Annali d'Italia, vol. 2 - 84

Rotari, non veggiamo i susseguenti arcivescovi seppelliti se non nelle
chiese di Milano.
Seguita a dire Paolo Diacono, che Rotari dipoi s'impadronì a forza
d'armi di _Oderzo_, città posta fra Cividal del Friuli e Trivigi, che
fin allora in quelle parti s'era mantenuta esente dall'unghie de'
Longobardi. Abbiamo da Andrea Dandolo[3264] che in questa occasione
_Magno_ vescovo di Oderzo, uomo santo, col suo popolo si ritirò in una
delle isole della Venezia, e quivi fondò una città che dal nome
dell'imperadore _Eraclio_ appellò _Eraclea_, e quivi coll'autorità di
papa _Severino_ e del patriarca gradense _Primigenio_ fissò la sua
sedia. Se il Dandolo, che scrisse circa l'anno 1330 la sua Cronica,
fosse autore più antico, si potrebbe dedurre da questo racconto che la
presa di Oderzo fosse seguita prima di quest'anno. Ma in fatti tanto
lontani dai suoi tempi non è molto sicura l'asserzione di questo
scrittore. E tanto più che vedremo dopo alcuni anni la distruzione di
Oderzo, per cui veramente il popolo di quella città fu costretto a
sloggiare. Però tengo io per fabbricata prima di questo la città
eracleense. Che poi la traslazion di quella sedia fosse fatta
coll'approvazione di papa _Severino_, se l'immaginò il Dandolo, perchè
a' tempi di lui la credette succeduta, e stimò ancora che questo papa
campasse due anni, quattro mesi e otto giorni: il che s'è veduto che non
sussiste. Aggiunge esso Dandolo che anche _Paolo_, vescovo di Altino, in
questi tempi passò col suo popolo e colle reliquie in Torcello e nelle
isole adiacenti, dove anch'egli pose la sua residenza, e che gli
succedette _Maurizio_, il quale, col consenso del patriarca gradense e
del popolo, ottenne un privilegio dal suddetto papa Severino. Ma finchè
non si producano documenti che comprovino tante azioni fatte da questo
papa nel pontificato di due soli mesi, sarà a noi lecito di sospendere
qui la credenza non già del fatto, ma del tempo di questo fatto. S'egli
è poi vero ciò che Paolo Diacono racconta di _Arichi_, ossia di
_Arigiso_ duca di Benevento, cioè ch'egli, dopo cinquant'anni di
governo, lasciò di vivere, bisogna ben dire che morisse vecchio[3265].
Restò suo successore e duca _Ajone_ suo figliuolo, ma di testa poco atta
a regger popoli. Perciocchè avendolo Arigiso suo padre molto dianzi
inviato a Pavia, per inchinare il re _Rotari_, egli nel viaggio volle
visitar l'esarco, e vedere le grandezze di Ravenna. Ora comunemente fu
creduto che i Greci in tale occasione gli dessero una bevanda, per cui
talora andava fuori di sè, e da lì innanzi non fu mai sano di mente.
Arigiso prima di morire raccomandò al popolo _Radoaldo_ e _Grimoaldo_
figliuoli di _Gisolfo_ già duca del Friuli, rifuggiti presso di lui, con
aggiugnere ch'erano anche più idonei al governo che non era suo
figliuolo: segno che l'elezion di quei duchi dipendeva dal popolo, e la
confermazione apparteneva al re de' Longobardi.
NOTE:
[3257] Anastas. Bibliothec., in Collectaneis.
[3258] Zonar., in Annal.
[3259] Theoph., in Chronogr.
[3260] Niceph., in Chron., pag. 19.
[3261] Eutych., in Annalib.
[3262] Fredegar., in Chronic., cap. 71.
[3263] Rer. Italic. Scriptor., part. 2, tom. 1, pag. 228.
[3264] Andreas Dandolus, in Chronicon., tom. 12, Rer. Ital.
[3265] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 45.


Anno di CRISTO DCXLII. Indizione XV.
TEODORO papa 1.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 2.
ROTARI re 7.

