Annali d'Italia, vol. 2 - 74
venerarla ed ubbidirla qual padrona, ma anche le permisero di eleggersi
un nuovo marito che fosse degno di reggere il loro regno. Nè diede loro
fastidio che Teodelinda professasse la religione cattolica: tanta doveva
essere la saviezza, la pietà e la prudenza di questa principessa.
Avrebbe ella, credo io, scelto volentieri un principe longobardo
cattolico di credenza, se lo avesse trovato, ma niun ve n'era. Però,
seguendo il consiglio de' più assennati, mise li occhi sopra _Agilolfo
duca a di Torino_, principe bellicoso, parente del defunto re Autari, di
bell'aspetto, di mente attissima a ben governar dei popoli. Fattolo
chiamare alla corte, gli andò incontro fino alla terra di Lomello, onde
prese il nome il paese della Lomellina, alcune miglia lungi da Pavia.
Colà giunto Agilolfo, fece Teodelinda portar da bere, e dopo aver essa
bevuta la metà d'una tazza, porse il resto ad Agilolfo, il quale, nel
restituirle la tazza, riverentemente le baciò la mano. Allora la regina
sorridendo, ma con onesto rossore, gli disse, non essere di dovere
ch'egli baciasse la mano a chi dovea baciare la bocca. Ed ammessolo
all'altro bacio, gli significò la intenzione sua d'averlo per marito e
di farlo re. Che più? Le nozze si celebrarono con gran solennità ed
allegria sul principio di novembre, ed Agilolfo cominciò bene ad ajutar
la regina consorte nel governo del regno, ma per allora non assunse il
titolo di re. Non si sa intendere come Gregorio Turonense[3003]
scrivesse, che mentre stavano presso del re _Childeberto_ i legati del
re Autari, arrivò la morte d'esso Autari, e che in suo luogo era
succeduto _Paolo_. Di questo _Paolo_ non v'ha memoria alcuna; nè esso è
nome longobardico. Molto meno può esso convenire ad Agilolfo, che
solamente due mesi, dappoichè era morto Autari, sposò Teodelinda, in
guisachè non potè mai, coll'avviso della morte d'Autari, giugnere alla
corte di Childeberto la nuova del successore eletto. Meglio informato
degli affari de' Longobardi non fu Fredegario[3004] colà, dove scrive
che _Agone re de' Longobardi, figliuolo del re Autari_, prese per moglie
_Teodelinda di nazione franzese_: cioè non seppe che questa principessa
in prime nozze era stata moglie del re Autari, e fallò in credere
_Agone_ figliuolo d'Autari. Per altro Agilolfo fu anche nomato, per
testimonianza di Paolo Diacono, _Ago_ o _Agone_: il che si vede
praticato in questi tempi per altri nomi. In quest'anno _Maurizio_
imperadore dichiarò Augusto e collega nell'imperio _Teodosio_ suo
primogenito, nato nell'anno 585. Ciò apparisce dal racconto che fa degli
atti di s. Gregorio il Grande Giovanni Diacono[3005].
NOTE:
[2995] Gregor. Turonensis, lib. 10, cap. 1. Paulus Diaconus, lib. 3,
cap. 23.
[2996] Johannes Diaconus, in Vit. S. Gregor., lib. 1, cap. 40.
[2997] Gregor. Turonensis, lib. 10, cap. 2.
[2998] Paulus Diaconus, lib. 3, cap. 30.
[2999] Du-Chesne, Scriptor. Rer. Franc., tom. 1.
[3000] Paulus Diaconus, lib. 2, cap. 4.
[3001] Greg. Turonensis, lib. 10, cap. 3. Paulus Diaconus, lib. 3, cap.
34.
[3002] Gregor. Magnus, lib. 1, epist. 17.
[3003] Gregor. Turonensis, lib. 10, cap. 3.
[3004] Fredegarius, in Chron. cap. 34.
[3005] Johann. Diacon., in Vit. S. Greg. M., lib. 1, cap. 40.
Anno di CRISTO DXCI. Indizione IX.
GREGORIO I papa 2.
MAURIZIO imperadore 10.
AGILOLFO re 1.
L'anno VIII dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Egregiamente serve a comprovare che non, come s'ha ne' testi della
cronica Alessandrina, si hanno a notare gli anni del consolato di
Maurizio Augusto, uno strumento pubblicato dal chiarissimo marchese
Scipione Maffei[3006], ed esistente presso di lui. Esso fu scritto _in
Classe ravennate imp. DN. N. Mauricio Tiberio P. P. Aug. anno nono, post
consulatum ejusdem anno octavo, sub die sexto nonarum martiarum,
Indictione nona_: cioè nell'anno presente. Benchè poi fossero seguite le
nozze tra la regina _Teodelinda_ e il duca _Agilolfo_ nel novembre
dell'anno precedente, pure la dignità regale non fu conferita ad esso
Agilolfo se non nel maggio di quest'anno alla dieta generale de'
Longobardi, che si raunò in Milano. Chi scrive ch'egli fu coronato in
Milano colla corona ferrea non è assistito da documento, o testimonianza
alcuna dell'antichità. Però da questo tempo io comincio a numerar gli
anni del suo regno. Fredegario[3007] anche egli mette sotto il presente
anno l'assunzione al trono di Agilolfo. La prima applicazione di questo
novello re[3008] fu quella di spedire _Agnello_ vescovo di Trento in
Francia, ossia in Germania, al re _Childeberto_, per liberare
gl'Italiani condotti colà schiavi dai Franchi: pensiero degno di un re
che dee essere padre del suo popolo. Trovò il vescovo che la regina
_Brunechilde_, madre d'esso re, principessa famosa non meno per gli suoi
vizii che per le sue virtù, avea riscattato col proprio danaro molti di
quegli sventurati, e molti altri, col danaro del re Agilolfo, ne
riscattò il vescovo, e tutti li ricondusse in Italia. Fu eziandio
mandato dal re Agilolfo per suo ambasciatore alle Gallie _Evino_ duca di
Trento, cioè, come si può credere, a _Guntranno_, re della Borgogna, e a
_Clotario II_ suo nipote, re della Neustria, ossia della Francia
occidentale, affinchè unitamente s'interponessero per condurre alla pace
_Childeberto_ re della Francia orientale, ossia dell'Austrasia, che
comandava ad una parte delle Gallie e a buona parte ancora della
Germania. Probabilmente venne in questi tempi a morte _Atanagildo_
nipote d'esso Childeberto, già condotto a Costantinopoli, in riguardo
del quale, cioè per riaverlo dalle mani de' Greci, avea Childeberto
fatta guerra ai Longobardi. Certo non si truova più da lì innanzi
memoria di lui nelle storie. Questo impegno dunque cessato, e
riflettendosi da Childeberto che non gli tornava il conto ad ingrandire
colla rovina dei Longobardi l'imperadore, la cui potenza avrebbe potuto
un dì nuocere ai Franchi stessi, con isvegliar le antiche pretensioni,
non fu difficile lo stabilir finalmente la pace tra i Franchi e
Longobardi: il che servì a maggiormente stabilire il regno longobardico
in Italia. Nell'anno addietro, allorchè i Franchi calati in Italia
fecero sì aspra guerra, non dirò ai Longobardi, ma alle campagne
degl'Italiani, _Minolfo duca_[3009], cioè governatore _della isola di s.
