Annali d'Italia, vol. 3 - 03

stato delle cose, e fosse poi ad incontrarlo in luogo determinato ai
confini dell'Italia, per quivi prendere le sue misure. Ma giunto
Bertarido colà, vi trovò non solamente il suo messo, ma eziandio tutti
gli uffiziali della regal corte e l'apparato convenevole per ricevimento
di un re, ed accorsa gran moltitudine di Longobardi, che tutti con
lagrime e festa incredibile accolsero l'antico loro signore, dopo nove
anni d'esilio felicemente tornato alla patria e al regno. E non è da
maravigliarsene. Non fu mai ben voluto Grimoaldo dai Longobardi, sì
perchè usurpatore dell'altrui corona, e sì perchè uomo vendicativo, e
che col rigore più che coll'amore s'era sempre mantenuto sul trono.
All'incontro, per attestato di Paolo Diacono, Bertarido era principe
amorevolissimo, buon cattolico, dotato di rara pietà, osservantissimo
della giustizia, e soprattutto limosiniere ed amator de' poveri. Le sue
disgrazie aveano contribuito non poco a renderlo misericordioso ed
umile: virtù che di raro s'imparano nella sola sublime felicità e
fortuna. S'accorda questo elogio a noi lasciato da Paolo con quanto
abbiamo inteso di sopra all'anno 664 dalla vita di san Vilfrido
arcivescovo di Yorch, scritta da Eddio Stefano. Pertanto tre mesi dopo
la morte di Grimoaldo, _Bertarido_ ossia _Pertarito_, figliuolo del re
Ariberto, d'origine bavarese, per consenso de' Longobardi risalì sul
trono; ed immediatamente spediti messi a Benevento, fece di colà tornare
a Pavia la regina _Rodelinda_ sua moglie col figliuolo _Cuniberto_, che
furono senza difficoltà rilasciati dal duca Romoaldo. Del fanciullo
_Garibaldo_, lasciato re dal re Grimoaldo suo padre, altro non sappiamo,
se non che fu deposto; ma è ben da credere che non mancasse un buon
trattamento da lì innanzi nè a lui nè a sua madre, se vivea tuttavia,
perchè questa infine era sorella ed egli nipote di Bertarido. Si
potrebbe credere che il picciolo principe fosse mandato a Benevento; ma
più verisimile e più conforme alla politica pare che meglio si
giudicasse il custodirlo in qualche fortezza. Altra memoria non resta di
lui.
NOTE:
[42] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 33.


Anno di CRISTO DCLXXII. Indizione XV.
ADEODATO papa 1.
COSTANTINO Pogonato imp. 5.
BERTARIDO re 2.