Dovrei qui io notare il consolato di _Costantino_, ossia _Costante_
Augusto, preso nell'anno presente, e proseguire distinguendo i
susseguenti col _post consulatum_. Ma perchè si scorge oramai di niuna
conseguenza un tal rito, me ne dispenserò in avvenire. Essendo rotta la
tregua fra i Romani e Longobardi, siccome abbiamo detto, e continuando
il re Rotari le sue conquiste, _Isacco_ esarco di Ravenna, unì quante
soldatesche potè per assalire il dominio de' Longobardi, e farli
desistere da ulteriori progressi. Venne dunque a dirittura alla volta di
Modena, ch'era allora frontiera del paese longobardo, verso le città
dell'esarcato di Ravenna. Ma trovò l'armata del re Rotari, che s'era
postata al fiume _Scultenna_, appellato oggidì da noi _Panaro_, ma che
ritiene nella montagna l'antico suo nome. Si venne dunque ad una
giornata campale, in cui, per attestato di Paolo Diacono[3266], ebbero
la peggio i Romani. Ottomila di essi rimasero estinti sul campo; agli
altri le gambe salvarono la vita. Di ciò che succedesse dopo questa
vittoria, a noi non resta memoria alcuna. Cessò di vivere nel presente
anno _Giovanni IV_ papa, degno di gran lode per la sua singolar carità,
la quale penetrò fino in Istria e Dalmazia. Avevano gli Schiavoni
Gentili fatto di varie scorrerie in quelle provincie cristiane, e menata
via gran quantità di schiavi. Stese il piissimo pontefice le mani della
misericordia a quella povera gente, e mandata colà per mezzo di
_Martino_ abate una buona somma di denaro, si studiò di riscattarne
quanti mai ne potè. Questo Martino abate viene chiamato _santissimo e
fedelissimo_ da Anastasio bibliotecario, senza che noi sappiamo di qual
monistero egli avesse il governo. Ma la storia d'Italia in questi tempi
è troppo mancante, ommettendo essa i grandi, non che i minuti
avvenimenti d'allora. Succedette nella cattedra di san Pietro _Teodoro_
di nazione greco, nel dì 24 di novembre, secondo i conti del Pagi. E
fino al presente anno condusse _Fredegario_ la storia sua dei Franchi.
Abbiamo poi da Paolo Diacono[3267] che _Aione_ duca di Benevento governò
solamente _un anno e cinque mesi_, assistito da _Radoaldo_ e
_Grimoaldo_, dei quali abbiam parlato di sopra. Accadde che gli Sclavi,
o Schiavoni, i quali è da credere che avessero presa se non tutta la
Dalmazia, almeno parte d'essa, vennero con una gran parte di navi per
bottinare vicino alla città di Siponto. Essendosi accampati in quelle
parti, ed avendo fatte delle fosse, coperte intorno ai loro
alloggiamenti, il duca Aione andato contra d'essi per isloggiarli, cadde
col cavallo in una di quelle fosse, ed accorrendo gli Schiavoni, fu con
alquanti dei suoi quivi miseramente ammazzato. _Radoaldo_, che non era
ito col duca, avuto avviso della di lui sventura, accorse tosto colà, e
parlando agli Schiavoni come un d'essi nella lor lingua, gli addormentò,
con fare loro credere che non v'era più pericolo. Dopo di che con tutti
i suoi si scagliò loro addosso, ne fece una gran strage, e forzò quei
che vi restarono alla fuga. Venne appresso il medesimo _Radoaldo_
figliuolo di Gisolfo già duca del Friuli, proclamato _duca di
Benevento_.
NOTE:
[3266] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 47.
[3267] Idem, ibid., cap. 46.


Anno di CRISTO DCXLIII. Indizione I.
TEODORO papa 2.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 3.
ROTARI re 8.