Giuliano_, s'era gittato in braccio a questi nuovi venuti. In vece di
_san Giuliano_, si ha da leggere _s. Giulio_, la cui isola tuttavia
ritien questo nome nella diocesi di Novara e nel lago d'Omegna. Perchè
quel sito era inespugnabile, qualora si fossero ritirate tutte le barche
del lago, perciò parve al re Agilolfo che Minolfo non per necessità, ma
per codardia o per tradimento si fosse gittato nel partito dei Franchi:
perciò gli fece tagliar la testa ad esempio degli altri. Ossia poi che a
_Gaidolfo_, appellato da altri _Gandolfo_, duca di Bergamo, non fosse
piaciuta l'elezione del re Agilolfo, o ch'egli non volesse ubbidirlo,
costui si ribellò contra di lui, e fortificossi gagliardamente in essa
città. Accorse colà il re, e gli mise tal paura, che l'indusse a
chiedere misericordia. Nè la chiese indarno; gli perdonò Agilolfo: ma
per sicurezza della di lui fedeltà volle avere e condur seco degli
ostaggi. Bisogna poi che costui fosse un cervello ben inquieto, perchè
tornò poscia a ribellarsi, e si fortificò nell'isola posta nel lago di
Como. Non tardò il re Agilolfo a cavalcare di nuovo per reprimere
costui, ed ebbe la fortuna di cacciarlo di colà. Gli furono pagate le
spese del viaggio, perchè avendo ivi trovate molte ricchezze, rifugiate
dagl'Italiani in quel forte sito, vi mise le mani addosso, e se le
portò, senza farsene scrupolo, a Pavia. Ma avendo noi veduto di sopra un
simil racconto dell'isola Comacina, ch'è la stessa, può nascere dubbio
intorno alle ricchezze ivi trovate, o in quella o pure in questa volta.
Seguitò, ciò non ostante, Gaidolfo ad alzare le corna contra del re,
confidato nella fortezza di Bergamo; ma Agilolfo il costrinse di nuovo
ad umiliarsi: con che tornò, mercè della sua clemenza, a rimetterlo in
sua grazia. Anche _Ulfari_ duca di Trivigi uno fu di quelli che si
ribellarono al re Agilolfo; ma, assediato in quella città, fu forzato a
rendersi prigione. Racconta Paolo che in quest'anno non piovve nel mese
di gennajo fino al settembre, e però si fece una misera raccolta.
Diedero ancora un gran guasto al territorio di Trento le locuste, cioè
le cavallette più grosse delle ordinarie, con divorar le foglie degli
alberi e l'erbe dei prati. Ma non toccarono i grani, e nell'anno
seguente si provò questo medesimo flagello. A questi mali s'aggiunse una
terribil peste, che afflisse specialmente Ravenna e l'Istria; e da una
lettera di s. Gregorio Magno[3010] apparisce che questo malore infestava
anche la città di Narni.
NOTE:
[3006] Maffei, Ist. Diplom., pag. 165.
[3007] Fredegar., in Chron., cap. 13.
[3008] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 1.
[3009] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 1.
[3010] Gregor. Magnus, lib. 2, ep. 2.
Anno di CRISTO DXCII. Indizione X.
GREGORIO I papa 3.
MAURIZIO imperadore 11.
AGILOLFO re 2.
