Annali d'Italia, vol. 3 - 11
potente di Dio sopra d'essi. Abbiamo medesimamente da Teofane e da
Niceforo[231], che durante l'assedio dell'imperial città, _Sergio_
protospatario e duca di Sicilia, figurandosi inevitabile la rovina
dell'imperio in Oriente, e facendola credere già seguita ai soldati e al
popolo, proclamò imperadore un certo _Basilio_ figliuolo di Gregorio
Onomagulo, con farlo coronare. Subito che a Costantinopoli pervenne
l'avviso di questa ribellione, _Leone_ Augusto spedì alla volta di
Sicilia _Paolo_ suo archivista col titolo di patrizio e duca della
Sicilia sopra una nave veliera. Arrivò questi inaspettatamente a
Siracusa, e tal terrore pose in cuore del suddetto Sergio, che scappò in
Calabria, ricoverandosi sotto l'ale de' Longobardi quivi dominanti. Dopo
avere il nuovo duca spiegate all'esercito le commessioni cesaree, e il
buono stato della corte tutta in allegria per le vittorie ottenute sopra
i Saraceni, ottenne dai Longobardi il falso imperador Basilio ed alcuni
suoi complici, e fattane rigorosa giustizia, rimise la quiete e
l'ubbidienza in quelle contrade. Non si sa ben l'anno, in cui, per cura
del santo pontefice _Gregorio II_, risorse l'insigne monistero di Monte
Cassino, devastato dai Longobardi circa cento trentacinque anni prima.
Sappiamo bensì da Paolo Diacono[232] che ciò accadde sotto il suddetto
papa, e non già sotto Gregorio III, come scrisse Leone Ostiense.
Portatosi a Roma per sua divozione Petronace nobile bresciano, e ito a
baciar i piedi del pontefice, fu da lui consigliato di passare a Monte
Casino, per rimettere in piedi quel sacro luogo, celebre pel sepolcro di
S. Benedetto. Andò Petronace, e quivi trovati alcuni pochi anacoreti,
che il fecero lor capo, si diede a fabbricare la basilica e il
monistero, dove col tempo raunò una riguardevol congregazione di monaci,
da cui uscirono dipoi personaggi di gran santità e dottrina, e che servì
coll'esempio suo a fondar assaissimi altri monisteri, tutti professori
della regola di s. Benedetto. Parla in tal occasione Paolo Diacono anche
del monistero insigne di s. Vincenzo al Volturno, molto prima
fabbricato, e abitato a' tempi di esso Paolo da una grande adunanza di
monaci, la cui cronica è stata da me data alla luce[233]. Questi due
monisteri, siccome ancor quello di Farfa, erano in questi tempi i più
rinomati d'Italia. Nacque in quest'anno a Leone Augusto un figliuolo, a
cui fu posto il nome di _Costantino_, appellato di poi per soprannome
_Copronimo_, perchè immerso nudo nel sacro fonte, allorchè si volle
battezzarlo, come allora si usava, sporcò quell'acque coi suoi
escrementi. San Germano patriarca di Costantinopoli, che il battezzava,
predisse da ciò che questo principe nocerebbe col tempo ai cristiani e
alla Chiesa.
NOTE:
[230] Theoph., in Chronogr.
[231] Niceph., in Chron.
[232] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 40.
[233] Chron. Volturnense, P. II, tom. 1 Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCCXIX. Indizione II.
GREGORIO II papa 5.
LEONE Isauro imperadore 3.
LIUTPRANDO re 8.
Era stato relegato, siccome accennai di sopra, a Salonichi _Artemio_,
detto _Anastasio_, imperador già deposto[234]. La memoria delle passate
grandezze non gli lasciava goder posa nel monistero, e questa in fine il
condusse a far delle novità. Sollecitato per lettere da Niceta Silonite
a ripigliar l'imperio, s'indirizzò a Terbellio principe dei Bulgari, che
l'accompagnò con un esercito, ed inoltre gli sborsò cinquemila libbre
d'oro per le spese della guerra. Con queste forze marciò alla volta di
Costantinopoli, ma non vi trovò quella corrispondenza ch'egli s'era
lusingato di avervi. Presero l'armi in favor di Leone i cittadini: il
che veduto dai Bulgari, pensarono meglio di far mercato della persona di
Artemio, consegnandolo vivo nelle mani d'esso Leone imperadore, da cui
ben regalati se ne tornarono contenti alle lor case. Non vi fu perdono
per la vita d'Artemio, di Niceta e di altri nobili suoi amici o
complici; e collo spoglio e confisco de' loro beni s'arricchì non poco
l'erario dell'imperadore. Circa questi tempi essendo stato eletto
patriarca di Aquileia _Sereno_, ottenne il re Liutprando dal papa il
pallio archiepiscopale per lui, giacchè, quantunque fosse cessato lo
scisma di quella Chiesa, i papi non aveano voluto concederlo a quei
patriarchi. Tal grazia fu a lui accordata con patto di non inquietare nè
usurpare l'altrui giurisdizione. Ma non passò gran tempo che Sereno
cominciò a voler raccorciare il piviale a _Donato_ patriarca di Grado.
Ne fece questi insieme col duca di Venezia, e coi vescovi dell'Istria
suoi suffraganei, doglianza a papa Gregorio, il quale perciò scrisse a
Sereno una lettera forte, incaricandogli di non istendere la sua
autorità oltre ai confini del regno longobardico, nel qual regno non
erano comprese nè Venezia coll'isole d'intorno, nè l'Istria. Un'altra
lettera fu scritta da esso papa a Donato patriarca di Grado, a Marcello
doge, e al popolo di Venezia e dell'Istria intorno a questo particolare.
Son rapportate queste lettere dal Dandolo[235], e le riferisce ancora il
cardinal Baronio[236], ma troppo tardi, e certamente fuor di sito. Il
Dandolo, da cui sono state conservate, parla dipoi di cose avvenute
sotto l'_anno quarto_ di Leone Isauro, e però sembra più convenevole il
farne qui menzione che altrove. Merita nondimeno attenzione quel che
saviamente ha osservato in questo proposito il padre Bernardo de
Rubeis[237], tenendo egli che poco dopo l'anno 716 il pontefice Gregorio
scrivesse quelle lettere.
NOTE:
[234] Teoph., in Chronogr.
[235] Dandulus, in Chronic., tom. 12 Rer. Ital.
[236] Baron., in Annal. Eccl. ad ann. 729.
[237] De Rubeis, Monument. Eccl. Aquilejens., cap. 36.
Anno di CRISTO DCCXX. Indizione III.
GREGORIO II papa 6.
LEONE Isauro imperadore 4.
COSTANTINO Copronimo Augusto 1.
LIUTPRANDO re 9.
Fece in quest'anno il re _Liutprando_ una giunta di quattro altre leggi
al corpo delle longobardiche[238]. Questa fu fatta _anno, Deo propitio,
regni mei octavo, die kalendarum martiarum, Indictione III, una cum
illustribus viris optimatibus meis Neustriae_ (credo io che vi manchi
_et Austriae_) _ex Tusciae partibus, vel universis nobilibus
Langobardis_. Se poi vogliamo stare ai conti di Camillo Pellegrini[239],
in quest'anno cessò di vivere _Romoaldo II_ duca di Benevento, dopo aver
governato per ventisei anni quel ducato. Secondo la credenza di esso
Pellegrini, fondata sopra una storia del monistero di s. Sofia, gli
succedette _Adelao_, o _Audelao_, che per due anni fu duca, e dopo di
lui nell'anno 722 fu eletto duca di Benevento _Gregorio_ nipote del re
Liutprando. Ma questi conti non s'accordano con quei di Paolo Diacono,
siccome vedremo all'anno 731, dove mi riserbo di parlarne. Abbiamo poi
da Teofane[240] che nel sacro giorno di Pasqua del presente anno _Leone
Isauro_ imperadore prese per collega nell'imperio, e fece coronare da
san _Germano_, patriarca di Costantinopoli, il suo picciolo figlio
_Costantino Copronimo_, gli anni del cui imperio si cominciarono a
contare in questo anno. In esso anno parimente diede fine alla sua vita
_Chilperico II_ re di Francia, e in suo luogo fu sostituito _Teoderico_,
appellato _Calense_, perchè nutrito nel monistero di _Chelles_, quattro
leghe lungi da Parigi. Ma in questi tempi il governo della maggior parte
della monarchia francese era in mano di _Carlo Martello_, acquistato od
usurpato a forza di battaglie e di vittorie. Solamente gareggiava con
lui _Eude_, duca dell'Aquitania, che in quest'anno stimò bene di fare
pace con esso Carlo, perchè i Saraceni padroni della Spagna,
minacciavano la guerra alla Linguadoca e alla stessa Aquitania, cioè
alla moderna Ghienna e Guascogna.
