Annali d'Italia, vol. 2 - 81
fu creduto che disgustati gli Schiavoni per quella disavventura,
abbandonato il campo, se ne tornassero al loro paese: il che fosse
cagione che anche il re degli Avari si trovasse forzato a seguitarli.
Attribuì il popolo di Costantinopoli la sua liberazione ad un
particolare aiuto di Dio, e alla protezione ed intercessione della
santissima Vergine Madre di Dio, di cui era divotissima quella città.
Intanto l'imperador Eraclio, siccome abbiam da Teofane[3196], avendo
diviso l'esercito in due, ne diede una parte a _Teodoro_ curopalata,
cioè maggiordomo maggior della corte, suo fratello, acciocchè andasse
incontro a _Sae_ general di Cosroe, che conduceva un'armata di bella
gente sì, ma di nuova leva. Coll'altra parte esso imperadore s'incamminò
verso il paese dei Lazii, situato nella Colchide sul fine del Ponto
Eussino, ossia del mar Nero. Non sì tosto Teodoro si trovò a fronte di
Sae, che attaccò la zuffa. Levossi in quello stante un temporale, che
regalò di grossa gragnuola i Persiani, senza che ne toccasse ai
Cristiani, sopra i quali era sereno il cielo: e ciò fu considerato per
miracolo. Seguitarono essi Cristiani a menar le mani, tantochè misero in
rotta il nemico, di cui non poca parte trovò qui la sepoltura. Arse
d'incredibile sdegno Cosroe contra di Sae all'avviso di questa perdita,
e comandò che venisse alla corte. Ma il misero per l'afflizione e
disperazione caduto infermo, terminò per istrada i suoi giorni. D'ordine
nondimeno del barbaro re condotto alla corte il di lui cadavero salato,
fu esposto agli oltraggi del popolo, e caricato di bastonate, senza che
esso rispondesse una parola o gittasse un sospiro. Avea intanto
l'imperadore Eraclio[3197] per mezzo d'ambasciatori e con regali
trattato coi _Turchi_, appellati _Gazari_, anch'essi di nazione Unni e
Tartari, affine di muoverli a' danni de' Persiani. In fatti costoro,
rotte le porte Caspie (m'immagino io che sieno le porte o chiuse del
monte Caucaso), piombarono da quelle parti addosso alla Persia, dando il
guasto dovunque capitavano, e facendo prigioni quanti cadevano nelle lor
mani. Era capo di costoro _Ziebelo_, che dopo Cacano veniva riputato il
più temuto e stimato signore fra gli Unni, ossia fra i Tartari.
Trovandosi l'imperadore in quelle vicinanze, volle costui abboccarsi
seco, e l'abboccamento seguì presso a Fifili città de' Persiani, i quali
dalle mura furono spettatori di quel congresso. Appena giunse Ziebelo
davanti all'Augusto Eraclio, che balzato da cavallo, si gittò disteso
colla faccia per terra, onore insolito fra' Cristiani, ma praticato da
que' Barbari verso i loro principi. Altrettanto fece tutto l'esercito
turchesco che era con lui. Fece saper l'imperadore a Ziebelo che
rimontasse a cavallo e s'accostasse. Così fece egli, e quando fu alla
presenza sua, Eraclio si cavò la corona di capo e la pose in quello del
Barbaro, con chiamarlo anche figliuolo. Invitò a pranzo lui e i suoi
baroni, e terminato che fu il convito, donò a lui tutti i vasi e gli
utensili con un manto regale ed orecchini di perle, e ai di lui baroni
di sua mano dispensò altri donativi. Per impegnare ancora con legami più
stretti il Barbaro in questa lega, ed acciocchè non gli venisse talento
d'imitare il perfido Cacano, gli mostrò il ritratto di _Eudocia_, sua
figliuola, con dirgli: _Già ti ho dichiarato mio figliuolo. Mira ancor
questa mia figliuola Augusta de' Romani. Se contra de' nemici mi
recherai aiuto, io te la prometto in isposa_. Ziebelo sopraffatto da
questi favori e dalla beltà di quella principessa, tutto promise e diede
tosto ad Eraclio quarantamila dei suoi combattenti, con ordine di
servire a lui come a sè stesso.
Portata che fu a Cosroe la nuova della lega seguita fra Eraclio ed i
Turchi, pien di timore e d'affanno spedì tosto lettera a Sarbaro suo
generale, con ordine di lasciar Calcedone, e di ricondurre
sollecitamente la sua armata in Persia, per opporla ad Eraclio. Cadde
questa lettera fortunatamente in mano dell'imperadore; e perchè a lui
premeva di non aver contrasto dall'armi di Sarbaro, finse un'altra
lettera di Cosroe, e la sigillò col sigillo regale, in cui l'avvisava,
che entrato l'imperador de' Romani coi Turchi nella Persia, era stato
sconfitto dall'armi sue; e però che attendesse alla conquista di
Calcedone, nè rimovesse dalle greche contrade. Nasce qui un
scabrosissimo nodo di storia, perchè Teofane, dopo aver narrata la lega
suddetta col re dei Turchi, salta a dire che costoro, venendo il verno,
se ne tornarono alle lor case, prima che terminasse l'anno in cui
Eraclio fece varie imprese contra de' Persiani; e qui imbroglia forte il
racconto, dicendo in un luogo succeduti quei fatti _IX octobris die
Indictione XV_; il che vorrebbe dire nell'autunno dell'anno presente
626; e in un altro _mensis decembris die XII, qui sabbati dies fuit_: il
che appartiene al fine dell'anno susseguente 627. E certo hanno avuta
ragion di dire i padri Petavio e Pagi, che mancano nel testo di Teofane
le memorie d'un anno della guerra di Persia. Il Pagi ha diffusamente
trattato questo punto. Egli crede succeduto l'abboccamento di Eraclio
col Turco nell'anno seguente; io nel presente, credendo che qua si possa
riferire ciò che scrive Giorgio Elmacino[3198] antichissimo scrittore
della Storia saracenica. Racconta egli all'anno quarto dell'egira, cioè
all'anno di Cristo 625, avere il re Cosroe, sdegnato contra di Siariare,
cioè contra Sarbaro ossia Sarbaraza, suo generale, dato ordine a
Marzubano di ucciderlo. Questo _Marzubano_ verisimilmente è lo stesso
che _Marzabane_, mentovato negli atti di sant'Anastasio, martirizzato
circa questi tempi dai Persiani. Capitata la lettera in mano
dell'imperadore Eraclio, questi ne fece avvertito Sarbaro il quale
chiaritosi del fatto, passò ai servigi dell'imperadore con assaissimi
altri uffiziali. Secondo Teofane, questo fatto di Sarbaro succedette più
tardi, cioè l'anno 628 con circostanze diverse, siccome vedremo. Seguita
poi a dire Elmacino, avere Eraclio scritto _ad Chacanum regem Hararorum_
(si dee scrivere _Hazarorum_, cioè de' Turchi chiamati _Cazari_, o
_Gazari_) per ottener da lui quarantamila cavalli, con promettergli in
ricompensa del servigio una sua figliuola per moglie, nel che va
d'accordo con Teofane. Andato dipoi Eraclio nella Soria, cominciò a
prendere molte città a lui già tolte dai Persiani, e a mettervi de' suoi
governatori. Era sparsa la maggior parte delle truppe di Cosroe per la
Soria e Mesopotamia; Eraclio a poco a poco le mise a fil di spada, o le
ebbe prigioniere. Diede poi Cosroe il comando dell'armata sua a
Marzubano, ed intanto Eraclio si trovava occupato in sottomettere
l'Armenia, la Soria e l'Egitto (cosa nondimeno poco credibile, perchè
tante forze non aveva Eraclio) con disfar tutti i reggimenti persiani,
che s'incontravano in quelle parti. Aggiugne dipoi Eraclio che avea
nella sua armata _trecentomila cavalli_, e circa altri _quarantamila_
cavalli gazari, cioè turchi. In vece di _trecentomila_, senza timor di
fallare si dee scrivere _trentamila_. Ora si può credere che quanto vien
qui narrato da Elmacino appartenga al presente anno quinto della guerra
di Persia, e a parte del seguente, tanto più perchè Niceforo[3199]
attesta che Eraclio col rinforzo avuto dai Turchi entrò nella Persia, e
smantellò molte città e i templi del Fuoco, dovunque si trovavano.
