Annali d'Italia, vol. 2 - 83

carriera delle loro conquiste. Però in quest'anno con un formidabil
esercito passarono ad assediarla. Noi siam tenuti a venerare gli alti
decreti di Dio, ancorchè a noi siano occulti i motivi e i fini, per cui
l'infinita sua Sapienza ora deprime, ora lascia prosperare i nemici
della sua vera e santa religione. Qui il cardinal Baronio si crede
d'aver trovata l'origine di tanti guai, cioè perchè Eraclio imperadore,
dopo tanti benefizii ricevuti da Dio, per i quali dovea essere più
pronto e sollecito a difendere e propagare la pietà cattolica, divenuto
in questi tempi ribello della Chiesa cattolica, cominciò a farle guerra
e a sostenere gli eretici: con che si tirò addosso lo sdegno di Dio, che
suscitò i Barbari Saraceni contra del romano imperio. Ma se
quell'insigne porporato avesse preso a scusar questo imperadore, siccome
egli gagliardamente fece in favore d'_Onorio_ papa, avrebbe potuto dire
che anche Eraclio fu da compatire se aderì al partito dei monoteliti,
perchè dalla Chiesa non era per anche dichiarato ereticale quel
sentimento. Lo vedeva sostenuto da tre patriarchi dell'Oriente, cioè di
Costantinopoli, di Alessandria e di Antiochia. Lo stesso Onorio papa non
avea condannata per anche quella falsa dottrina, e comunicava tuttavia
con esso imperadore e coi suddetti patriarchi. Però in tali circostanze
non par giusto trattarlo da nemico dichiarato della Chiesa cattolica, nè
da eretico, siccome certamente tale neppur fu Onorio pontefice, benchè
il padre Pagi[3240] ed altri scrittori trovino in lui troppa facilità, e
non poca negligenza nell'occasione di tal controversia. In somma, prima
che la Chiesa decida intorno a certe scabrose dottrine non prima decise,
o almen prima che si sappia che la santa sede romana disapprova tali
dottrine, possono intervenir ragioni che scusino da peccato chi ha
tenuta opinion contraria. Dopo la cognizione, o decisione suddetta,
allora sì che è certo il reato di chi vuole opporsi, benchè sappia di
andar contro alla mente de' sommi pontefici e de' concilii, infallibili
giudici dei dogmi della Chiesa cattolica.
NOTE:
[3239] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 44.
[3240] Pagius, Crit. Baron. ad ann. 633.


Anno di CRISTO DCXXXVII. Indizione X.
ONORIO I papa 13.
ERACLIO imperadore 28.
ROTARI re 2.
L'anno XXVI dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.

L'assediata città di Gerusalemme in quest'anno cadde in potere de'
Saraceni[3241]. Vedesi una bella e patetica omilia di _Sofronio_ santo
vescovo di quella città, recitata nel dì di Natale, mentre durava
l'assedio, e rapportata dal cardinal Baronio[3242]. _Omaro_ califa e
principe di quei Barbari, e discepolo di Maometto, a patti di buona
guerra entrò in quella santa città da bravo ipocrita, cioè coperto di
cilicio, e mostrando di piangere la distruzione del tempio di Salomone.