Fino a questi tempi il regno de' Longobardi s'era governato con leggi
non iscritte, il che vuol dire piuttosto con usi e consuetudini che non
leggi. Ora il re _Rotari_[3268], principe non men bellicoso che amante
della giustizia, veggendo le oppressioni che i più forti faceano ai
deboli, prese la risoluzione di ridurre in un corpo le leggi
longobardiche col consiglio e consenso dei grandi del regno, de' giudici
e dell'esercito, levando le cose superflue, e mandando le malfatte, e
supplendo a quel che mancava. Diede il nome di _Editto_ a questo corpo
di leggi, e d'esso codice si servì poi da lì innanzi la nazion
longobarda. Riesce probabile che a questa lodevol impresa egli fosse
mosso anche dall'esempio fresco di Dagoberto, che avea compilato le
leggi de' Franchi, degli Alamanni e della Baviera. L'anno in cui fu
pubblicato questo editto, si trova espresso in vari testi, e
specialmente in quello della Biblioteca ambrosiana, pubblicato dal
dottor Bianchi[3269], e nel Codice della Biblioteca estense, di cui mi
son servito io per l'edizion d'esse leggi[3270], colle seguenti note
cronologiche: _Anno Deo propitiante regni mei octavo, aetatisque
trigesimo octavo, Indictione secunda, et post adventum in provinciam
Italiae Longobardorum anno septuagesimo sexto, Ticini in palatio._ Nel
fine di esse leggi viene ordinato che per le cause già terminate non si
ammetta revisione: _Quae autem non sunt finitae ad praesentem vigesimam
secundam diem mensis hujus novembris indictione secunda inchoatae, per
hoc nostrum edictum finiantur._ Manifesta cosa è che l'_Indizione
seconda_ cominciò nel settembre dell'anno presente. Similmente computati
_settantasei anni_ dall'ingresso dei Longobardi in Italia, succeduto
nell'anno 568, si giugne al presente anno 643. Per conseguente, in
quest'anno il re Rotari pubblicò le leggi longobardiche, e in questo
ancora correva l'_anno ottavo_ del suo regno: da che si scorge essere
stato con tutta ragione fissato il principio del suo regno nell'anno
636. Io so che il padre Pagi[3271] pretende che Rotari fosse creato re
nell'anno 630, perchè s'era messo in testa che Sigeberto istorico fosse
fin più di Paolo Diacono informato degli affari de' Longobardi. Ma le
note cronologiche suddette abbattono affatto questa pretensione; e se il
Pagi vuol a suo talento correggerle e mutarle per sostenere l'opinion di
Sigeberto, autore, il quale, oltre all'essere vivuto circa l'anno 1100,
cioè tanto lungi da questi tempi, non ebbe altro scrittore delle cose
longobardiche da seguitare, fuorchè lo stesso Paolo Diacono: sanno gli
eruditi che dai documenti contemporanei si han da emendare gli storici
posteriori, e non già fare al rovescio. E tanto meno possiam qui
seguitar Sigeberto, perchè egli mette nell'anno 630 l'assunzione al
trono di _Rotari_, con dire ch'egli succedette al re _Adaloaldo_: errore
massiccio, essendo evidente che fra Adaloaldo e Rotari regnò il re
_Arioaldo_. Vien riferita a questo anno dal suddetto Pagi una bolla di
papa Teodoro in favore di _Bobuleno_ abbate di Bobbio, pubblicata
dall'Ughelli[3272] o dal Margarino[3273]. Le note cronologiche son
queste: _Data IV nonas maji, imperii domini piissimi Augusti Constantini
anno secundo, consulatus primo, Indictione I; anno Domini DCXLIII._
L'Ughelli tralasciò l'anno dell'Incarnazione, perchè ben sapeva che non
era per anche in uso nella Chiesa romana l'era nostra volgare; e
veramente, tolto questo, le note suddette han tutta l'aria di una
veneranda antichità. Ma è da vedere se il papa potesse chiamar _figlio
nostro_ il re Rotari, che, siccome ariano, non era figliuolo della
Chiesa cattolica. E se abbia dell'affettazion il dirsi in essa Bolla,
che nel monistero di Bobbio si contavano _cento cinquanta monaci_. Oltre
di che, in una storia citata dall'Ughelli son detti _cento quaranta_. Ma
certo non può sussistere quel concedersi dal sommo pontefice Teodoro,
_ut liceat abbati ejusdem venerabilis loci mitra et aliis pontificalibus
uti_. Passarono dei secoli dipoi prima che fosse accordata dalla santa
Sede la _mitra_ con gli altri ornamenti pontificali agli abbati. Merita
ancora riflessione il concedersi quivi, che l'abbate d'esso monistero
_infra sacra mysteria constitutus, signacula sanctae Crucis valeat
praemuniri_. Il Margarino legge: _Infra sacra ministeria_, ec, _populum
valeat praemunire._ Se s'intende della benedizione che davano i vescovi,
non era per anche esteso agli abbati un sì fatto privilegio. Tralascio
altre parole, che tutte unite mi fan dubitare della legittimità di
quella bolla; e probabilmente ne dubitò anche il padre Mabillone, non
avendo io trovato che ne faccia menzione negli Annali benedettini,
ancorchè risponda all'Ughelli, al quale parve strano il dirsi quivi dal
papa, che i monaci di Bobbio erano _sub regula sanctae memoriae
Benedicti, reverendissimi Columbani_.
NOTE:
[3268] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 4.
[3269] Blancus, in Not. ad Paul. Diacon., lib. 1, cap. 14.
[3270] Rerum. Italicar. Scriptor., part. 2, tom. 1.
[3271] Pagius, Crit. Baron. ad ann. 638, n. 7.
[3272] Ughell., Ital. Sacr., tom. 4 in episc. Bob.
[3273] Margarin., Bullar. Casinens., tom. 1, constitut. 3.