Sembra anche probabile che egli svernasse nel paese nemico.
NOTE:
[3194] Niceph., in Breviar.
[3195] Chronic. Alexandr.
[3196] Theoph., in Chronogr.
[3197] Niceph., in Brev. Hist.
[3198] Elmacinus, Hist. Sarac. lib. 1, pag. 13.
[3199] Niceph., in Breviar.
Anno di CRISTO DCXXVII. Indizione XV.
ONORIO I papa 3.
ERACLIO imperadore 18.
ARIOALDO re 3.
L'anno XVI dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Morì in quest'anno nel mese di marzo _Attala_ abate di Bobbio, ed ebbe
per successore nel governo di quel monistero _Bertolfo_ abate, di cui
abbiam la vita scritta da Giona monaco contemporaneo[3200]. Cominciò
subito il vescovo di Tortona ad inquietare il nuovo abate con pretendere
che il monistero di Bobbio fosse soggetto alla di lui autorità e
giurisdizione. S'ingegnò ancora di avere per favorevoli alla sua
pretensione i vescovi confinanti, e di guadagnare il re de' Longobardi.
_Regnava in quel tempo_ (dice Giona) _Ariovaldo longobardo_, il quale,
siccome egli stesso aggiugne più sotto, _fu re de' Longobardi dopo la
morte di Adoloaldo_, ed era _genero del re Agilolfo_, perchè marito di
Gundeberga, e _cognato d'esso re Adaloaldo_; parole, che qualora fosse
certo che in questo anno succedesse la controversia suddetta, farebbono
conoscere già morto il re Adaloaldo, e non già tuttavia vivente, come
vedemmo preteso dal Pagi. Altra risposta non diede il re Arioaldo al
vescovo di Tortona, se non che toccava ai giudici ecclesiastici il
decidere se i monisteri lontani dalle città avessero da essere
sottoposti al dominio de' vescovi. Segretamente avvertito di questi
movimenti l'abate Bertolfo, inviò i suoi messi al re per iscoprire che
intenzione egli avesse. Rispose saviamente il re Arioaldo, che non
apparteneva a lui il giudicare nelle controversie de' sacerdoti, ma sì
bene ai sacri giudici e concilii; e ch'egli non favorirà più l'una che
l'altra parte. Così un re longobardo e di setta ariana. Il cardinal
Baronio non potè di meno di non esaltare in lui questa lodevol
moderazione. Chiesero pertanto i monaci licenza di poter ricorrere alla
sede apostolica, e fu loro accordata dal re. A questo fine si portò a
Roma Bertolfo, conducendo seco lo stesso Giona scrittore di questo
avvenimento. _Onorio_ papa, uomo dotato di una rara dolcezza ed umiltà,
accolse benignamente Bertolfo, e gli concedette un privilegio di
esenzione da qualsivoglia vescovo. Leggesi presso l'Ughelli[3201] questo
privilegio, ma senza saper io dire se sia o non sia documento sicuro,
perchè esso è indrizzato _fratri Bertulfo abbati_: il che non conviene
al rituale di un papa, che dovea dire _filio_, e non già _fratri_. Per
altro le note cronologiche, se fossero più esatte, militerebbono forte
in favor d'esso, perchè vi si legge: _Datum III id. jan. imper. dominis
piissimis Augg. Eraclio anno VIII_ (dee essere _XVIII_) _post consulatum
ejus anno XVIII_ (dovrebbe essere _XVI_) _atque Eraclio Constantino novo
ipsius filio anno XVI, Indictione prima._ L'anno di Eraclio Costantino
dovrebbe essere il XV, purchè in vece di _jan._ non fosse scritto _jun._
Parte delle imprese di Eraclio imperadore, che di sopra abbiam
rapportato dalla Storia saracenica di Elmacino, pare che appartenga
all'anno presente. Seguita dipoi a scrivere il medesimo storico[3202]
che l'armata di Eraclio Augusto arrivò nella provincia Aderdigiana, ed
ebbe ordine di fermarsi quivi, finchè lo imperadore vi arrivasse
anch'egli. E che dopo aver soggiogata l'Armenia, esso Augusto si
trasferì a Ninive, e s'accampò alla porta maggiore. Venne dipoi Zurabare
general di Cosroe con una potente armata, e seguì fra esso e l'esercito
cristiano un'ostinata battaglia, in cui furono sconfitti i Persiani
colla morte di più di _cinquecentomila_ d'essi. L'Erpenio, che tradusse
dall'arabico la storia di Elmacino, si può credere che prendesse un
granchio, scambiando ancor qui i numeri, certo essendo che in vece di
_cinquecentomila_ si ha qui da scrivere un altro numero, e
verisimilmente _cinquantamila_ morti, numero anche esso, come ognun
vede, assai, e forse troppo grande. Ma tempo è di ripigliar qui il
racconto di Teofane[3203] che si è rimesso sul buon cammino. Ci fa egli
dunque sapere che Eraclio Augusto improvvisamente nel settembre si
spinse addosso alla Persia, e mise in grande agitazion d'animo _Cosroe_.
Quand'eccoti che i Turchi ausiliarii, veggendo vicino il verno nè
volendo guerreggiar in quel tempo disgustati ancora per le continue
scorrerie de' Persiani, cominciarono a sfumare, e tutti in fine si
ridussero al loro paese. Or vatti a fidare di gente barbara. Eraclio
allora rivolto ai suoi, disse; _Osservate che non abbiam se non Dio, e
quella che soprannaturalmente il concepì, che sieno in nostro aiuto,
acciocchè più visibilmente apparisca che solo da Dio han da venire le
nostre vittorie._ Quindi per far vedere che non era figliuolo della
paura, comandò che l'esercito marciasse, e più che mai continuò ad
internarsi nella Persia. Aveva Cosroe fatto il maggiore suo forzo per
mettere insieme un'armata poderosissima, di cui diede il comando a
_Razate_, bravo generale e sperimentato negli affari della guerra.
Costui cominciò a seguitare alla coda l'esercito cristiano, il quale
finalmente arrivò alla città di Ninive presso il fiume Tigri, come notò
di sopra anche Elmacino. Quivi dunque sul principio di dicembre furono a
fronte le due armate nemiche, e nel dì 12 d'esso mese vennero ad una
generale battaglia. Niceforo[3204] è quel che racconta che Razate
general de' Persiani, dappoichè ebbe messo in ordinanza tutte le sue
schiere, si fece innanzi solo, e sfidò l'imperadore a duello. Veggendo
Eraclio che niuno de' suoi si moveva, andò egli ad affrontarlo, e il
rovesciò morto a terra. Fredegario[3205] aggiugne che il combattimento
era concertato fra _Eraclio_ e _Cosroe_, ma che Cosroe proditoriamente
mandò in sua vece il più bravo dei suoi, che restò poi estinto sul
campo. Tempi di guerra tempi di bugie. Teofane racconta più
acconciamente il fatto con dire che Eraclio postosi alla testa de' suoi
s'incontrò nel generale persiano, cioè in Razate, e l'atterrò. Nè
sussiste che Teofane dica dipoi che _Razate scampò dal pericolo della
battaglia_, come s'ha nella versione latina nel primo tomo della
Bizantina. Teofane ciò dice del _popolo di Razate_, e non già di Razate
medesimo. Si fece dunque la strepitosa giornata campale, che durò
dall'aurora sino all'ora undecima. La peggio toccò ai Persiani, che non
furono già sbaragliati, ma bensì astretti a ritirarsi, con lasciare
ventotto bandiere in mano de' Cristiani. La cavalleria persiana si fermò
un pezzo della notte vicino al campo della battaglia, ma temendo un
nuovo assalto, prima di giorno diede indietro, e fatto bagaglio,
paurosamente andò a salvarsi nella montagna. Allora i Cristiani
spogliarono i morti, e fecero buon bottino. Impadronissi dipoi
l'imperadore Eraclio di Ninive, e spedito innanzi un distaccamento
perchè prendesse i ponti del fiume Zaba, o Saba, volonteroso più che mai
di andare a dirittura a trovar Cosroe nel cuor de' suoi stati, per
astrignerlo a richiamar Sarbaro dall'assedio di Calcedone, che tuttavia
durava, fece marciare l'esercito a quella volta. Nel dì 23 di dicembre
passò quel fiume, e diede riposo nel luogo di Gesdem, dov'era un palazzo
dei re di Persia. Quivi celebrò la festa del santo Natale, dopo di che
continuò la marcia; trovò e distrusse altri palazzi dei re persiani, ne'
quali trovò serragli di struzzoli ingrassati, capre selvatiche, e
cignali in gran quantità, che furono compartiti per l'armata. Ma questo
fu un nulla rispetto alla sterminata copia di pecore, di porci e buoi,
che trovarono in quella contrada, coi quali il cristiano esercito
terminò con gran festa ed allegria quest'anno sesto della guerra di
Persia.
