kal. januaria, Indictione
undecima_, cioè nell'anno presente 758: il che può indicare che
nell'anno precedente 757 avesse principio l'anno primo dell'epoca di
Desiderio, durante tuttavia nel dì primo di gennaio di quest'anno. Quivi
pure se ne conserva un altro colle note: _Regnante D. N. Desiderio, et
Adelchis regibus, anno regni eorum undecimo et nono, undecimus dies
kalendas martii_s. In un'altra carta si legge: _Regnante D. N. Desiderio
rege, et filio ejus D. N. Adelchis anno regni eorum quartodecimo, et
duodecimo, quarto kal. octobris, Indict. IX_, cioè nel 770. In un'altra
abbiamo stipulato uno strumento nell'_anno X di Desiderio re, e VII del
re Adelchis, nel dì primo di luglio_, correndo _l'Indizione quarta_,
cioè nell'anno 766. Un altro fu scritto nell'_anno VIII di Desiderio, e
V di Adelchis, nel mese di maggio nell'Indizione II_, cioè nell'anno
764. Un altro nell'_anno IX del re Desiderio, e VI di Adelchis, nel mese
di maggio, Indizione III_, cioè nell'anno 765. Così nell'archivio di san
Zenone di Verona si vede una carta scritta _regnante domno nostro
Desiderio, et filio ejus Adelchis, etc. annis duodecimo, et nono, die
vincesima martii, per Indictione sexta_, cioè nell'anno 768. E
nell'archivio del monistero di sant'Ambrosio di Milano un'altra ne ho
veduta scritta _anno domno Desiderio et Adelchis, quintodecimo et
duodecimo sub die octaubo kalendarum augustarum, Indictione nona_, cioè
nell'anno 771. Similmente un'altra scritta _Desiderio et Adelchis
regibus anno nono et septimo, sub die tertiodecimo kalend. septembris,
Indictione tertia_, cioè nell'anno 765. Perchè non mi sembrano coerenti
tutte queste note cronologiche, lascierò che altri, unendo altre
notizie, ne deduca il principio delle epoche di questi due regnanti.
NOTE:
[433] Camill. Peregrin., Rer. Ital., P. I, tom. 2.
Anno di CRISTO DCCLIX. Indizione XII.
PAOLO I papa 3.
COSTANTINO Copronimo imperadore 40 e 19.
LEONE IV imperadore 8.
DESIDERIO re 3.
ADELGISO re 1.
Senza alcun ordine e senza data si veggono registrate nel Codice
Carolino le lettere inviate in questi tempi dai romani pontefici ai re
di Francia; e però solamente a tentone si può fissar l'anno, in cui
furono scritte. Porto io opinione che al presente si debba riferire la
quattordicesima, che comincia _Quas praeclara_. Scrive in essa papa
_Paolo_ al re _Pippino_ d'aver inteso come il re _Desiderio_ avea voluto
fargli credere di non avere recato alcun danno agli stati della Chiesa;
ma che non gli presti fede, essendo verissimi i saccheggi e danni
inferiti dai Longobardi, e le minacce fatte dal re loro, siccome _hoc
praeterito_ anno con sue lettere aveva esso papa significato a Pippino.
Si riduce nondimeno a dire che l'ostilità de' Longobardi era seguita _in
civitate nostra senogalliensi_, e in Campagna di Roma, _Castro nostro,
quod vocatur Valentis_. Aggiunge, che essendo poi venuti i messi di
Pippino, ed avendo riconosciuta la verità del fatto, avevano obbligato i
Longobardi a rifare il danno. Medesimamente sembra a me credibile che
sia scritta nell'anno presente da papa Paolo al re Pippino la lettera
diciassettesima del Codice Carolino, in cui gli notifica, che, essendosi
abboccati in presenza sua i messi longobardi coi messi spediti da esso
Pippino e coi deputati delle città della Pentapoli, s'era chiarito il
conto di alcune giustizie, cioè de' bestiami tolti dall'una parte e
dall'altra, e che n'era seguita la restituzione. Ma, per conto dei
confini delle città romane e de' beni patrimoniali di san Pietro
occupati dagli stessi Longobardi, nulla fin allora era stato restituito;
anzi ne aveano occupato degli altri. Però si era conchiuso, che i messi
di Pippino coi deputati delle città si portassero a Pavia, per chiarire
davanti al re Desiderio i diritti delle parti. Replica susseguentemente
il papa le sue istanze che Pippino voglia operare in maniera da fargli
ottenere interamente le _giustizie_, affinchè il beato Pietro principe
degli Apostoli, per la restituzione della cui luminaria s'era impegnato
esso Pippino, gliene dia una somma ricompensa. Quel che è strano,
confessa il medesimo papa, in iscrivendo la lettera trentesimaquarta del
Codice Carolino al suddetto re, che i Greci non per altro odiavano e
perseguitavano il papa e la Chiesa romana, se non per cagione delle