Non tardò costui a fabbricare una moschea alla superstizione maomettana;
ed Elmacino[3243] attesta ch'egli concedette a quel popolo la sicurezza
per le loro persone, chiese e beni. L'afflizione che provò in tanta
disavventura il suddetto piissimo servo di Dio san Sofronio vescovo,
quella fu che il condusse a morte: vescovo di gloriosa memoria, perchè
quasi solo sostenne intrepidamente la vera sentenza della Chiesa di Dio
nelle dispute d'allora, e lasciò dei discepoli che seguitarono a
sostenerla. S'aggiunse a questi malanni, che la cattedra di Gerusalemme
col favore de' Saraceni fu occupata da _Sergio_ vescovo di Joppe, uomo
di costumi e di dottrina diverso dal suo predecessore. Nè qui finirono
le conquiste degli Arabi Saraceni. Per quanto scrive sotto quest'anno il
soprammentovato Elmacino, tolsero ai Persiani la città di Medaina, dove
trovarono il tesoro del re _Cosroe_, consistente in tre milioni di scudi
d'oro, in una gran copia di vasi d'oro e d'argento, di canfora, di
tappeti, e vesti d'infinito valore. Doveano ben costoro prendere gusto
alla guerra. Diedero poi battaglia ai Persiani presso la città di
Gialula, e li disfecero colla fuga del re _Jasdegirge_, chiamato
_Ormisda_ da Teofane, ultimo fra i re della Persia. Però Omaro califa,
ossia principe d'essi Saraceni, a cagione di così grande estension di
dominio, si cominciò a chiamare _Amirol-Muminina_, ossia
_Amiral-Mumnin_, che gli storici nostri appellarono col tempo
_Miramolino_, e significa _padre de' credenti_. Dappoichè _Rotari_ fu
salito sul trono de' Longobardi, per quanto ne scrive Fredegario[3244],
si diede a sfogare il suo sdegno contra di que' nobili della sua
nazione, i quali o aveano contrastata la di lui elezione, oppure si
scoprirono pertinaci in non volerlo riconoscere per re. Molti dunque ne
levò dal mondo; e con questo rigore e crudeltà si rendè temuto e rimise
in piedi la disciplina militare scaduta, benchè anch'egli inclinasse
alla pace. Ma riuscì ben detestabile l'ingratitudine sua verso della
regina _Gundeberga_, dalle cui mani avea ricevuta la corona, e a cui si
era obbligato col vincolo di tanti giuramenti. La cagione non si sa: ma
forse la diversità della religione occasionò questi disturbi. Solamente
narra quello storico, che Rotari la fece confinare in una camera del
palazzo di Pavia, con averla ridotta in abito privato. Diedesi poi egli
a mantener delle concubine; e intanto la buona principessa cattolica
mangiava il pane della tribulazione con somma pazienza, benedicendo
Iddio, e attendendo continuamente alle orazioni e ai digiuni. Circa
questi tempi ancora _Dagoberto_ re de' Franchi deputò uomini dotti, che
compilassero e mettessero in buon ordine le leggi dei Franchi, degli
_Alamanni_ e de' _Baioarii_, cioè della Baviera, perchè a tutti que'
popoli ei comandava. Queste leggi avevano avuto principio da _Teoderico_
figliuolo di _Clodoveo_ il grande, e poscia le migliorarono i re
_Childeberto II_ e _Clotario II_; ma in fine la perfezion delle medesime
venne da esso re Dagoberto, e noi le abbiamo stampate dal Lindenbrogio e
dal Baluzio. È cosa da notare, perchè troveremo a suo tempo l'uso di
queste leggi anche in Italia.
NOTE:
[3241] Theoph., in Chronogr.
[3242] Baron., Annal. Eccl.
[3243] Elmacinus, Hist. Sarac., lib. 1, cap. 3.
[3244] Fredegar., in Chron., cap. 70.


Anno di CRISTO DCXXXVIII. Indizione XI.
ONORIO I papa 14.
ERACLIO imperadore 29.
ROTARI re 3.
L'anno XXVII dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.

Terminò i suoi giorni in quest'anno il sommo pontefice _Onorio_, e,
secondochè s'ha da Anastasio[3245], fu seppellito nel dì 12 di ottobre;
pontefice che lasciò in Roma insigni memorie della sua pietà e
munificenza per tante chiese fabbricate e ristorate, e per tanti
preziosi ornamenti donati a varii sacri templi, ascendenti ad alcune
migliaia di libbre d'argento, senza mettere in conto tant'altri d'oro.