NOTE:
[3200] Jonas in Vita S. Bertulfi apud Mabill. in Saecul. Bened.
[3201] Ughell. Ital. Sacr. tom. 4, in Episc. Bob.
[3202] Elmacin., lib. 1. pag. 14.
[3203] Theoph., in Chronogr. Cedren. in Annal.
[3204] Nicephor., in Breviar.
[3205] Fredegarius, in Chron., cap. 64.
Anno di CRISTO DCXXVIII. Indizione I.
ONORIO I papa 4.
ERACLIO imperadore 19.
ARIOALDO re 4.
L'anno XVII dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Si aprì l'anno presente felicissimo e glorioso per la Cristianità,
perchè l'ultimo della guerra coi Persiani. Teofane[3206] minutamente
racconta i progressi dell'armata di _Eraclio_ Augusto, che proseguendo
il cammino, arrivò al palazzo di Bebdarch, e lo distrusse col suo
tempio. _Cosroe_, che non era molto lungi nel palazzo regale di
Dastagerd, frettolosamente se ne fuggì alla città di Ctesifonte, dove
per ventiquattro anni mai non era comparso per una predizione a lui
fatta, che in quella città egli dovea perire. Giunto il felice esercito
cristiano ai palazzi di Dastagerd, quivi trovò trecento bandiere prese
ai Cristiani dall'armata persiana, allorchè tutto andava a seconda dei
loro desiderii. Inoltre vi trovò un'immensa copia di aromati, di sete,
di tappeti ricamati, di argenti, di vesti, siccome ancora di cignali,
pavoni e fagiani, e un serraglio ancora di leoni e di tigri d'inusitata
grandezza. Erano le fabbriche di que' palazzi di mirabile struttura e
vaghezza; ma Eraclio dopo aver ivi, nel giorno santo dell'Epifania,
rinfrescato l'esercito, in vendetta di tanti danni inferiti da' Persiani
alle città dell'impero tutto fece smantellare e dare alle fiamme.
Intanto Cosroe scappò a Seleucia, e in essa città ripose il suo tesoro.
E perciocchè gli fu fatto credere che Sarbaro, ossia Sarbaraza suo
generale, se l'intendesse coi Greci, nè perciò volesse prendere
l'assediata città di Calcedone, e che anzi sparlasse del medesimo re suo
padrone, scrisse una lettera a Cardarega, collega del medesimo generale,
ordinandogli di ammazzarlo, e levato poi l'assedio, di venire in
soccorso della Persia afflitta. Per buona ventura restò preso nella
Galazia il portator della lettera, e menato a Costantinopoli davanti ad
_Eraclio Costantino_ Augusto, figliuolo dell'imperadore. Scoperto questo
affare, il giovane Augusto fece a sè chiamare Sarbaro, nè più vi volle
perch'egli si pacificasse coi Cristiani. E fatta poi una nuova lettera,
a cui fu destramente applicato il sigillo regale, e in cui veniva
ordinato da Cosroe la morte di quattrocento dei più cospicui uffiziali
di quell'armata persiana, Sarbaro nel consiglio de' suoi la lesse a
Cardarega, chiedendogli se gli bastava l'animo di ubbidire al re. Allora
tutti que' satrapi s'alzarono caricando di villanie Cosroe; e dopo
averlo proclamato decaduto dal trono, fecero pace col giovane
imperadore, e se ne andarono alle lor case pieni di veleno contra di
Cosroe. Questo è il fatto raccontato di sopra all'anno 626 da Elmacino.
In questo mentre l'imperadore Eraclio spedì una lettera ad esso Cosroe,
invitandolo a far pace. Il superbo tiranno non ne volle far altro: cosa
che gli tirò addosso l'odio de' suoi. Contuttociò il re barbaro attese a
metter insieme un esercito, con dar l'armi anche ai più vili mozzi di
stalla, comandando che si portassero al fiume Arba, e ne levassero i
ponti. Eraclio giunto a quel fiume, nè trovando maniera di passarlo,
andò per tutto il mese di febbraio scorrendo per le città e provincie
persiane di qua da esso fiume. Nel mese di marzo arrivò alla città di
Barsa, e diede quivi riposo all'armata per sette giorni. Colà furono a
trovarlo alcuni mandati da _Siroe_ figliuolo primogenito di Cosroe, per
fargli sapere che avendo voluto suo padre infermo dichiarar re,
successore ed erede suo _Merdasamo_ fratello minore d'esso Siroe, egli
era risoluto di voler sostenere coll'armi la sua ragione, ed opporsi al
padre, e che già aveva dalla sua il generale dell'esercito paterno per
nome _Gundabusa_, e due figliuoli di Sarbaro, ossia Sarbaraza.
L'imperadore rispedì i messi a Siroe, consigliando che aprisse tutte le
prigioni, e desse l'armi a tutti i Cristiani in esse detenuti.
Elmacino[3207] pretende che Siroe fosse dianzi prigione anch'egli, e che
rimesso in libertà dai satrapi, impugnasse l'armi contro del padre. Ora
Cosroe, intesi i moti di Siroe, prese la fuga, ma colto per istrada e
cinto di catene, fu imprigionato nel luogo stesso, dove teneva il suo
tesoro; tesoro ragunato colla rovina di tanti suoi sudditi, e poi di
tante provincie cristiane. Siroe sugli occhi suoi fece svenare Merdasamo
destinato erede del regno, e tutti gli altri figliuoli di esso re
Cosroe, a riserva di un suo nipote appellato _Jasdegirde_, che fu re
della Persia da lì a pochi anni. Finalmente Siroe liberò la terra anche
dal peso dello stesso re esecrando, che tanti mali avea cagionati in sua
vita, e spezialmente fu detestabile per l'ingratitudine sua verso
gl'imperadori cristiani coll'aiuto de' quali nell'anno 591 era salito
sul trono di Persia. Seppe dipoi Eraclio con suo gran dispiacere da
Siroe, che degli ambasciatori mandati a Cosroe, uno d'essi, cioè
_Leonzio_, era mancato di morte naturale, e gli altri due erano stati
uccisi dal barbaro re, allorchè Eraclio entrò nella Persia. Leggesi
distesamente[3208] nella Cronica Alessandrina la lettera scritta dallo
stesso Eraclio imperadore a Costantinopoli, contenente la relazione
della morte di Cosroe, l'esaltazione al trono di Siroe, e la spedizione
degli ambasciatori ad Eraclio per far la pace, la quale gli fu
accordata, con patto che restituisse tutto quanto suo padre avea tolto
all'imperio romano. E questo glorioso fine ebbe la guerra persiana con
lode immortale di Eraclio imperadore, che racquistò poi, siccome diremo,
la Croce santa, e somministrò a Francesco Bracciolini un nobile
argomento per tessere il suo poema italiano della _Croce racquistata_.