Anno di CRISTO DCXLIV. Indizione II.
TEODORO papa 3.
COSTANTINO detto COSTANTE, imperadore 4.
ROTARI re 9.

Riferì Ermanno Contratto, e poscia il cardinal Baronio, all'anno
precedente la ribellion di _Maurizio_ Cartulario e la morte d'_Isacco_
esarco. Ma perciocchè non ben si sa l'anno preciso di tali avvenimenti,
non altro scrivendo Anastasio bibliotecario[3274], se non che accadde
quel fatto ai tempi di papa _Teodoro_, chieggo io licenza di poterne far
qui menzione. Quel medesimo _Maurizio_, di cui, siccome vedemmo
nell'anno 639, si servì _Isacco_ esarco di Ravenna per isvaligiare il
tesoro della basilica lateranense, circa questi tempi ebbe il suo
gastigo da Dio anche nel mondo di qua. Cominciò costui a cozzare
coll'esarco medesimo; e sparsa voce in Roma che Isacco macchinava di
farsi imperadore, raunò quanti soldati si trovavano in essa Roma e nelle
castella dipendenti da Roma, ed anche i giudici e grandi romani, i quali
tutti con giuramento si obbligarono di non prestar più ubbidienza al
medesimo esarco. Portata ad Isacco questa notizia, non fu lento ad
inviar _Dono_ general d'armi con quante truppe egli potè verso Roma:
segno che doveva allora essere qualche tregua fra i Romani e Longobardi.
Giunto colà Dono, tal fu la paura, che tutti magistrati e soldati romani
abbandonarono Maurizio, e tennero dalla parte di Dono. Fuggito Maurizio
in santa Maria del Presepio (oggidì santa Maria Maggiore), fu di là
levato per forza, e ben incatenato, e con un collare di ferro al collo,
insieme con gli altri che aveano tenuta mano a questa sollevazione, fu
inviato verso Ravenna. Ma non si tosto arrivò a _Ficocle_ (oggidì
_Cervia_ città), che d'ordine dell'esarco gli fu staccata la testa dal
busto, e questa poi esposta sopra un palo nel circo di Ravenna. Gli
altri condotti con esso furono posti in prigione e ben serrati ne'
ceppi. Ma mentre Isacco pensava a gastigare anche questi colla scure,
venne a trovar lui la morte, per presentarlo al tribunale di Dio: colpo
felice per quei ch'erano carcerati, perchè tutti ebbero maniera d'uscire
e di tornarsene alle loro case. Leggesi presso il Rossi[3275] nella
storia di Ravenna l'epitaffio greco posto da _Susanna_ sua moglie a
questo esarco, con varie lodi del suo valore, mostrato non meno in
Oriente che in Occidente, e massimamente in aver mantenuta salva Roma.
Manco male che non vi si parla della sua pietà, di cui certo diede bene
a conoscere d'essere privo, allorchè stese l'empie mani a rubare i
tesori del tempio lateranense. Anastasio aggiunge che egli ebbe per
successore nella dignità esarcale _Teodoro_ patrizio eunuco, chiamato
per soprannome _Calliopa_. Fu d'avviso il cardinal Baronio che Anastasio
in ciò s'ingannasse, constando dagli Atti di _san Martino_ papa, che
quando _Pirro_, già patriarca di Costantinopoli, convinto da _san
Massimo_ abbate, venne, siccome diremo, a Roma (il che si crede
succeduto dopo il mese di luglio dell'anno seguente 645), _Platone_
patrizio era esarco dell'Italia. Ma il padre Pagi pretende che _Teodoro
Calliopa_ veramente succedesse ad _Isacco_ in quel ministero, e che
essendo durato poco tempo nell'uffizio, desse poi luogo al suddetto
_Platone_ esarco. Quanto a me, trovo qui del buio. Nell'epitaffio
d'Isacco si legge ch'egli governò _ter sex annis_ lo Occidente. S'egli
succedette nell'anno 619 ad _Eleuterio_ esarco, numerando da quell'anno