L'anno IX dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Assicurato il suo regno dalla parte dei Franchi colla pace con esso loro
stabilita, e depressi gl'interni nemici, volle ancora il re Agilolfo
provvedere alla sicurezza sua dalla parte degli Avari, ossia degli Unni
o Tartari che dominavano nella Pannonia, e stendevano la lor signoria
sopra gli Sclavi, che diedero il nome alla Schiavonia. Era formidabile
anche la potenza di quella nazione, e non andrà molto che cominceremo a
vederne le funeste pruove in Italia. Con costoro fu conchiuso un
trattato di pace e di amistà. Ma non erano terminati i mali umori
interni. _Romano_ esarco lavorava sott'acqua, e tanto seppe fare, che
con promesse e danari guadagnò _Maurizio_, ossia _Mauricione_ o
_Mauritione duca_ di Perugia[3011], che accettò presidio greco in quella
città. Si trovava allora l'esarco in Roma, ed ansioso di mettere il
piede in sì riguardevol città, che poteva servirgli di frontiera contra
de' Longobardi, si mosse di colà, conducendo seco quanti armati potè; e
nel viaggio non solamente se gli diede Perugia, ma egli prese inoltre
alcune delle città frapposte, cioè Sutri, Polimarzo, oggidì Bomarzo,
Orta, Todi, Ameria, Luceolo, ed altre, di cui lo storico non seppe il
nome. Giunsero queste disgustose nuove ad Agilolfo dimorante in Pavia,
che ne dovette prontamente scrivere al duca di Spoleti, intanto che egli
preparava l'esercito per accorrere in persona a quelle parti. A
_Faroaldo_ primo duca di Spoleti, morto, non si sa in qual anno, era
succeduto _Ariolfo_, uomo di gran valore. Io non so come, a chi compilò
la vita di s. Gregorio Magno, scappò detto che questo _Ariolfo fu duca
di Benevento_. Dal Baronio poi fu creduto _duca de' Longobardi nella
Toscana_. Certo è ch'egli era _duca di Spoleti_, e lo attestano Paolo
Diacono e l'autore della Cronica Farfense. In questi tempi l'Umbria da
alcuni fu riguardata come parte della Toscana. Ora trovandosi egli il
più vicino ai paesi caduti in mano del nemico esarco, si mise tosto in
armi ed entrò in campagna. Fu preveduto questo colpo dal santo papa
_Gregorio_; e siccome sulla sua vigilanza e prudenza specialmente posava
la salute di Roma, ed era alla saggia sua direzione raccomandato il
maneggio anche degli affari temporali in tempi sì scabrosi, egli perciò
scrisse[3012] a _Veloce_ maestro della milizia, ossia generale d'armata,
che intendendosi con _Maurilio_ e _Vitaliano_, a' quali ancora fece
intendere la sua mente, stessero bene attenti ai movimenti del duca di
Spoleti, e caso che si inviasse verso Roma o verso Ravenna, gli dessero
alla coda. Ciò fu nel mese di giugno, e voce correva che Ariolfo fosse
per essere sotto Roma nella festa di san Pietro. Nell'epistola
trentesima notifica esso papa ai suddetti Maurilio e Vitaliano, che nel
dì 11 quel mese (e non già di gennajo, come hanno alcune edizioni) esso
duca Ariolfo gli avea scritta una lettera, di cui loro manda copia, con
raccomandare ai medesimi di tenere all'ubbidienza dell'imperadore la
città di _Soana_ posta nella Toscana, se pure Ariolfo non gli ha
prevenuti, con portar via di là gli ostaggi. Costa poi da un'altra
lettera di s. Gregorio[3013], scritta a _Giovanni_ arcivescovo di
Ravenna, che Ariolfo arrivò colle sue genti fin sotto Roma, e quivi
tagliò a pezzi alcuni, ad altri diede delle ferite: cosa che afflisse
cotanto il placido animo dell'ottimo pontefice, che ne cadde malato,
assalito da dolori colici. Quel nondimeno che maggiormente pareva a lui
intollerabile, era, ch'egli avrebbe avuta maniera d'indurre alla pace i
nemici (probabilmente impiegando del danaro, com'era solito in simili
frangenti di fare), ma l'esarco _Romano_ non gliel voleva permettere:
del che si duol egli forte coll'arcivescovo suddetto. E tanto più,
perchè essendo stato rinforzato Ariolfo dalle soldatesche di due altri
condottieri di armi, _Autari_ e _Nordolfo_, difficilmente volea più dar
orecchio a trattati di pace. Pertanto il prega che se ha luogo di parlar
di tali affari con sì strambo ministro, cerchi di condurlo alla pace,
con ricordargli specialmente che s'era levato di Roma il nerbo maggiore
delle milizie, per sostenere l'occupata Perugia, come egli deplora
altrove[3014], nè vi era restata altra guarnigione che il reggimento
teodosiano, così appellato da _Teodosio_ Augusto, figliuolo di
_Maurizio_ imperadore, il quale ancora, per essere privo delle sue
paghe, stentava ad accomodarsi alla guardia delle mura. Aggiugne che
anche _Arichi_, ossia _Arigiso_ duca di Benevento, il quale era
succeduto a _Zottone_ primo duca di quella contrada, instigato da
Ariolfo, rotte le capitolazioni precedenti, avea mosse le sue armi
contra de' Napoletani, e minacciava quella città.
Non si doveano credere i Longobardi obbligati ad alcun trattato
precedente, da che l'esarco sotto la buona fede aveva occupato ad essi
Perugia con altre città. Paolo Diacono[3015] parla della morte di
_Zottone_ suddetto dopo venti anni di ducato, con dire che in suo luogo
succedette _Arigiso_, mandato colà dal re _Agilolfo_, e per conseguente
o in questo o nel precedente anno, con intendersi da ciò che il ducato
beneventano dovette aver principio circa l'anno 571, come pensò il padre
Antonio Caracciolo. Era _Arigiso_ nato nel Friuli, avea servito d'ajo a'
figliuoli di _Gisolfo_ duca del Friuli, ed era parente del medesimo
Gisolfo. Risulta poi dalla suddetta lettera di san Gregorio
all'arcivescovo di Ravenna, che la città di Fano era posseduta allora
dai Longobardi, e vi si trovavano molti fatti schiavi, per la liberazion
de' quali aveva il caritativo papa voluto inviare nel precedente anno
una persona con danaro; ma questa non si era arrischiata di passare pel
ducato di Spoleti, che divideva Roma da quella città ed era sotto il
dominio de' Longobardi. Tuttavia non lasciò _Fortunato_, vescovo d'essa
città, di riscattarli, con aggravarsi di molti debiti per questa santa
azione[3016]; e san Gregorio gli concedette dipoi che potesse vendere i
vasi sacri delle chiese per pagare i creditori. Quel _Severo vescovo
scismatico_, la cui città era stata bruciata, e per cui l'arcivescovo di
Ravenna chiedeva delle limosine a san Gregorio, vien creduto _vescovo_
di _Aquileja_ dal cardinal Baronio[3017] e dal padre Mabillone[3018]. Io
il tengo per _Severo vescovo d'Ancona_, nominato altrove da san
Gregorio, giacchè egli dice: _Juxta quippe est civitas Fanum_: il che
non conviene nè a Grado nè ad Aquileja. Nell'edizione di san Gregorio
fatta da' padri Benedettini, la lettera sedicesima del libro nono[3019]
è ad _Serenum anconitanum episcopum_. Si ha da leggere _ad Severum_,
apparendo ciò dalla susseguente lettera ottantesima nona[3020]. Dovea
questo vescovo, addottrinato dalle disgrazie della sua città, avere
abbandonato lo scisma e meritata la grazia di san Gregorio.
NOTE:
[3011] Gregor. Magnus, lib. 2, ep. 8.
[3012] Gregor. Magnus, lib. 2, ep. 3, 29 et 30.
[3013] Idem, lib. 2, ep. 46.
[3014] Gregorius M., lib. 5, ep. 40.