sacre immagini, da loro abborrite e difese da Roma. _Non ob aliud (sono
le sue parole) ipsi nefandissimi nos persequntur Graeci, nisi propter
sanctam et orthodoxam fidem, et venerandorum patrum piam traditionem,
quam cupiunt destruere atque conculcare._ Qui son chiamati
_nefandissimi_ i Greci per consolazione de' Longobardi, che si veggono
anch'essi onorati col medesimo titolo, qualora prendevano l'armi contra
dei Romani. Intanto, quando si voglia ammettere che oltre all'acquisto
dell'esarcato, Stefano II papa, fratello e predecessore di papa Paolo,
cominciasse ad esercitare un pieno dominio in Roma con escluderne
affatto l'imperadore, non si sa intendere come esso Augusto per questa
da lui creduta usurpazione non fosse forte in collera contra de' Romani
pontefici. E pur dalle parole suddette non apparisce che Costantino
facesse doglianza di ciò, con lasciar conseguentemente dubbio se allora
il governo e dominio di Roma fosse quale ora viene supposto. Ammettendo
poi questo dominio, è ben da maravigliarsi, come il papa rifonda lo
sdegno dell'imperadore nella sola discrepanza del culto delle immagini
sacre, quando v'era ancora l'essersi ritirati i Romani dalla ubbidienza
di lui. Sotto quest'anno riferisce Girolamo Rossi[434] una bolla di papa
Paolo, in cui narra che fu conceduto dal suo predecessore papa Stefano
ad _Anscauso_ vescovo di Forlimpopoli il monistero di sant'Ilario della
Galliata, ossia Calligata, situato nella diocesi di quel vescovo
nell'Apennino, di cui vien fatta menzione anche nella lettera
settantesimaquarta del Codice Carolino, scritta da papa Adriano I. Ora
essendo poi venuto a morte esso vescovo, il pontefice Paolo restituisce
alla Chiesa di Ravenna quel monistero, perchè conosciuto essere di
ragione della medesima. La bolla è data _nonis februarii imp. domno_
(forse D. N. cioè _domino_ o _domno nostro) piissimo Augusto Costantino,
a Deo coronato, magno imper. anno XL. et pacis ejus_ (ivi sarà scritto
_P. C. ejus_, cioè _post consulatum ejus) anno XX. Sed et Leone majore
imp. ejus filio anno VII. Indictione XII._ Se niuno errore fosse scorso
negli anni di _Leone Augusto_ figliuolo del Copronimo, avremmo qui da
correggere il conto del padre Pagi, che di uno o due anni anticipò la di
lui assunzione al trono. Ma forse in quella bolla sarà stato _anno
VIII_, oppure _VIIII_. Pretende ancora esso Pagi, che invece dell'_anno
XL_ di Costantino s'abbia a scrivere _XXXIX_. Ma quando si ammetta per
legittimo quel documento, non si saprebbe intendere come il copista
avesse posto un sì diverso numero per un altro. E notisi che tuttavia in
Roma si segnavano i pubblici documenti col nome dell'imperadore: il che
serve di qualche fondamento per dubitare se ivi fosse estinta la di lui
autorità e signoria. Quindi ancora veniamo ad intendere che _Sergio_
arcivescovo di Ravenna era ritornato alla sua Chiesa, e godeva della
grazia del romano pontefice.
NOTE:
[434] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 5.
Anno di CRISTO DCCLX. Indizione XIII.
PAOLO I papa 4.
COSTANTINO Copronimo imperadore 41 e 20.
LEONE IV imperadore 10.
DESIDERIO re 4.
ADELGISO re 2.
Fu scritta in quest'anno la lettera vigesima prima del Codice Carolino
da papa _Paolo_ al re _Pippino_. In essa gli significa, essere convenuto
fra _Desiderio_ re de' Longobardi, e _Remedio_ ed _Autario_ duca,
inviati d'esso re Pippino, che _per totum instantem aprilem mensis
istius XIII, Indictione_ dell'anno presente, il suddetto renderebbe a s.
Pietro _tutte le giustizie_, cioè i patrimonii, i diritti, i luoghi,
confini e territorii _diversarum civitatum nostrarum reipublicae
Romanorum_. Aggiugne, che una parte già n'era restituita, e che il re
longobardo faceva in breve sperare il restante. In questo medesimo anno
vo io conghietturando che sia scritto la lettera vigesima sesta del
Codice Carolino, riferita all'anno 757 dal Cointe e dal padre Pagi.
Quivi papa Paolo fa sapere al re Pippino che il re Desiderio
nell'autunno precedente per sua divozione era venuto a Roma, e che
parlando seco, restò conchiuso d'inviare i messi del medesimo re con
quei del re Pippino per diverse città affin di liquidare le _giustizie_
della Chiesa romana, mostrandosi egli pronto alla restituzione di tutto.