In quest'anno (fors'anche nel precedente) cominciarono le tribolazioni
di Costantinopoli, perchè i Saraceni, che già divoravano coi desiderii
tutto l'imperio romano, secondo Teofane[43], prepararono una poderosa
armata navale con risoluzione di tentar l'acquisto di quella regal
città: avuta la quale, sarebbe venuto meno tutto l'imperio cristiano
dell'Oriente. Non mancavano loro cristiani rinegati che maggiormente gli
animavano all'impresa, come per disgrazia nostra neppur mancano oggidì
al gran Turco. Svernarono nella Cilicia per essere pronti ad inoltrarsi
nella primavera ventura. Intanto l'imperador _Costantino_, a cui non era
ignoto il disegno di quella perfida gente, attese anch'egli a premunirsi
contra de' loro sforzi, con adunar gente, fabbricar navi e macchine, e
disporre tutto quel che occorreva per la difesa. In quest'anno, per
quanto crede il padre Pagi, nel dì 27 di gennaro diede fine al suo
pontificato e alla sua vita il sommo pontefice _Vitaliano_, dopo aver
governata la Chiesa di Dio per quattordici anni e mezzo con molta lode.
Nel dì poscia 22 di aprile ebbe per successore nella cattedra di san
Pietro _Adeodato_, di nazione romano, già monaco nel monistero di
sant'Erasmo nel monte Celio. Nell'anno 615 noi vedemmo _Deusdedit_, il
cui nome in sostanza non è diverso da quest'altro. Tuttavia non ho osato
di chiamarlo secondo. In questo anno ancora, o nel precedente, malamente
compiè il corso di sua vita _Mauro arcivescovo di Ravenna_, perchè morì
scismatico e scomunicato dalla Sede apostolica. Lasciò scritto Agnello
storico ravennate[44] che questo ambizioso prelato prima di morire
adunati i suoi preti, piangendo dimandò loro perdono. Crederà il lettore
per gli misfatti della sua superbia: ma non è così. Seguitò poscia a
dire ch'egli era vicino a pagare il tributo della natura, e che gli
esortava di non tornare sotto il giogo de' Romani. Che però si
eleggessero un pastore, e il facessero consacrare dai vescovi della
provincia, e poscia dimandassero all'imperadore il pallio: quasichè il
diritto di darlo, riserbato al romano pontefice, fosse passato
negl'imperadori. Con questi scismatici sentimenti finì di vivere
l'arcivescovo Mauro, a cui fu data sepoltura in un'arca, davanti alla
quale era una tavola di porfido, al dire d'Agnello, lucidissimo nella
superficie a guisa di uno specchio, in maniera che chi mirava in quel
marmo, vi poteva vedere gli uomini, animali e uccelli che vi fossero
passati dinanzi. Come ciò possa essere del porfido, lascerò considerarlo
ai periti. Aggiugne lo stesso storico che a' suoi dì passando _Lotario_
imperador per Ravenna (forse nell'anno 824), ordinò che quella tavola
levata di là e bene stivata con lana in una cassa di legno, fosse
mandata in Francia, per servire di mensa all'altare di san Sebastiano.
Ebbe commissione lo stesso Agnello da _Petronace_ arcivescovo di andar
colà, e di assistere acciocchè i muratori balordamente lavorando non la
rompessero. Ma egli per dolore e rabbia di vedere spogliar la sua patria
delle cose preziose, se ne andò in tutt'altra parte. A Mauro succedette
_Reparato_, monaco prima nel monistero di santo Apollinare, poscia
abbate, e quindi vicedomino della Chiesa ravennate: uomo che si fece
consecrar da tre vescovi senza il beneplacito della santa Sede, e tenne
saldo lo scisma, per quanto potè; ma in fine, siccome diremo, si umiliò
all'ubbidienza del sommo pontefice.
NOTE:
[43] Teoph., in Chronogr.
[44] Agnell. Vit. Ep. Ravennat. tom. 2 Rer. Ital.


Anno di CRISTO DCLXXIII. Indizione I.
ADEODATO papa 2.
COSTANTINO Pogonato imp. 6.
BERTARIDO re 3.

Finalmente in quest'anno, correndo il mese di aprile, il formidabile
stuolo de' Saraceni si presentò davanti a Costantinopoli, e ne formò
l'assedio. L'imperador _Costantino_[45] s'accinse con tutto vigore alla
difesa, nè passava giorno che non seguisse qualche baruffa fra le sue
navi e quelle dei nemici. Aveva egli delle galeotte che portavano
caldaie di pece, e d'altri bitumi ardenti, e sifoni, co' quali si
gettava fuoco ne' legni infedeli. Seguirono questi combattimenti sino al
settembre, nel quale i Saraceni, poco avendo profittato con tutti i loro
sforzi, levarono l'ancore per andare a svernare in pace altrove.
Pervenuti alla città di Cizico, e presala, quivi passarono il verno. In
quest'anno _Childeberto_ re dei Franchi, a noi noto solamente per le sue
biasimevoli azioni, essendo caduto in odio de' suoi, alla caccia fu da
uno d'essi privato di vita. Restò del pari trucidata la regina
_Bilichilde_ sua moglie. Può essere eziandio che in questi medesimi
tempi nel mese di marzo si mirasse in cielo quell'_iride_ ossia arco
celeste che viene accennata dai suddetti storici e dall'autore della
Miscella[46], e recò tal terrore, che si cominciò a temere il fine del
mondo. Ma come? da quando in qua l'arco baleno fa paura alle genti? Ma
quello non fu già il naturale ed usitato. Fu una specie di terribile e
disusata cometa; e però indusse la costernazione ne' popoli. Raccontano
ancora gli scrittori che provossi una fiera mortalità in quest'anno
nell'Egitto; ma non è da maravigliarsene, perchè quel regno anche oggidì
è facilmente suggetto a così fiero flagello. E di là per lo più soleva
a' precedenti secoli passare in Italia quel malore, e passerebbe anche
oggidì, se non avessero finalmente aperti gli occhi gl'Italiani, ed
inventate precauzioni e saggi rigori per custodirsi illesi.
NOTE:
[45] Teoph., in Chronogr. Cedren., in Annal.
[46] Hist. Miscell. lib. 19.