[3015] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 19.
[3016] Greg. Magnus, lib. 7, epist. 13.
[3017] Baron., Annal. Eccl.
[3018] Mabill., in Annal. Bened., lib. 8, cap. 37.
[3019] Greg. M., lib. 9, ep. 16, edition. Bened.
[3020] Idem, ibid. epist. 89.
Anno di CRISTO DXCIII. Indizione XI.
GREGORIO I papa 4.
MAURIZIO imperadore 12.
AGILOLFO re 3.
L'anno X dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Ci fa sapere Paolo Diacono, che irritato forte il re Agilolfo per la
perdita di Perugia e dell'altre suddette città, si mosse immediatamente
da Pavia con un possente esercito per riacquistare quella città. E però
potrebbe essere che appartenesse al precedente anno questo suo sforzo.
Ma non parlando punto san Gregorio di Agilolfo nelle lettere scritte in
quell'anno, nè essendo molto esatto nell'ordine dei tempi lo storico
suddetto, chieggo licenza di poter riferire al presente anno
l'avvenimento suddetto. Venne dunque il bellicoso re con grandi forze
all'assedio di Perugia, e con tal vigore sollecitò quell'impresa, che
tornò alle sue mani essa città, e _Maurizio_ preso pagò colla sua testa
il tradimento fatto. Come poi e quando Perugia tornasse in poter dei
Romani, nol so. Certo è che vi tornò. Par ben credibile che Agilolfo
ricuperasse ancora l'altre città a lui tolte dall'esarco. Nè questo gli
bastò. Volle anche tentare Roma stessa: al che non fece mente Paolo
Diacono, allorchè scrisse, che dopo la presa di Perugia Agilolfo se ne
tornò a Pavia. Racconta il santo pontefice[3021] ch'egli era dietro a
spiegare al popolo il capitolo quarantesimo di Ezechiello, allorchè
s'intese _jam Agilulphum Longobardorum regem, ad obsidionem nostram
summopere festinantem, Padum transisse_. E che seguissero dipoi dei gran
travagli e danni al popolo romano, si raccoglie da quanto seguita
appresso a dire il medesimo san Gregorio[3022]: _Ubique luctus
aspicimus. Ubique gemitus audivimus; destructae urbes, eversa sunt
castra, depopulati sunt agri, in solitudinem terra redacta est. Alios in
captivitatem duci, alios detruncari, alios interfici videmus_. Aggiugne
più sotto[3023]: _Nemo autem me reprehendat, si post hanc locutionem
cessavero, quia, sicut omnes cernitis, nostrae tribulationes
excreverunt. Undique gladio circumfusi sumus, undique imminens mortis
periculum timemus. Alti detruncatis ad nos manibus redeunt; alii
captivi, alii interemti ad nos nuntiantur. Jam cogor linguam ab
expositione retinere_. E queste parole son quelle che fecero dire a
Paolo Diacono[3024], il qual sembra discorde da sè medesimo, essere
rimasto sì atterrito il beato Gregorio papa dall'arrivo del re Agilolfo,
che cessò dal proseguire la spiegazion del testo di Ezechiello. Crede il
cardinal Baronio che questi guai di Roma succedessero nell'anno 595,
quando tutte le apparenze sono che molto prima arrivasse un sì atroce
flagello addosso a quella città. Ed è fuor di dubbio che Roma, tuttochè
guernita d'un debolissimo presidio, valorosamente si difese in quelle
strettezze, di modo che il re Agilolfo, scorgendo la difficoltà
dell'impresa, fors'anche segretamente commosso dalle preghiere e dai
regali, che a tempo opportuno soleva impiegare per bene del suo popolo
il generoso papa Gregorio, si ritirò da quei contorni, e dopo tanti
danni inferiti lasciò in pace i Romani. Mancò di vita in quest'anno uno
dei re franchi, cioè _Guntranno_ re della Borgogna, principe per la
pietà e per altre virtù assai commendato. Perchè in questi tempi non si
durava gran fatica a canonizzare gli uomini, e specialmente i principi
dabbene per santi, però anche a lui toccò d'essere messo in quel ruolo.
Morì senza figliuoli, e lasciò tutti i suoi stati al re di Austrasia
_Childeberto_, la cui potenza con una sì gran giunta divenne
formidabile. E buon pei Longobardi che neppur egli sopravvivesse di
molto a questo suo zio.
NOTE:
[3021] Gregor. M., Praefat. lib. 2, in Ezechi.
[3022] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 8.
[3023] Greg. M., Homil. 6, lib. 2.
[3024] Idem, lib. 2, Homil. ultim.
Anno di CRISTO DXCIV. Indizione XII.
GREGORIO I papa 5.
MAURIZIO imperadore 13.
AGILOLFO re 4.
L'anno XI dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Credesi che nell'anno precedente san Gregorio papa prendesse a scrivere
i suoi Dialoghi; ma c'è anche motivo di giudicare che ciò succedesse
nell'anno presente, scrivendo egli[3025] che _cinque anni prima_ era
seguita la fiera innondazione del Tevere. Manteneva intanto il santo
pontefice buona corrispondenza con _Teodelinda_ regina dei Longobardi,
principessa piissima e bene attaccata alla religione cattolica: il che
giovò non poco per rendere il re Agilolfo suo consorte, benchè ariano,
ben affetto e favorevole ai Cattolici stessi, e servì in fine, siccome
diremo, ad abbracciare la stessa fede cattolica, se pur sussiste ciò che
ne lasciò scritto Paolo Diacono. Era stato eletto arcivescovo di Milano
_Costanzo_; e perchè si sparse voce ch'egli avesse condannati i tre
capitoli del concilio calcedonense, ed accettato il concilio quinto, tre
vescovi suoi suffraganei, fra' quali specialmente quello di Brescia, non
solamente si separarono dalla di lui comunione, ma eziandio indussero la
regina a fare lo stesso. Restano due lettere scritte da san
Gregorio[3026] alla medesima regina, nelle quali si duole ch'ella si sia
lasciata sedurre, quasi la dottrina del concilio calcedonense,
principalmente sostenuta dalla Chiesa romana, avesse patito alcun
detrimento per le persone condannate dipoi nel quinto concilio generale.