Soggiugne che in fatti questa si era effettuata nei ducato di Benevento
e nella Toscana, e che si era dietro a fare lo stesso nel ducato di
Spoleti e negli altri luoghi dove occorreva: il che fa sempre più
re, immantinente raunato tutto l'esercito de' Toscani, si studiò
d'occupar la corona del regno longobardico. Questo parlar d'Anastasio ha
dato occasione al Sigonio e agli altri storici susseguenti di scrivere
che lo stesso Desiderio era in questi tempi _duca di Toscana_. Ma non è
ben certa cotale notizia. Non apparisce che allora vi fosse un duca, il
qual comandasse tutta la Toscana. Ogni città di quella provincia si vede
in essi tempi governata dal suo proprio duca; e specialmente ciò si
osserva in Lucca, città che più felicemente dell'altre ha conservate le
antiche sue carte che compongono oggidì un nobilissimo archivio,
custodito da quell'arcivescovo. Nè Francesco Maria Fiorentini, e neppure
io, che sotto gli occhi ho avuto le carte medesime, abbiam trovato
vestigio alcuno che Desiderio fosse duca di quella città, e molto meno
di tutta la Toscana. All'incontro, se vogliam credere ad Andrea
Dandolo[423], Desiderio era allora _dux Istriae_. In fatti, siccome
accennerò all'anno 771, l'Istria allora si truovava signoreggiata dai
Longobardi, e ne parla anche l'Anonimo salernitano. Comunque sia, certo
è che Desiderio incontrò di gravi difficoltà per salire sul trono.
Alzossi contra di lui _Rachis_, già re, e poi monaco in Monte Casino, il
quale invaghito di nuovo dell'abbandonato regno, e dimenticato de' suoi
voti, tentò ogni via per riassumere il comando, con ritornare a tal fine
in queste parti, dove anch'egli messa insieme un'armata di Longobardi,
si oppose ai disegni di Desiderio. Allora fu ch'esso Desiderio altro
rifugio non ebbe che di fare ricorso a papa Stefano, per ottenere col
mezzo suo la corona, promettendo di fare in tutto e per tutto la volontà
dello stesso pontefice e di render alla _repubblica_ le città non per
anche restituite, colla giunta d'altri doni. Resta ancora la
testimonianza d'esso papa Stefano in una lettera scritta al re Pippino,
che il re Astolfo contro i patti avea fino alla sua morte ritenuto in
suo potere alcune città: il che fa intendere non doversi prendere a
rigore ciò che di sopra abbiam veduto riferito dal medesimo Anastasio
intorno alla restituzione delle suddette città. Perciò il papa spedì
incontanente in Toscana _Fulrado_ abbate e Paolo diacono suo fratello,
che strinsero l'accordo con Desiderio. Ed appresso inviò Stefano prete
con lettere indirizzate a Rachis e a tutti i Longobardi, con pregarli di
non contrariare all'elezione di Desiderio, esibendo in aiuto del
medesimo alquante truppe franzesi, e più brigate di Romani, quando
occorresse.
Furono sì efficaci questi maneggi, che senza venire all'armi, Desiderio
pacificamente salì sul trono, e l'ambizioso monaco Rachis se ne tornò
confuso al suo monistero. Ma ciò dovette seguire solamente nell'anno
seguente. Avea promesso Desiderio di consegnare al papa Faenza col
castello Tiberiano, Gavello, e tutto il ducato di Ferrara; ma non già
Imola, Osimo, Ancona, Numana e Bologna, siccome vedremo. Che poi
l'opposizione di Rachis monaco pentito non fosse di poca conseguenza, lo
ricavo io da un riguardevol documento che si conserva nell'archivio
archiepiscopale di Pisa, ed è stato da me dato alla luce[424]. Consiste
esso in una donazione fatta da _Andrea_ vescovo pisano con queste note
cronologiche: _Guvernante domno Ratchis famulu Christi Jesu, principem
gentis Langobardorum, anno primo, mense februario, per Inditione
decima_. Indicano queste il mese di febbraio dell'anno 757 seguente, nel
qual tempo si scorge che Rachis sotto il falso nome di _famulus
Christi_, cioè di monaco, conservava l'antica ambizione, e contrastò a
Desiderio il regno. Questo documento ci rileva che Rachis riassunse il
governo con sollevar la Toscana contro d'esso Desiderio, giacchè si vede
notato in Pisa l'_anno primo_ del suo governo, corrente nel febbraio
dell'anno susseguente. Una bella e non mai più veduta scena in Italia
dovette esser quella di un monaco, il quale alla testa d'un esercito
dava a conoscere il suo prurito di comandar di nuovo ad un regno. Potè a
suo piacere Angelo dalla Noce[425] dargli il titolo _sanctissimi regis
et monachi_. Certo non fu santo per questo. Il tempo, in cui diede
Desiderio principio al suo regno, si potrebbe credere verso il fine del
presente anno. Nell'archivio archiepiscopale di Lucca v'ha una carta
scritta _nell'anno VI di Desiderio, e IV di Adelchis, a dì 8 di
dicembre_, correndo l'_indizione prima_, cioè nell'anno 762: note
indicanti che dopo il dì 8 di dicembre nell'anno presente 756 cominciò
l'epoca del re Desiderio. Un'altra carta è scritta _nell'anno XI di
Desiderio, IX di Adelchis, nel dì 19 di febbraio, indizione sesta_, cioè
nell'anno 768: dalle quali note si può inferire principiato il suo regno
nell'anno 757. Altre carte ho io veduto che sembrano indicare differita
la di lui elezione sino al principio d'esso anno 757. Perciò, finchè
altri meglio decida questo punto, mi attengo a tale opinione. A buon
conto s'è veduto che anche nel febbraio dell'anno seguente durava
tuttavia l'opposizione di Rachis alle pretensioni di Desiderio. E il
padre Astesati benedettino[426] dopo lungo esame concorre anch'egli
nell'anno 757. Secondochè abbiamo dal Dandolo[427], in questo medesimo
anno l'usurpatore del ducato di Venezia _Galla_ ebbe da quel popolo il
dovuto pagamento delle sue iniquità, con essergli stati cavati gli occhi
e tolta quella dignità. Succedette in suo luogo _Domenico Monegario_,
concordemente eletto doge, ma non senza qualche novità, perchè il popolo
volle anche avere sotto di lui due tribuni, che ogni anno s'aveano da
mutare. Per quanto poi risulta dalle memorie recate dal padre
Mabillone[428], mancò di vita in quest'anno _Guido conte_ longobardo,
figliuolo di _Adalberto conte_, marito di _Adelaide_ figliuola di
_Rodoaldo_ duca di Benevento, e parente del re Desiderio. Avendo egli
negli anni addietro ricuperata la sanità per le preghiere dei monaci di
Disertina ne' Grigioni nella diocesi di Coira, avea fatto a quel
monistero una donazion copiosa di beni.