Anno di CRISTO DCLXXIV. Indizione II.
ADEODATO papa 3.
COSTANTINO Pogonato imp. 7.
BERTARIDO re 4.

Nulla ci somministra di nuovo in questi tempi la storia d'Italia; ma il
suo stesso silenzio ci fa intendere la mirabil quiete e felicità che
godevano allora sotto il pacifico governo del buon re _Bertarido_ i
popoli italiani. Lasciava egli in pace i Romani nè attendeva che a
reggere con giustizia e soavità i suoi sudditi, e a dar loro nuovi
esempli di pietà, siccome principe cattolico e rinomato pel timore di
Dio. Abbiam fondamento di credere che sotto di lui il resto de'
Longobardi ariani si riducesse al grembo della vera Chiesa. E tanto più
dee dirsi felice allora ed invidiabile lo stato dell'Italia, perchè gli
altri paesi dell'Europa provavano dei fieri disastri. Tornarono
nell'aprile di quest'anno i Saraceni con tutte le loro forze all'assedio
di Costantinopoli, e quivi stettero anche tutta la state, con dare dei
frequenti assalti o alle mura o alle navi cristiane; per lo che tutto
l'imperio orientale si trovava in grandi angustie e guai. Peggio stava
la monarchia franzese, perchè caduta in mano di re o neghittosi o
viziosi, e piena di guerre civili, e per conseguente d'iniquità e di
prepotenza. Ciò fu cagione che molte provincie dell'Austrasia, come la
Baviera, l'Alemagna, la Turingia, ed altri paesi si sottraessero
dall'ubbidienza dei re franchi, e crebbe in esse l'idolatria con altri
disordini. Il regno delle Spagne, tuttochè governato da _Vamba_ re
piissimo e cattolico de' Goti, ebbe nella Gallia narbonense, ossia nella
Linguadoca, tuttavia sottoposta in questi tempi ad essi Goti, de' gravi
sconvolgimenti, per gli tiranni ivi insorti e spalleggiati dai vicini
Franchi. Fu astretto il buon re Vamba a far guerra, ed assistito dal
cielo, riportò varie vittorie narrate da Giuliano da Toledo[47]. La sola
Italia godeva in essi tempi un cielo sereno mercè dell'ottimo re che ne
aveva il governo, e tutto faceva per guadagnarsi l'amore di Dio e dei
suoi popoli.
NOTE:
[47] Julian. Toletanus, in Chronico.


Anno di CRISTO DCLXXV. Indizione III.
ADEODATO papa 4.
COSTANTINO Pogonato imp. 8.
BERTARIDO re 5.

