Annali d'Italia, vol. 3 - 10

[199] Baron., Annal. Eccl.
[200] Pagius, ad Annal. Baron.
[201] Antiquitat. Italic., tom. 3, pag. 1005.
[202] Antiquit. Ital., Dissertat. LXXIV.


Anno di CRISTO DCCXIII. Indizione XI.
COSTANTINO papa 6.
ANASTASIO imperadore 1.
LIUTPRANDO re 2.

Potrebb'essere che in quest'anno fosse succeduta l'andata di _Benedetto_
arcivescovo di Milano, uomo di santa vita, a Roma per sua divozione,
narrata da Paolo Diacono[203] e da Anastasio bibliotecario[204]. Con tal
occasione il buon prelato spiegò le sue querele al trono pontificio,
pretendendo che a lui appartenesse il consecrare i vescovi di Pavia,
come a metropolitano. Ma essendosi trovato che la Chiesa romana da gran
tempo era in possesso di consecrar que' sacri pastori, sia perchè
all'arrivo dei Longobardi in Italia l'arcivescovo di Milano si ritirò in
Genova, soggetta all'imperadore, e seguitarono a dimorar colà alcuni
suoi successori; oppure perchè i re longobardi procurassero al vescovo
della loro principal residenza l'esenzione dal metropolitano: comunque
fosse, certo è ch'esso arcivescovo ebbe la sentenza contro; e però
seguitarono sempre da lì innanzi i vescovi di Pavia ad essere
indipendenti dalla cattedra di Milano, ed immediatamente sottoposti al
romano pontefice. Per altro anticamente non fu così, siccome io
dimostrai in una dissertazione[205] stampata nell'anno 1697. Abbiamo poi
attestato da esso Paolo Diacono la santità dell'arcivescovo Benedetto,
il quale in fatti non cercò allora di acquistare un nuovo ed inusato
diritto sopra la Chiesa di Pavia, ma bensì di ricuperare e conservare
l'antica sua autorità. In Roma stessa seguì nel presente anno uno
sconcerto[206]. V'era per governatore _Cristoforo duca_. Per
iscavalcarlo da quel posto, un certo _Pietro_ ricorse all'esarco di
Ravenna, che gli diede le patenti di quel governo. Ma essendo che i
Romani non voleano sentir parlare di _Filippico_ imperador monotelita, a
nome o col nome del quale era stato dato posto a Pietro, buona parte di
loro si unì con determinazione di non voler questo duca. La fazione
adunque che sosteneva Cristoforo si azzuffò coll'altra che era in favore
di Pietro, nella via sacra davanti al palazzo, e ne seguirono morti e
ferite. Più oltre si sarebbe dilatato questo fuoco, se papa _Costantino_
non avesse inviato de' sacerdoti, che coi santi vangeli e colle croci
divisero la baruffa. E buon per la parte di Pietro, la quale già
soccombeva; ma perciocchè fu fatta ritirar l'altra parte che si chiamava
la cristiana, Pietro proditoriamente se ne prevalse, e fece credere
d'essere rimasto vincitore. Poco poi stette ad arrivar dalla Sicilia la
nuova che l'eretico imperador _Filippico_ era stato deposto. Come
seguisse la di lui caduta l'abbiamo da Teofane, da Niceforo, da Zonara e
da Cedreno. Molti erano malcontenti di questo principe dopo averlo
scoperto nemico del concilio sesto universale, e tanto più perchè egli,
a cagione di questa sua alienazione dalla sentenza cattolica, s'era
messo a perseguitare i vescovi cattolici. S'aggiunse che i Bulgari
fecero un'improvvisa irruzione fino al canale di Costantinopoli, e molti
ancora passarono di là, con fare un terribil saccheggio e condur via
un'immensa quantità di prigioni, senza che Filippico facesse provvisione
alcuna in queste calamità. I Saraceni anch'essi, dopo aver preso Mistia
ed Antiochia di Pisidia, fecero dalla lor parte di simili incursioni con