Anastasio ne ha fatta menzione, ma con aggiugnere che troppo lungo
sarebbe il volerli registrar tutti. Pontefice, al cui zelo è dovuta la
conversione alla fede di Cristo dei Sassoni occidentali
nell'Inghilterra, siccome attesta Beda[3246]. Pontefice infine di
dottrina ortodossa, la cui memoria non meritava di essere sì maltrattata
dopo la morte a cagione dell'eresia de' monoteliti, dall'approvar la
quale egli fu ben lontano, come han dimostrato uomini dottissimi. E qui
si vuol rammentare che a questo pontefice è dovuta la gloria di avere
estinto per qualche tempo lo scisma della chiesa d'Aquileia, almeno
nell'Istria, con avere finalmente que' vescovi accettata la condanna dei
tre capitoli e il concilio quinto generale, ed essere tornati
all'ubbidienza della sede apostolica. Di ciò non fece menzione l'insigne
cardinal Noris nel suo Trattato del concilio suddetto, perchè non si
avvisò di cercarne le chiare pruove, rapportate fuor di sito dal
cardinal Baronio, cioè nell'Appendice al tomo duodecimo degli Annali
ecclesiastici. Ma ciò chiaramente si riceva dall'epitaffio d'esso papa
Onorio. Certo è nondimeno che non durò questa unione, perchè al concilio
romano dell'anno 679 non intervenne co' suoi suffraganei il vescovo
d'Aquileia, ma solamente _Agatone_ vescovo di Grado, che s'intitola
_vescovo_ d'Aquileja: il che servì di confusione all'Ughelli nell'Italia
sacra. Fu lungo tempo dipoi vacante la santa sede, perchè non tardò già
il clero, senato e popolo di Roma a procedere all'elezion del suo
successore, che fu _Severino_, ma bensì tardò a venire l'assenso
dell'imperadore più di un anno e sette mesi. Proseguiva intanto a
dilatarsi in Oriente colla forza dell'armi la falsa legge di Maometto e
il dominio de' Saraceni. Teofane[3247] prima d'ora racconta che
_Giovanni Carea_, procuratore della provincia osroena di là
dall'Eufrate, era stato a trovare _Jasdo_, generale del califa _Omaro_,
in _Calcedone_, per trattar seco d'aggiustamento. Il suo testo è qui
fallato, e in vece di _Calcedone_ ha da dire _Calcide_, cioè il paese di
_Calcide_. Si convenne di pagare agli Arabi centomila nummi ogni anno, e
all'incontro gli Arabi non passerebbono di là dall'Eufrate. Fu pagato
questo tributo. Se l'ebbe a male _Eraclio_, perchè senza sua saputa ed
assenso fosse seguita quella convenzione. Ne portò la pena Giovanni con
essere cacciato in esilio. Ma in quest'anno si avanzarono gli
avventurosi Saraceni fino alla gran città d'Antiochia, capitale della
Soria, e a forza d'armi la presero; con che tutta la provincia della
Soria venne in lor potere. Scrive in quest'anno il cardinal Baronio che
_santo Ingenuino_, vescovo sabionense, fu mandato in esilio dal re
_Rotari_, a Brixen ossia alla città di Bressanone nel Tirolo: il che
giudica egli accaduto per cagion della religione sotto questo re ariano.
Trasse il porporato annalista una tal notizia dalla chiesa di
Bressanone; ma il Pagi ha delle difficoltà a credere il fatto; anzi
osserva che nell'uffizio che si recita ad onore di questo santo vescovo
nella chiesa suddetta, vien detto ch'egli fu mandato in esilio dal re
_Autari_: il che non può sussistere, perchè Ingenuino intervenne dipoi
al conciliabolo di Marano, e tenne il partito del patriarca scismatico
di Aquileia. Però stima esso Pagi che l'esilio di santo Ingenuino
succedesse sotto il re _Arioaldo_. Tutte immaginazioni, al creder mio,
fondate sopra tradizioni volgari, e non già sopra storia o documento
alcuno autentico. _Sabione_ nel Tirolo, ossia _Savione_ o _Sublavione_
presso gli antichi, non era per la diocesi diverso da _Bressanone_; ed
allorchè fu distrutta quella città, i vescovi cominciarono a risiedere
nella terra di Bressanone, divenuta poi città dove tuttavia risiedono.