Finì in quest'anno di vivere _Clotario II_, già divenuto signore di
tutta la monarchia francese, e gli succedette _Dagoberto_ suo figliuolo,
già dichiarato re dell'Austrasia, il quale durò fatica ad assegnare un
boccone del regno a _Cariberto_ suo fratello, e tornò anche a
ricuperarlo da lì a tre anni per la morte del medesimo suo fratello.
NOTE:
[3206] Theoph., in Chronogr.
[3207] Elmac., Hist. Saracen., lib. 1, pag. 14.
[3208] Chron. Alex.
Anno di CRISTO DCXXIX. Indizione II.
ONORIO I papa 5.
ERACLIO imperadore 20.
ARIOALDO re 5.
L'anno XVIII dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Gran confusione si trova nella storia greca di questi tempi, discordando
non poco fra loro Teofane e Niceforo. Esporrò ciò che a me par più
verisimile. Spese Eraclio Augusto il resto dell'anno precedente, e parte
ancora del presente in dar sesto alle provincie d'Oriente, in ricuperar
l'Egitto, la Palestina ed altri paesi già occupati dai Persiani, e in
procurar che le guarnigioni nemiche fossero condotte con tutta quiete e
sicurezza al loro paese: al che deputò _Teodoro_ suo fratello. Una delle
maggiori sue premure quella fu di riaver dalle mani de' Persiani la vera
Croce del Signore. Questa la riportò egli seco a Costantinopoli, dove in
quest'anno egli fece la sua solenne entrata, essendogli uscito incontro
fuori della città il patriarca, il clero, e quasi tutto il popolo, con
incredibil festa ed acclamazioni, portando rami d'ulivo e fiaccole
accese, e la maggior parte lasciando cader lagrime di allegrezza in
veder ritornare sano e salvo il loro principe con tanta gloria e sì gran
bene fatto al romano imperio. Ma neppur lo stesso imperadore potè frenar
le lagrime al vedere tanto affetto del suo popolo, e apparirgli _Eraclio
Costantino_ Augusto che se gl'inginocchiò davanti, e s'abbracciarono
amendue piangendo. Fra gl'inni, i canti e i viva entrò il felicissimo
imperadore nella città, in un carro condotto da quattro elefanti. Si
fecero dipoi varie solennità e spettacoli d'allegrezza; di molto danaro
ancora fu sparso al popolo; ed Eraclio ne fece pagare una buona somma
alle chiese, dalle quali avea preso i sacri vasi, per valersene ne'
bisogni della guerra. Secondochè si ha da Fredegario[3209], _Dagoberto_
re dei Franchi mandò i suoi ambasciatori ad Eraclio, per congratularsi
delle riportate vittorie, e confermar la pace con lui. Non è ben chiaro
se in quest'anno esso imperadore riportasse a Gerusalemme la vera Croce
ricuperata dalle mani dei Persiani. Teofane[3210] racconta questo fatto
all'anno seguente, e così Cedreno[3211]. All'incontro Niceforo[3212]
scrive ch'egli andò prima a Gerusalemme, ed ivi fece vedere quel sacro
legno, e poi lo portò seco a Costantinopoli, dove nella cattedrale fu
esposto, e ciò avvenne sotto l'_Indizione II_, corrente per tutto
l'agosto di quest'anno. Ma Zonara[3213] vuole che Eraclio nel precedente
anno se ne tornasse a Costantinopoli, e non già nel presente: tanto van
d'accordo fra loro i greci autori. Comunque sia, sappiam di certo che
l'Augusto Eraclio andò a Gerusalemme, seco portando il venerato legno
della santa Croce, e in quella sacra basilica lo ripose, ma senza che
gli storici suddetti parlino di certo miracolo che si dice succeduto in
quell'occasione. Comunemente si crede che quindi prendesse origine la
festa dell'esaltazion della Croce. Ma, siccome avvertì il cardinal
Baronio[3214], essa è molto più antica. Sia a me permesso di riferir qui
un fatto spettante ad _Arioaldo_ re dei Longobardi, di cui
Fredegario[3215] fa menzione, dopo aver narrata l'assunzione al trono di
questo re all'anno 625, il che non può sussistere secondo i nostri
conti, con restare perciò libero a noi di raccontar questo fatto per
conto del tempo ad arbitrio nostro. _Gundeberga_ sua moglie, figliuola,
come dicemmo, del re Agilolfo e di Teodelinda, ci vien descritta da esso
storico per donna di bellissimo aspetto, di somma benignità verso tutti,
ornata sopra tutto di pietà, perchè cristiana; il che, a mio credere,
vuol dire buona cattolica, a differenza del suo consorte ariano. Le sue
limosine ai poveri erano frequenti e grandi, la sua bontà risplendeva in
tutte le sue operazioni: motivi tutti che le guadagnarono l'universale
amore de' popoli. Trovavasi allora nella corte del re longobardo un
certo _Adalolfo_, confidente di esso re. Costui faceva delle visite
anche alla regina; e un dì trovandosi alla di lei udienza, scappò detto
alla medesima, che egli era uomo di bella statura. Allora lo insolente
cortigiano, presa la parola, soggiunse, che dacchè ella s'era degnata di
lodare la di lui statura, si degnasse ancora di farlo partecipe del suo
letto. Allora Gundeberga, accesasi di rossore sgridò la di lui temerità,
e gli sputò sul volto. Andatosene Adalolfo, e pensando all'errore
commesso, e che ci andava la vita, se il re veniva a saperlo, per
prevenir questo colpo, corse tosto al re Arioaldo, e lo pregò di volerlo
ascoltare in disparte, perchè aveva cosa importante da confidargli.
Ritiratisi, Adalolfo gli disse, che la regina Gundeberga per tre giorni
avea parlato con _Tasone_ duca, e trattato di avvelenar esso re, per
poscia sposare esso Tasone e dargli la corona. Prestò fede Arioaldo a
questa calunnia, e mandò prigione la regina nel castello di _Lomello_,
onde prese il nome la _Lomellina_, territorio fertilissimo, posto fra il
Po e il Tesino. Quel _Tasone_ duca vien di sopra appellato dallo stesso
Fredegario _duca della Toscana_, con aggiungere che egli per la sua
superbia avea già cominciato a ribellarsi contra del re, e
verisimilmente non aveva egli approvato che Arioaldo avesse tolto il
regno al re Adaloaldo. Ma noi sappiamo da Paolo Diacono, la cui autorità
in ciò merita più fede, che _Tasone_ fu _duca del Friuli_, e figliuolo
di _Gisolfo_ duca di quella contrada, avendo nondimeno esso Paolo
riconosciuto anche egli la ribellion dello stesso Tasone contro del re
Arioaldo. Ciò che avvenisse della regina Gundeberga, lo diremo più
abbasso.
NOTE:
[3209] Fredegar., in Chronic., cap. 65.
[3210] Theoph., in Chronogr.
[3211] Cedren., in Annal.
[3212] Niceph., in Brev.
[3213] Zonar., in Annal.
[3214] Baron., in Not. ad Martyrol.
[3215] Fredeg., in Chron., cap. 51.
Anno di CRISTO DCXXX. Indizione III.
ONORIO I papa 6.
ERACLIO imperadore 21.
ARIOALDO re 6.
L'anno XIX dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Nacque nell'anno presente[3216] nel dì 7 di novembre un figliuolo ad
_Eraclio Costantino_. Augusto, e per conseguente un nipote d'_Eraclio_
il grande imperadore, e gli fu posto il nome di _Eraclio_, ma dopo la
morte del padre egli assunse quello di _Costante_, o, come altri
vogliono, di Costantino, sebbene par più probabile che nel battesimo
fosse nominato _Eraclio Costante_. Allo stesso Eraclio imperadore,
mentre era in Oriente, _Martina_ Augusta partorì un figliuolo che fu
appellato _David_, e giunse ad avere il titolo di Cesare, ma ebbe corta
vita. Parimente a _Dagoberto_[3217] re de' Franchi nacque fuor di
matrimonio da una giovine chiamata Ragnetruda un figliuolo che ebbe nome
abbandonato il campo, se ne tornassero al loro paese: il che fosse
cagione che anche il re degli Avari si trovasse forzato a seguitarli.