Circa questi tempi il piissimo re dei Longobardi _Bertarido_, fabbricò
in Pavia un monistero di sacre vergini da quella parte del fiume
Ticino[48], dove egli calato per le mura, ebbe la sorte di fuggir l'ira
e il mal pensiero del re _Grimoaldo_. Può essere che la sua fuga
succedesse nel giorno festivo di sant'Agata, oppur nella sua vigilia,
come credono gli scrittori pavesi, e però dedicò quel sacro luogo a Dio
suo liberatore in onore di quella santa vergine e martire. Esiste
tuttavia esso monistero, appellato _Nuovo, e Monistero regio_, per più
secoli, ed oggidì _monastero di sant'Agata in Monte_, abitato già da
monache benedettine, ed ora dalle conventuali di santa Chiara. Nel
presente anno ancora tornarono i Saraceni all'assedio di Costantinopoli,
ed ostinatamente quivi si fermarono fino al settembre, tuttochè nulla
profittassero, anzi riportassero più percosse dalla bravura de' Greci.
Forse ancora appartiene a questi tempi la battaglia navale che il buon
_Vamba_ re de' Goti in Ispagna fece con un'altra armata navale di
dugento e settanta navi di Saraceni, passati ad infestar la Spagna[49].
Meritò la sua pietà di riportarne vittoria colla total disfatta e rovina
della flotta nemica. Dalla vita di sant'_Audoeno_ vescovo di Roano,
scritta da Fridegodo[50], noi impariamo quanta fosse la divozione de'
popoli anche più lontani al sepolcro dei santi apostoli Pietro e Paolo e
degli altri martiri in Roma. Volle il santo vescovo venire in quest'anno
alla visita di que' celebri santuarii; nè sì tosto fu risaputo questo
suo disegno, che moltissima gente pia concorse a lui, portandogli non
pochi pesi d'oro e d'argento, con pregarlo di offerirgli al corpo de'
santi Apostoli e Martiri pel riscatto de' loro peccati, e di dispensarne
anche ai poveri una parte colle sue proprie mani, affine d'avvalorare le
loro preghiere presso Dio. Eseguì puntualmente il piissimo pastore le
lor commissioni, giunto che fu a Roma, dove lasciò un gran concetto
della sua rara pietà e pia munificenza. Era in questi tempi una gran
rendita alle chiese di Roma il concorso de' pellegrini e le loro
oblazioni.
NOTE:
[48] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 34.
[49] Lucas Tudensis, in Chron.
[50] Fridegodus, in Vita S. Audoen.


Anno di CRISTO DCLXXVI. Indizione IV.
DONO papa 1.
COSTANTINO Pogonato imp. 9.
BERTARIDO re 6.

Nel dì 26 di giugno terminò la carriera de' suoi giorni papa _Adeodato_,
pontefice benignissimo, pieno di umiltà, caritativo massimamente verso i
poveri e liberale verso il clero, al quale diede la _roga_, cioè il
regalo solito a darsi dai suoi predecessori; ma con averne accresciuta
di molto la misura. Nota Anastasio[51] che dopo la sua morte vennero
tante piogge e caddero tanti fulmini, che niun si ricordava d'aver mai
provato un somigliante flagello; perchè durarono tanto, che non si
poteva battere il grano; e i legumi tornarono a nascere nelle campagne,
e restarono morti degli uomini e delle bestie dai fulmini. Fuor di sito
fece menzione Paolo Diacono[52] di questa medesima sciagura, e, quel che
è peggio, guastolla con una spropositata giunta, se pure a lui si dee
attribuire; perciocchè scrive che _innumerabili migliaja di uomini e di
animali furono uccisi dai fulmini_. Avea tanto senno Paolo Diacono da
non credere nè vero nè verisimile un sì terribil macello venuto dai
fulmini; e però usiamogli la carità di credere fatta da altri questa
giunta al testo suo. Vien riportata una bolla del suddetto papa
Adeodato[53] in favore del monistero di san Martino di Turs, in cui lo
esenta dalla giurisdizione dei vescovi, con protestar nondimeno che
_l'uso e la tradizione della sede apostolica era di non sottrarre i
monisteri dall'ubbidienza e dal governo de' vescovi_, e che intanto si è
indotto a concedere questo privilegio, in quanto ha conosciuto che lo
stesso vescovo di Turs _Crodeberto_ ha accordato la libertà ed esenzione
ad esso monistero: parole che son da notare, per giudicare della
legittimità d'altri privilegii che si dicono conceduti in questi tempi.
Il saggio cardinal Baronio, facendo menzione del suddetto documento,
osserva che per isperienza si doveva essere conosciuto che questa
indipendenza de' monaci noceva piuttosto alla disciplina ed osservanza
monastica; e che san Bernardo disapprovò l'usanza introdotta di esentare
i monaci dall'ubbidire ai vescovi, e che neppur piacque a san Francesco
d'Assisi una tale indipendenza de' suoi frati; ma che fu guasto il suo
disegno da frate Elia, personaggio condotto dallo spirito non di Dio, ma
della carne. Intorno a questo privilegio di papa Adeodato insorsero
negli anni addietro contese fra i letterati francesi, che io tralascio,
e certo v'ha gran ragione di dubitare della legittimità del medesimo. Ad
Adeodato succedette nella cattedra pontificia _Dono_ di nazione romano.
Dal padre Pagi vien creduto che la sua consecrazione seguisse nel dì
primo di novembre dell'anno presente, nel quale i Saraceni continuarono
i loro sforzi contra la città di Costantinopoli, ma senza guadagnar
terreno.
NOTE:
[51] Anastas., in Adeodat.
[52] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 34.
[53] Labbe, Concilior., tom. 4.