Però, che esilio sarebbe mai stato questo? Oltre di che, non abbiam
pruova alcuna che il dominio de' Longobardi si estendesse nel Tirolo,
anzi ne abbiamo il contrario, cioè non passava oltre ai confini del
ducato di Trento. Nè si ha altra memoria che i re longobardi,
quand'anche erano ariani, inquietassero i vescovi cattolici, nè il
popolo cattolico per cagion della religione. Per conseguente, troppe
difficoltà patisce il fatto di santo Ingenuino, onde meglio fia il
sospenderne la credenza. Intorno a questo santo vescovo è da vedere il
Bollando negli Atti de' santi[3248]. Fu in quest'anno rapito dalla morte
_Dagoberto_ re de' Franchi, e la monarchia francese venne di nuovo a
dividersi ne' due suoi figliuoli _Sigeberto_ e _Clodoveo II_. Al primo
toccò l'Austrasia, al secondo la Neustria colla Borgogna.
NOTE:
[3245] Anastas. Bibliothec., in Vit. Honorii L.
[3246] Beda, Hist. Angl. lib. 3, cap. 7.
[3247] Theoph., in Chronogr.
[3248] Bollandus Act. Sanctor, ad diem V februarii.


Anno di CRISTO DCXXXIX. Indizione XII.
SEDE vacante.
ERACLIO imperadore 30.
ROTARI re 4.
L'anno XXVIII dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.

Restò vacante in tutto quest'anno la cattedra di san Pietro, non essendo
mai venuta dalla corte imperiale la licenza di consacrare l'eletto papa
_Severino_. Congettura il cardinale annalista, che procedesse sì gran
ritardo dal maneggio di _Eraclio_ Augusto e dall'esarco, perchè volevano
prima indurre Severino ad accettare l'ectesi, ossia l'istruzione
pubblicata da Sergio patriarca di Costantinopoli intorno alla
controversia del monotelismo, al che Severino non volea per conto alcuno
acconsentire. In fatti, verso il fine del precedente anno il suddetto
_Sergio_ avea esposta al pubblico quell'istruzione, o esposizion di
fede, e per darle più credito, s'era servito del nome dell'imperadore
Eraclio. Certo è ch'esso Augusto chiaramente dipoi protestò di non aver
avuta parte in essa, e ne fece una pubblica dichiarazione. In essa
dunque Sergio proibiva il dire una o due operazioni in Cristo, con
asserir poi chiaramente una sola volontà nel medesimo Dio-Uomo. Finì poi
di vivere _Sergio_ nel gennaio dell'anno presente, ed ebbe per
successore _Pirro_, il quale non tardò ad approvare l'ectesi, o, vogliam
dire, l'istruzion perniciosa del suo predecessore. Il padre Combefis
pretese che da altri motivi derivasse la soverchia dilazione del
pontificato di Severino; ma è sostenuta anche dal padre Pagi con buone
ragioni. Ora accadde in questo anno una scandalosa prepotenza usata dai
ministri imperiali in Italia. Il fatto è raccontato da Anastasio
bibliotecario[3249]. Le truppe dell'imperadore in queste parti non erano
pagate. Un brutto ripiego a questo bisogno venne in mente ad _Isacco_
patrizio esarco di Ravenna, cioè di pagarle col tesoro della basilica
lateranense, dove si trovavano tanti preziosi arredi e vasi sacri d'oro
e d'argento, donati a quell'augusta patriarcale da molti pontefici,
imperadori e patrizii, come anche dalla gente pia. Se la intese con
_Maurizio_ cartulario dell'imperadore in Roma, il quale un dì che la
guarnigione di Roma domandava il soldo, disse di non poter darlo; e poi
soggiunse che nel tesoro lateranense v'era una prodigiosa quantità di
danaro, raunato da papa _Onorio_, che a nulla serviva, e che sarebbe
stata ben impiegata in soddisfare alle milizie, dalle quali dipendeva la
difesa e sicurezza della città. Anzi fece loro sacrilegamente credere
che l'imperadore avea mandate le paghe varie volte, e il buon papa le
avea quivi riposte. Di più non ci volle per muover tutti i soldati
abitanti in Roma a volersi pagar da sè stessi. Volarono al palazzo
lateranense, ma non poterono entrar nel tesoro, perchè la famiglia
dell'eletto papa _Severino_ fece fronte. Si fermarono le soldatesche per
tre dì nel palazzo, e finalmente Maurizio entrò nel tesoro, e fatto
sigillare il vestiario e tutti gli arredi, avvisò poi lo esarco del suo
operato. Se n'andò tosto a Roma Isacco, e per non aver chi gli facesse
resistenza, sotto varii pretesti mandò i principali del clero in esilio
in varie città circonvicine. Di là a qualche dì entrò nel tesoro, e per
otto giorni attese a svaligiarlo. Crede il Pagi che lo imperadore
Eraclio non fosse prima consapevole di questa sacrilega violenza, nè
l'approvasse dipoi, e potrebbe essere. Abbiam nondimeno dal medesimo
storico che Isacco l'esarco mandò a Costantinopoli allo stesso Augusto
una parte di questa preda. Certo non resta memoria che i re longobardi
ne facessero di queste ne' paesi al loro dominio suggetti.