NOTE:
[238] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Italic.
[239] Camil. Peregrinus, tom. 2 Rer. Italic.
[240] Teoph., in Chronogr.
Anno di CRISTO DCCXXI. Indizione IV.
GREGORIO II papa 7.
LEONE Isauro imperadore 5.
COSTANTINO Copronimo Augusto 2.
LIUTPRANDO re 10.
Andavano sempre più scorgendo i Longobardi, che al corpo delle loro
leggi mancavano molte provvisioni per i contratti, per le successioni, e
per moltissimi altri casi dell'umano commercio; nè si sentivano essi
voglia di assoggettarsi alle leggi imperiali, colle quali nondimeno
lasciavano che si regolasse il popolo di nazione romana, cioè italiana,
sottoposto al loro dominio. Perciò undici nuove leggi aggiunse in
quest'anno il re _Liutprando_ alle precedenti[241]. Dura ancora in molti
luoghi l'uso d'alcune di quelle leggi rinnovate negli statuti della
città, come, per esempio, che ai contratti delle donne debbano
intervenire i loro parenti col giudice. Secondo le leggi romane, non era
permesso ai servi, o vogliam dire schiavi, persone vili, lo sposar donne
libere di nascita, perchè la libertà una volta era una spezie di
nobilità. Ora di questa nobilità faceano gran conto i Longobardi ed era
loro permesso dalla legge di far vendetta di una lor parente libera, e
di un servo che l'avesse presa per moglie. Che se dentro lo spazio di un
anno questa vendetta non era seguita, tanto il servo che la donna
divenivano servi del re e del suo fisco. Provvide ancora il medesimo re
Liutprando alle negligenze de' giudici nella spedizion delle cause con
altri utili regolamenti per l'amministrazion della giustizia e per
l'indennità de' popoli. Furono pubblicate queste leggi _regni nostri
anno, Deo protegente, nono, die kalendarum martiarum, Indictione IV_, e
per conseguente in quest'anno. Nel quale fu celebrato in Roma dal santo
pontefice _Gregorio II_ un concilio, in cui furono, sotto pena di
scomunica proibiti i matrimonii con persone consacrate a Dio, o che
doveano osservar castità, dacchè i mariti di lor consenso aveano presi
gli ordini del presbiterato o diaconato. Aveano i Visigoti fin qui
tenuta in lor potere la Gallia Narbonense, ossia la Linguadoca. I
Saraceni, divenuti già padroni della maggior parte della Spagna,
ansavano dietro anche a questo boccone, considerandolo come pertinenza
del regno spagnuolo; ed appunto in quest'anno riuscì a _Zama_ generale
del medesimi di conquistar quel paese, e di occupar Narbona[242], che
n'era la capitale. Non si contentarono di questo, assediarono anche la
città di Tolosa; ma _Eude_, valoroso duca d'Aquitania, con una numerosa
armata di Franchi fu a trovarli, venne con loro alle mani, e ne riportò
una segnalata vittoria con istrage memorabile di quegli infedeli. Non si
sa quasi intendere come la razza de' Saraceni, già confinati
nell'Arabia, crescesse in tanto numero da occupare e tenere tutta la
Persia, la Soria, l'Egitto le coste dell'Africa e tante altre provincie;
e come con tante rotte ricevute sotto Costantinopoli ed altrove, pure
sempre più religiosa minacciasse tutto il resto del romano imperio. Ma è
da credere che con loro e sotto di loro militassero i popoli soggiogati,
massimamente sapendosi che molti d'essi o per amore o per forza avevano
abbracciato il maomettismo.
NOTE:
[241] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Italic.
[242] Chron. Moyssiacense, et alii Anual.
Anno di CRISTO DCCXXII. Indizione V.
GREGORIO II papa 8.
LEONE Isauro imperadore 6.
COSTANTINO Copronimo Augusto 3.
LIUTPRANDO re 11.
In quest'anno ancora il re _Liutprando_ fece un accrescimento di
ventiquattro nuove leggi al corpo delle longobardiche[243]. Chiaramente
si conosce che il pontefice doveva aver comunicati ad esso re i decreti
fatti nel concilio romano dell'anno antecedente intorno ai matrimonii
illeciti; perciocchè nella prima di esse è vietato alle fanciulle, o
donne che han preso l'abito monastico o religioso, il tornare al secolo
e maritarsi; e, quel che potrebbe parere strano, ancorchè non fossero
state consacrate dal sacerdote; il che noi appelliamo far la
professione. Può essere che nel prendere l'abito monastico seguisse
allora qualche voto di castità, altrimenti ai dì nostri sembrerebbe dura
una tal legge. Sono quivi intimate varie pene contra le donne suddette
mancanti in questo, e contro chi le avesse sposate, e ai mundoaldi o
tutori di esse donne, che avessero consentito a tali nozze. Leggi
parimente furono fatte contro chi sposasse delle parenti, o rapisse le
altrui donne. Fu anche provveduto ai servi fuggitivi, affinchè fossero
presi, con decretar pene ai ministri della giustizia negligenti a farli
prendere, ed avvisarne i padroni. Durò presso i Longobardi, come ancora
presso l'altre nazioni di questi tempi, l'uso de' servi, che noi ora
chiamiamo schiavi, tal quale era stato in addietro presso i Greci e
Romani. Se ne servivano essi per far lavorare le loro terre, e per i
servigii delle lor case e negozi. Restavano sotto il loro dominio tutti
i figliuoli e discendenti da essi servi, e a misura poi del buon
servigio prestato da essi a' padroni, davano questi ad essi la libertà,
e specialmente ciò si praticava verso i meritevoli, allorchè i padroni
discreti e pii venivano a morte. Certo era di un gran comodo ed utile
l'aver sotto il suo comando gente sì obbligata, che non poteva staccarsi
dal servigio sotto rigorosissime pene, e il far suo tutto il guadagno
de' servi, con dar loro solamente il vitto e vestito, e lasciare un
ragionevol peculio. Ma un grande imbroglio era il dover correr dietro a
costoro, se maltrattati dai padroni scappavano, e il dover rendere conto
alla giustizia dei loro eccessi, e pagar per loro se commettevano dei
misfatti. Se crediamo ad Ermanno Contratto[244], in quest'anno
succedette la traslazione del sacro corpo di s. Agostino, fatta dalla
Sardegna a Pavia per cura del re Liutprando. Sigeberto[245] la mette
all'anno 721; Mariano Scoto[246] all'anno 724; il cardinal Baronio[247]
all'anno 725. La verità si è, che l'anno è incerto ma certissima la
traslazione. Ne parla anche Paolo Diacono[248], ne scrive parimente
Beda[249], che fioriva in questi medesimi tempi. Avevano i Saraceni
occupata la Sardegna al romano imperio, senza apparir ben chiaro se la
possedessero gran tempo dipoi. Mettevano a sacco tutto il paese,
spogliavano e sporcavano tutte le chiese dei cristiani. In quell'isola
era stato trasportato il corpo del suddetto celebratissimo santo vescovo
e dottore Agostino. Però venuta la nuova a Pavia di queste calamità del
Cristianesimo, il piissimo re Liutprando inviò gente colà con ordine di
ricuperare a forza di regali da quegl'infedeli un sì prezioso deposito.