Anno di CRISTO DCLXXVII. Indizione V.
DONO papa 2.
COSTANTINO Pogonato imp. 10.
BERTARIDO re 7.

Mal soffrendo il pontefice _Dono_ che la chiesa di Ravenna si fosse
sottratta dalla ubbidienza della Sede apostolica, in quest'anno
finalmente ottenne l'intento suo, con ridurre al dovere
quell'arcivescovo _Reparato_. Ne siamo assicurati da Anastasio
bibliotecario[54], che scrive essere tornata quella Chiesa a riconoscere
la superiorità del papa, dopo aver nudrito negli anni precedenti delle
pretensioni di primato. Si dee credere che il sommo pontefice ricorresse
per questo affare all'imperador _Costantino_, il quale, siccome principe
veramente cattolico e di buone massime, forzò l'arcivescovo a chinar
l'ambiziosa testa. E qui è da notare ciò che lasciò scritto Agnello
ravennate nella vita di questo arcivescovo[55]: cioè ch'egli andò alla
corte imperiale di Costantinopoli, ed impetrò quanto seppe dimandare
dall'imperador Costantino, e spezialmente l'esenzione del suo clero
dalle contribuzioni e gabelle; e che tutti i contadini che lavoravano le
terre della sua chiesa e i suoi muratori e il suo crocifero fossero
esenti dalla podestà de' giudici secolari e degli esattori pubblici, e
sottoposti solamente all'arcivescovo. Fu eziandio decretato che
l'arcivescovo eletto di Ravenna, portandosi a _Roma_ per essere quivi
consecrato _non fosse tenuto a dimorar colà più di otto giorni_, segno
che dianzi si dovevano stiracchiar le consecrazioni di quegli
arcivescovi in Roma. Questo parlare d'Agnello fa chiaramente comprendere
l'aggiustamento suddetto, e dee essere un errore del suo testo il
soggiugnere appresso, che Reparato _non si sottomise all'autorità del
papa_, mentre le parole suddette pruovano tutto il contrario. Aggiugne
Anastasio che poco dopo questo aggiustamento il suddetto Reparato diede
fine ai suoi giorni. Ebbe per successore _Teodoro_, il quale, perchè si
fece consecrare in Roma, come per più secoli s'era costumato in
addietro, incorse nell'odio del suo clero. Agnello stesso dice molte
parole in suo vituperio, benchè si serva d'altri pretesti per
iscreditarlo. Anastasio notò[56] che questo Teodoro si presentò davanti
a papa _Agatone_ verisimilmente nell'anno seguente. Mi sia lecito il
rapportare al presente la fabbrica di un nuovo tempio fatto della regina
_Rodelinda_ moglie del re _Bertarido_ fuori di Pavia. Opera
maravigliosa, dice Paolo Diacono[57], e nobilitata da stupendi
ornamenti. Fu chiamata basilica di _santa Maria alle Pertiche_; e tal
denominazione venne a quel sacro luogo, per attestato del medesimo
storico, perchè quivi era un insigne cemeterio, dove i nobili longobardi
amavano per divozione d'essere seppelliti. Che se accadeva che taluno
de' suoi morisse in guerra, o in altra parte, alzavano delle pertiche,
cioè delle travi sopra que' sepolcri, con una colomba di legno in cima,
tenente il becco rivolto a quella parte, dove il suo parente od amico
era morto. Con qualche segno od iscrizione si distinguevano quei
sepolcri, acciocchè ognun potesse riconoscere il suo. Lo Spelta, storico
pavese di questi ultimi secoli, pretende che quel tempio fosse
fabbricato prima della venuta del Signor nostro Gesù Cristo, e servisse
agl'idoli. Tutti sogni. Paolo chiaramente scrive che Rodelinda lo
fabbricò di pianta; nè presso il padre Romoaldo[58] veggo bastanti
ragioni per farci credere che quella regina edificasse una chiesa col