_diciotto anni_, molto prima d'ora egli dovrebbe essere mancato di vita.
Se poi si fu nel precedente o nel presente anno, dovrebbe fra Eleuterio
e lui esserci stato un altro esarco. Ed è ben certo che seguì la disputa
di _san Massimo_ con _Pirro_ nell'anno susseguente; ma non mi par già
certo che nell'anno medesimo venisse Pirro a Roma.
NOTE:
[3274] Anastas. Bibliothec., in Teodoro.
[3275] Rubeus, Histor. Ravenn. lib. 4.


Anno di CRISTO DCXLV. Indizione III.
TEODORO papa 4.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 5.
ROTARI re 10.

Intanto gli errori de' monoteliti turbavano a dismisura la Chiesa di
Dio, _Paolo_, succeduto a _Pirro_ nella cattedra di Costantinopoli, era
uno de' più gagliardi campioni di questa eresia, benchè il volpone con
delle belle lettere a papa _Teodoro_ andasse alquanto coprendo il suo
cuor guasto. Il peggio era, che lo imperador _Costante_, o vogliam dirlo
_Costantino_, s'era imbevuto di quella falsa opinione, e proteggeva a
spada tratta chi combatteva per essa. La Sede apostolica, all'incontro,
costantemente tenea per la vera dottrina, e con essa lei si univano i
vescovi dell'Africa, di Cipri e dell'Occidente tutto. Avvenne in questi
tempi che _Pirro_, dopo aver deposto il pastorale di Costantinopoli,
ritiratosi in Africa, quivi ebbe una disputa celebre con _san Massimo_
abbate, gran difensore delle due volontà in Cristo, alla presenza di
molti vescovi africani e di _Gregorio_ prefetto del pretorio
dell'Africa, nel _mese di luglio, correndo la terza indizione_. Tante
ragioni addusse il dotto e santo abbate, che Pirro si diede per vinto.
La disputa suddetta si legge stampata negli Annali ecclesiastici del
Baronio e nelle raccolte dai concilii. Si sa dipoi dagli Atti di _san
Martino_ papa e dalla storia Miscella[3276], che Pirro, consigliato dai
vescovi dell'Africa, sen venne a Roma, e presentò a papa Teodoro la
profession della sua fede, dove condannava chiunque ammetteva una sola
volontà nel Signor nostro Gesù Cristo. Le accoglienze a lui benignamente
fatte dal papa furono molte, e suntuoso il trattamento; non credo già
certa la sua venuta nell'anno presente a Roma. Teofane[3277] mette circa
questi tempi la morte di _Omaro_ califfo, ossia principe de' Saraceni,
gran conquistatore della Persia, dell'Egitto, della Palestina, della
Soria e di altri paesi. Un disertore persiano quegli fu che, appostatolo
quando facea orazione, gli ficcò uno stocco nel ventre. Ebbe per
successore _Ulmano_, chiamato da altri _Osmano_. Elmacino il fa morto
prima. Godeva in questo mentre l'Italia una mirabil quiete, stante la
pace o tregua stabilita fra i Romani e Longobardi. Il credito del re
_Rotari_ teneva in dovere gli Unni Avari e gli Schiavoni. Dalla parte
poi dei re franchi non v'era da temere, perchè regnavano allora
_Clodoveo II_ e _Sigeberto II_, principi per l'animo e per l'età
spossati, sotto de' quali cominciò a declinare la regale autorità, e a
crescere quelle de' maggiordomi, anzi a crescere tanto, che giunse in
fine a detronizzare il medesimo re. Circa questi tempi, per attestata
del suddetto Elmacino[3278], _Muavia_ saraceno, governatore della Siria,
continuava in quelle parti la guerra contro al romano impero, e prese
molte città, delle quali non si sa il nome.
NOTE:
[3276] Miscell., lib. 18, pag. 132, tom. 1 Rer. Ital.
[3277] Theoph., in Chronogr.
[3278] Elmacin., Hist. Saracen., lib. 1, cap. 4.