riportarne un incredibil bottino. Ora congiurati alcuni senatori,
mossero Rufo primo cavallerizzo a deporre questo inetto e mal gradito
imperadore. Nella vigilia di Pentecoste con una truppa di soldati entrò
esso Rufo nel palazzo, e trovato Filippico che dopo il pranzo dormiva,
il trasse fuori, gli fece cavar gli occhi, ma non gli tolse la vita. Nel
dì seguente di Pentecoste, essendosi raunato il popolo nella gran
chiesa, fu eletto e coronato imperadore _Artemio_, primo de' segretarii
di corte, a cui fu posto il nome di _Anastasio_. Era egli versatissimo
negli affari, dottissimo e zelante della vera dottrina della Chiesa. Non
tardò il medesimo Augusto a spedire in Italia un nuovo esarco, cioè
_Scolastico_ patrizio e suo gentiluomo di camera, che portò a papa
Costantino[207] l'imperial lettera, con cui si dichiarava seguace della
Chiesa cattolica, e difensore del concilio sesto generale: il che recò
una somma contentezza al papa e al popolo romano. Ed allora fu che
_Pietro_ fu pacificamente installato nella dignità di duca e governatore
di Roma, con aver prima data parola di non offendere chi s'era opposto
in addietro al suo avanzamento. Fece in questo anno il re _Liutprando_
una giunta di nuove leggi a quelle di Rotari e di Grimoaldo. Nella
prefazione da me stampata[208] nel corpo delle leggi longobardiche, egli
s'intitola _christianus et catholicus Deo dilectae gentis Langobardorum
rex._ Soggiugne di aver fatte esse leggi _anno, Deo propitio, regni mei
primo pridie kalendas martias, indictione undecima, una cum omnibus
judicibus_ (cioè coi conti, o vogliam dire governatori della città) _de
Austriae et Neustriae partibus, et de Tusciae finibus, cum reliquis
fidelibus meis Langobardis et cuncto populo assistente._ Però è da
notare che non si stabilivano allora, nè si pubblicavano leggi senza la
dieta del regno e l'approvazione de' popoli. Con ciò ancora vien
confermata la cronologia d'esso re Liutprando, correndo nell'_indizione
undecima_, cioè nell'anno presente, il primo anno del regno suo. Noi
troviamo in un documento[209] di quest'anno Walperto (lo stesso che
Gualberto) duca della città di Lucca, cioè governatore di quella città.
NOTE:
[203] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 29.
[204] Anast., in Constant.
[205] Anecdot. Latin. tom. 1.
[206] Anastas., in Constant.
[207] Anastas., in Constant.
[208] Leges Langobard., P. II, T. I Rer. Italic.
[209] Antiquit. Italic., tom. 1, p. 227.


Anno di CRISTO DCCXIV. Indizione XII.
COSTANTINO papa 7.
ANASTASIO imperadore 2.
LIUTPRANDO re 3.

Erasi già assodato nel regno il re Liutprando, e tutto era in pace,
quando si venne a scoprire una trama ordita contra di lui nella stessa
Pavia[210]. Rotari suo parente quegli era che macchinava di torgli la
vita con isperanza, per quanto si può conghietturare, di succedergli nel
regno. A tal fine aveva egli preparato un convito in sua casa, dove
pensava d'invitare il re, e messi in disparte degli sgherri fortissimi,
che nel più bello del pranzo doveano fare la festa al re. N'ebbe sentore
Liutprando, e però mandò a chiamar Rotari; e, giunto costui alla sua
presenza, tastò colle mani s'era vero che portasse il giaco sotto ai
panni, come gli era stato supposto, e trovò ch'era così. Rotari scoperto
diede indietro, e sfoderò la spada per uccidere il re, ma il re non fu
mica pigro a sguainar la sua. Allora una delle guardie, per nome Sabone,
prese per di dietro Rotari, con restare ferito da lui nella fronte.