Così fu fatto, e portate le sacre ossa a Pavia, furono coll'onore dovuto
a sì gran santo collocate nella basilica di s. Pietro in _Coelo aureo_,
dove tuttavia riposano. Quella basilica non dice Paolo Diacono[250] che
fosse edificata da esso Liutprando. Scrive solamente ch'egli fabbricò il
_Monistero_ del beato Pietro posto fuori di Pavia, ed appellato _Coelum
aureum_. Era stato d'avviso il padre, Mabillone[251], fondato in un
diploma del re Liutprando che si conserva in Pavia, che questa
traslazione seguisse avanti il giorno _IV non. aprilis, regni Liutprandi
anno primo, Indictione X_, cioè nell'anno 712, perchè il diploma dato in
quel giorno parla del corpo di s. Agostino già introdotto in quella
basilica. Ma dipoi avvedutosi che non poteva sussistere una tale
asserzione, si ritrattò negli Annali Benedettini[252], ed ebbero ben
ragione il Tillemont e il padre Pagi di sospettare della legittimità di
quel diploma. Aggiungo io che neppur nell'aprile dell'anno 712
Liutprando era stato dichiarato re. Fu poi trovato nell'anno 1695, nello
scuruolo di essa basilica il corpo d'un Santo, e dopo molte dispute
deciso che quello fosse il sacro corpo dell'insigne dottor della Chiesa
Agostino. Il che se sussista, può vedersi in una mia dissertazione
stampata che ha per titolo: _Motivi di credere tuttavia ascoso, e non
discoperto in Pavia il sacro corpo di s. Agostino_. Neppur sussiste una
lettera attribuita a Pietro Oldrado arcivescovo di Milano, quasi scritta
da lui a Carlo Magno imperadore, colla relazion della traslazione
suddetta. I padri Papebrochio[253] e Pagi[254] ne han chiaramente
dimostrata la finzione. Oltre all'altre ragioni, basta osservare che
questo arcivescovo intitola sè stesso della casa Oldrada. Neppure oggidì
sogliono i vescovi sottoscriversi col cognome; e allora poi neppur
v'erano i cognomi distintivi delle case.
NOTE:
[243] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[244] Hermannus Contractus, in Chron.
[245] Sigebertus, in Chron.
[246] Marian. Scotus, in Chron.
[247] Baron., Annal. Eccl.
[248] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 48.
[249] Beda, lib. 6, de Sex Ætat.
[250] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 58.
[251] Mabill., Mus. Ital. pag. 221.
[252] Mabill., Annal. Benedict., lib. 19, cap. 78.
[253] Papebrochius, Act. Sanctor. Maj. tom. 7.
[254] Pagius, ad Annal. Baron.
Anno di CRISTO DCCXXIII. Indizione VI.
GREGORIO II papa 9.
LEONE Isauro imperadore 7.
COSTANTINO Copronimo Augusto 4.
LIUTPRANDO re 12.
Se Paolo Diacono seguitasse nella sua storia un ordine esatto di
cronologia, converrebbe mettere la morte di _Sereno_ patriarca
d'Aquileia circa l'anno 717, perchè da lui[255] riferita dopo l'andata a
Roma di _Teodone II_ duca di Baviera, la quale si crede succeduta
nell'anno precedente 716. Ma egli narra appresso l'entrata de' Saraceni
in Ispagna, la qual pure abbiam veduto che accadde nell'anno 711.
Tuttavia ci manca l'anno preciso della morte di quel patriarca. Sappiamo
ben di certo che dopo di lui fu eletto patriarca _Callisto_, uomo di
vaglia, che era allora arcidiacono della chiesa di Trivigi. Il re
Liutprando s'ingegnò per far cadere in lui l'elezione. Ai tempi di
questo patriarca, _Pemmone_, da noi veduto di sopra all'anno 706 duca
del Friuli, continuava in quel governo, col merito di avere allevati co'
suoi figliuoli tutti ancora i figliuoli de' nobili che erano periti a'
tempi del duca Ferdulfo nella battaglia contro degli Schiavoni. Ora
avvenne che un'immensa moltitudine di quei Barbari tornò ad infestare il
Friuli, e giunse fino ad un luogo appellato Lauriana. Pemmone con que'
giovani tutti ben addestrati nell'armi per tre volte diede loro la
caccia, e ne fece un gran macello, senza che vi restasse morto dei suoi,
se non un Sigualdo, uomo già attempato. Costui nella battaglia suddetta
di Ferdulfo avea perduto due suoi figliuoli, e nelle due prime zuffe del
duca Pemmone largamente se n'era vendicato colla morte di molti
Schiavoni. Quantunque poi esso duca gli vietasse di entrare nel terzo
conflitto, perchè forse il vedeva troppo arrischiato, pure non potè
Sigualdo contenersi dall'andarvi, con dire che avea bastantemente
vendicata la morte de' suoi figliuoli, e che però se la sua fosse
arrivata, di buon volto la riceverebbe. In fatti vi perì egli solo. Ma
Pemmone, uom saggio, volendo risparmiare il sangue dei suoi, trattò di
pace in quello stesso luogo con gli Schiavoni, i quali dopo aver avuta
sì buona lezione, da lì innanzi cominciarono a portar più rispetto ai
Furlani, e ad aver paura delle lor armi. Fu ordinato da papa _Gregorio
II_ in questo anno vescovo della Germania l'insigne s. _Bonifazio_,
apostolo di quelle contrade, che nell'Assia, nella Turingia, nella
Sassonia, e in altre parti che prima professavano il paganesimo, piantò
la santissima fede di Cristo. Circa questi tempi _san Corbiniano_
vescovo di Frisinga, come s'ha dalla sua vita scritta da Aribone[256],
venne a Roma. In passando per Trento si trovò _Ursingo_, ch'era ivi poco
fa stato posto per conte, cioè per governatore. Arrivò a Pavia, dove da
Liutprando re piissimo fu per sette giorni trattenuto con singolar
venerazione, regalato e scortato sino ai confini del regno. Lo stesso
trattamento ricevè egli nel suo ritorno verso la Baviera. Da essa vita
apparisce che il dominio dei re longobardi arrivava allora fino al
castello, ossia alla città di _Magia_ nella Germania. Sarebbe da vedere
se fosse situato questo luogo nel Tirolo.
NOTE:
[255] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 44.
[256] Mabil. tom. 2, Saecul. Benedict., pag. 606.
Anno di CRISTO DCCXXIV. Indizione VII.
GREGORIO II papa 10.
LEONE Isauro imperadore 8.
COSTANTINO Copronimo Augusto 5.
LIUTPRANDO re 13.
Intento giornalmente il re _Liutprando_ a ben regolare il regno
longobardico, e a provvederlo di quelle leggi che esigeva il bisogno de'
popoli, o che sembravano più utili al loro governo, pubblicò in
quest'anno il sesto libro delle sue leggi[257]. _Anno regni mei, Christo
protegente, XII, die kalendarum martiarum, Indictione VII_: nel qual
tempo doveva essere in uso che si tenesse la dieta del regno, vedendosi
le varie pubblicazioni delle leggi fatte nel principio di marzo, o in
quel torno, _una cum judicibus et reliquis Langobardis fidelibus
nostris_. Cento e due son le leggi pubblicate da esso re in quest'anno
intorno a diversi suggetti, fra' quali è da osservare che la nazion
longobarda avea bensì abiurato l'arianismo ed abbracciata la religion
cattolica, ma non mancavano persone che conservavano alcuna delle
antiche superstizioni del paganesimo. Ricorrevano agl'indovini, agli
aruspici, ed aveano qualche albero, appellato da loro santo o santivo,
dove faceano de' sagrifizii, e delle fontane ch'erano adorate da loro.