Anno di CRISTO DCXLVI. Indizione IV.
TEODORO papa 5.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 6.
ROTARI re 11.

In quest'anno, siccome s'ha dalla Storia ecclesiastica, furono tenuti
varii concilii in Africa da quei vescovi, in proposito dell'eresia de'
monoteliti, detestata in quelle parti al maggior segno. Scrissero
all'imperadore e a _Paolo_ patriarca di Costantinopoli, con pregarli di
reprimere i seminatori di quella abominevol dottrina, non sapendo, o
mostrando di non sapere, che da esso Augusto e da quel patriarca veniva
il principal fomento della medesima eresia. Leggonsi ancora le loro
lettere a papa _Teodoro_. Ma in questi tempi l'Africa stessa cominciò ad
essere lacerata da interni mali. Ribellossi contra dell'imperador
Costante _Gregorio prefetto del pretorio_ in quelle provincie[3279],
senza che se ne sappia il perchè, ed ebbe dalla sua quei popoli.
Pensavano i vescovi di spedire all'imperadore un'ambasceria per li
correnti affari della Chiesa; ma non si attentarono ad eseguire il
disegno, dacchè venne loro notizia di essere caduti in sospetto di tener
mano anch'essi alla ribellione suddetta. Avendo poi scritto papa Teodoro
delle lettere assai forti a Paolo patriarca di Costantinopoli, affine
d'intendere chiaramente i di lui sentimenti intorno alle controversie
presenti che turbavano la Chiesa, costui finalmente si cavò la maschera,
ed apertamente gli fece sapere ch'egli non riconosceva se non una
volontà in Cristo: dopo di che il papa cominciò a pensare a procedere
contro di lui per iscomunicarlo.
NOTE:
[3279] Theoph., in Chronogr.


Anno di CRISTO DCXLVII. Indizione V.
TEODORO papa 6.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 7.
ROTARI re 12.