Accorsero l'altre guardie, e saltandogli addosso, lo stesero morto a
terra. Quattro suoi figliuoli, che non erano a questo spettacolo,
restarono anche essi uccisi, dovunque furono trovati. Per attestato poi
di Paolo Diacono, era Liutprando di mirabil ardire. Gli fu riferito che
era scappato detto a due de' suoi scudieri di volerlo ammazzare. Un dì
li fece venir seco nel più folto d'un bosco, e messa mano alla spada, li
rimproverò per l'iniquo loro disegno, con soggiugnere che era allora il
tempo di eseguirlo. Gli caddero a' piedi impauriti con rivelargli il
meditato delitto, e chiedergli misericordia. Così fece con altri; e
bastava confessare e dimandar mercè, che egli dipoi generosamente
perdonava. Attese in quest'anno il saggio imperadore _Anastasio_,
secondo la testimonianza di Teofane[211], a fortificare e provveder di
viveri la città di Costantinopoli, e far de' mirabili preparamenti per
terra e per mare, affin di mettere argine alle continuate conquiste de'
Saraceni, non lasciando di trattar nello stesso tempo con loro di pace,
e massimamente perchè voce correa che volessero venir sotto
Costantinopoli. L'anno poi fu questo, in cui venne a morte _Pippino_ di
Eristallo, potentissimo maggiordomo del regno di Francia. A lui
succedette nel medesimo grado _Carlo_ appellato _Martello_, che Alpaide
sua concubina gli avea partorito, giovane di ventiquattr'anni, ma di un
valore ed ingegno rarissimo. Egli avea per moglie _Rotrude_, da cui
erano già nati _Carlomanno_ e _Pippino_, che poi fu re di Francia. Ma
per la morte del suddetto Pippino d'Eristallo si sconvolse tutto il
reame de' Franchi, di maniera che seguirono varie battaglie con
ispargimento di gran sangue dei popoli, come s'ha dagli scrittori della
storia franzese. Da uno strumento scritto sotto questa indizione
nell'_anno secondo_ del re Liutprando, citato dal padre Mabillone[212],
si ricava che continuava tuttavia nel governo di Lucca _Walperto_, ossia
_Gualberto_, in qualità di duca o governatore, del quale s'è fatta di
sopra nel fine dell'anno precedente menzione.
NOTE:
[210] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 38.
[211] Theoph., in Chronogr.
[212] Mabill., Annal. Benedict., lib. 19, cap. 78.


Anno di CRISTO DCCXV. Indizione XIII.
GREGORIO II papa 1.
ANASTASIO imperadore 3.
LIUTPRANDO re 4.

Terminò in quest'anno _Costantino_ papa il suo pontificato, chiamato da
Dio a miglior vita nel dì 8 di aprile, per quanto crede il padre
Pagi[213], con lasciar dopo di sè una gloriosa memoria. A lui succedette
_Gregorio II_ romano di nazione, ordinato papa nel dì 19 di maggio[214],
che maggiormente illustrò la Chiesa romana colla santità dei costumi e
colle sue insigni azioni. Era egli stato allevato fin dalla sua più
verde età nel clero della basilica lateranense, e salito per varii gradi
al diaconato, aveva accompagnato papa Costantino alla corte imperiale,
dove diede buon saggio del suo sapere. Trovavasi appunto unita in lui la
scienza delle divine Scritture, l'amore della castità, la facondia del
parlare, e la fermezza d'animo, specialmente nella difesa della dottrina
e di ciò che riguarda la Chiesa cattolica. Nè minore fu il suo zelo per
la sicurezza di Roma sua patria; e lo fece ben tosto conoscere, perchè
appena fu entrato nella sedia pontificale, che fatte far delle fornaci
di calce, ordinò che si ristaurassero le mura di quell'augusta città; e
se ne cominciò in fatti la fabbrica dalla porta di san Lorenzo, ma non
si proseguì poi per cagione di varii impedimenti che sopravvennero.