NOTE:
[418] Eginhardus, in Annalib. Annales Metenses.
[419] Sigebertus, in Chron.
[420] Andreas Presbyter, Chron., tom. 1. Antiquit. Ital. Dissert. I.
[421] Anonym. Salernitan. P. II, tom. 2. Rer. Ital.
[422] Anastas., in Stephan. II Vit.
[423] Dandulus, in Chron., tom. 12, Rer. Italic.
[424] Antiquit. Ital. T. III. Appendic., p. 1007.
[425] Angelus a Nuce, in Not. ad lib. 1, cap. 8 Chron. Casinens.
[426] Astesati, Dissert. in Manelm.
[427] Dandul., in Chron. tom. 12 Rer. Ital.
[428] Mabill., in Annal. Benedict., lib. 23, n. 20.
Anno di CRISTO DCCLVII. Indizione X.
PAOLO I papa 1.
COSTANTINO Copronimo imperadore 38 e 17.
LEONE IV imperadore 7.
DESIDERIO re 1.
Fu di parere il padre Pagi che la lettera scritta da papa _Stefano II_
al re _Pippino_[429], il cui principio è: _Explere lingua_, fosse
scritta nell'anno precedente. Io la credo ne' primi mesi dell'anno
corrente, dicendo il papa che già era passato l'anno in cui era
succeduto l'assedio e la liberazion di Roma. Ora da questa lettera
apprendiamo che _Desiderio_ avea vestito il manto regale, e promesso di
rendere il rimanente delle città non per anche restituite a s. Pietro.
Da essa parimente intendiamo che la dieta generale del ducato di Spoleti
aveva eletto un nuovo duca, e questi era _Alboino_. Nel catalogo posto
innanzi alla Cronica di Farfa[430], da me data alla luce, si vede
registrato l'anno in cui seguì tale elezione, ed è l'anno presente 757.
Però concorre ancor questa notizia a indicar l'anno della lettera
suddetta di Stefano II papa, il quale fa inoltre sapere ad esso re, che
i popoli dei ducati di Spoleti e Benevento a lui si raccomandavano.
Esorta dipoi e prega il re Pippino, che, se Desiderio eseguirà i patti
con restituir pienamente a _san Pietro_ e _alla repubblica de' Romani_
ciò che avea promesso, voglia esso Pippino aver pace con lui, e
concedergli quanto bramava. Fa eziandio istanza che Pippino spedisca a
Desiderio i suoi messi, per comandargli la restituzione intera di quei
che restava a rendersi, cioè le città di sopra accennate. E qui si vuol
ricordare aver Leone Ostiense[431] lasciato scritto, che la donazione
fatta da Pippino e da' suoi figliuoli consisteva ne' seguenti paesi: _A
Lunis cum insula Corsica Inde in Surianum Inde in Montem Bardonem. Inde
in Bercetum. Inde in Parmam. Inde in Regium. Inde in Mantuam, et Montem
Sicilis. Simulque universum exarchatum Ravennae, sicut antiquitus fuit,
cum provinciis Venetiarum et Histriae; necnon et cunctum ducatum
spoletinum, seu beneventanum_. Trasse Leone Marsicano tali notizie da
Anastasio nella vita di papa Adriano. Ma non apparisce punto che fossero
donate dal re Pippino alla Chiesa romana le province della Venezia e
dell'Istria, nè i ducati di Spoleti e di Benevento, che noi seguiteremo
a vedere porzioni del regno d'Italia. Bologna fu all'occidente il
confine dell'esarcato conceduto alla santa Sede, senza mai stendersi il
dominio dei papi alla città di Luni, nè a Parma, Reggio, Mantova, ec.
Però non possono venir quelle parole da autore assai informato di questi
affari. Ricavasi dalla medesima lettera di papa Stefano II che tuttavia
un _silenziario_, cioè un segretario dell'imperadore, si trovava alla
corte del re Pippino, bramando il papa di sapere che negoziati fossero
passati con lui, e con quali lettere egli fosse stato licenziato dal re.