Liutprando re cattolico sotto rigorose pene proibì cotali superstizioni,
bandì tutti gl'indovini ed incantatori, ed incaricò gli uffiziali della
giustizia di star vigilanti per l'estirpazione di somiglianti abusi.
Apparisce inoltre da esse leggi che i notai scrivevano i contratti
secondo la legge romana per chi la professava, oppure secondo la
longobardica, seguitata dagli uomini di quella nazione. Proibisce egli
inoltre alle vedove il farsi monache prima che sia passato un anno dopo
la morte del marito, quando non ne ottengano licenza dal re; perchè,
dice egli il dolore in casi tali fa prendere delle risoluzioni, alle
quali succede poi il pentimento. E nella legge LXV questo saggio
rechiaramente protesta di conoscere bensì, ma di non approvare la
sciocchezza dei duelli, perchè con essi temerariamente si vorrebbe
forzar Dio a dichiarar la verità delle cose a capriccio degli uomini;
contuttociò protesta di permettere e tollerar questo abuso, perchè non
osa di vietarlo, essendone sì radicata e forte la consuetudine presso
de' Longobardi, come parimente era presso dei Franchi e degli altri
popoli settentrionali. Dal catalogo dei duchi di Spoleti, che si legge
sul principio della Cronica di Farfa[258] da me data alla luce,
impariamo che nell'anno presente fu creato duca di Spoleti _Trasmondo_.
Egli era figliuolo di _Faroaldo II_ duca. Impaziente di succedere al
padre nel comando, non volle aspettar la sua morte, ma, per
testimonianza di Paolo Diacono[259], si ribellò contro di lui, e
l'obbligò a deporre il governo e a prendere l'abito clericale.
Bernardino dei conti di Campello[260] lascia qui la briglia alla sua
immaginazione e penna, per dipingerci i motivi e la maniera di questa
rivoluzione; ma il vero è, non sapere noi altro, se non quel pochissimo
che il suddetto Paolo lasciò scritto intorno a questo affare. Per altro
si può credere che Faroaldo II fondasse la badia di san Pietro di
Ferentillo, divenuta poi celebre luogo di divozione; e che egli,
ritiratosi colà, vi passasse il resto di sua vita. Questo duca
_Trasmondo_, per quanto si ha dalla Cronica suddetta di Farfa, donò a
quell'insigne monistero, mentre v'era abbate Lucerio, la chiesa di s.
Getulio, dove si venerava il corpo di esso santo, e delle terre nel
fondo Germaniciano. Verisimilmente cotal donazione, siccome fatta nel
mese di maggio _dell'Indizione VII_, dovrebbe appartenere all'anno
presente.
NOTE:
[257] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[258] Chron. Farfense, Part. II, tom. 2 Rer. Italic.
[259] Paulus Diacon., lib. 6, cap. 44.
[260] Campell., Storia di Spoleti, lib. 12 e 13.
Anno di CRISTO DCCXXV. Indizione VIII.
GREGORIO II papa 11.
LEONE Isauro imperadore 9.
COSTANTINO Copronimo Augusto 6.
LIUTPRANDO re 14.
Divenuti già padroni della Linguadoca i Saraceni, tentarono nel presente
anno di passare il Rodano. Ma _Eude_ insigne duca d'Aquitania coll'oste
generale de' Franzesi andò ad assalirli, e ne riportò un'insigne
vittoria, accennata da Anastasio bibliotecario[261] e da Paolo
Diacono[262]. _Carlo Martello_, altro eroe della nazion franca, in
questi tempi ostilmente entrò nella Baviera; ne soggiogò e saccheggiò
una parte, cioè la spettante a _Grimoaldo_ duca; seco condusse
_Piltrude_ concubina famosa d'esso Grimoaldo, con _Sonichilde_ nipote
d'essa Piltrude ossia Biltrude. Essendogli morta _Rotrude_ sua moglie,
madre di Pippino e di Carlomano, egli sposò la predetta Sonichilde. Ma
Piltrude dopo essere stata alcun tempo in sua grazia, per relazion di
Aribone nella vita di s. Corbiniano[263], fu costretta a ricoverarsi con
un asinello in Italia, dove miseramente terminò la sua vita. Ella era
stata persecutrice d'esso s. _Corbiniano_ vescovo di Frisinga, perchè il
trovò contrario alla disonesta sua vita. Scrive il padre Mabillone[264],
che il re _Liutprando_ per l'amicizia da lui sempre conservata coi re
franchi, prese l'armi anch'egli contra della Baviera, ma non cita onde
s'abbia tratta questa notizia. Senza buone prove non si dee credere
ch'egli rendesse sì brutta ricompensa al popolo della Baviera, dal cui
braccio egli riconosceva la corona del regno longobardico, e fors'anche
era di quella nazione. In quest'anno parimenti abbiamo dalle memorie
dell'archivio farfense[265], che _Trasmondo_ duca di Spoleti fece una
donazione a quel nobilissimo monistero _mense januario, Indictione
octava, sub Rimone Castaldione_. Nel registro d'esso archivio
medesimamente si legge una vendita di olivi fatta a _Tommaso_ abbate
_temporibus Transmundi ducis Langobardorum, et Sindolfi Castaldionis
civitatis Reatinae_: dal che si conosce che la città di Rieti era
sottoposta ai duchi di Spoleti. Ma non so io ben accordar gli anni
d'esso Tommaso abbate con quei del duca Trasmondo. Abbiamo poi da Andrea
Dandolo[266], che essendo mancato di vita _Donato_ patriarca di Grado,
_Pietro_ vescovo passò a quella Chiesa. Ma queste trasmigrazioni da una
chiesa all'altra, non essendo secondo la disciplina di que' tempi sì
tollerate ed approvate, come oggidì, Gregorio II papa zelantissimo il
dichiarò decaduto dall'una e dall'altra chiesa. Tanto nondimeno valsero
le preghiere del clero e popolo di Venezia, ch'egli fu rimesso nella sua
prima sedia. E perciocchè si sapeva, o vi doveva essere sospetto ch'esso
Pietro per vie simoniache sì fosse intruso nel patriarcato suddetto, il
papa avvertì i Veneziani di non eleggere pastori, se non nelle forme
approvate da Dio e dalla Chiesa. Dicesi data la lettera pontificia
nell'_anno IX di Leone_ Isauro imperadore; e però nel presente anno.
Succedette dunque nella cattedra di Grado _Antonio_ di nazion padovano,
dianzi abbate del monistero della Trinità di Brondolo, dell'ordine di s.
Benedetto, personaggio sommamente cattolico e dabbene.
NOTE:
[261] Anastas., in Gregor. II.
[262] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 46.
[263] Mabill., Saecul. Benedict. tom. II.
[264] Idem, Annal. Benedictin. lib. 20, cap. 53.
[265] Antiquit. Italic. Dissert. LXVII.
[266] Dandul., in Chronic., tom. 12 Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCCXXVI. Indiz. IX.
GREGORIO II papa 12.
LEONE Isauro imperad. 10.
COSTANTINO Copronimo Augusto 7.
LIUTPRANDO re 15.