Nuove piaghe in quest'anno si aggiunsero alla cristianità, perciocchè i
Saraceni, padroni dell'Egitto, intesa la ribellione e division commossa
nell'Africa da _Gregorio_ prefetto del pretorio, seppero ben profittare
di un siffatto disordine. Abbiamo da Teofane ch'essi con una poderosa
armata ostilmente entrarono nell'Africa sotto il comando di _Abdala_
generale d'_Osmano_. Non mancò già di farsi loro incontro con quante
forze potè il suddetto Gregorio, ma in una battaglia sconfitto con gran
perdita di gente, fu obbligato alla fuga. Elmacino aggiugne ch'egli vi
lasciò la vita, e gli dà il titolo di re, non disconvenevole, dacchè
egli s'era sottratto all'ubbidienza del sovrano Augusto. Secondo quello
storico, sembra che gli Arabi d'allora s'impadronissero almeno di una
parte dell'Africa. Ma per quanto, andando innanzi vedremo, Cartagine,
capitale dell'Africa colle provincie occidentali restò in potere degli
Augusti. Le sole provincie orientali dovettero allora soccombere al
giogo, o almeno obbligarsi a pagar dei tributi. Dopo cinque anni di
governo venne in quest'anno a morte _Radoaldo_ duca di Benevento, a cui,
per elezione del popolo longobardo fu sostituito _Grimoaldo_ suo
fratello, e figliuolo anch'esso di _Gisolfo_ già duca del Friuli. Era
Grimoaldo uomo di gran senno e bellicoso. Vedremo a suo tempo, come egli
si servì di queste sue qualità per accrescere la sua fortuna.


Anno di CRISTO DCXLVIII. Indizione VI.
TEODORO papa 7.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 8.
ROTARI re 13.

Probabilmente a quest'anno si dee riferire l'ordine che il cardinal
Baronio immagina dato dall'imperadore ad _Olimpio_ esarco d'Italia, di
tener gli occhi addosso a _Pirro_ già patriarca di Costantinopoli, e di
guadagnarlo in favore del monotelismo, per cui l'infelice principe s'era
troppo impegnato, sedotto da _Paolo_, che teneva allora la cattedra
d'essa città di Costantinopoli. In esecuzione di questi ordini, l'esarco
con buone parole trasse da Roma a Ravenna esso Pirro, e lo indusse a
ritrattar l'abiura, da lui fatta davanti al sommo pontefice, degli
errori de' monoteliti. Ma _Platone_, e non _Olimpio_, era tuttavia
esarco, ed egli fu che accolse Pirro in Ravenna. S'egli poi avesse que'
pretesi ordini in favore del monotelismo, si può dubitarne per quel che
diremo all'anno seguente. Appena si ebbe a Roma l'iniquità di Pirro,
forse per qualche dichiarazione da lui insolentemente pubblicata, che
_Teodoro_ papa raunò un concilio, in cui, per attestato di
Teofane[3280], d'Anastasio bibliotecario[3281] e di altri, egli fu
solennemente deposto e condannato, e con un rito non più udito, per cui
si svegliò un sacro orrore in tutto quel venerando consesso. Cioè
portatosi il pontefice al sepolcro di san Pietro apostolo nel Vaticano,
e fattosi dare il sacrosanto calice consecrato, stillò nel calamaio
alcune gocce del sangue del Signore, e con quell'inchiostro sottoscrisse
di propria mano la deposizione e condanna di Pirro, traditor della fede.
Trovasi questo rito (suggetto per altro a molte riflessioni) praticato
dipoi dal concilio ottavo universale di Costantinopoli, allorchè fu
condannato Fozio intruso in quel patriarcato. Sappiamo parimente da
Anastasio e dagli atti del concilio lateranense, che papa Teodoro,
veggendo pertinace ne' suoi errori _Paolo_ patriarca di Costantinopoli,
proferì anche contro di lui la scomunica; ma non sappiamo ch'egli
condannasse ancora il _Tipo di Costante Augusto_, siccome accuratamente
dimostra il Pagi. Ora intorno a questo tipo è da dire, consistere esso
in un editto pubblicato verso il fine di quest'anno da esso
imperadore[3282], in cui, sotto pretesto di quietar le turbolenze
insorte nella Chiesa di Dio per cagione della controversia intorno alle