Da altre lettere del medesimo papa pare che si raccolga essersi
Teodelinda umilmente accomodata alle di lui esortazioni. Ma veggasi
all'anno 604. Abbiamo anche da Paolo Diacono[3027] che a questa buona
principessa san Gregorio, non si sa quando, inviò in dono i Dialoghi
suddetti. Una delle maggiori premure, che circa questi tempi nudriva
l'infaticabil pontefice, era quella di stabilir la pace coi Longobardi.
A così lodevol pensiero chi s'opponesse lo vedremo nell'anno seguente,
contuttochè io non lasci di sospettare che possa tal pace appartenere
all'anno presente, non essendo noi certi che tutte le lettere di san
Gregorio papa sieno disposte con ordine esattissimo di tempo. Comunque
sia, in una lettera scritta da esso papa sotto l'indizione duodecima,
cioè sotto quest'anno, al sopra citato Costanzo arcivescovo di Milano,
si vede che il ringrazia delle nuove dategli del re _Agone_ (così ancora
veniva chiamato, siccome già accennai, il re _Agilolfo_) e dei re de'
Franchi, e desidera d'essere informato di tutto altro che possa
accadere. Dice in fine una particolarità degna d'attenzione nelle
seguenti parole, cioè: _Se vedrete che Agone re de' Longobardi non possa
accordarsi col patrizio_ (ossia con _Romano_ esarco), _fategli sapere
che si prometta meglio di me, perchè son pronto a spendere, s'egli vorrà
consentire in qualche partito vantaggioso al romano imperio_. Desiderava
Gregorio che seguisse la pace generale, e perchè ciò venisse effettuato,
si esibiva a pagare; e quando poi non si potesse concludere questa
general pace, proponeva di farla almeno col ducato romano, per non
vedere più esposto alle miserie della guerra il popolo, ch'egli più
degli altri era tenuto ad amare. Sono di parere i padri Benedettini,
nella edizione di san Gregorio, che a quest'anno appartenga una lettera
del medesimo santo papa[3028] scritta a _Sabiniano_ suo apocrisario,
ossia nunzio alla corte di Costantinopoli, con ordinargli di dire ai
_serenissimi nostri padroni, che se Gregorio lor servo si fosse voluto
mischiare nella morte dei Longobardi, oggidì la nazione longobarda non
avrebbe nè re, nè duchi, nè conti, e si troverebbe in una somma
confusione. Ma perchè egli ha timore di Dio, teme di mischiarsi nella
morte di chicchessia._ Parole degne d'attenzione, per conoscere sempre
più la santità di Gregorio, e qual fosse il governo de' Longobardi, del
quale parleremo in altro luogo. Era imputato il santo pontefice d'aver
fatto morire in carcere _Malco_ vescovo longobardo, oppure di qualche
città suggetta ai Longobardi; e però si giustificò colle suddette
espressioni.
NOTE:
[3025] Gregor. Magnus, Dialog., lib. 3, cap. 19.
[3026] Idem, lib. 4, ep. 4, et 38.
[3027] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 5.
[3028] Gregor. Magnus, lib. 4, ep. 47.
Anno di CRISTO DXCV. Indizione XIII.
GREGORIO I papa 6.
MAURIZIO imperadore 14.
AGILOLFO re 5.
L'anno XII dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Non cessava il santo pontefice _Gregorio_ di far delle premure perchè si
venisse ad una pace fra l'imperio e i Longobardi, sì perchè avea troppo
in orrore gl'infiniti disordini prodotti dalla guerra, e sì perchè
toccava con mano la debolezza dell'imperio stesso, che non poteva se non
perdere continuando la discordia. Ora egli a tal fine scrisse in questo
anno a _Severo_, scolastico (cioè consultore) dell'esarco[3029], con
fargli sapere che _Agilolfo_ re de' Longobardi non ricusava di fare una
pace generale, purchè l'esarco volesse emendare i danni a lui dati,
prima che fosse venuta l'ultima rottura, esibendosi anch'egli pronto a
fare lo stesso, se i suoi nel tempo della pace aveano danneggiato le
terre dell'imperio. Però il prega di adoperarsi, acciocchè l'esarco
acconsenta alla pace; che per altro Agilolfo si mostrava anche disposto
a stabilirla coi soli Romani. Oltre a ciò, avvertisce l'esarco che varii
luoghi ed isole erano in pericolo manifesto di perdersi; e però
s'affrettasse ad abbracciar la proposta concordia, per poter avere un
po' di quiete, e mettersi intanto in forze da poter meglio resistere. Ma
l'esarco _Romano_ era della razza di coloro che antepongono il proprio
vantaggio a quello del pubblico. Se la guerra recava immensi mali alla
misera Italia, fruttava ben di molti guadagni alla borsa sua. E perciò
non solamente abborriva la pace, ma giunse infino a caricar di calunnie
il santo pontefice alla corte, in maniera che circa il mese di giugno
_Maurizio_ Augusto scrivendo ad esso papa e ad altri delle lettere, il
trattò da uomo _semplice_ e poco accorto, quasichè si lasciasse burlare
da _Ariolfo_ duca di Spoleti con varie lusinghe di pace, ed avesse
rappresentato alla corte o all'esarco delle cose insussistenti. Chi
legge la lettera scritta in questo proposito dall'incomparabil
pontefice, non può di meno di non ammirare e benedire la singolar sua
umiltà e la destrezza, con cui seppe sostenere il suo decoro, e nello
stesso tempo non mancar di rispetto a chi era principe temporale di
Roma. Duolsi egli, fra l'altre cose, che sia stata rotta dagli uffiziali
cesarei la pace da lui stabilita coi Longobardi della Toscana, mercè
dell'occupazion di Perugia: poscia dopo la rottura, che sieno stati
levati di Roma i soldati ivi soliti a stare di presidio, per guernire
Narni e Perugia, lasciando in tal guisa abbandonata ed esposta a
pericoli di perdersi quell'augusta città. Aggiugne essere stata la piaga
maggiore l'arrivo di Agilolfo, perchè si videro tanti miseri Romani
legati con funi al collo a guisa di cani, e condotti a vendere in
Francia, dove dovea praticarsi un gran mercato di schiavi, benchè
cristiani. Tali parole fecero credere al Sigonio[3030] che l'assedio di
Roma fatto da Agilolfo s'abbia da riferire all'anno precedente 594, e
non è dispregevole la di lui conghiettura, quantunque a me sembri più
probabile che quel fatto succedesse prima. Si lagna ancora il buon papa
che dopo essere i Romani scampati da quel fiero turbine, si voglia
ancora crederli colpevoli per la scarsezza del frumento, in cui si
trovava allora la città, quando s'era già rappresentato alla corte che
non si potea lungo tempo conservare in Roma una gran provvisione di
grano. E sofferiva bene esso papa con pazienza tante contrarietà; ma non
sapeva già digerire che gli Augusti padroni fossero in collera contra di
_Gregorio_ prefetto di Roma, e di _Castorio_ generale delle milizie, che
pure aveano fatto de' miracoli nella difesa della città.