Sotto il presente anno viene scritto da Teofane[3250] che _Jasdo_
generale dei Saraceni, passato coll'esercito di là dall'Eufrate, occupò
la città di _Edessa_ e di _Costanza_, e poscia ebbe a forza d'armi la
città di _Daras_, dove mise tutto quel popolo cristiano a fil di spada.
In tal maniera la provincia osroena, anzi tutta la Mesopotamia, tolta
all'imperio romano, venne in potere di quella barbarica nazione.
Elmacino[3251] differisce più tardi la conquista di quel paese, e nel
presente mette l'ingresso de' Saraceni nell'Egitto, e la pressa di
_Misra_, creduta la città di _Menfi_. Aggiugne che intrapresero
l'assedio di _Alessandria_, il quale durò quattordici mesi colla perdita
di ventitremila Muslemi, cioè Maomettani, ed infine se ne impadronirono
nell'anno ventesimo dell'egira, ch'ebbe principio nel dì 16 di luglio
dell'anno di Cristo 640. Scrisse allora _Amro_ generale al califa Omaro
di aver fatta quell'impresa, con trovare in essa città quattromila
bagni, ventimila ortolani che vendevano erbaggi, quattromila Giudei che
pagavano tributo, e quattrocento mimi, cioè commedianti. Ma che molto
prima accadesse la perdita dell'Egitto, se non è fallato il testo di
Niceforo[3252], si può dedurre dal di lui racconto. Narra egli dunque
sotto l'_Indizione XII_ corrente in quest'anno fino al settembre, che
verso il fine dell'anno precedente _Ciro_ patriarca alessandrino, uno
de' maggiori atleti del monotelismo, fu chiamato a Costantinopoli
dall'imperadore _Eraclio_, il quale era nelle furie contro di lui, quasi
che egli avesse proditoriamente fatto cadere in mano de' Saraceni tutto
l'Egitto. Ciro addusse in pubblico concistoro le sue discolpe, e rigettò
sopra i ministri imperiali l'origine di quelle disavventure. Ma non
lasciò per questo l'imperadore Eraclio di chiamarlo un gentile e un
nemico di Dio, che aveva tradito il popolo cristiano, e consigliato di
dare una figliuola di esso Augusto ad _Omaro_ principe de' Saraceni.
Però minacciatolo di morte, il diede in mano al prefetto della città,
acciocchè a forza di tormenti scoprisse la verità del preteso
tradimento.
NOTE:
[3249] Anastas., in Vita Severini.
[3250] Theoph., in Chronogr.
[3251] Elmacinus, Histor. Saracen., lib. 1, pag. 29.
[3252] Niceph., in Chron., ep. 18.


Anno di CRISTO DCXL. Indizione XIII.
SEVERINO papa 1.
GIOVANNI IV papa 1.
ERACLIO imperadore 31.
ROTARI re 5.
L'anno XXIX dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.