Cominciò in quest'anno _Leone Isauro_ una tragedia che sconvolse non
poco la Chiesa di Dio, e pose i fondamenti per far perdere l'Italia
agl'imperadori greci. Per attestato di Teofane[267], di Niceforo[268] e
d'altri storici, fra le isole di Tera, o Terasia, per alcuni giorni il
mare bollì furiosamente, uscendo da un vulcano sottomarino un fumo
infocato ed un'immensa moltitudine di pomici che si sparsero per tutta
l'Asia Minore, per Lesbo e per le coste della Macedonia, con essere nata
Niceforo[231], che durante l'assedio dell'imperial città, _Sergio_
protospatario e duca di Sicilia, figurandosi inevitabile la rovina
dell'imperio in Oriente, e facendola credere già seguita ai soldati e al
popolo, proclamò imperadore un certo _Basilio_ figliuolo di Gregorio
Onomagulo, con farlo coronare. Subito che a Costantinopoli pervenne
l'avviso di questa ribellione, _Leone_ Augusto spedì alla volta di
Sicilia _Paolo_ suo archivista col titolo di patrizio e duca della
Sicilia sopra una nave veliera. Arrivò questi inaspettatamente a
Siracusa, e tal terrore pose in cuore del suddetto Sergio, che scappò in
Calabria, ricoverandosi sotto l'ale de' Longobardi quivi dominanti. Dopo
avere il nuovo duca spiegate all'esercito le commessioni cesaree, e il
buono stato della corte tutta in allegria per le vittorie ottenute sopra
i Saraceni, ottenne dai Longobardi il falso imperador Basilio ed alcuni
suoi complici, e fattane rigorosa giustizia, rimise la quiete e
l'ubbidienza in quelle contrade. Non si sa ben l'anno, in cui, per cura
del santo pontefice _Gregorio II_, risorse l'insigne monistero di Monte
Cassino, devastato dai Longobardi circa cento trentacinque anni prima.
Sappiamo bensì da Paolo Diacono[232] che ciò accadde sotto il suddetto
papa, e non già sotto Gregorio III, come scrisse Leone Ostiense.
Portatosi a Roma per sua divozione Petronace nobile bresciano, e ito a
baciar i piedi del pontefice, fu da lui consigliato di passare a Monte
Casino, per rimettere in piedi quel sacro luogo, celebre pel sepolcro di
S. Benedetto. Andò Petronace, e quivi trovati alcuni pochi anacoreti,
che il fecero lor capo, si diede a fabbricare la basilica e il
monistero, dove col tempo raunò una riguardevol congregazione di monaci,
da cui uscirono dipoi personaggi di gran santità e dottrina, e che servì
coll'esempio suo a fondar assaissimi altri monisteri, tutti professori
della regola di s. Benedetto. Parla in tal occasione Paolo Diacono anche
del monistero insigne di s. Vincenzo al Volturno, molto prima
fabbricato, e abitato a' tempi di esso Paolo da una grande adunanza di
monaci, la cui cronica è stata da me data alla luce[233]. Questi due
monisteri, siccome ancor quello di Farfa, erano in questi tempi i più
rinomati d'Italia. Nacque in quest'anno a Leone Augusto un figliuolo, a
cui fu posto il nome di _Costantino_, appellato di poi per soprannome
_Copronimo_, perchè immerso nudo nel sacro fonte, allorchè si volle
battezzarlo, come allora si usava, sporcò quell'acque coi suoi
escrementi. San Germano patriarca di Costantinopoli, che il battezzava,
predisse da ciò che questo principe nocerebbe col tempo ai cristiani e
alla Chiesa.
NOTE:
[230] Theoph., in Chronogr.
[231] Niceph., in Chron.
[232] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 40.
[233] Chron. Volturnense, P. II, tom. 1 Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCCXIX. Indizione II.
GREGORIO II papa 5.
LEONE Isauro imperadore 3.
LIUTPRANDO re 8.
Era stato relegato, siccome accennai di sopra, a Salonichi _Artemio_,
detto _Anastasio_, imperador già deposto[234]. La memoria delle passate
grandezze non gli lasciava goder posa nel monistero, e questa in fine il
condusse a far delle novità. Sollecitato per lettere da Niceta Silonite
a ripigliar l'imperio, s'indirizzò a Terbellio principe dei Bulgari, che
l'accompagnò con un esercito, ed inoltre gli sborsò cinquemila libbre
d'oro per le spese della guerra. Con queste forze marciò alla volta di
Costantinopoli, ma non vi trovò quella corrispondenza ch'egli s'era
lusingato di avervi. Presero l'armi in favor di Leone i cittadini: il
che veduto dai Bulgari, pensarono meglio di far mercato della persona di
Artemio, consegnandolo vivo nelle mani d'esso Leone imperadore, da cui
ben regalati se ne tornarono contenti alle lor case. Non vi fu perdono
per la vita d'Artemio, di Niceta e di altri nobili suoi amici o
complici; e collo spoglio e confisco de' loro beni s'arricchì non poco
l'erario dell'imperadore. Circa questi tempi essendo stato eletto
patriarca di Aquileia _Sereno_, ottenne il re Liutprando dal papa il
pallio archiepiscopale per lui, giacchè, quantunque fosse cessato lo
scisma di quella Chiesa, i papi non aveano voluto concederlo a quei
patriarchi. Tal grazia fu a lui accordata con patto di non inquietare nè
usurpare l'altrui giurisdizione. Ma non passò gran tempo che Sereno
cominciò a voler raccorciare il piviale a _Donato_ patriarca di Grado.
Ne fece questi insieme col duca di Venezia, e coi vescovi dell'Istria
suoi suffraganei, doglianza a papa Gregorio, il quale perciò scrisse a
Sereno una lettera forte, incaricandogli di non istendere la sua
autorità oltre ai confini del regno longobardico, nel qual regno non
erano comprese nè Venezia coll'isole d'intorno, nè l'Istria. Un'altra
lettera fu scritta da esso papa a Donato patriarca di Grado, a Marcello
doge, e al popolo di Venezia e dell'Istria intorno a questo particolare.
Son rapportate queste lettere dal Dandolo[235], e le riferisce ancora il
cardinal Baronio[236], ma troppo tardi, e certamente fuor di sito. Il
Dandolo, da cui sono state conservate, parla dipoi di cose avvenute
sotto l'_anno quarto_ di Leone Isauro, e però sembra più convenevole il
farne qui menzione che altrove. Merita nondimeno attenzione quel che
saviamente ha osservato in questo proposito il padre Bernardo de
Rubeis[237], tenendo egli che poco dopo l'anno 716 il pontefice Gregorio
scrivesse quelle lettere.
NOTE:
[234] Teoph., in Chronogr.
[235] Dandulus, in Chronic., tom. 12 Rer. Ital.
[236] Baron., in Annal. Eccl. ad ann. 729.
[237] De Rubeis, Monument. Eccl. Aquilejens., cap. 36.
Anno di CRISTO DCCXX. Indizione III.
GREGORIO II papa 6.
LEONE Isauro imperadore 4.
COSTANTINO Copronimo Augusto 1.
LIUTPRANDO re 9.
Fece in quest'anno il re _Liutprando_ una giunta di quattro altre leggi
al corpo delle longobardiche[238]. Questa fu fatta _anno, Deo propitio,
regni mei octavo, die kalendarum martiarum, Indictione III, una cum
illustribus viris optimatibus meis Neustriae_ (credo io che vi manchi
_et Austriae_) _ex Tusciae partibus, vel universis nobilibus
Langobardis_. Se poi vogliamo stare ai conti di Camillo Pellegrini[239],
in quest'anno cessò di vivere _Romoaldo II_ duca di Benevento, dopo aver
governato per ventisei anni quel ducato. Secondo la credenza di esso
Pellegrini, fondata sopra una storia del monistero di s. Sofia, gli
succedette _Adelao_, o _Audelao_, che per due anni fu duca, e dopo di
lui nell'anno 722 fu eletto duca di Benevento _Gregorio_ nipote del re
Liutprando. Ma questi conti non s'accordano con quei di Paolo Diacono,
siccome vedremo all'anno 731, dove mi riserbo di parlarne. Abbiamo poi
da Teofane[240] che nel sacro giorno di Pasqua del presente anno _Leone
Isauro_ imperadore prese per collega nell'imperio, e fece coronare da
san _Germano_, patriarca di Costantinopoli, il suo picciolo figlio
_Costantino Copronimo_, gli anni del cui imperio si cominciarono a
contare in questo anno. In esso anno parimente diede fine alla sua vita
_Chilperico II_ re di Francia, e in suo luogo fu sostituito _Teoderico_,
appellato _Calense_, perchè nutrito nel monistero di _Chelles_, quattro
leghe lungi da Parigi. Ma in questi tempi il governo della maggior parte
della monarchia francese era in mano di _Carlo Martello_, acquistato od
usurpato a forza di battaglie e di vittorie. Solamente gareggiava con
lui _Eude_, duca dell'Aquitania, che in quest'anno stimò bene di fare
pace con esso Carlo, perchè i Saraceni padroni della Spagna,
minacciavano la guerra alla Linguadoca e alla stessa Aquitania, cioè
alla moderna Ghienna e Guascogna.