Attribuì il popolo di Costantinopoli la sua liberazione ad un
particolare aiuto di Dio, e alla protezione ed intercessione della
santissima Vergine Madre di Dio, di cui era divotissima quella città.
Intanto l'imperador Eraclio, siccome abbiam da Teofane[3196], avendo
diviso l'esercito in due, ne diede una parte a _Teodoro_ curopalata,
cioè maggiordomo maggior della corte, suo fratello, acciocchè andasse
incontro a _Sae_ general di Cosroe, che conduceva un'armata di bella
gente sì, ma di nuova leva. Coll'altra parte esso imperadore s'incamminò
verso il paese dei Lazii, situato nella Colchide sul fine del Ponto
Eussino, ossia del mar Nero. Non sì tosto Teodoro si trovò a fronte di
Sae, che attaccò la zuffa. Levossi in quello stante un temporale, che
regalò di grossa gragnuola i Persiani, senza che ne toccasse ai
Cristiani, sopra i quali era sereno il cielo: e ciò fu considerato per
miracolo. Seguitarono essi Cristiani a menar le mani, tantochè misero in
rotta il nemico, di cui non poca parte trovò qui la sepoltura. Arse
d'incredibile sdegno Cosroe contra di Sae all'avviso di questa perdita,
e comandò che venisse alla corte. Ma il misero per l'afflizione e
disperazione caduto infermo, terminò per istrada i suoi giorni. D'ordine
nondimeno del barbaro re condotto alla corte il di lui cadavero salato,
fu esposto agli oltraggi del popolo, e caricato di bastonate, senza che
esso rispondesse una parola o gittasse un sospiro. Avea intanto
l'imperadore Eraclio[3197] per mezzo d'ambasciatori e con regali
trattato coi _Turchi_, appellati _Gazari_, anch'essi di nazione Unni e
Tartari, affine di muoverli a' danni de' Persiani. In fatti costoro,
rotte le porte Caspie (m'immagino io che sieno le porte o chiuse del
monte Caucaso), piombarono da quelle parti addosso alla Persia, dando il
guasto dovunque capitavano, e facendo prigioni quanti cadevano nelle lor
mani. Era capo di costoro _Ziebelo_, che dopo Cacano veniva riputato il
più temuto e stimato signore fra gli Unni, ossia fra i Tartari.
Trovandosi l'imperadore in quelle vicinanze, volle costui abboccarsi
seco, e l'abboccamento seguì presso a Fifili città de' Persiani, i quali
dalle mura furono spettatori di quel congresso. Appena giunse Ziebelo
davanti all'Augusto Eraclio, che balzato da cavallo, si gittò disteso
colla faccia per terra, onore insolito fra' Cristiani, ma praticato da
que' Barbari verso i loro principi. Altrettanto fece tutto l'esercito
turchesco che era con lui. Fece saper l'imperadore a Ziebelo che
rimontasse a cavallo e s'accostasse. Così fece egli, e quando fu alla
presenza sua, Eraclio si cavò la corona di capo e la pose in quello del
Barbaro, con chiamarlo anche figliuolo. Invitò a pranzo lui e i suoi
baroni, e terminato che fu il convito, donò a lui tutti i vasi e gli
utensili con un manto regale ed orecchini di perle, e ai di lui baroni
di sua mano dispensò altri donativi. Per impegnare ancora con legami più
stretti il Barbaro in questa lega, ed acciocchè non gli venisse talento
d'imitare il perfido Cacano, gli mostrò il ritratto di _Eudocia_, sua
figliuola, con dirgli: _Già ti ho dichiarato mio figliuolo. Mira ancor
questa mia figliuola Augusta de' Romani. Se contra de' nemici mi
recherai aiuto, io te la prometto in isposa_. Ziebelo sopraffatto da
questi favori e dalla beltà di quella principessa, tutto promise e diede
tosto ad Eraclio quarantamila dei suoi combattenti, con ordine di
servire a lui come a sè stesso.
Portata che fu a Cosroe la nuova della lega seguita fra Eraclio ed i
Turchi, pien di timore e d'affanno spedì tosto lettera a Sarbaro suo
generale, con ordine di lasciar Calcedone, e di ricondurre
sollecitamente la sua armata in Persia, per opporla ad Eraclio. Cadde
questa lettera fortunatamente in mano dell'imperadore; e perchè a lui
premeva di non aver contrasto dall'armi di Sarbaro, finse un'altra
lettera di Cosroe, e la sigillò col sigillo regale, in cui l'avvisava,
che entrato l'imperador de' Romani coi Turchi nella Persia, era stato
sconfitto dall'armi sue; e però che attendesse alla conquista di
Calcedone, nè rimovesse dalle greche contrade. Nasce qui un
scabrosissimo nodo di storia, perchè Teofane, dopo aver narrata la lega
suddetta col re dei Turchi, salta a dire che costoro, venendo il verno,
se ne tornarono alle lor case, prima che terminasse l'anno in cui
Eraclio fece varie imprese contra de' Persiani; e qui imbroglia forte il
racconto, dicendo in un luogo succeduti quei fatti _IX octobris die
Indictione XV_; il che vorrebbe dire nell'autunno dell'anno presente
626; e in un altro _mensis decembris die XII, qui sabbati dies fuit_: il
che appartiene al fine dell'anno susseguente 627. E certo hanno avuta
ragion di dire i padri Petavio e Pagi, che mancano nel testo di Teofane
le memorie d'un anno della guerra di Persia. Il Pagi ha diffusamente
trattato questo punto. Egli crede succeduto l'abboccamento di Eraclio
col Turco nell'anno seguente; io nel presente, credendo che qua si possa
riferire ciò che scrive Giorgio Elmacino[3198] antichissimo scrittore
della Storia saracenica. Racconta egli all'anno quarto dell'egira, cioè
all'anno di Cristo 625, avere il re Cosroe, sdegnato contra di Siariare,
cioè contra Sarbaro ossia Sarbaraza, suo generale, dato ordine a
Marzubano di ucciderlo. Questo _Marzubano_ verisimilmente è lo stesso
che _Marzabane_, mentovato negli atti di sant'Anastasio, martirizzato
circa questi tempi dai Persiani. Capitata la lettera in mano
dell'imperadore Eraclio, questi ne fece avvertito Sarbaro il quale
chiaritosi del fatto, passò ai servigi dell'imperadore con assaissimi
altri uffiziali. Secondo Teofane, questo fatto di Sarbaro succedette più
tardi, cioè l'anno 628 con circostanze diverse, siccome vedremo. Seguita
poi a dire Elmacino, avere Eraclio scritto _ad Chacanum regem Hararorum_
(si dee scrivere _Hazarorum_, cioè de' Turchi chiamati _Cazari_, o
_Gazari_) per ottener da lui quarantamila cavalli, con promettergli in
ricompensa del servigio una sua figliuola per moglie, nel che va
d'accordo con Teofane. Andato dipoi Eraclio nella Soria, cominciò a
prendere molte città a lui già tolte dai Persiani, e a mettervi de' suoi
governatori. Era sparsa la maggior parte delle truppe di Cosroe per la
Soria e Mesopotamia; Eraclio a poco a poco le mise a fil di spada, o le
ebbe prigioniere. Diede poi Cosroe il comando dell'armata sua a
Marzubano, ed intanto Eraclio si trovava occupato in sottomettere
l'Armenia, la Soria e l'Egitto (cosa nondimeno poco credibile, perchè
tante forze non aveva Eraclio) con disfar tutti i reggimenti persiani,
che s'incontravano in quelle parti. Aggiugne dipoi Eraclio che avea
nella sua armata _trecentomila cavalli_, e circa altri _quarantamila_
cavalli gazari, cioè turchi. In vece di _trecentomila_, senza timor di
fallare si dee scrivere _trentamila_. Ora si può credere che quanto vien
qui narrato da Elmacino appartenga al presente anno quinto della guerra
di Persia, e a parte del seguente, tanto più perchè Niceforo[3199]
attesta che Eraclio col rinforzo avuto dai Turchi entrò nella Persia, e
smantellò molte città e i templi del Fuoco, dovunque si trovavano.