Saputasi in Costantinopoli la di lui elezione, _Giovanni_ patriarca gli
scrisse tosto una lettera composta nel sinodo. E noi sappiam bene da
Anastasio che Gregorio gli rispose, ma non sappiam già cosa contenesse
la di lui risposta. Abbiamo poi da Teofane[215] che in questo medesimo
anno esso patriarca Giovanni, perchè favoriva o almeno avea favorito i
monoteliti, fu deposto per ordine dell'imperador _Anastasio_, e
sostituito in suo luogo _Germano_, figliuolo del già Giustiniano
patrizio, arcivescovo di Cizico, e in gran concetto per la sua rara
letteratura, e più per le virtù insigni dell'animo suo e per lo zelo
della dottrina cattolica: i quali pregi col tempo il fecero aggiugnere
al catalogo de' santi. Circa questi tempi, siccome abbiamo da Andrea
Dandolo[216], _Paoluccio_ duca di Venezia procurò a sè stesso e al suo
popolo l'amistà del re _Liutprando_, e ne ottenne un diploma, in cui
erano concedute varie esenzioni ai Veneti nel regno de' Longobardi, con
esprimere ancora i confini d'Eraclea, ossia di Città-nuova fra l'uno e
l'altro dominio, dalla Piave maggiore fino alla Piavicella: certo
essendo che le isole componenti Venezia erano escluse dal regno dei
Longobardi. A questa determinazion dei confini per la parte del duca
intervenne _Marcello_ generale della milizia, e n'è fatta menzione nei
diplomi che susseguentemente riportarono gli altri duchi o dogi di
Venezia dai re d'Italia. Di sopra all'anno 707 vedemmo fatta dal re
_Ariberto_ II la donazione, ossia la restituzione del patrimonio
dell'Alpi Cozie alla Chiesa romana. Non approvò il re Liutprando tal
concessione, e tornò a metter le mani addosso a que' beni e censi. Ma
con tal premura e forza l'intrepido pontefice _Gregorio II_ gli scrisse
intorno a questo affare, con far valere le ragioni della Sede
apostolica[217], che Liutprando cedette e confermò ad essa santa Sede
quanto avea conceduto il re Ariberto II. Fu il presente anno l'ultimo
della vita di _Dagoberto III_ re de' Franchi, al quale succedette
_Chilperico II_, in tempi appunto che tutta la Francia era sossopra per
le guerre civili e per le dispute del grado di maggiordomo. Era stato
posto prigione _Carlo Martello_ da Plettrude sua matrigna, ma ebbe la
maniera di scappare e di rimettere in piedi il suo partito, con istradar
poscia al regno i suoi discendenti. Finì ancora di vivere in quest'anno
_Valid_ califfo ed imperador de' Saraceni, dopo aver sottomessa al suo
imperio quasi tutta la Spagna, e gli succedette suo fratello _Solimano_.
Bolliva più che mai la lite agitata fra' vescovi di Arezzo e di Siena,
per cagione, non già di una parrocchia, ma di molte, che l'uno e l'altro
pretendevano essere di sua giurisdizione. Aveva il re Liutprando
nell'anno precedente inviato _Ambrosio_ suo maggiordomo a conoscere
questa controversia, e davanti a questo ministro fu agitata la causa da
_Luperziano_ vescovo di Arezzo, e da _Adeodato_ vescovo di Siena.