monistero, posseduto oggidì dalle monache cisterciensi.
In quest'anno crede Camillo Pellegrino[59] che finisse di vivere
_Romoaldo_ duca di Benevento, dopo aver governato per lo spazio di
sedici anni quel ducato[60]. Egli ebbe, siccome dicemmo altrove, per
moglie _Teoderada_, la quale fuori della città di Benevento fabbricò la
basilica di san Pietro apostolo, ed unitamente un insigne monistero di
sacre vergini. Lasciò Romoaldo dopo di sè tre figliuoli maschi, cioè
_Grimoaldo II_, _Gisolfo_ ed _Arichi_, ossia _Arigiso_. Il primo di essi
fu duca di Benevento immediatamente dopo la morte del padre, ed ebbe per
moglie _Vigilinda_, ossia _Vinilinda_, figliuola del re _Bertarido_ e
sorella di _Cuniberto_, che fu re anch'esso: segno che era seguita buona
pace fra esso re Bertarido e il duca di Benevento. Ma vedremo all'anno
702 che questa cronologia non si accorda con Anastasio bibliotecario.
Seguitando intanto qui dietro alle pedate di Paolo Diacono[61], dico che
circa questi tempi succedette il trasporto in Francia dei sacri corpi di
san _Benedetto_ e di santa _Scolastica_. Era rimasto il monistero di
Monte Casino, ai primi tempi della venuta de' Longobardi nella Campania,
preda del loro furore. Se vi abitasse più alcun monaco non si sa. Ben
sappiamo che mal custoditi, se non anche negletti, restavano in quella
solitudine i lor sepolcri. Servì la negligenza de' monaci italiani per
far animo e voglia ai monaci francesi di venir a cercare que' sacri
depositi. Dicono che _Agiolfo_ monaco del monistero floriacense, ossia
di Fleury, con alcuni compagni fu spedito per questo in Italia; e che
andato a Monte Casino sotto pretesto di far quivi orazione, la notte
estrasse da quelle rovine i due sacri corpi, e se li portò in Francia,
con ritenere quel di san Benedetto in Fleury, e ripor quello di santa
Scolastica nella città del Mans. Abbiamo varie antiche relazioni di tal
traslazione, ma non contemporanee, e vi son raccontati vari miracoli,
non senza delle contrarietà e circostanze, le quali non siam tenuti a
credere per vere, ed anzi sembrano far poco onore alla fedeltà de'
monaci d'allora. Comunque sia, chi degl'Italiani ha voluto negar questo
fatto, ha contra di sè la chiara testimonianza di Paolo Diacono, che
visse e scrisse solamente nel secolo dopo. Quanto al tempo, il cardinal
Baronio ne parla all'anno 664. Il Coinzio, franzese, crede accaduto il
trasporto molto più tardi, cioè nell'anno 673. Ma i padri Mabillone e
Pagi lo riferiscono ai tempi di _Clodoveo_ II, e però all'anno 653
oppure al susseguente. Ma in fine il punto più sostanziale si è di
sapere se nel secolo susseguente fossero o non fossero restituite a
monte Casino quelle sacre reliquie; del che hanno acremente disputato i
Benedettini casinensi coi franzesi, palliando sì fattamente le cose, che
non si sa a qual parte credere. Di ciò diremo qualche altra cosa a suo
tempo. Seguitò poi ancora per quest'anno la guerra de' Saraceni contro
la città di Costantinopoli, che fu col solito valore preservata e
difesa.
NOTE:
[54] Anastas., in Vit. Don.
[55] Agnell., Vit. Episcopor. Ravennat. tom 2 Rer. Ital.
[56] Anastas., in Vita Agathonis.
[57] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 34.
[58] Romualdus, Papia Sacra, pag. 104.
[59] Peregrin., Hist. Princip. Long., tom. 2, Rer. Ital.
[60] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 1.
[61] Idem., ibid., cap. 2.