Finalmente in quest'anni fu consacrato papa nel dì 28 di maggio
_Severino_ di nazione romano. Ci è motivo di dubitare che il clero di
Roma, stanco di tanto aspettare l'assenso dell'imperadore, passasse
all'ordinazione del medesimo. Tuttavia dicendo Anastasio[3253] che
l'esarco di Ravenna _Isacco_ si fermò in Roma fin dopo la consecrazione
di questo pontefice, non si dee facilmente immaginare che al dispetto di
lui e dell'imperadore seguisse l'ordinazione suddetta. Quello che è
certo, papa Severino non volle punto accettar l'ectesi, ossia la
sposizion della fede, pubblicata da _Sergio_ patriarca di
Costantinopoli. Anzi si hanno prove ch'egli la detestò e condannò con
pieni voti del clero romano in un concilio. Ma il buon pontefice
_Severino_ non campò che due mesi e quattro giorni, e lasciò di vivere
nel dì primo d'agosto: papa di gran pietà, di egual zelo, e commendato
da tutti per le sue molte limosine. Dopo quasi cinque mesi di sede
vacante, in luogo di lui fu consecrato e posto nella cattedra di san
Pietro _Giovanni_ quarto, di nazione dalmatino. Terminò ancora in
quest'anno il corso di sua vita san _Bertolfo_ abate di Bobbio, la cui
vita, scritta da Giona monaco contemporaneo, si legge nel tomo secondo
de' Secoli benedettini del padre Mabillone. Ebbe per successore
_Bobuleno_ abate, borgognone di nazione. Allora cento quaranta monaci
vivevano in quel monistero. Sotto quest'anno riferisce Teofane[3254] la
presa della Persia fatta dai Saraceni, dopo varie sconfitte date a que'
popoli. Il padre Pagi[3255] pretende che ciò succedesse nell'anno 637;
ma Elmacino[3256] anche egli parla di queste conquiste all'anno 21
dell'egira, cioè all'anno nostro 641. Impadroniti di quel regno gli
Arabi, v'introdussero il maomettismo, che v'è sempre regnato da lì
innanzi, e regna tuttavia, ma con sentimenti diversi dal maomettismo dei
Turchi, i quali perciò riguardano i Persiani come eretici. Deesi
nondimeno avvertire che sì presto non venne tutta la Persia in potere
de' Saraceni, perchè il re _Jasdedirge_, ossia _Ormisda_, tenne per
alcuni anni ancora una parte di quel regno, e mancò di vita solamente
nell'anno 651. E in questi tempi ancora _Omaro_ califa d'essi Saraceni
fece descrivere tutto il suo dominio, e tante provincie sì rapidamente
da lui conquistate. Volle non solamente la lista dei paesi e delle
persone, ma il registro ancora di tutte le bestie e di tutti gli alberi
sottoposti alla sua signoria.
NOTE:
[3253] Anast. Bibliothec., in Severino.
[3254] Theoph., in Chronogr.
[3255] Pagius, Crit. Baron.
[3256] Elmacinus, Hist. Sarac., lib. 1, cap. 3, pag. 25.


Anno di CRISTO DCXLI. Indizione XIV.
GIOVANNI IV papa 2.
ERACLIO Costantino imp. 1.
ERACLEONA imperadore 1.
COSTANTINO, detto COSTANTE, imperadore 1.
ROTARI re 6.

Diede fine quest'anno alla carriera dei suoi giorni l'imperadore
_Eraclio_. Teofane e Cedreno scrivono nel mese di marzo; e il Pagi
pretende ciò succeduto nel dì undecimo di febbraio. Gli affanni ch'egli
patì nel veder tante provincie rapite al romano imperio
dall'innondazione de' Saraceni, servirono non poco a sconcertargli la
sanità. Sopraggiunse poi l'idropisia che il portò all'altra vita.
Nell'ultimo suo testamento dichiarò egualmente suoi successori
nell'imperio _Eraclio_, appellato _nuovo Costantino_, a lui nato da
_Eudocia_ Augusta, moglie prima; ed _Eracleona_, chiamato _Eraclio_ da
altri, a lui partorito da _Martina_ Augusta, moglie in seconde nozze,
con ordine ad amendue di onorare essa Martina qual madre ed imperatrice.