un nuovo marito che fosse degno di reggere il loro regno. Nè diede loro
fastidio che Teodelinda professasse la religione cattolica: tanta doveva
essere la saviezza, la pietà e la prudenza di questa principessa.
Avrebbe ella, credo io, scelto volentieri un principe longobardo
cattolico di credenza, se lo avesse trovato, ma niun ve n'era. Però,
seguendo il consiglio de' più assennati, mise li occhi sopra _Agilolfo
duca a di Torino_, principe bellicoso, parente del defunto re Autari, di
bell'aspetto, di mente attissima a ben governar dei popoli. Fattolo
chiamare alla corte, gli andò incontro fino alla terra di Lomello, onde
prese il nome il paese della Lomellina, alcune miglia lungi da Pavia.
Colà giunto Agilolfo, fece Teodelinda portar da bere, e dopo aver essa
bevuta la metà d'una tazza, porse il resto ad Agilolfo, il quale, nel
restituirle la tazza, riverentemente le baciò la mano. Allora la regina
sorridendo, ma con onesto rossore, gli disse, non essere di dovere
ch'egli baciasse la mano a chi dovea baciare la bocca. Ed ammessolo
all'altro bacio, gli significò la intenzione sua d'averlo per marito e
di farlo re. Che più? Le nozze si celebrarono con gran solennità ed
allegria sul principio di novembre, ed Agilolfo cominciò bene ad ajutar
la regina consorte nel governo del regno, ma per allora non assunse il
titolo di re. Non si sa intendere come Gregorio Turonense[3003]
scrivesse, che mentre stavano presso del re _Childeberto_ i legati del
re Autari, arrivò la morte d'esso Autari, e che in suo luogo era
succeduto _Paolo_. Di questo _Paolo_ non v'ha memoria alcuna; nè esso è
nome longobardico. Molto meno può esso convenire ad Agilolfo, che
solamente due mesi, dappoichè era morto Autari, sposò Teodelinda, in
guisachè non potè mai, coll'avviso della morte d'Autari, giugnere alla
corte di Childeberto la nuova del successore eletto. Meglio informato
degli affari de' Longobardi non fu Fredegario[3004] colà, dove scrive
che _Agone re de' Longobardi, figliuolo del re Autari_, prese per moglie
_Teodelinda di nazione franzese_: cioè non seppe che questa principessa
in prime nozze era stata moglie del re Autari, e fallò in credere
_Agone_ figliuolo d'Autari. Per altro Agilolfo fu anche nomato, per
testimonianza di Paolo Diacono, _Ago_ o _Agone_: il che si vede
praticato in questi tempi per altri nomi. In quest'anno _Maurizio_
imperadore dichiarò Augusto e collega nell'imperio _Teodosio_ suo
primogenito, nato nell'anno 585. Ciò apparisce dal racconto che fa degli
atti di s. Gregorio il Grande Giovanni Diacono[3005].
NOTE:
[2995] Gregor. Turonensis, lib. 10, cap. 1. Paulus Diaconus, lib. 3,
cap. 23.
[2996] Johannes Diaconus, in Vit. S. Gregor., lib. 1, cap. 40.
[2997] Gregor. Turonensis, lib. 10, cap. 2.
[2998] Paulus Diaconus, lib. 3, cap. 30.
[2999] Du-Chesne, Scriptor. Rer. Franc., tom. 1.
[3000] Paulus Diaconus, lib. 2, cap. 4.
[3001] Greg. Turonensis, lib. 10, cap. 3. Paulus Diaconus, lib. 3, cap.
34.
[3002] Gregor. Magnus, lib. 1, epist. 17.
[3003] Gregor. Turonensis, lib. 10, cap. 3.
[3004] Fredegarius, in Chron. cap. 34.
[3005] Johann. Diacon., in Vit. S. Greg. M., lib. 1, cap. 40.
Anno di CRISTO DXCI. Indizione IX.
GREGORIO I papa 2.
MAURIZIO imperadore 10.
AGILOLFO re 1.