Allegava il primo un immemorabil possesso di varie chiese battesimali e
di alcuni monisteri, posti bensì nel distretto di Siena, ma sottoposti
al vescovo aretino, fin quando i romani imperadori signoreggiavano la
Toscana. Rispondeva il vescovo sanese, che allorchè i Longobardi
s'impadronirono della Toscana, Siena non avea vescovo; l'ebbe dipoi ai
tempi del re Rotari; e che i Sanesi aveano pregato il vescovo d'Arezzo
di prendersi cura di quelle chiese; ed aver ben l'aretino co' suoi
successori esercitate quivi le funzioni episcopali, ma precariamente; e
per conseguente doversi que' luoghi sacri restituire. La sentenza fu
proferita dal suddetto Ambrosio in favore della Chiesa aretina, perchè
costava dell'immemorabil possesso. Ne è riferito l'atto
dall'Ughelli[218], scritto _regnante Liutprando rege anno tertio,
indictione XI_: dee dire _Indict. XII_. Rapporta eziandio esso Ughelli
il diploma di approvazione fatta di quel giudicato dal re _Liutprando_:
_Datum Ticini in palatio regio, sexta die mensis martii, anno
felicissimi regni nostri tertio, indictione tertia decima_, cioè in
quest'anno. Dubitò l'Ughelli della legittimità di tali atti; ma senza
ragione. Ho io dato alla luce altri atti di questa lite[219], spettanti
al medesimo anno presente, e che confermano i precedenti. Da essi
apprendiamo, che essendosi richiamato il vescovo di Siena pel giudicato
suddetto, fu deputato Gunteramo notaio all'esame di varie persone, per
conoscere lo stato di quelle Chiese nei tempi antichi; e tal esame, che
serve di molto all'erudizion di quei tempi, fu fatto _sub die XII
kalendarum juliarum, Indictione tertiadecima_, cioè nel dì 20
di giugno dell'anno presente. Successivamente secondo l'ordine
dell'_eccellentissimo re Liutprando_ unitisi con esso Gunteramo
_Teodaldo_ vescovo di Fiesole, _Massimo_ vescovo di Pisa, _Specioso_
vescovo di Firenze, e _Talesperiano_ vescovo di Lucca, disaminarono le
ragioni dei suddetti due vescovi litiganti, ed ascoltarono i testimoni.
Dopo di che decisero in favore del vescovo di Arezzo. Il giudicato loro
fu fatto _V die mensis julii, regnante suprascripto domno nostro
excellentissimo Liutprando rege, anno quarto perindictio tertiadecima_,
cioè nell'anno presente; riconoscendo da tali note, che Liutprando
cominciò a regnare prima del dì 5 di luglio dell'anno 712. Leggesi
finalmente pubblicato parimente da me il giudicato del medesimo re sopra
questa controversia in favore del vescovo di Arezzo, con essere fra gli
altri giudici intervenuto ad esso giudizio _Theodorus episcopus Castri
nostri_, e inoltre _Auduald dux_. Ho io gran sospetto che questo
_Teodoro_ sia stato vescovo di Pavia, e che l'Ughelli non l'abbia posto
al suo sito. Allora Pavia era anche appellata _Castrum_, perchè
fortezza, perciò scelta per più sicura abitazione dai re longobardi.
Anche da Ennodio[220] viene accennata _Ticinensis Oppidi Augustia_.
Poichè per conto del duca _Audoaldo_ ne aveva io rapportato nelle
Antichità estensi l'epitaffio tuttavia esistente in Pavia, senza sapere
a quali tempi esso appartenesse. Conoscendosi ora che esso duca visse
sotto il re Liutprando, non dispiacerà ai lettori che io lo rapporti
ancor qui:
SUB REGIBVS LIGVRIAE DVCATVM TENVIT AVDAX
AVDOALD ARMIPOTENS, CLARIS NATALIBUS ORTVS,
VICTRIX CVIVS DEXTRA SVBEGIT NAVITER HOSTES
FINITIMOS, ET CVNCTOS LONGE LATEQVE DEGENTES,
BELLIGERAS DOMAVIT ACIES, ET HOSTILIA CASTRA
MAXIMA CVM LAVDE PROSTRAVIT DIDIMVS ISTE,
CVIVS HIC EST CORPVS HVIVS SVB TEGMINE CAVTIS.
Più sotto si leggono queste altre parole:
LATE AT NON FAMA SILET, VVLGATIS FAMA TRIVMPHIS.
QVAE VIVVM, QVALIS FVERIT, QVANTVSQVE PER VRBEM
INNOTVIT, LAVRIGERVM ET VIRTVS BELLICA DVCEM;
SEXIES QVI DENIS PERACTIS CIRCITER ANNIS
SPIRITVM AD AETHERA MISIT, ET MEMBRA SEPVLCRO
HVMANDA DEDIT, PRIMA CVM INDICTIO ESSET.
DIE NONARVM IULIARVM, FERIA QVINTA.
Dalle quali parole intendiamo che questo duca _Audoaldo_ morì in età di
sessant'anni nel dì 7 di luglio dell'anno 718.