Anno di CRISTO DCLXXVIII. Indizione VI.
AGATONE papa 1.
COSTANTINO Pogonato imp. 11.
BERTARIDO re 8.
CUNIBERTO re 1.

Fino a questi tempi, cioè per sette anni, era durata la guerra e
persecuzion fatta alla città di Costantinopoli dai Saraceni, e sostenuta
con immortal bravura dai Cristiani. Da sì ostinata gara altro non
riportarono que' Barbari, se non una gran perdita della lor gente e
delle lor navi, con aver la divina protezione assistito sempre ai suoi
fedeli, ed obbligati finalmente in quest'anno gl'infedeli a ritirarsi.
Cominciò ad usarsi in questa occasione dai Cristiani il fuoco greco[62],
che si gittava nei legni nemici, nè si poteva smorzare coll'acqua.
Portata loro ne fu l'invenzione da un certo Callinico, che desertò da
Eliopoli città dell'Egitto, uomo di mirabile industria in manipolar
simili fuochi. Cedreno scrive[63] che ai suoi dì vivea Lampro,
discendente da esso Callinico, e valentissimo fochista anch'egli. Con
questo micidial fuoco riuscì a' Cristiani di bruciar molte navi nemiche
e gli uomini vivi che in esse si trovavano. Partita da Costantinopoli
con vergogna la flotta de' Saraceni, fu sorpresa verso il Sileo da una
formidabil tempesta di mare, che parte sommerse di quelle navi, e parte
ne condusse a fracassarsi negli scogli. Fu similmente attaccata
battaglia in terra dai capitani cesarei _Floro_, _Petrona_ e _Cipriano_;
e vi restarono estinti sul campo trentamila di quegl'infedeli. Queste
percosse, e la sollevazione de' maroniti cristiani, che, creato un
principe, occuparono il monte Libano con tutti i suoi contorni, e fecero
felicemente alcuni fatti d'armi coi Saraceni, obbligarono in fine
_Muavia_ lor califa, ossia principe, a trattar di pace coll'imperador
_Costantino_. Spedito dunque da esso Augusto a tale effetto in Soria
_Giovanni_ patrizio per soprannome, Pitsiguade, o Pizzicoda, personaggio
di rara destrezza e sperienza negli affari politici, conchiuse coi
Saraceni una pace gloriosa e vantaggiosa all'imperio romano per anni
trenta, con essersi obbligati que' Maomettani a pagare annualmente
all'imperadore tremila libbre d'oro, restituire cinquanta schiavi, e
dare cinquanta generosi cavalli. Cagion fu questa pace che _Cacano_ re
degli Avari signore dell'Ungheria, e tutti gli altri Barbari situati
all'occidente e settentrione di Costantinopoli, si affrettassero a
mandare ambasciatori all'imperador Costantino, sotto colore di
rallegrarsi della buona riuscita delle sue imprese, ma in fatti per
confermar cadauno con lui la pace: tutti frutti del credito ch'egli
s'era acquistato nella guerra de' Saraceni. I soli Bulgari, popoli della
Palude Meotide, che s'erano ne' tempi addietro venuti a piantar di qua
dal Danubio nel paese oggidì chiamato la Bulgaria, seguitavano ad
inquietare la Tracia, e bisognò comperar da essi la pace, con promettere
loro un annuo regalo. Dopo ciò il buon imperadore s'applicò ardentemente
a procurar anche la pace della Chiesa sconvolta dagli errori e fautori