Sembra anche probabile che egli svernasse nel paese nemico.
NOTE:
[3194] Niceph., in Breviar.
[3195] Chronic. Alexandr.
[3196] Theoph., in Chronogr.
[3197] Niceph., in Brev. Hist.
[3198] Elmacinus, Hist. Sarac. lib. 1, pag. 13.
[3199] Niceph., in Breviar.
Anno di CRISTO DCXXVII. Indizione XV.
ONORIO I papa 3.
ERACLIO imperadore 18.
ARIOALDO re 3.
L'anno XVI dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Morì in quest'anno nel mese di marzo _Attala_ abate di Bobbio, ed ebbe
per successore nel governo di quel monistero _Bertolfo_ abate, di cui
abbiam la vita scritta da Giona monaco contemporaneo[3200]. Cominciò
subito il vescovo di Tortona ad inquietare il nuovo abate con pretendere
che il monistero di Bobbio fosse soggetto alla di lui autorità e
giurisdizione. S'ingegnò ancora di avere per favorevoli alla sua
pretensione i vescovi confinanti, e di guadagnare il re de' Longobardi.
_Regnava in quel tempo_ (dice Giona) _Ariovaldo longobardo_, il quale,
siccome egli stesso aggiugne più sotto, _fu re de' Longobardi dopo la
morte di Adoloaldo_, ed era _genero del re Agilolfo_, perchè marito di
Gundeberga, e _cognato d'esso re Adaloaldo_; parole, che qualora fosse
certo che in questo anno succedesse la controversia suddetta, farebbono
conoscere già morto il re Adaloaldo, e non già tuttavia vivente, come
vedemmo preteso dal Pagi. Altra risposta non diede il re Arioaldo al
vescovo di Tortona, se non che toccava ai giudici ecclesiastici il
decidere se i monisteri lontani dalle città avessero da essere
sottoposti al dominio de' vescovi. Segretamente avvertito di questi
movimenti l'abate Bertolfo, inviò i suoi messi al re per iscoprire che
intenzione egli avesse. Rispose saviamente il re Arioaldo, che non
apparteneva a lui il giudicare nelle controversie de' sacerdoti, ma sì
bene ai sacri giudici e concilii; e ch'egli non favorirà più l'una che
l'altra parte. Così un re longobardo e di setta ariana. Il cardinal
Baronio non potè di meno di non esaltare in lui questa lodevol
moderazione. Chiesero pertanto i monaci licenza di poter ricorrere alla
sede apostolica, e fu loro accordata dal re. A questo fine si portò a
Roma Bertolfo, conducendo seco lo stesso Giona scrittore di questo
avvenimento. _Onorio_ papa, uomo dotato di una rara dolcezza ed umiltà,
accolse benignamente Bertolfo, e gli concedette un privilegio di
esenzione da qualsivoglia vescovo. Leggesi presso l'Ughelli[3201] questo
privilegio, ma senza saper io dire se sia o non sia documento sicuro,
perchè esso è indrizzato _fratri Bertulfo abbati_: il che non conviene
al rituale di un papa, che dovea dire _filio_, e non già _fratri_. Per
altro le note cronologiche, se fossero più esatte, militerebbono forte
in favor d'esso, perchè vi si legge: _Datum III id. jan. imper. dominis
piissimis Augg. Eraclio anno VIII_ (dee essere _XVIII_) _post consulatum
ejus anno XVIII_ (dovrebbe essere _XVI_) _atque Eraclio Constantino novo
ipsius filio anno XVI, Indictione prima._ L'anno di Eraclio Costantino
dovrebbe essere il XV, purchè in vece di _jan._ non fosse scritto _jun._
Parte delle imprese di Eraclio imperadore, che di sopra abbiam
rapportato dalla Storia saracenica di Elmacino, pare che appartenga
all'anno presente. Seguita dipoi a scrivere il medesimo storico[3202]
che l'armata di Eraclio Augusto arrivò nella provincia Aderdigiana, ed
ebbe ordine di fermarsi quivi, finchè lo imperadore vi arrivasse
anch'egli. E che dopo aver soggiogata l'Armenia, esso Augusto si
trasferì a Ninive, e s'accampò alla porta maggiore. Venne dipoi Zurabare
general di Cosroe con una potente armata, e seguì fra esso e l'esercito
cristiano un'ostinata battaglia, in cui furono sconfitti i Persiani
colla morte di più di _cinquecentomila_ d'essi. L'Erpenio, che tradusse
dall'arabico la storia di Elmacino, si può credere che prendesse un
granchio, scambiando ancor qui i numeri, certo essendo che in vece di
_cinquecentomila_ si ha qui da scrivere un altro numero, e
verisimilmente _cinquantamila_ morti, numero anche esso, come ognun
vede, assai, e forse troppo grande. Ma tempo è di ripigliar qui il
racconto di Teofane[3203] che si è rimesso sul buon cammino. Ci fa egli
dunque sapere che Eraclio Augusto improvvisamente nel settembre si
spinse addosso alla Persia, e mise in grande agitazion d'animo _Cosroe_.
Quand'eccoti che i Turchi ausiliarii, veggendo vicino il verno nè
volendo guerreggiar in quel tempo disgustati ancora per le continue
scorrerie de' Persiani, cominciarono a sfumare, e tutti in fine si
ridussero al loro paese. Or vatti a fidare di gente barbara. Eraclio
allora rivolto ai suoi, disse; _Osservate che non abbiam se non Dio, e
quella che soprannaturalmente il concepì, che sieno in nostro aiuto,
acciocchè più visibilmente apparisca che solo da Dio han da venire le
nostre vittorie._ Quindi per far vedere che non era figliuolo della
paura, comandò che l'esercito marciasse, e più che mai continuò ad
internarsi nella Persia. Aveva Cosroe fatto il maggiore suo forzo per
mettere insieme un'armata poderosissima, di cui diede il comando a
_Razate_, bravo generale e sperimentato negli affari della guerra.
Costui cominciò a seguitare alla coda l'esercito cristiano, il quale
finalmente arrivò alla città di Ninive presso il fiume Tigri, come notò
di sopra anche Elmacino. Quivi dunque sul principio di dicembre furono a
fronte le due armate nemiche, e nel dì 12 d'esso mese vennero ad una
generale battaglia. Niceforo[3204] è quel che racconta che Razate
general de' Persiani, dappoichè ebbe messo in ordinanza tutte le sue
schiere, si fece innanzi solo, e sfidò l'imperadore a duello. Veggendo
Eraclio che niuno de' suoi si moveva, andò egli ad affrontarlo, e il
rovesciò morto a terra. Fredegario[3205] aggiugne che il combattimento
era concertato fra _Eraclio_ e _Cosroe_, ma che Cosroe proditoriamente
mandò in sua vece il più bravo dei suoi, che restò poi estinto sul
campo. Tempi di guerra tempi di bugie. Teofane racconta più
acconciamente il fatto con dire che Eraclio postosi alla testa de' suoi
s'incontrò nel generale persiano, cioè in Razate, e l'atterrò. Nè
sussiste che Teofane dica dipoi che _Razate scampò dal pericolo della
battaglia_, come s'ha nella versione latina nel primo tomo della
Bizantina. Teofane ciò dice del _popolo di Razate_, e non già di Razate
medesimo. Si fece dunque la strepitosa giornata campale, che durò
dall'aurora sino all'ora undecima. La peggio toccò ai Persiani, che non
furono già sbaragliati, ma bensì astretti a ritirarsi, con lasciare
ventotto bandiere in mano de' Cristiani. La cavalleria persiana si fermò
un pezzo della notte vicino al campo della battaglia, ma temendo un
nuovo assalto, prima di giorno diede indietro, e fatto bagaglio,
paurosamente andò a salvarsi nella montagna. Allora i Cristiani
spogliarono i morti, e fecero buon bottino. Impadronissi dipoi
l'imperadore Eraclio di Ninive, e spedito innanzi un distaccamento
perchè prendesse i ponti del fiume Zaba, o Saba, volonteroso più che mai
di andare a dirittura a trovar Cosroe nel cuor de' suoi stati, per
astrignerlo a richiamar Sarbaro dall'assedio di Calcedone, che tuttavia
durava, fece marciare l'esercito a quella volta. Nel dì 23 di dicembre
passò quel fiume, e diede riposo nel luogo di Gesdem, dov'era un palazzo
dei re di Persia. Quivi celebrò la festa del santo Natale, dopo di che
continuò la marcia; trovò e distrusse altri palazzi dei re persiani, ne'
quali trovò serragli di struzzoli ingrassati, capre selvatiche, e
cignali in gran quantità, che furono compartiti per l'armata. Ma questo
fu un nulla rispetto alla sterminata copia di pecore, di porci e buoi,
che trovarono in quella contrada, coi quali il cristiano esercito
terminò con gran festa ed allegria quest'anno sesto della guerra di
Persia.