In fatti abbiamo dagli Annali de' Franchi, che in questi tempi andavano
innanzi e indietro ambasciatori dell'imperadore e di Pippino, e che il
primo mandò a donare al re un organo, che in que' tempi era mirabil cosa
presso i Franzesi. Ma _Stefano II_ papa sopravvisse poco alla lettera
suddetta, essendo mancato di vita nel dì 24 d'aprile dell'anno corrente:
pontefice assai benemerito di Roma e della santa Sede, spezialmente nel
temporale. L'elezione del suo successore non seguì senza qualche
discordia del clero e del popolo. Una parte concorse coi suoi voti in
_Teofilatto_ arcidiacono, un'altra in _Paolo_ diacono, fratello del
defunto papa Stefano, personaggio specialmente eminente nella carità
verso i poveri, e sommamente mansueto e benigno. Dopo trentacinque
giorni di sede vacante questi prevalse, e fu consecrato papa nel dì 29
di maggio. Non tardò egli a significare a _Pippino re di Francia e
patrizio de Romani_ l'assunzione sua al pontificato in una lettera che
si legge nel Codice Carolino, assicurandolo d'essere non men egli che
tutto il popolo romano saldissimi nella fede, amore, concordia di
carità, e lega di pace che il suo predecessore e fratello avea stabilito
con lui. Era già stato circa l'anno 752 ordinato arcivescovo di Ravenna
Sergio; e quantunque il testo delle sua vita scritta da Agnello
ravennate[432] sia scorretto, pure ci fa abbastanza intendere che
essendo nell'anno appresso in viaggio verso la Francia _Stefano II_
papa, non andò ad incontrarlo quell'arcivescovo, probabilmente per tema
del re _Astolfo_, padrone allora di Ravenna. Se l'ebbe a male il papa,
gli tolse il monistero di sant'Ilario della Galliata, e tornato a Roma,
cominciò a dargli delle molestie. Sergio confidato nella protezione del
re de' Longobardi si andò riparando; ma venuta alle mani del papa
Ravenna, egli fu con frode di que' cittadini condotto a Roma e posto in
prigione, dove stette circa tre anni. Finalmente papa Stefano era in
procinto di deporlo, adducendo per suo reato l'esser egli salito in
quella cattedra, quantunque avesse moglie. Ma Sergio rispondeva d'essere
stato eletto da tutto il clero e popolo di Ravenna, e che andato a Roma
ed interrogato dal medesimo papa, non avea taciuto d'essere ammogliato,
ma che era seguito divorzio colla moglie _Eufemia_, ed essa era entrata
dipoi nell'ordine delle diaconesse. Ciò non ostante, il papa gli avea
data la consecrazione. Sopra ciò diversi erano i sentimenti de' vescovi
raunati in un concilio; ma il papa in collera rispose che nel dì
seguente colle sue mani gli volea strappare la stola, ossia il pallio,
dal collo. Passò Sergio quella notte in lagrime e preghiere; ma nella
medesima appunto, essendo morto papa Stefano, fu a trovarlo segretamente
Paolo di lui fratello, che gli dimandò cosa voleva egli dargli se il
rimandava onorato e in pace a casa. Sergio spalancò la porta alle
promesse. Creato poi papa Paolo, il mise in libertà, e rimandollo con
onore alla sua chiesa. Non è Agnello assai esatto scrittore nelle cose
lontane da' suoi tempi, e si scuopre poi sospetto in tutto ciò che
riguarda i papi; però possiam giustamente dubitare della verità di
questo fatto. Certo s'inganna Girolamo Rossi, seguitato poi dal Baronio,
che lo rapporta ai tempi di Stefano III papa; scusabile nondimeno,
perchè ai suoi dì non si trovava più in Ravenna il Pontificale d'esso
Agnello, del cui rinascimento alla luce siam debitori alla biblioteca
estense. Nell'epistola vigesima settima del Codice Carolino, il
pontefice Paolo in iscrivendo al re Pippino, si mostra disposto di
restituire alla sua Chiesa l'arcivescovo _Sergio_: il che ci fa
intendere che non sì tosto dopo l'assunzione d'esso Paolo alla cattedra
pontificia fu rimesso il medesimo Sergio in libertà, ma da lì ad un
anno, o due, per cui forse ancora lo stesso re Pippino avea presa
qualche favorevole ingerenza.
NOTE:
[429] Codex Carolinus, Epistol. 6.
[430] Chron. Farfense, P. II. T. II Rer. Ital.
[431] Leo Ostiensis, Chron. Casinens. l. 1, c. 8.
[432] Agnell., Vit. Episcopor. Ravennat. P. I. Tom. II Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCCLVIII. Indizione XI.
PAOLO I papa 2.
COSTANTINO Copronimo imperatore 39 e 18.
LEONE IV imperadore 8.
DESIDERIO re 2.