del monotelismo; e ben conoscendo il rispetto che si doveva alla prima
sede e al romano pontefice capo visibile della Chiesa santa, scrisse una
lettera a papa _Dono_, per seco concertare un general concilio da
tenersi in Costantinopoli. Ma questa lettera non trovò più vivo questo
piissimo pontefice, che nel dì undicesimo di aprile fu chiamato da Dio a
miglior vita. In suo luogo succedette papa _Agatone_, già monaco, di
nazion siciliano, il quale con un riguardevol treno di virtù salì sul
trono pontificio. Questi, essendo venuto a Roma _san Vilfrido_
arcivescovo di Jorch[64], cacciato dalla sua sedia, raunò nel presente
anno un concilio nella basilica lateranense, e proposta la sua causa,
decretò che dovesse riaver la sua chiesa. E fu appunto in tale occasione
che quel santo arcivescovo per la persecuzione a lui mossa in andando a
Roma, fu sì onoratamente accolto dal re _Bertarido_ in Pavia, siccome
osservammo all'anno 664. Era questo l'ottavo anno, in cui esso re
Bertarido pacificamente regnava sopra i Longobardi, quando pensò di
assicurare il regno a _Cuniberto_ suo figliuolo[65]. Però, convocata la
dieta generale, quivi, col consenso de' popoli, dichiarò re e suo
collega esso suo figliuolo. A me nondimeno dà fastidio uno strumento
fatto in Lucca, e da me riportato altrove con queste note:[66] _Sub die
tertiodecimo kalendar. februariarum sub Indictione tertiadecima,
regnante domnis nostris Pertharit, et Cunipert, viris excellentissimis
regibus, anno felicissimi regni eorum tertiodecimo, et quinto_: cioè
nell'anno 685. Se tali note fossero sicure, in quest'anno Cuniberto non
avrebbe cominciato ad essere re, nè camminerebbe ben la cronologia di
Bertarido. Ma discordando questo documento da un altro, che accennerò
all'anno 688, vo credendo corso errore nell'indizione, e che si abbia a
leggere _Indictione undecima_, errore provenuto dalla vicinanza di _die
tertiodecimo_. Circa questi tempi a _Vettari_ duca del Friuli succedette
nel ducato _Laudari_, di cui Paolo Diacono[67] non rapporta azione
alcuna; ma, dopo averne fatta menzione, immediatamente soggiugne,
ch'essendo egli, non si sa quando, mancato di vita, fu creato duca del
Friuli _Rodoaldo_. A quest'anno il Pagi riferisce la morte di _Dagoberto
II_ re dei Franchi ucciso per congiura di _Ebroino_ già maggiordomo e di
alcuni vescovi. La porzione a lui spettante del regno pervenne al re
_Teoderico III_. Ma Ermanno Contratto, siccome accennammo di sopra,
mette il fine di esso Dagoberto all'anno 674.
NOTE:
[62] Teoph., in Chronogr.
[63] Cedren., in Annal.
[64] Eddius Stephanus, in Vita S. Wilfridi.
[65] Paulus Diacon., de Gest. Langobard. lib. 5, cap. 35.
[66] Antiq. Italic. Dissert. XLV.
[67] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 24.


Anno di CRISTO DCLXXIX. Indizione VII.
AGATONE papa 2.
COSTANTINO Pogonato imp. 12.
BERTARIDO re 9.
CUNIBERTO re 2.

Essendo già stabilito che si tenesse un concilio generale in Oriente per
mettere fine alla discordia originata dagli errori dei monoteliti, i