Appena seppe _Giovanni_ papa l'assunzione al trono di questi due
Augusti[3257], che scrisse ad Eraclio Costantino una lunga lettera, in
cui gli fece conoscere i cattolici sentimenti di papa _Onorio_, e
riprovò la sposizione della fede pubblicata dal patriarca _Sergio_, con
pregarlo di voler adoperare la sua autorità per abolirla. Era Eraclio
Costantino, per attestato di Zonara[3258], attaccato alla dottrina della
chiesa cattolica, e fu perciò creduto che _Pirro_ patriarca di
Costantinopoli, gran difensore degli errori e del monotelismo di Sergio
suo antecessore, cospirasse coll'imperadrice Martina alla morte di
questo principe. Infatti neppur quattro mesi sopravvisse _Eraclio
Costantino_ a suo padre. Teofane[3259] scrive che fu levato di vita nel
mese di maggio, o di giugno, per veleno, comunemente creduto a lui dato
da essa matrigna, la qual volea solo sul trono Eracleona suo figlio, e
dal patriarca Pirro, che mirava con occhio bieco un imperadore contrario
ai suoi sentimenti. Ma questo assassinio non tardò Iddio a
punirlo[3260]. Sollevossi contro di Eracleona Valentino, una delle
guardie di Filagrio già conte delle cose private; e messo insieme un
esercito, cominciò a bloccare Costantinopoli, con esigere che _Eraclio_,
figliuolo del defunto Eraclio Costantino, fosse dichiarato imperadore.
Il popolo di Costantinopoli per liberarsi da quella vessazione si mosse
con tumulto e grida, ed obbligò Eracleona a crear Augusto il suddetto
Eraclio, figliuolo di suo fratello. Pirro patriarca il coronò, ed egli
prese il nome di _Costantino_, che _Costante_ vien chiamato da Teofane e
da altri, e per tale il chiamerò anch'io in avvenire. Ma qui non terminò
la faccenda. Quetossi il rumore per qualche tempo, ed in fine gli umori
che erano in moto di nuovo si esaltarono. Per attestato di Teofane,
irritato il senato e popolo contro di Eracleona e di Martina,
probabilmente per la morte data ad Eraclio Costantino, li deposero. Ad
Eracleona tagliato fu il naso, la lingua a Martina, ed amendue furono
cacciati in esilio: con che venne a restar solo sul trono il giovane
_Costante_. Pirro patriarca, nel mese d'ottobre, anch'egli spaventato
dalla sollevazion di popolo, deposte le sacre vesti, e rinunziata la sua
dignità, se ne fuggì; e perciò fu eletto in suo luogo _Paolo_ patriarca
di Costantinopoli. Abbiamo da Eutichio[3261] che Costante imperadore
rispose alla lettera già scritta da _Giovanni papa_ ad Eraclio
Costantino suo padre, ed in essa gli fa sapere di aver fatta bruciare la
sposizion della fede di Sergio. Ma a questo buon principio non
corrispose il proseguimento della vita di questo imperadore; e noi lo
troveremo nemico aperto della santa dottrina della Chiesa romana.