L'anno VIII dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Egregiamente serve a comprovare che non, come s'ha ne' testi della
cronica Alessandrina, si hanno a notare gli anni del consolato di
Maurizio Augusto, uno strumento pubblicato dal chiarissimo marchese
Scipione Maffei[3006], ed esistente presso di lui. Esso fu scritto _in
Classe ravennate imp. DN. N. Mauricio Tiberio P. P. Aug. anno nono, post
consulatum ejusdem anno octavo, sub die sexto nonarum martiarum,
Indictione nona_: cioè nell'anno presente. Benchè poi fossero seguite le
nozze tra la regina _Teodelinda_ e il duca _Agilolfo_ nel novembre
dell'anno precedente, pure la dignità regale non fu conferita ad esso
Agilolfo se non nel maggio di quest'anno alla dieta generale de'
Longobardi, che si raunò in Milano. Chi scrive ch'egli fu coronato in
Milano colla corona ferrea non è assistito da documento, o testimonianza
alcuna dell'antichità. Però da questo tempo io comincio a numerar gli
anni del suo regno. Fredegario[3007] anche egli mette sotto il presente
anno l'assunzione al trono di Agilolfo. La prima applicazione di questo
novello re[3008] fu quella di spedire _Agnello_ vescovo di Trento in
Francia, ossia in Germania, al re _Childeberto_, per liberare
gl'Italiani condotti colà schiavi dai Franchi: pensiero degno di un re
che dee essere padre del suo popolo. Trovò il vescovo che la regina
_Brunechilde_, madre d'esso re, principessa famosa non meno per gli suoi
vizii che per le sue virtù, avea riscattato col proprio danaro molti di
quegli sventurati, e molti altri, col danaro del re Agilolfo, ne
riscattò il vescovo, e tutti li ricondusse in Italia. Fu eziandio
mandato dal re Agilolfo per suo ambasciatore alle Gallie _Evino_ duca di
Trento, cioè, come si può credere, a _Guntranno_, re della Borgogna, e a
_Clotario II_ suo nipote, re della Neustria, ossia della Francia
occidentale, affinchè unitamente s'interponessero per condurre alla pace
_Childeberto_ re della Francia orientale, ossia dell'Austrasia, che
comandava ad una parte delle Gallie e a buona parte ancora della
Germania. Probabilmente venne in questi tempi a morte _Atanagildo_
nipote d'esso Childeberto, già condotto a Costantinopoli, in riguardo
del quale, cioè per riaverlo dalle mani de' Greci, avea Childeberto
fatta guerra ai Longobardi. Certo non si truova più da lì innanzi
memoria di lui nelle storie. Questo impegno dunque cessato, e
riflettendosi da Childeberto che non gli tornava il conto ad ingrandire
colla rovina dei Longobardi l'imperadore, la cui potenza avrebbe potuto
un dì nuocere ai Franchi stessi, con isvegliar le antiche pretensioni,
non fu difficile lo stabilir finalmente la pace tra i Franchi e
Longobardi: il che servì a maggiormente stabilire il regno longobardico
in Italia. Nell'anno addietro, allorchè i Franchi calati in Italia
fecero sì aspra guerra, non dirò ai Longobardi, ma alle campagne
degl'Italiani, _Minolfo duca_[3009], cioè governatore _della isola di s.
Giuliano_, s'era gittato in braccio a questi nuovi venuti. In vece di
_san Giuliano_, si ha da leggere _s. Giulio_, la cui isola tuttavia
ritien questo nome nella diocesi di Novara e nel lago d'Omegna. Perchè
quel sito era inespugnabile, qualora si fossero ritirate tutte le barche
del lago, perciò parve al re Agilolfo che Minolfo non per necessità, ma
per codardia o per tradimento si fosse gittato nel partito dei Franchi:
perciò gli fece tagliar la testa ad esempio degli altri. Ossia poi che a
_Gaidolfo_, appellato da altri _Gandolfo_, duca di Bergamo, non fosse
piaciuta l'elezione del re Agilolfo, o ch'egli non volesse ubbidirlo,
costui si ribellò contra di lui, e fortificossi gagliardamente in essa
città. Accorse colà il re, e gli mise tal paura, che l'indusse a
chiedere misericordia. Nè la chiese indarno; gli perdonò Agilolfo: ma
per sicurezza della di lui fedeltà volle avere e condur seco degli
ostaggi. Bisogna poi che costui fosse un cervello ben inquieto, perchè
tornò poscia a ribellarsi, e si fortificò nell'isola posta nel lago di
Como. Non tardò il re Agilolfo a cavalcare di nuovo per reprimere
costui, ed ebbe la fortuna di cacciarlo di colà. Gli furono pagate le
spese del viaggio, perchè avendo ivi trovate molte ricchezze, rifugiate
dagl'Italiani in quel forte sito, vi mise le mani addosso, e se le
portò, senza farsene scrupolo, a Pavia. Ma avendo noi veduto di sopra un
simil racconto dell'isola Comacina, ch'è la stessa, può nascere dubbio
intorno alle ricchezze ivi trovate, o in quella o pure in questa volta.
Seguitò, ciò non ostante, Gaidolfo ad alzare le corna contra del re,
confidato nella fortezza di Bergamo; ma Agilolfo il costrinse di nuovo
ad umiliarsi: con che tornò, mercè della sua clemenza, a rimetterlo in
sua grazia. Anche _Ulfari_ duca di Trivigi uno fu di quelli che si
ribellarono al re Agilolfo; ma, assediato in quella città, fu forzato a
rendersi prigione. Racconta Paolo che in quest'anno non piovve nel mese
di gennajo fino al settembre, e però si fece una misera raccolta.
Diedero ancora un gran guasto al territorio di Trento le locuste, cioè
le cavallette più grosse delle ordinarie, con divorar le foglie degli
alberi e l'erbe dei prati. Ma non toccarono i grani, e nell'anno
seguente si provò questo medesimo flagello. A questi mali s'aggiunse una
terribil peste, che afflisse specialmente Ravenna e l'Istria; e da una
lettera di s. Gregorio Magno[3010] apparisce che questo malore infestava
anche la città di Narni.
NOTE:
[3006] Maffei, Ist. Diplom., pag. 165.
[3007] Fredegar., in Chron., cap. 13.
[3008] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 1.
[3009] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 1.
[3010] Gregor. Magnus, lib. 2, ep. 2.
Anno di CRISTO DXCII. Indizione X.
GREGORIO I papa 3.
MAURIZIO imperadore 11.
AGILOLFO re 2.