NOTE:
[238] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Italic.
[239] Camil. Peregrinus, tom. 2 Rer. Italic.
[240] Teoph., in Chronogr.
Anno di CRISTO DCCXXI. Indizione IV.
GREGORIO II papa 7.
LEONE Isauro imperadore 5.
COSTANTINO Copronimo Augusto 2.
LIUTPRANDO re 10.
Andavano sempre più scorgendo i Longobardi, che al corpo delle loro
leggi mancavano molte provvisioni per i contratti, per le successioni, e
per moltissimi altri casi dell'umano commercio; nè si sentivano essi
voglia di assoggettarsi alle leggi imperiali, colle quali nondimeno
lasciavano che si regolasse il popolo di nazione romana, cioè italiana,
sottoposto al loro dominio. Perciò undici nuove leggi aggiunse in
quest'anno il re _Liutprando_ alle precedenti[241]. Dura ancora in molti
luoghi l'uso d'alcune di quelle leggi rinnovate negli statuti della
città, come, per esempio, che ai contratti delle donne debbano
intervenire i loro parenti col giudice. Secondo le leggi romane, non era
permesso ai servi, o vogliam dire schiavi, persone vili, lo sposar donne
libere di nascita, perchè la libertà una volta era una spezie di
nobilità. Ora di questa nobilità faceano gran conto i Longobardi ed era
loro permesso dalla legge di far vendetta di una lor parente libera, e
di un servo che l'avesse presa per moglie. Che se dentro lo spazio di un
anno questa vendetta non era seguita, tanto il servo che la donna
divenivano servi del re e del suo fisco. Provvide ancora il medesimo re
Liutprando alle negligenze de' giudici nella spedizion delle cause con
altri utili regolamenti per l'amministrazion della giustizia e per
l'indennità de' popoli. Furono pubblicate queste leggi _regni nostri
anno, Deo protegente, nono, die kalendarum martiarum, Indictione IV_, e
per conseguente in quest'anno. Nel quale fu celebrato in Roma dal santo
pontefice _Gregorio II_ un concilio, in cui furono, sotto pena di
scomunica proibiti i matrimonii con persone consacrate a Dio, o che
doveano osservar castità, dacchè i mariti di lor consenso aveano presi
gli ordini del presbiterato o diaconato. Aveano i Visigoti fin qui
tenuta in lor potere la Gallia Narbonense, ossia la Linguadoca. I
Saraceni, divenuti già padroni della maggior parte della Spagna,
ansavano dietro anche a questo boccone, considerandolo come pertinenza
del regno spagnuolo; ed appunto in quest'anno riuscì a _Zama_ generale
del medesimi di conquistar quel paese, e di occupar Narbona[242], che
n'era la capitale. Non si contentarono di questo, assediarono anche la
città di Tolosa; ma _Eude_, valoroso duca d'Aquitania, con una numerosa
armata di Franchi fu a trovarli, venne con loro alle mani, e ne riportò
una segnalata vittoria con istrage memorabile di quegli infedeli. Non si
sa quasi intendere come la razza de' Saraceni, già confinati
nell'Arabia, crescesse in tanto numero da occupare e tenere tutta la
Persia, la Soria, l'Egitto le coste dell'Africa e tante altre provincie;
e come con tante rotte ricevute sotto Costantinopoli ed altrove, pure
sempre più religiosa minacciasse tutto il resto del romano imperio. Ma è
da credere che con loro e sotto di loro militassero i popoli soggiogati,
massimamente sapendosi che molti d'essi o per amore o per forza avevano
abbracciato il maomettismo.
NOTE:
[241] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Italic.
[242] Chron. Moyssiacense, et alii Anual.
Anno di CRISTO DCCXXII. Indizione V.
GREGORIO II papa 8.
LEONE Isauro imperadore 6.
COSTANTINO Copronimo Augusto 3.
LIUTPRANDO re 11.
In quest'anno ancora il re _Liutprando_ fece un accrescimento di
ventiquattro nuove leggi al corpo delle longobardiche[243]. Chiaramente
si conosce che il pontefice doveva aver comunicati ad esso re i decreti
fatti nel concilio romano dell'anno antecedente intorno ai matrimonii
illeciti; perciocchè nella prima di esse è vietato alle fanciulle, o
donne che han preso l'abito monastico o religioso, il tornare al secolo
e maritarsi; e, quel che potrebbe parere strano, ancorchè non fossero
state consacrate dal sacerdote; il che noi appelliamo far la
professione. Può essere che nel prendere l'abito monastico seguisse
allora qualche voto di castità, altrimenti ai dì nostri sembrerebbe dura
una tal legge. Sono quivi intimate varie pene contra le donne suddette
mancanti in questo, e contro chi le avesse sposate, e ai mundoaldi o
tutori di esse donne, che avessero consentito a tali nozze. Leggi
parimente furono fatte contro chi sposasse delle parenti, o rapisse le
altrui donne. Fu anche provveduto ai servi fuggitivi, affinchè fossero
presi, con decretar pene ai ministri della giustizia negligenti a farli
prendere, ed avvisarne i padroni. Durò presso i Longobardi, come ancora
presso l'altre nazioni di questi tempi, l'uso de' servi, che noi ora
chiamiamo schiavi, tal quale era stato in addietro presso i Greci e
Romani. Se ne servivano essi per far lavorare le loro terre, e per i
servigii delle lor case e negozi. Restavano sotto il loro dominio tutti
i figliuoli e discendenti da essi servi, e a misura poi del buon
servigio prestato da essi a' padroni, davano questi ad essi la libertà,
e specialmente ciò si praticava verso i meritevoli, allorchè i padroni
discreti e pii venivano a morte. Certo era di un gran comodo ed utile
l'aver sotto il suo comando gente sì obbligata, che non poteva staccarsi
dal servigio sotto rigorosissime pene, e il far suo tutto il guadagno
de' servi, con dar loro solamente il vitto e vestito, e lasciare un
ragionevol peculio. Ma un grande imbroglio era il dover correr dietro a
costoro, se maltrattati dai padroni scappavano, e il dover rendere conto
alla giustizia dei loro eccessi, e pagar per loro se commettevano dei
misfatti. Se crediamo ad Ermanno Contratto[244], in quest'anno
succedette la traslazione del sacro corpo di s. Agostino, fatta dalla
Sardegna a Pavia per cura del re Liutprando. Sigeberto[245] la mette
all'anno 721; Mariano Scoto[246] all'anno 724; il cardinal Baronio[247]
all'anno 725. La verità si è, che l'anno è incerto ma certissima la
traslazione. Ne parla anche Paolo Diacono[248], ne scrive parimente
Beda[249], che fioriva in questi medesimi tempi. Avevano i Saraceni
occupata la Sardegna al romano imperio, senza apparir ben chiaro se la
possedessero gran tempo dipoi. Mettevano a sacco tutto il paese,
spogliavano e sporcavano tutte le chiese dei cristiani. In quell'isola
era stato trasportato il corpo del suddetto celebratissimo santo vescovo
e dottore Agostino. Però venuta la nuova a Pavia di queste calamità del
Cristianesimo, il piissimo re Liutprando inviò gente colà con ordine di
ricuperare a forza di regali da quegl'infedeli un sì prezioso deposito.