Dimenticò ben presto il re _Desiderio_ i benefizii ricevuti da papa
_Stefano II_, e le promesse da lui fatte di restituire interamente alla
Chiesa romana quanto era stato occupato da' suoi predecessori al greco
Augusto. Perciò papa _Paolo_ per questi affari fervorosamente scrisse al
re _Pippino_ nella lettera decimaquinta del Codice Carolino che
comincia: _Quotiens perspicua_. Questa lettera dal padre Pagi fu creduta
spettante all'anno precedente: io la stimo inviata nel presente. Da essa
impariamo alcune particolarità di molta importanza. Cioè, che mentre fu
l'ultimo assedio di Pavia, oppure nell'interregno dopo la morte del re
Astolfo, i duchi di Spoleti e di Benevento _se sub vestra a Deo servata
potestate contulerunt_: il che in buon linguaggio vuol dire che s'erano
ribellati al re, ossia regno longobardico, e messi sotto la protezione,
anzi sotto la sovranità del re di Francia, comparendo anche da ciò
l'insussistenza della donazione di que' ducati alla Chiesa romana, che
nel secolo XI fu immaginata, oppure interpolata. Ora il re Desiderio
altamente sdegnato contra di quei duchi, nell'anno presente si mosse
coll'esercito per castigarli. Abbiamo dalla lettera suddetta ch'egli
passò per le città della Pentapoli, cioè per Rimini, Fano, Pesaro, ec,
consumando col ferro e col fuoco i raccolti e le sostanze di quegli
abitanti. Altrettanto fece appresso ne' ducati di Spoleti e di Benevento
_ad magnum spretum regni vestri_, perchè que' duchi si erano dati al re
Pippino. Mise Desiderio in prigione _Alboino_ duca di Spoleti e molti di
que' baroni. E di là passato nel ducato di Benevento, tal terrore vi
portò, che _Liutprando_ duca di quel vasto paese si rifugiò nella città
d'Otranto. Non avendolo potuto far uscire di là, il re Desiderio creò un
altro duca di Benevento, cioè _Arichis_, ossia _Arigiso_, secondo di
questo nome. Osservò Camillo Pellegrini[433] che il governo del suddetto
duca Liutprando in Benevento si truova continuato fino al febbraio del
presente anno: il che ci fa conoscere doversi riferire a questo medesimo
anno, e non già all'antecedente, la lettera di papa Paolo I
soprammentovata. Aggiunge dipoi esso pontefice che il re Desiderio avea
chiamato a sè da Napoli _Giorgio_ silenziario, ossia segretario, quel
medesimo ministro imperiale che poco prima era tornato di Francia, e
trattato con lui per indurre l'imperadore ad inviare un potente esercito
in Italia, con promessa di seco unir le sue armi per fargli ricuperare
la città di Ravenna. Che inoltre era convenuto fra loro che la flotta
delle navi di Sicilia venisse all'assedio di Otranto, colla quale di
concerto coi Longobardi si potesse obbligar quella città alla resa, con
patto di cederla all'imperadore, purchè Desiderio avesse in mano il duca
Liutprando col suo balio. Dopo tali imprese e maneggi, seguita a dire il
papa, che essendo venuto il re Desiderio a Roma, in un abboccamento
avuto con lui l'avea scongiurato di restituire le città d'Imola,
Bologna, Osimo ed Ancona a san Pietro, secondo le promesse
antecedentemente da lui fatte. Ma che egli tergiversando avea fatta
istanza di riaver prima gli ostaggi longobardi che erano in Francia;
dopo di che avrebbe adempiuto quanto avea promesso. Perciò il papa si
raccomanda a Pippino, acciocchè con braccio forte insista appresso il re
longobardo per fargli mantener la parola, con avvisarlo ancora d'avergli
trasmessa altra lettera di tenor differente a petizione del re
Desiderio, dove il pregava di rendere gli ostaggi e di aver pace con
lui; ma che si guardasse però dal renderli, finchè non fosse seguita la
total restituzione delle città suddette. Questa lettera è la vigesima
nona del Codice Carolino. Quindi apparisce qual fosse il disparere tra
il papa e il re Desiderio, cadaun di loro pretendendo di aver la
preminenza nell'esecuzione de' patti.
Probabilmente ancora in quest'anno il pontefice Paolo scrisse al re
Pippino la lettera vigesima quarta, che comincia _A Deo institutae_, in
cui l'avvisa d'avere inteso da più parti che sei patrizii imperiali con
trecento legni e con lo stuolo delle navi di Sicilia venivano da
Costantinopoli verso Roma, senza che si sapesse il loro disegno, se non
che voce correva che fossero incamminati verso la Francia. Motivo abbiam
di maravigliarci come il papa, trattandosi di venire a Roma una sì
potente flotta, non ne mostri apprensione alcuna, quando tanta ne mostra
altrove per le minacce dei Greci contro di Ravenna. S'egli al dispetto
dell'imperadore, come suppongono alcuni, signoreggiava in Roma, perchè
non temere di quella visita? Seguita a dire il pontefice di aver
trattato col re Desiderio per ottenere _le giustizie dei Romani_ da
tutte le città de' Longobardi, cioè i patrimonii ed allodiali spettanti
in esse alla Chiesa Romana e ai particolari; ma esigere da Desiderio che
nello stesso tempo dalla parte de' Romani fosse fatta giustizia ai
Longobardi; e che mentre una città longobarda restituisse l'occupato,
anche un'altra dei Romani scambievolmente soddisfacesse al suo dovere.