NOTE:
[213] Pagius, ad Annal. Baron.
[214] Anastas., in Gregor. II.
[215] Theophanes, in Chronogr.
[216] Dandol., in Chronic., tom. 12 Rer. Italic.
[217] Anastas., in Gregor. II. Paulus Diaconus, lib. 7, cap. 43.
[218] Ughell., Ital. Sacr., tom. I Episcop. Aretin.
[219] Antiquit. Italic. Dissert. 74.
[220] Ennod., in Vit. S. Epiphani Ticinens. Episcop.


Anno di CRISTO DCCXVI. Indizione XIV.
GREGORIO II papa 2.
TEODOSIO imperadore 1.
LIUTPRANDO re 3.

Degno era l'imperadore _Artemio_, detto _Anastasio_, di lungamente tener
le redini dell'imperio romano, che sotto il suo saggio ed attivo governo
già sperava di rinvigorirsi e di risarcire in parte le perdite fatte. Ma
gli animi de' popoli per difetto dei passati Augusti aveano contratte
delle malattie, la principal delle quali era di abborrir la cura de'
medici. Avea preparata il buon imperadore una forte squadra di navi e di
armati, per inviarla contro de' Saraceni, e questa era giunta a Rodi;
quando per varii pretesti ammutinate quelle soldatesche, uccisero il
general dell'armata, e in vece di proseguire il cammino, se ne tornarono
a Costantinopoli. Trovato un certo _Teodosio_, esattor delle gabelle
pubbliche, benchè uomo inetto ai grandi affari, contuttochè egli
resistesse e fuggisse, pure il forzarono a prendere il titolo
d'imperadore, _Anastasio_ a questa nuova, dopo aver lasciata una buona
guardia alla città, volò a Nicea, e quivi si fortificò. Per sei mesi
durò l'assedio di Costantinopoli, seguendo ogni dì qualche baruffa fra i
difensori e i ribelli. Trovaronsi in fine dei traditori che introdussero
nella regal città quei scellerati, e diedero loro la comodità
d'infierire sopra gli abitanti con un sacco generale e coll'incendio
d'assaissime case. Costoro, ingrossati dai Goto-Greci restarono talmente
superiori, che Artemio Anastasio veggendo disperate le cose, trattò
d'accordo, con che gli fosse salvata la vita. Però deposto il manto
imperiale, elesse la veste monastica e fu relegato da Teodosio nuovo
Augusto a Salonichi. In tal maniera restò pacificamente imperadore esso
_Teodosio_, il quale, siccome buon cattolico, fece rimettere in pubblico
la pittura del concilio sesto generale, abolita dianzi dall'empio
Filippico; il che gli guadagnò qualche stima ed amore presso il popolo.
Circa questi tempi _Faroaldo II_ duca di Spoleti, per attestato di Paolo
Diacono[221], alla testa del suo esercito venne alla città di Classe,
tre miglia lungi da Ravenna, e non vi trovando difesa per l'improvvisata
del suo arrivo, se ne impadronì. Ne fece doglianze l'esarco _Scolastico_
al re _Liutprando_, ed egli disapprovando quell'occupazione, siccome
fatta sotto il mantello della pace, ordinò a Faroaldo di restituirla; e
così fu fatto. Il conte Bernardino di Campello nella sua storia di
Spoleti[222] fa di molte frange a quest'azione, con poche parole
raccontata da Paolo Diacono, volendo fra l'altre cose far credere che i
duchi di Spoleti fossero indipendenti dall'autorità dei re longobardi, e
che que' popoli non avessero alcun sopra di loro, fuorchè il proprio
duca. Con tal pretensione non si accorda già la storia di questi tempi.
Ne' medesimi giorni ancora venne a Roma per sua divozione _Teodone II_
duca della Baviera. Ma nell'ottobre di quest'anno fu afflitta essa città
di Roma da una terribil inondazione del fiume Tevere, accennata da
Anastasio[223]. Durò essa per sette giorni, ed era alta l'acqua nelle
piazze e contrade. Atterrò molte case, portò via infiniti alberi, ed
impedì la seminagione. Varie processioni e preghiere furono intimate dal
santo papa, e tornaron l'acque all'usato loro cammino.