Così fu fatto, e portate le sacre ossa a Pavia, furono coll'onore dovuto
a sì gran santo collocate nella basilica di s. Pietro in _Coelo aureo_,
dove tuttavia riposano. Quella basilica non dice Paolo Diacono[250] che
fosse edificata da esso Liutprando. Scrive solamente ch'egli fabbricò il
_Monistero_ del beato Pietro posto fuori di Pavia, ed appellato _Coelum
aureum_. Era stato d'avviso il padre, Mabillone[251], fondato in un
diploma del re Liutprando che si conserva in Pavia, che questa
traslazione seguisse avanti il giorno _IV non. aprilis, regni Liutprandi
anno primo, Indictione X_, cioè nell'anno 712, perchè il diploma dato in
quel giorno parla del corpo di s. Agostino già introdotto in quella
basilica. Ma dipoi avvedutosi che non poteva sussistere una tale
asserzione, si ritrattò negli Annali Benedettini[252], ed ebbero ben
ragione il Tillemont e il padre Pagi di sospettare della legittimità di
quel diploma. Aggiungo io che neppur nell'aprile dell'anno 712
Liutprando era stato dichiarato re. Fu poi trovato nell'anno 1695, nello
scuruolo di essa basilica il corpo d'un Santo, e dopo molte dispute
deciso che quello fosse il sacro corpo dell'insigne dottor della Chiesa
Agostino. Il che se sussista, può vedersi in una mia dissertazione
stampata che ha per titolo: _Motivi di credere tuttavia ascoso, e non
discoperto in Pavia il sacro corpo di s. Agostino_. Neppur sussiste una
lettera attribuita a Pietro Oldrado arcivescovo di Milano, quasi scritta
da lui a Carlo Magno imperadore, colla relazion della traslazione
suddetta. I padri Papebrochio[253] e Pagi[254] ne han chiaramente
dimostrata la finzione. Oltre all'altre ragioni, basta osservare che
questo arcivescovo intitola sè stesso della casa Oldrada. Neppure oggidì
sogliono i vescovi sottoscriversi col cognome; e allora poi neppur
v'erano i cognomi distintivi delle case.
NOTE:
[243] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[244] Hermannus Contractus, in Chron.
[245] Sigebertus, in Chron.
[246] Marian. Scotus, in Chron.
[247] Baron., Annal. Eccl.
[248] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 48.
[249] Beda, lib. 6, de Sex Ætat.
[250] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 58.
[251] Mabill., Mus. Ital. pag. 221.
[252] Mabill., Annal. Benedict., lib. 19, cap. 78.
[253] Papebrochius, Act. Sanctor. Maj. tom. 7.
[254] Pagius, ad Annal. Baron.
Anno di CRISTO DCCXXIII. Indizione VI.
GREGORIO II papa 9.
LEONE Isauro imperadore 7.
COSTANTINO Copronimo Augusto 4.
LIUTPRANDO re 12.
Se Paolo Diacono seguitasse nella sua storia un ordine esatto di
cronologia, converrebbe mettere la morte di _Sereno_ patriarca
d'Aquileia circa l'anno 717, perchè da lui[255] riferita dopo l'andata a
Roma di _Teodone II_ duca di Baviera, la quale si crede succeduta
nell'anno precedente 716. Ma egli narra appresso l'entrata de' Saraceni
in Ispagna, la qual pure abbiam veduto che accadde nell'anno 711.
Tuttavia ci manca l'anno preciso della morte di quel patriarca. Sappiamo
ben di certo che dopo di lui fu eletto patriarca _Callisto_, uomo di
vaglia, che era allora arcidiacono della chiesa di Trivigi. Il re
Liutprando s'ingegnò per far cadere in lui l'elezione. Ai tempi di
questo patriarca, _Pemmone_, da noi veduto di sopra all'anno 706 duca
del Friuli, continuava in quel governo, col merito di avere allevati co'
suoi figliuoli tutti ancora i figliuoli de' nobili che erano periti a'
tempi del duca Ferdulfo nella battaglia contro degli Schiavoni. Ora
avvenne che un'immensa moltitudine di quei Barbari tornò ad infestare il
Friuli, e giunse fino ad un luogo appellato Lauriana. Pemmone con que'
giovani tutti ben addestrati nell'armi per tre volte diede loro la
caccia, e ne fece un gran macello, senza che vi restasse morto dei suoi,
se non un Sigualdo, uomo già attempato. Costui nella battaglia suddetta
di Ferdulfo avea perduto due suoi figliuoli, e nelle due prime zuffe del
duca Pemmone largamente se n'era vendicato colla morte di molti
Schiavoni. Quantunque poi esso duca gli vietasse di entrare nel terzo
conflitto, perchè forse il vedeva troppo arrischiato, pure non potè
Sigualdo contenersi dall'andarvi, con dire che avea bastantemente
vendicata la morte de' suoi figliuoli, e che però se la sua fosse
arrivata, di buon volto la riceverebbe. In fatti vi perì egli solo. Ma
Pemmone, uom saggio, volendo risparmiare il sangue dei suoi, trattò di
pace in quello stesso luogo con gli Schiavoni, i quali dopo aver avuta
sì buona lezione, da lì innanzi cominciarono a portar più rispetto ai
Furlani, e ad aver paura delle lor armi. Fu ordinato da papa _Gregorio
II_ in questo anno vescovo della Germania l'insigne s. _Bonifazio_,
apostolo di quelle contrade, che nell'Assia, nella Turingia, nella
Sassonia, e in altre parti che prima professavano il paganesimo, piantò
la santissima fede di Cristo. Circa questi tempi _san Corbiniano_
vescovo di Frisinga, come s'ha dalla sua vita scritta da Aribone[256],
venne a Roma. In passando per Trento si trovò _Ursingo_, ch'era ivi poco
fa stato posto per conte, cioè per governatore. Arrivò a Pavia, dove da
Liutprando re piissimo fu per sette giorni trattenuto con singolar
venerazione, regalato e scortato sino ai confini del regno. Lo stesso
trattamento ricevè egli nel suo ritorno verso la Baviera. Da essa vita
apparisce che il dominio dei re longobardi arrivava allora fino al
castello, ossia alla città di _Magia_ nella Germania. Sarebbe da vedere
se fosse situato questo luogo nel Tirolo.
NOTE:
[255] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 44.
[256] Mabil. tom. 2, Saecul. Benedict., pag. 606.
Anno di CRISTO DCCXXIV. Indizione VII.
GREGORIO II papa 10.
LEONE Isauro imperadore 8.
COSTANTINO Copronimo Augusto 5.
LIUTPRANDO re 13.
Intento giornalmente il re _Liutprando_ a ben regolare il regno
longobardico, e a provvederlo di quelle leggi che esigeva il bisogno de'
popoli, o che sembravano più utili al loro governo, pubblicò in
quest'anno il sesto libro delle sue leggi[257]. _Anno regni mei, Christo
protegente, XII, die kalendarum martiarum, Indictione VII_: nel qual
tempo doveva essere in uso che si tenesse la dieta del regno, vedendosi
le varie pubblicazioni delle leggi fatte nel principio di marzo, o in
quel torno, _una cum judicibus et reliquis Langobardis fidelibus
nostris_. Cento e due son le leggi pubblicate da esso re in quest'anno
intorno a diversi suggetti, fra' quali è da osservare che la nazion
longobarda avea bensì abiurato l'arianismo ed abbracciata la religion
cattolica, ma non mancavano persone che conservavano alcuna delle
antiche superstizioni del paganesimo. Ricorrevano agl'indovini, agli
aruspici, ed aveano qualche albero, appellato da loro santo o santivo,
dove faceano de' sagrifizii, e delle fontane ch'erano adorate da loro.