Incagliato per questi puntigli l'affare, Desiderio avea fatto delle
scorrerie nelle terre dei Romani, ed inviato al papa delle gravi
minacce. In quest'anno, prima che terminasse il secondo del suo regno,
tengono alcuni che il re Desiderio dichiarasse suo collega nel regno e
re il suo figliuolo _Adelchis_, ossia _Adelgiso_. I miei sospetti sono
che all'anno seguente piuttosto appartenga tal promozione. Buona parte
dei documenti che restano di quei regnanti ci fan conoscere che l'epoca
del padre precede di due anni quella del figliuolo, e in altre carte di
tre. Nell'archivio dell'arcivescovo di Lucca è scritto uno strumento con
queste note: _Anno Domni Desiderii primo, kal. januaria, Indictione
undecima_, cioè nell'anno presente 758: il che può indicare che
nell'anno precedente 757 avesse principio l'anno primo dell'epoca di
Desiderio, durante tuttavia nel dì primo di gennaio di quest'anno. Quivi
pure se ne conserva un altro colle note: _Regnante D. N. Desiderio, et
Adelchis regibus, anno regni eorum undecimo et nono, undecimus dies
kalendas martii_s. In un'altra carta si legge: _Regnante D. N. Desiderio
rege, et filio ejus D. N. Adelchis anno regni eorum quartodecimo, et
duodecimo, quarto kal. octobris, Indict. IX_, cioè nel 770. In un'altra
abbiamo stipulato uno strumento nell'_anno X di Desiderio re, e VII del
re Adelchis, nel dì primo di luglio_, correndo _l'Indizione quarta_,
cioè nell'anno 766. Un altro fu scritto nell'_anno VIII di Desiderio, e
V di Adelchis, nel mese di maggio nell'Indizione II_, cioè nell'anno
764. Un altro nell'_anno IX del re Desiderio, e VI di Adelchis, nel mese
di maggio, Indizione III_, cioè nell'anno 765. Così nell'archivio di san
Zenone di Verona si vede una carta scritta _regnante domno nostro
Desiderio, et filio ejus Adelchis, etc. annis duodecimo, et nono, die
vincesima martii, per Indictione sexta_, cioè nell'anno 768. E
nell'archivio del monistero di sant'Ambrosio di Milano un'altra ne ho
veduta scritta _anno domno Desiderio et Adelchis, quintodecimo et
duodecimo sub die octaubo kalendarum augustarum, Indictione nona_, cioè
nell'anno 771. Similmente un'altra scritta _Desiderio et Adelchis
regibus anno nono et septimo, sub die tertiodecimo kalend. septembris,
Indictione tertia_, cioè nell'anno 765. Perchè non mi sembrano coerenti
tutte queste note cronologiche, lascierò che altri, unendo altre
notizie, ne deduca il principio delle epoche di questi due regnanti.
NOTE:
[433] Camill. Peregrin., Rer. Ital., P. I, tom. 2.
Anno di CRISTO DCCLIX. Indizione XII.
PAOLO I papa 3.
COSTANTINO Copronimo imperadore 40 e 19.
LEONE IV imperadore 8.
DESIDERIO re 3.
ADELGISO re 1.
Senza alcun ordine e senza data si veggono registrate nel Codice
Carolino le lettere inviate in questi tempi dai romani pontefici ai re
di Francia; e però solamente a tentone si può fissar l'anno, in cui
furono scritte. Porto io opinione che al presente si debba riferire la
quattordicesima, che comincia _Quas praeclara_. Scrive in essa papa
_Paolo_ al re _Pippino_ d'aver inteso come il re _Desiderio_ avea voluto
fargli credere di non avere recato alcun danno agli stati della Chiesa;
ma che non gli presti fede, essendo verissimi i saccheggi e danni
inferiti dai Longobardi, e le minacce fatte dal re loro, siccome _hoc
praeterito_ anno con sue lettere aveva esso papa significato a Pippino.
Si riduce nondimeno a dire che l'ostilità de' Longobardi era seguita _in
civitate nostra senogalliensi_, e in Campagna di Roma, _Castro nostro,
quod vocatur Valentis_. Aggiunge, che essendo poi venuti i messi di
Pippino, ed avendo riconosciuta la verità del fatto, avevano obbligato i
Longobardi a rifare il danno. Medesimamente sembra a me credibile che
sia scritta nell'anno presente da papa Paolo al re Pippino la lettera
diciassettesima del Codice Carolino, in cui gli notifica, che, essendosi
abboccati in presenza sua i messi longobardi coi messi spediti da esso
Pippino e coi deputati delle città della Pentapoli, s'era chiarito il
conto di alcune giustizie, cioè de' bestiami tolti dall'una parte e
dall'altra, e che n'era seguita la restituzione. Ma, per conto dei
confini delle città romane e de' beni patrimoniali di san Pietro
occupati dagli stessi Longobardi, nulla fin allora era stato restituito;
anzi ne aveano occupato degli altri. Però si era conchiuso, che i messi
di Pippino coi deputati delle città si portassero a Pavia, per chiarire
davanti al re Desiderio i diritti delle parti. Replica susseguentemente
il papa le sue istanze che Pippino voglia operare in maniera da fargli
ottenere interamente le _giustizie_, affinchè il beato Pietro principe
degli Apostoli, per la restituzione della cui luminaria s'era impegnato