NOTE:
[221] Paulus Diaconus, lib. 6, cap 44.
[222] Campelli, Istoria di Spoleti lib. 12.
[223] Anastas., in Gregor. II.


Anno di CRISTO DCCXVII. Indizione XV.
GREGORIO II papa 3.
LEONE Isauro imperadore 1.
LIUTPRANDO re 6.

Alle leggi longobardiche fu ancora in quest'anno fatta dal re Liutprando
un'altra giunta[224] _die kalend. martii anno regni nostri, Deo
propitio, V, indictione XV_, coll'intervento ed assenso dei primati del
popolo. Ivi egli è intitolato _excellentissimus rex gentis felicissimae,
catholicae, Deoque dilectae Langobardorum_. Godeva in fatti sotto quei
re un'invidiabil pace il loro popolo, ed era con vigore amministrata la
giustizia: al contrario dell'imperio romano in Oriente, sconvolto da
tante rivoluzioni, lacerato da tante parti dai Saraceni, e governato
bene spesso da imperadori o inetti, o eretici, o crudeli: dei quali
disordini entrava talvolta a parte anche il paese che restava sotto il
loro dominio in Italia. Succedette appunto in quest'anno, secondo la
testimonianza di Teofane[225] e di Niceforo[226], una nuova mutazion di
principe in Costantinopoli. Andavano alla peggio gli affari pubblici per
l'insufficienza di _Teodosio_ imperadore; e il peggio era che si sentiva
un formidabil preparamento dalla parte de' Saraceni e di _Solimano_ loro
califa ed imperadore, per venire all'assedio di quella imperial città.
Però cominciarono tanto i pubblici magistrati quanto gli uffiziali della
milizia ad esortar Teodosio, che volesse dimettere l'eccelsa sua carica,
e lasciar luogo in sì gran bisogno e pericolo del pubblico a chi avesse
più abilità e petto. Acconsentì egli da saggio, si ritirò, ed arrolatosi
col figliuolo nella milizia ecclesiastica, passò tranquillamente il
resto de' suoi giorni. Appresso fu eletto imperadore _Leone_, generale
allora dell'esercito di Oriente, nato in Isauria, e però conosciuto
sotto nome di _Leone Isauro_, uomo di gran coraggio. Salì egli sul trono
nel dì 23 di marzo, e poco stette a significar con sue lettere la
esaltazione sua al sommo pontefice _Gregorio II_, con una chiara
profession della fede cattolica: il che bastò perchè fosse ammessa la
immagine di lui in Roma, e il papa s'impegnasse tutto alla conservazione
del di lui stato in Italia. E forse fu in questi tempi che i Longobardi
del ducato beneventano sotto il duca _Romoaldo II_ con frode occuparono
il castello di Cuma, che era allora una buona fortezza dipendente dal
ducato di Napoli. Portatane a Roma la nuova, tutta la città ne restò
molto afflitta, ma specialmente papa Gregorio[227], a cui è molto
credibile che lo imperadore avesse raccomandata la difesa de' suoi
dominii in Italia. Procurò prima il vigilantissimo papa con preghiere
d'indurre i Longobardi a restituire il mal tolto; adoperò poscia le
minacce dell'ira di Dio; esibì loro un grosso regalo: tutto indarno; più
ostinati e superbi che mai i Longobardi tennero salda la preda, e n'era
molto in pena il buon pontefice. Cominciò dunque a scriver lettere a
_Giovanni_ duca di Napoli, e gl'insegnò la maniera di ricuperar
quell'importante luogo. In fatti esso duca con Teotimo suddiacono e
correttore, menando seco un buon corpo di truppe, di mezza notte diede
la scalata a quel castello, ed entrato dentro vi ammazzò trecento di
quei Longobardi, e cinquecento ne menò prigioni a Napoli. Per ricuperare
questo castello spese lo zelante papa settanta libbre d'oro. In
quest'anno medesimo si effettuò il già temuto assedio di Costantinopoli.