Liutprando re cattolico sotto rigorose pene proibì cotali superstizioni,
bandì tutti gl'indovini ed incantatori, ed incaricò gli uffiziali della
giustizia di star vigilanti per l'estirpazione di somiglianti abusi.
Apparisce inoltre da esse leggi che i notai scrivevano i contratti
secondo la legge romana per chi la professava, oppure secondo la
longobardica, seguitata dagli uomini di quella nazione. Proibisce egli
inoltre alle vedove il farsi monache prima che sia passato un anno dopo
la morte del marito, quando non ne ottengano licenza dal re; perchè,
dice egli il dolore in casi tali fa prendere delle risoluzioni, alle
quali succede poi il pentimento. E nella legge LXV questo saggio
rechiaramente protesta di conoscere bensì, ma di non approvare la
sciocchezza dei duelli, perchè con essi temerariamente si vorrebbe
forzar Dio a dichiarar la verità delle cose a capriccio degli uomini;
contuttociò protesta di permettere e tollerar questo abuso, perchè non
osa di vietarlo, essendone sì radicata e forte la consuetudine presso
de' Longobardi, come parimente era presso dei Franchi e degli altri
popoli settentrionali. Dal catalogo dei duchi di Spoleti, che si legge
sul principio della Cronica di Farfa[258] da me data alla luce,
impariamo che nell'anno presente fu creato duca di Spoleti _Trasmondo_.
Egli era figliuolo di _Faroaldo II_ duca. Impaziente di succedere al
padre nel comando, non volle aspettar la sua morte, ma, per
testimonianza di Paolo Diacono[259], si ribellò contro di lui, e
l'obbligò a deporre il governo e a prendere l'abito clericale.
Bernardino dei conti di Campello[260] lascia qui la briglia alla sua
immaginazione e penna, per dipingerci i motivi e la maniera di questa
rivoluzione; ma il vero è, non sapere noi altro, se non quel pochissimo
che il suddetto Paolo lasciò scritto intorno a questo affare. Per altro
si può credere che Faroaldo II fondasse la badia di san Pietro di
Ferentillo, divenuta poi celebre luogo di divozione; e che egli,
ritiratosi colà, vi passasse il resto di sua vita. Questo duca
_Trasmondo_, per quanto si ha dalla Cronica suddetta di Farfa, donò a
quell'insigne monistero, mentre v'era abbate Lucerio, la chiesa di s.
Getulio, dove si venerava il corpo di esso santo, e delle terre nel
fondo Germaniciano. Verisimilmente cotal donazione, siccome fatta nel
mese di maggio _dell'Indizione VII_, dovrebbe appartenere all'anno
presente.
NOTE:
[257] Leges Langobard., P. II, tom. 1 Rer. Ital.
[258] Chron. Farfense, Part. II, tom. 2 Rer. Italic.
[259] Paulus Diacon., lib. 6, cap. 44.
[260] Campell., Storia di Spoleti, lib. 12 e 13.
Anno di CRISTO DCCXXV. Indizione VIII.
GREGORIO II papa 11.
LEONE Isauro imperadore 9.
COSTANTINO Copronimo Augusto 6.
LIUTPRANDO re 14.
Divenuti già padroni della Linguadoca i Saraceni, tentarono nel presente
anno di passare il Rodano. Ma _Eude_ insigne duca d'Aquitania coll'oste
generale de' Franzesi andò ad assalirli, e ne riportò un'insigne
vittoria, accennata da Anastasio bibliotecario[261] e da Paolo
Diacono[262]. _Carlo Martello_, altro eroe della nazion franca, in
questi tempi ostilmente entrò nella Baviera; ne soggiogò e saccheggiò
una parte, cioè la spettante a _Grimoaldo_ duca; seco condusse
_Piltrude_ concubina famosa d'esso Grimoaldo, con _Sonichilde_ nipote
d'essa Piltrude ossia Biltrude. Essendogli morta _Rotrude_ sua moglie,
madre di Pippino e di Carlomano, egli sposò la predetta Sonichilde. Ma
Piltrude dopo essere stata alcun tempo in sua grazia, per relazion di
Aribone nella vita di s. Corbiniano[263], fu costretta a ricoverarsi con
un asinello in Italia, dove miseramente terminò la sua vita. Ella era
stata persecutrice d'esso s. _Corbiniano_ vescovo di Frisinga, perchè il
trovò contrario alla disonesta sua vita. Scrive il padre Mabillone[264],
che il re _Liutprando_ per l'amicizia da lui sempre conservata coi re
franchi, prese l'armi anch'egli contra della Baviera, ma non cita onde
s'abbia tratta questa notizia. Senza buone prove non si dee credere
ch'egli rendesse sì brutta ricompensa al popolo della Baviera, dal cui
braccio egli riconosceva la corona del regno longobardico, e fors'anche
era di quella nazione. In quest'anno parimenti abbiamo dalle memorie
dell'archivio farfense[265], che _Trasmondo_ duca di Spoleti fece una
donazione a quel nobilissimo monistero _mense januario, Indictione
octava, sub Rimone Castaldione_. Nel registro d'esso archivio
medesimamente si legge una vendita di olivi fatta a _Tommaso_ abbate
_temporibus Transmundi ducis Langobardorum, et Sindolfi Castaldionis
civitatis Reatinae_: dal che si conosce che la città di Rieti era
sottoposta ai duchi di Spoleti. Ma non so io ben accordar gli anni
d'esso Tommaso abbate con quei del duca Trasmondo. Abbiamo poi da Andrea
Dandolo[266], che essendo mancato di vita _Donato_ patriarca di Grado,
_Pietro_ vescovo passò a quella Chiesa. Ma queste trasmigrazioni da una
chiesa all'altra, non essendo secondo la disciplina di que' tempi sì
tollerate ed approvate, come oggidì, Gregorio II papa zelantissimo il
dichiarò decaduto dall'una e dall'altra chiesa. Tanto nondimeno valsero
le preghiere del clero e popolo di Venezia, ch'egli fu rimesso nella sua
prima sedia. E perciocchè si sapeva, o vi doveva essere sospetto ch'esso
Pietro per vie simoniache sì fosse intruso nel patriarcato suddetto, il
papa avvertì i Veneziani di non eleggere pastori, se non nelle forme
approvate da Dio e dalla Chiesa. Dicesi data la lettera pontificia
nell'_anno IX di Leone_ Isauro imperadore; e però nel presente anno.
Succedette dunque nella cattedra di Grado _Antonio_ di nazion padovano,
dianzi abbate del monistero della Trinità di Brondolo, dell'ordine di s.
Benedetto, personaggio sommamente cattolico e dabbene.
NOTE:
[261] Anastas., in Gregor. II.
[262] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 46.
[263] Mabill., Saecul. Benedict. tom. II.
[264] Idem, Annal. Benedictin. lib. 20, cap. 53.
[265] Antiquit. Italic. Dissert. LXVII.
[266] Dandul., in Chronic., tom. 12 Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCCXXVI. Indiz. IX.
GREGORIO II papa 12.
LEONE Isauro imperad. 10.
COSTANTINO Copronimo Augusto 7.
LIUTPRANDO re 15.
Cominciò in quest'anno _Leone Isauro_ una tragedia che sconvolse non
poco la Chiesa di Dio, e pose i fondamenti per far perdere l'Italia
agl'imperadori greci. Per attestato di Teofane[267], di Niceforo[268] e
d'altri storici, fra le isole di Tera, o Terasia, per alcuni giorni il
mare bollì furiosamente, uscendo da un vulcano sottomarino un fumo
infocato ed un'immensa moltitudine di pomici che si sparsero per tutta
l'Asia Minore, per Lesbo e per le coste della Macedonia, con essere nata
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