NOTE:
[3200] Jonas in Vita S. Bertulfi apud Mabill. in Saecul. Bened.
[3201] Ughell. Ital. Sacr. tom. 4, in Episc. Bob.
[3202] Elmacin., lib. 1. pag. 14.
[3203] Theoph., in Chronogr. Cedren. in Annal.
[3204] Nicephor., in Breviar.
[3205] Fredegarius, in Chron., cap. 64.
Anno di CRISTO DCXXVIII. Indizione I.
ONORIO I papa 4.
ERACLIO imperadore 19.
ARIOALDO re 4.
L'anno XVII dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Si aprì l'anno presente felicissimo e glorioso per la Cristianità,
perchè l'ultimo della guerra coi Persiani. Teofane[3206] minutamente
racconta i progressi dell'armata di _Eraclio_ Augusto, che proseguendo
il cammino, arrivò al palazzo di Bebdarch, e lo distrusse col suo
tempio. _Cosroe_, che non era molto lungi nel palazzo regale di
Dastagerd, frettolosamente se ne fuggì alla città di Ctesifonte, dove
per ventiquattro anni mai non era comparso per una predizione a lui
fatta, che in quella città egli dovea perire. Giunto il felice esercito
cristiano ai palazzi di Dastagerd, quivi trovò trecento bandiere prese
ai Cristiani dall'armata persiana, allorchè tutto andava a seconda dei
loro desiderii. Inoltre vi trovò un'immensa copia di aromati, di sete,
di tappeti ricamati, di argenti, di vesti, siccome ancora di cignali,
pavoni e fagiani, e un serraglio ancora di leoni e di tigri d'inusitata
grandezza. Erano le fabbriche di que' palazzi di mirabile struttura e
vaghezza; ma Eraclio dopo aver ivi, nel giorno santo dell'Epifania,
rinfrescato l'esercito, in vendetta di tanti danni inferiti da' Persiani
alle città dell'impero tutto fece smantellare e dare alle fiamme.
Intanto Cosroe scappò a Seleucia, e in essa città ripose il suo tesoro.
E perciocchè gli fu fatto credere che Sarbaro, ossia Sarbaraza suo
generale, se l'intendesse coi Greci, nè perciò volesse prendere
l'assediata città di Calcedone, e che anzi sparlasse del medesimo re suo
padrone, scrisse una lettera a Cardarega, collega del medesimo generale,
ordinandogli di ammazzarlo, e levato poi l'assedio, di venire in
soccorso della Persia afflitta. Per buona ventura restò preso nella
Galazia il portator della lettera, e menato a Costantinopoli davanti ad
_Eraclio Costantino_ Augusto, figliuolo dell'imperadore. Scoperto questo
affare, il giovane Augusto fece a sè chiamare Sarbaro, nè più vi volle
perch'egli si pacificasse coi Cristiani. E fatta poi una nuova lettera,
a cui fu destramente applicato il sigillo regale, e in cui veniva
ordinato da Cosroe la morte di quattrocento dei più cospicui uffiziali
di quell'armata persiana, Sarbaro nel consiglio de' suoi la lesse a
Cardarega, chiedendogli se gli bastava l'animo di ubbidire al re. Allora
tutti que' satrapi s'alzarono caricando di villanie Cosroe; e dopo
averlo proclamato decaduto dal trono, fecero pace col giovane
imperadore, e se ne andarono alle lor case pieni di veleno contra di
Cosroe. Questo è il fatto raccontato di sopra all'anno 626 da Elmacino.
In questo mentre l'imperadore Eraclio spedì una lettera ad esso Cosroe,
invitandolo a far pace. Il superbo tiranno non ne volle far altro: cosa
che gli tirò addosso l'odio de' suoi. Contuttociò il re barbaro attese a
metter insieme un esercito, con dar l'armi anche ai più vili mozzi di
stalla, comandando che si portassero al fiume Arba, e ne levassero i
ponti. Eraclio giunto a quel fiume, nè trovando maniera di passarlo,
andò per tutto il mese di febbraio scorrendo per le città e provincie
persiane di qua da esso fiume. Nel mese di marzo arrivò alla città di
Barsa, e diede quivi riposo all'armata per sette giorni. Colà furono a
trovarlo alcuni mandati da _Siroe_ figliuolo primogenito di Cosroe, per
fargli sapere che avendo voluto suo padre infermo dichiarar re,
successore ed erede suo _Merdasamo_ fratello minore d'esso Siroe, egli
era risoluto di voler sostenere coll'armi la sua ragione, ed opporsi al
padre, e che già aveva dalla sua il generale dell'esercito paterno per
nome _Gundabusa_, e due figliuoli di Sarbaro, ossia Sarbaraza.
L'imperadore rispedì i messi a Siroe, consigliando che aprisse tutte le
prigioni, e desse l'armi a tutti i Cristiani in esse detenuti.
Elmacino[3207] pretende che Siroe fosse dianzi prigione anch'egli, e che
rimesso in libertà dai satrapi, impugnasse l'armi contro del padre. Ora
Cosroe, intesi i moti di Siroe, prese la fuga, ma colto per istrada e
cinto di catene, fu imprigionato nel luogo stesso, dove teneva il suo
tesoro; tesoro ragunato colla rovina di tanti suoi sudditi, e poi di
tante provincie cristiane. Siroe sugli occhi suoi fece svenare Merdasamo
destinato erede del regno, e tutti gli altri figliuoli di esso re
Cosroe, a riserva di un suo nipote appellato _Jasdegirde_, che fu re
della Persia da lì a pochi anni. Finalmente Siroe liberò la terra anche
dal peso dello stesso re esecrando, che tanti mali avea cagionati in sua
vita, e spezialmente fu detestabile per l'ingratitudine sua verso
gl'imperadori cristiani coll'aiuto de' quali nell'anno 591 era salito
sul trono di Persia. Seppe dipoi Eraclio con suo gran dispiacere da
Siroe, che degli ambasciatori mandati a Cosroe, uno d'essi, cioè
_Leonzio_, era mancato di morte naturale, e gli altri due erano stati
uccisi dal barbaro re, allorchè Eraclio entrò nella Persia. Leggesi
distesamente[3208] nella Cronica Alessandrina la lettera scritta dallo
stesso Eraclio imperadore a Costantinopoli, contenente la relazione
della morte di Cosroe, l'esaltazione al trono di Siroe, e la spedizione
degli ambasciatori ad Eraclio per far la pace, la quale gli fu
accordata, con patto che restituisse tutto quanto suo padre avea tolto
all'imperio romano. E questo glorioso fine ebbe la guerra persiana con
lode immortale di Eraclio imperadore, che racquistò poi, siccome diremo,
la Croce santa, e somministrò a Francesco Bracciolini un nobile
argomento per tessere il suo poema italiano della _Croce racquistata_.