Con un immenso esercito di fanti e cavalli venne allo stretto[228]
Masalma, ossia Malsamano, generale de' Saraceni, e passato nella Tracia
nel dì 15 di agosto, diede principio a strignere quella imperial città.
Sopravvenne per mare nel dì primo di settembre lo stesso califa ossia
imperador de' Saraceni _Solimano_ con mille ed ottocento vele, e con
alcune navi di smisurata grandezza ed altezza, e dalla parte dello
stretto cominciò anch'egli ad infestar la città. Non ommise in tal
congiuntura diligenza alcuna l'imperador _Leone_ per la difesa; e il
popolo confidato specialmente nella protezion della beatissima Vergine
Madre di Dio della quale era divotissimo, sostenne sempre con animo
coraggioso ed allegro tutti gli assalti e le fatiche della guerra.
Meglio che mai si provò allora di quanta attività ed aiuto fosse il
fuoco greco. Portato questo con barche incendiarie, e gittato con sifoni
addosso ai legni nemici, non picciola parte ne distrusse. Arrivò poscia
il verno, che fu dei più orridi, perchè più di tre mesi stette coperta
la terra di ghiacci e nevi: il che cagionò una gran mortalità ne'
cavalli, cammelli ed altre bestie de' Saraceni. Terminò la sua vita in
quest'anno il califa _Solimano_, ed ebbe per successore _Umaro_ ossia
_Omaro_. Secondo la Cronica di Andrea Dandolo[229] essendo venuto a
morte _Paoluccio_ duca di Venezia, conoscendo il popolo che alla
pubblica concordia conferiva di molto d'avere un capo e duca, elessero
per suo successore _Marcello_, che fu il secondo fra i loro dogi.
NOTE:
[224] Leges Langobard. P. II Tom. I, Rer. Italic.
[225] Theoph., in Chronogr.
[226] Niceph., in Chron.
[227] Anastas., in Greg. II. Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 40.
[228] Theoph., in Chronogr.
[229] Andreas Dandulus, in Chron. Tom. 12, Rer. Italic.


Anno di CRISTO DCCXVIII. Indizione I.
GREGORIO II papa 4.
LEONE Isauro imperadore 2.
LIUTPRANDO re 7.

Ebbe fine in quest'anno gloriosamente per i Greci l'assedio di
Costantinopoli, intrapreso nell'anno addietro dei Saraceni[230]. Nella
primavera comparve in aiuto di costoro una flotta di cinquecento navi,
ed altrettante minori barche che venivano dall'Egitto cariche di grani.
Un altro stuolo parimente di trecento sessanta legni, pieni d'armi e di
vettovaglie giunse dall'Africa. Ambedue per paura del fuoco greco si
ancorarono molto lungi dalla città. Ma Leone mandò a trovarle una man di
galeotte provvedute di quel fuoco micidiale, quando men sel pensavano; e
parte ne incenerì, parte ne prese, e ne ricavarono un ricco bottino i
suoi soldati. Mentre ancora un grosso corpo di quegl'infedeli devastava
la Tracia, fu bravamente disfatto dai Cristiani. Crescendo poi la fame
nel campo saracenico, furono costretti quei Barbari a mangiar le carni
di tutti quei cavalli, cammelli ed asini che morivano. Ebbero ancora una
fiera percossa dai Bulgari, dicendosi che per loro mano restarono uccise
ben ventidue migliaia di Saraceni. In somma tante furono le avversità,
che, per misericordia di Dio ed intercessione della santissima Vergine,
piombarono addosso a quell'infedele esercito, che nel dì 15 d'agosto
sciolsero l'assedio, e s'inviarono verso le loro contrade. Ma non vi
arrivarono. Insorta nel viaggio una terribil burrasca, disperse tutti
que' legni, e chi in una parte e chi in altra si affondarono, o andarono
a fracassarsi in diversi lidi e scogli, talchè solamente cinque di essi
poterono portare in Soria la nuova delle lor disgrazie e della mano