A questi medesimi tempi stimo io probabile che appartenga la guerra
mossa in Italia dal _re Rotari_ al romano imperio; perchè niun tempo più
acconcio di questo ci si presenta per immaginare ch'egli desse di piglio
all'armi. Lo stato miserabile degli affari dell'imperio in Oriente, le
rivoluzioni poco fa accennate di Costantinopoli, e il discredito, in cui
probabilmente si trovava _Isacco_ esarco di Ravenna dopo le iniquità
commesse in Roma, paiono motivi che l'inducessero nell'anno presente a
rompere la pace coi Greci. Dissi la pace, e volli dir la tregua, che
Rotari verisimilmente non si sentì voglia di confermare più oltre;
oppure egli non era sì delicato come i suoi predecessori. Ora abbiamo da
Fredegario[3262] che correva già il quinto anno, dacchè la regina
_Gundeberga_ stava rinchiusa in una camera del regal palazzo di Pavia,
quando capitò colà un ambasciatore di _Clodoveo II_ re de' Franchi,
succeduto a _Dagoberto_ re suo padre nella Neustria e nella Borgogna. Il
suo nome era _Aubedo_. Avendo egli intesa la disgrazia della regina, da
cui in occasione d'altre ambascerie era stato benignamente accolto, da
sè si mosse a rappresentare al re Rotari, che quella principessa era
parente dei re franchi, e che farebbe cosa grata a quel re rimettendola
in libertà e nel suo grado d'onore; e tanto più convenir questo al
decoro di esso re Rotari, perchè dalle mani di lei egli avea ricevuto il
regno. Ottimo effetto produsse questa rappresentanza. Gundeberga
ricuperò la sua libertà, fu rimessa sul trono, e le furono restituite le
ville e rendite che dianzi ella godeva. E buon per Aubedo, che ne fu
largamente rimunerato dalla regina. All'anno 632 abbiam veduto un
somigliante avvenimento di questa regina: laonde si potrebbe quasi
dubitare di qualche abbaglio in Fredegario. Fino a questi tempi le città
del lido ligustico erano state costanti nella fedeltà al romano imperio,
nè i re longobardi aveano loro data molestia, in vigor della tregua che
lungo tempo era durata fra essi e gl'imperadori. O per i motivi addotti,
o per altri, che la storia ha taciuto, in quest'anno credo io, che
Rotari dasse di piglio all'armi. Fredegario, dopo aver narrata
l'ambasceria suddetta, seguita a far questo racconto. Nè dia fastidio
ch'egli tratti di ciò all'anno 630, perchè quello storico negli
avvenimenti stranieri non osserva la cronologia, e talvolta in un fiato
mette insieme i fatti accaduti sotto anni diversi. Osservasi che
all'anno precedente 629 egli narra la morte dell'imperadore Eraclio;
eppure questi finì di vivere nell'anno presente 641. Racconta nel
suddetto anno 630 l'ambasciata mandata a Pavia dal re _Clodoveo II_, il
quale pure succedette a _Dagoberto_ suo padre nell'anno 658. Dice dunque
Fredegario che il re _Rotari_ (da lui appellato _Crotario_) portatosi
coll'esercito nel litorale ligustico, prese le città di _Genova_,
d'_Albenga_, di _Varicotti_ (oggidì _Varigotti_ presso la città di Noli,
la quale verisimilmente sorse dalle rovine di quella città), di
_Savona_, di _Oderzo_ e di Luni. Ma lo storico fa quivi un brutto salto,
mischiando _Opitergio_, ossia _Oderzo_ (città una volta, ed ora terra
del Friuli) coi luoghi del litorale ligustico. Di esso si parlerà fra
poco. Aggiunge ch'egli saccheggiò, devastò e smantellò le suddette
città, conducendo prigionieri quegli abitanti: segno che doveva essere
ben forte in collera contro d'essi. Di tali conquiste fatte da Rotari si
trova menzione anche presso Paolo Diacono, raccontando egli che questo
re prese tutte le città de' Romani, che sono da Luni, città della
Toscana, sino ai confini del regno della Francia. E qui merita d'esser
osservato che, dacchè vennero in Italia i Longobardi, l'arcivescovo di
Milano si ritirò a _Genova_, e quivi seguitarono a stare fino a questo
tempo anche gli altri suoi successori, trovandosi negli antichi
cataloghi dei medesimi arcivescovi, pubblicati dai padri Mabillone e
Papebrochio, e da me ancora[3263], che _Lorenzo II_, _Costanzo_,
_Deusdedit_ ed _Austerio_, arcivescovi di Milano, ebbero la sepoltura in
Genova. Dal che si può argomentar la moderazione dei re longobardi, che
padroni della nobilissima città di _Milano_, si contentavano che quegli
arcivescovi avessero la lor permanenza in _Genova_ città nemica, perchè
ubbidiente all'imperadore. Ma dacchè Genova venne alle mani del re