Finì in quest'anno di vivere _Clotario II_, già divenuto signore di
tutta la monarchia francese, e gli succedette _Dagoberto_ suo figliuolo,
già dichiarato re dell'Austrasia, il quale durò fatica ad assegnare un
boccone del regno a _Cariberto_ suo fratello, e tornò anche a
ricuperarlo da lì a tre anni per la morte del medesimo suo fratello.
NOTE:
[3206] Theoph., in Chronogr.
[3207] Elmac., Hist. Saracen., lib. 1, pag. 14.
[3208] Chron. Alex.
Anno di CRISTO DCXXIX. Indizione II.
ONORIO I papa 5.
ERACLIO imperadore 20.
ARIOALDO re 5.
L'anno XVIII dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Gran confusione si trova nella storia greca di questi tempi, discordando
non poco fra loro Teofane e Niceforo. Esporrò ciò che a me par più
verisimile. Spese Eraclio Augusto il resto dell'anno precedente, e parte
ancora del presente in dar sesto alle provincie d'Oriente, in ricuperar
l'Egitto, la Palestina ed altri paesi già occupati dai Persiani, e in
procurar che le guarnigioni nemiche fossero condotte con tutta quiete e
sicurezza al loro paese: al che deputò _Teodoro_ suo fratello. Una delle
maggiori sue premure quella fu di riaver dalle mani de' Persiani la vera
Croce del Signore. Questa la riportò egli seco a Costantinopoli, dove in
quest'anno egli fece la sua solenne entrata, essendogli uscito incontro
fuori della città il patriarca, il clero, e quasi tutto il popolo, con
incredibil festa ed acclamazioni, portando rami d'ulivo e fiaccole
accese, e la maggior parte lasciando cader lagrime di allegrezza in
veder ritornare sano e salvo il loro principe con tanta gloria e sì gran
bene fatto al romano imperio. Ma neppur lo stesso imperadore potè frenar
le lagrime al vedere tanto affetto del suo popolo, e apparirgli _Eraclio
Costantino_ Augusto che se gl'inginocchiò davanti, e s'abbracciarono
amendue piangendo. Fra gl'inni, i canti e i viva entrò il felicissimo
imperadore nella città, in un carro condotto da quattro elefanti. Si
fecero dipoi varie solennità e spettacoli d'allegrezza; di molto danaro
ancora fu sparso al popolo; ed Eraclio ne fece pagare una buona somma
alle chiese, dalle quali avea preso i sacri vasi, per valersene ne'
bisogni della guerra. Secondochè si ha da Fredegario[3209], _Dagoberto_
re dei Franchi mandò i suoi ambasciatori ad Eraclio, per congratularsi
delle riportate vittorie, e confermar la pace con lui. Non è ben chiaro
se in quest'anno esso imperadore riportasse a Gerusalemme la vera Croce
ricuperata dalle mani dei Persiani. Teofane[3210] racconta questo fatto
all'anno seguente, e così Cedreno[3211]. All'incontro Niceforo[3212]
scrive ch'egli andò prima a Gerusalemme, ed ivi fece vedere quel sacro
legno, e poi lo portò seco a Costantinopoli, dove nella cattedrale fu
esposto, e ciò avvenne sotto l'_Indizione II_, corrente per tutto
l'agosto di quest'anno. Ma Zonara[3213] vuole che Eraclio nel precedente
anno se ne tornasse a Costantinopoli, e non già nel presente: tanto van
d'accordo fra loro i greci autori. Comunque sia, sappiam di certo che
l'Augusto Eraclio andò a Gerusalemme, seco portando il venerato legno
della santa Croce, e in quella sacra basilica lo ripose, ma senza che
gli storici suddetti parlino di certo miracolo che si dice succeduto in
quell'occasione. Comunemente si crede che quindi prendesse origine la
festa dell'esaltazion della Croce. Ma, siccome avvertì il cardinal
Baronio[3214], essa è molto più antica. Sia a me permesso di riferir qui
un fatto spettante ad _Arioaldo_ re dei Longobardi, di cui
Fredegario[3215] fa menzione, dopo aver narrata l'assunzione al trono di
questo re all'anno 625, il che non può sussistere secondo i nostri
conti, con restare perciò libero a noi di raccontar questo fatto per
conto del tempo ad arbitrio nostro. _Gundeberga_ sua moglie, figliuola,
come dicemmo, del re Agilolfo e di Teodelinda, ci vien descritta da esso
storico per donna di bellissimo aspetto, di somma benignità verso tutti,
ornata sopra tutto di pietà, perchè cristiana; il che, a mio credere,
vuol dire buona cattolica, a differenza del suo consorte ariano. Le sue
limosine ai poveri erano frequenti e grandi, la sua bontà risplendeva in
tutte le sue operazioni: motivi tutti che le guadagnarono l'universale
amore de' popoli. Trovavasi allora nella corte del re longobardo un
certo _Adalolfo_, confidente di esso re. Costui faceva delle visite
anche alla regina; e un dì trovandosi alla di lei udienza, scappò detto
alla medesima, che egli era uomo di bella statura. Allora lo insolente
cortigiano, presa la parola, soggiunse, che dacchè ella s'era degnata di
lodare la di lui statura, si degnasse ancora di farlo partecipe del suo
letto. Allora Gundeberga, accesasi di rossore sgridò la di lui temerità,
e gli sputò sul volto. Andatosene Adalolfo, e pensando all'errore
commesso, e che ci andava la vita, se il re veniva a saperlo, per
prevenir questo colpo, corse tosto al re Arioaldo, e lo pregò di volerlo
ascoltare in disparte, perchè aveva cosa importante da confidargli.
Ritiratisi, Adalolfo gli disse, che la regina Gundeberga per tre giorni
avea parlato con _Tasone_ duca, e trattato di avvelenar esso re, per
poscia sposare esso Tasone e dargli la corona. Prestò fede Arioaldo a
questa calunnia, e mandò prigione la regina nel castello di _Lomello_,
onde prese il nome la _Lomellina_, territorio fertilissimo, posto fra il
Po e il Tesino. Quel _Tasone_ duca vien di sopra appellato dallo stesso
Fredegario _duca della Toscana_, con aggiungere che egli per la sua
superbia avea già cominciato a ribellarsi contra del re, e
verisimilmente non aveva egli approvato che Arioaldo avesse tolto il
regno al re Adaloaldo. Ma noi sappiamo da Paolo Diacono, la cui autorità
in ciò merita più fede, che _Tasone_ fu _duca del Friuli_, e figliuolo
di _Gisolfo_ duca di quella contrada, avendo nondimeno esso Paolo
riconosciuto anche egli la ribellion dello stesso Tasone contro del re
Arioaldo. Ciò che avvenisse della regina Gundeberga, lo diremo più
abbasso.
NOTE:
[3209] Fredegar., in Chronic., cap. 65.
[3210] Theoph., in Chronogr.
[3211] Cedren., in Annal.
[3212] Niceph., in Brev.
[3213] Zonar., in Annal.
[3214] Baron., in Not. ad Martyrol.
[3215] Fredeg., in Chron., cap. 51.
Anno di CRISTO DCXXX. Indizione III.
ONORIO I papa 6.
ERACLIO imperadore 21.
ARIOALDO re 6.
L'anno XIX dopo il consolato di ERACLIO AUGUSTO.
Nacque nell'anno presente[3216] nel dì 7 di novembre un figliuolo ad
_Eraclio Costantino_. Augusto, e per conseguente un nipote d'_Eraclio_
il grande imperadore, e gli fu posto il nome di _Eraclio_, ma dopo la
morte del padre egli assunse quello di _Costante_, o, come altri
vogliono, di Costantino, sebbene par più probabile che nel battesimo
fosse nominato _Eraclio Costante_. Allo stesso Eraclio imperadore,
mentre era in Oriente, _Martina_ Augusta partorì un figliuolo che fu
appellato _David_, e giunse ad avere il titolo di Cesare, ma ebbe corta
vita. Parimente a _Dagoberto_[3217] re de' Franchi nacque fuor di
matrimonio da una giovine chiamata Ragnetruda un figliuolo che ebbe nome
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