due volontà di Cristo Signor nostro, comandò che a niuno da lì innanzi
fosse lecito il disputar di questo argomento, nè sostenere una o due
volontà ed operazioni, sotto pena ai vescovi, chierici, monaci e laici
di perdere le lor dignità, se non ubbidivano. Parve a tutta prima ad
alcuni plausibile questo ripiego, ma non così parve alla santa Sede
romana ed a chiunque nudriva un vero zelo per l'indennità della vera
dottrina della Chiesa. Ciò che ne avvenne si accennerà fra poco. Intanto
poco ci volle a conoscere che l'imperadore, ad istigazione di Paolo
patriarca di Costantinopoli, si lasciò condurre alla pubblicazione di
questo editto: e però contra di esso Paolo andò dipoi, siccome abbiam
detto, a scaricarsi il giusto sdegno della Sede apostolica e de' vescovi
cattolici. Ma mentre l'imperadore impiegava così il suo tempo e i suoi
pensieri intorno alle liti ecclesiastiche con offesa di Dio e
pregiudizio della fede ortodossa, seguitavano a perdersi le provincie
cristiane del romano imperio. Scrive Teofane[3283], e seco va d'accordo
Elmacino[3284], che in quest'anno _Muavia_ generale di _Osmano_ principe
de' Saraceni, con una flotta di mille e settecento legni, tra piccoli e
grandi, fece una discesa nell'isola di Cipri, occupò la città di
Costanza, sottomise tutta l'isola, e la devastò. Udito poi che
_Cacorizo_, cameriere e capitano dell'imperadore, veniva con una potente
armata di Greci, condusse la sua flotta verso Arado, isola della Soria,
e si pose all'assedio di quella terra, adoperando tutte le macchine da
guerra per espugnarla. S'avvisò di mandare un vescovo, appellato
_Romarico_, per esortarli alla resa con patti assai vantaggiosi,
altrimenti a far loro di grandi minacce. Entrò quel vescovo nella terra;
ma que' cittadini nol lasciarono più uscir fuori. Arrivato poi che fu il
verno, Muavia si ritirò, e se ne andò colla sua gente a Damasco. Scrive
Elmacino che Muavia per due anni tirò tributo dall'isola di Cipri; segno
probabilmente ch'essa non restò poi in potere de' Saraceni. Seguita a
dire il medesimo storico che Osmano inviò _Abdala_ suo generale nella
Corasana, dove si impadronirono i Saraceni di varie città, come
_Naisaburo_, _Arata_, _Tusa_, _Abrima_, ed altre, con arrivar fino a
bere acqua del fiume Balca. Questo fiume mette nell'Eufrate, e pare che
qui si parli di qualche provincia della Mesopotamia, non per anche presa
almen tutta in addietro dai Saraceni.
NOTE:
[3280] Theoph., in Chronogr.
[3281] Anastas., in Theodor.
[3282] Acta Concilii Lateranens. sub S. Martino.
[3283] Theoph., in Chronogr.
[3284] Elmac., lib. 1, cap. 4.


Anno di CRISTO DCXLIX. Indizione VII.
MARTINO papa 1.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 9.
ROTARI re 14.

Fu quest'anno l'ultimo della vita di papa _Teodoro_, il quale, dopo aver
sostenuta con tutto vigore e decoro la dottrina della Chiesa, passò a
ricevere il premio delle sue fatiche nel dì 13 di maggio. Cadde la
elezione del successore in _Martino_ da Todi, che si crede consacrato
nel giorno quinto di luglio. Dalla lettera XV d'esso papa abbastanza si
conosce che il clero romano non volle aspettar lo assenso
dell'imperadore per consacrarlo, e però col tempo pretesero i Greci
ch'egli _irregulariter et sine lege episcopatum subripuisset_, e gli
fecero la fiera persecuzione che a suo tempo vedremo. Questo pontefice,
uno de' più riguardevoli e vigorosi che s'abbia mai avuto la sedia di
san Pietro, ancorchè sapesse la pena intimata da _Costante_ Augusto nel
suo Tipo, pure nulla intimidito, anzi maggiormente acceso di zelo,
intimò tosto un concilio di vescovi d'Italia, al quale fu dato principio
nel dì 5 di ottobre dell'anno presente, nella sagrestia della basilica