esso Pippino, gliene dia una somma ricompensa. Quel che è strano,
confessa il medesimo papa, in iscrivendo la lettera trentesimaquarta del
Codice Carolino al suddetto re, che i Greci non per altro odiavano e
perseguitavano il papa e la Chiesa romana, se non per cagione delle
sacre immagini, da loro abborrite e difese da Roma. _Non ob aliud (sono
le sue parole) ipsi nefandissimi nos persequntur Graeci, nisi propter
sanctam et orthodoxam fidem, et venerandorum patrum piam traditionem,
quam cupiunt destruere atque conculcare._ Qui son chiamati
_nefandissimi_ i Greci per consolazione de' Longobardi, che si veggono
anch'essi onorati col medesimo titolo, qualora prendevano l'armi contra
dei Romani. Intanto, quando si voglia ammettere che oltre all'acquisto
dell'esarcato, Stefano II papa, fratello e predecessore di papa Paolo,
cominciasse ad esercitare un pieno dominio in Roma con escluderne
affatto l'imperadore, non si sa intendere come esso Augusto per questa
da lui creduta usurpazione non fosse forte in collera contra de' Romani
pontefici. E pur dalle parole suddette non apparisce che Costantino
facesse doglianza di ciò, con lasciar conseguentemente dubbio se allora
il governo e dominio di Roma fosse quale ora viene supposto. Ammettendo
poi questo dominio, è ben da maravigliarsi, come il papa rifonda lo
sdegno dell'imperadore nella sola discrepanza del culto delle immagini
sacre, quando v'era ancora l'essersi ritirati i Romani dalla ubbidienza
di lui. Sotto quest'anno riferisce Girolamo Rossi[434] una bolla di papa
Paolo, in cui narra che fu conceduto dal suo predecessore papa Stefano
ad _Anscauso_ vescovo di Forlimpopoli il monistero di sant'Ilario della
Galliata, ossia Calligata, situato nella diocesi di quel vescovo
nell'Apennino, di cui vien fatta menzione anche nella lettera
settantesimaquarta del Codice Carolino, scritta da papa Adriano I. Ora
essendo poi venuto a morte esso vescovo, il pontefice Paolo restituisce
alla Chiesa di Ravenna quel monistero, perchè conosciuto essere di
ragione della medesima. La bolla è data _nonis februarii imp. domno_
(forse D. N. cioè _domino_ o _domno nostro) piissimo Augusto Costantino,
a Deo coronato, magno imper. anno XL. et pacis ejus_ (ivi sarà scritto
_P. C. ejus_, cioè _post consulatum ejus) anno XX. Sed et Leone majore
imp. ejus filio anno VII. Indictione XII._ Se niuno errore fosse scorso
negli anni di _Leone Augusto_ figliuolo del Copronimo, avremmo qui da
correggere il conto del padre Pagi, che di uno o due anni anticipò la di
lui assunzione al trono. Ma forse in quella bolla sarà stato _anno
VIII_, oppure _VIIII_. Pretende ancora esso Pagi, che invece dell'_anno
XL_ di Costantino s'abbia a scrivere _XXXIX_. Ma quando si ammetta per
legittimo quel documento, non si saprebbe intendere come il copista
avesse posto un sì diverso numero per un altro. E notisi che tuttavia in
Roma si segnavano i pubblici documenti col nome dell'imperadore: il che
serve di qualche fondamento per dubitare se ivi fosse estinta la di lui
autorità e signoria. Quindi ancora veniamo ad intendere che _Sergio_
arcivescovo di Ravenna era ritornato alla sua Chiesa, e godeva della
grazia del romano pontefice.
NOTE:
[434] Rubeus, Histor. Ravenn., lib. 5.
Anno di CRISTO DCCLX. Indizione XIII.
PAOLO I papa 4.
COSTANTINO Copronimo imperadore 41 e 20.
LEONE IV imperadore 10.
DESIDERIO re 4.
ADELGISO re 2.
Fu scritta in quest'anno la lettera vigesima prima del Codice Carolino
da papa _Paolo_ al re _Pippino_. In essa gli significa, essere convenuto
fra _Desiderio_ re de' Longobardi, e _Remedio_ ed _Autario_ duca,
inviati d'esso re Pippino, che _per totum instantem aprilem mensis
istius XIII, Indictione_ dell'anno presente, il suddetto renderebbe a s.
Pietro _tutte le giustizie_, cioè i patrimonii, i diritti, i luoghi,
confini e territorii _diversarum civitatum nostrarum reipublicae
Romanorum_. Aggiugne, che una parte già n'era restituita, e che il re
longobardo faceva in breve sperare il restante. In questo medesimo anno
vo io conghietturando che sia scritto la lettera vigesima sesta del
Codice Carolino, riferita all'anno 757 dal Cointe e dal padre Pagi.
Quivi papa Paolo fa sapere al re Pippino che il re Desiderio
nell'autunno precedente per sua divozione era venuto a Roma, e che
parlando seco, restò conchiuso d'inviare i messi del medesimo re con
quei del re Pippino per diverse città affin di liquidare le _giustizie_
della Chiesa romana, mostrandosi egli pronto alla restituzione di tutto.
Soggiugne che in fatti questa si era effettuata nei ducato di Benevento
e nella Toscana, e che si era dietro a fare lo stesso nel ducato di
Spoleti e negli altri luoghi dove occorreva: il che fa sempre più
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