L'anno IX dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Assicurato il suo regno dalla parte dei Franchi colla pace con esso loro
stabilita, e depressi gl'interni nemici, volle ancora il re Agilolfo
provvedere alla sicurezza sua dalla parte degli Avari, ossia degli Unni
o Tartari che dominavano nella Pannonia, e stendevano la lor signoria
sopra gli Sclavi, che diedero il nome alla Schiavonia. Era formidabile
anche la potenza di quella nazione, e non andrà molto che cominceremo a
vederne le funeste pruove in Italia. Con costoro fu conchiuso un
trattato di pace e di amistà. Ma non erano terminati i mali umori
interni. _Romano_ esarco lavorava sott'acqua, e tanto seppe fare, che
con promesse e danari guadagnò _Maurizio_, ossia _Mauricione_ o
_Mauritione duca_ di Perugia[3011], che accettò presidio greco in quella
città. Si trovava allora l'esarco in Roma, ed ansioso di mettere il
piede in sì riguardevol città, che poteva servirgli di frontiera contra
de' Longobardi, si mosse di colà, conducendo seco quanti armati potè; e
nel viaggio non solamente se gli diede Perugia, ma egli prese inoltre
alcune delle città frapposte, cioè Sutri, Polimarzo, oggidì Bomarzo,
Orta, Todi, Ameria, Luceolo, ed altre, di cui lo storico non seppe il
nome. Giunsero queste disgustose nuove ad Agilolfo dimorante in Pavia,
che ne dovette prontamente scrivere al duca di Spoleti, intanto che egli
preparava l'esercito per accorrere in persona a quelle parti. A
_Faroaldo_ primo duca di Spoleti, morto, non si sa in qual anno, era
succeduto _Ariolfo_, uomo di gran valore. Io non so come, a chi compilò
la vita di s. Gregorio Magno, scappò detto che questo _Ariolfo fu duca
di Benevento_. Dal Baronio poi fu creduto _duca de' Longobardi nella
Toscana_. Certo è ch'egli era _duca di Spoleti_, e lo attestano Paolo
Diacono e l'autore della Cronica Farfense. In questi tempi l'Umbria da
alcuni fu riguardata come parte della Toscana. Ora trovandosi egli il
più vicino ai paesi caduti in mano del nemico esarco, si mise tosto in
armi ed entrò in campagna. Fu preveduto questo colpo dal santo papa
_Gregorio_; e siccome sulla sua vigilanza e prudenza specialmente posava
la salute di Roma, ed era alla saggia sua direzione raccomandato il
maneggio anche degli affari temporali in tempi sì scabrosi, egli perciò
scrisse[3012] a _Veloce_ maestro della milizia, ossia generale d'armata,
che intendendosi con _Maurilio_ e _Vitaliano_, a' quali ancora fece
intendere la sua mente, stessero bene attenti ai movimenti del duca di
Spoleti, e caso che si inviasse verso Roma o verso Ravenna, gli dessero
alla coda. Ciò fu nel mese di giugno, e voce correva che Ariolfo fosse
per essere sotto Roma nella festa di san Pietro. Nell'epistola
trentesima notifica esso papa ai suddetti Maurilio e Vitaliano, che nel
dì 11 quel mese (e non già di gennajo, come hanno alcune edizioni) esso
duca Ariolfo gli avea scritta una lettera, di cui loro manda copia, con
raccomandare ai medesimi di tenere all'ubbidienza dell'imperadore la
città di _Soana_ posta nella Toscana, se pure Ariolfo non gli ha
prevenuti, con portar via di là gli ostaggi. Costa poi da un'altra
lettera di s. Gregorio[3013], scritta a _Giovanni_ arcivescovo di
Ravenna, che Ariolfo arrivò colle sue genti fin sotto Roma, e quivi
tagliò a pezzi alcuni, ad altri diede delle ferite: cosa che afflisse
cotanto il placido animo dell'ottimo pontefice, che ne cadde malato,
assalito da dolori colici. Quel nondimeno che maggiormente pareva a lui
intollerabile, era, ch'egli avrebbe avuta maniera d'indurre alla pace i
nemici (probabilmente impiegando del danaro, com'era solito in simili
frangenti di fare), ma l'esarco _Romano_ non gliel voleva permettere:
del che si duol egli forte coll'arcivescovo suddetto. E tanto più,
perchè essendo stato rinforzato Ariolfo dalle soldatesche di due altri
condottieri di armi, _Autari_ e _Nordolfo_, difficilmente volea più dar
orecchio a trattati di pace. Pertanto il prega che se ha luogo di parlar
di tali affari con sì strambo ministro, cerchi di condurlo alla pace,
con ricordargli specialmente che s'era levato di Roma il nerbo maggiore
delle milizie, per sostenere l'occupata Perugia, come egli deplora
altrove[3014], nè vi era restata altra guarnigione che il reggimento
teodosiano, così appellato da _Teodosio_ Augusto, figliuolo di
_Maurizio_ imperadore, il quale ancora, per essere privo delle sue
paghe, stentava ad accomodarsi alla guardia delle mura. Aggiugne che
anche _Arichi_, ossia _Arigiso_ duca di Benevento, il quale era
succeduto a _Zottone_ primo duca di quella contrada, instigato da
Ariolfo, rotte le capitolazioni precedenti, avea mosse le sue armi
contra de' Napoletani, e minacciava quella città.
Non si doveano credere i Longobardi obbligati ad alcun trattato
precedente, da che l'esarco sotto la buona fede aveva occupato ad essi
Perugia con altre città. Paolo Diacono[3015] parla della morte di
_Zottone_ suddetto dopo venti anni di ducato, con dire che in suo luogo
succedette _Arigiso_, mandato colà dal re _Agilolfo_, e per conseguente
o in questo o nel precedente anno, con intendersi da ciò che il ducato
beneventano dovette aver principio circa l'anno 571, come pensò il padre
Antonio Caracciolo. Era _Arigiso_ nato nel Friuli, avea servito d'ajo a'
figliuoli di _Gisolfo_ duca del Friuli, ed era parente del medesimo
Gisolfo. Risulta poi dalla suddetta lettera di san Gregorio
all'arcivescovo di Ravenna, che la città di Fano era posseduta allora
dai Longobardi, e vi si trovavano molti fatti schiavi, per la liberazion
de' quali aveva il caritativo papa voluto inviare nel precedente anno
una persona con danaro; ma questa non si era arrischiata di passare pel
ducato di Spoleti, che divideva Roma da quella città ed era sotto il
dominio de' Longobardi. Tuttavia non lasciò _Fortunato_, vescovo d'essa
città, di riscattarli, con aggravarsi di molti debiti per questa santa
azione[3016]; e san Gregorio gli concedette dipoi che potesse vendere i
vasi sacri delle chiese per pagare i creditori. Quel _Severo vescovo
scismatico_, la cui città era stata bruciata, e per cui l'arcivescovo di
Ravenna chiedeva delle limosine a san Gregorio, vien creduto _vescovo_
di _Aquileja_ dal cardinal Baronio[3017] e dal padre Mabillone[3018]. Io
il tengo per _Severo vescovo d'Ancona_, nominato altrove da san
Gregorio, giacchè egli dice: _Juxta quippe est civitas Fanum_: il che
non conviene nè a Grado nè ad Aquileja. Nell'edizione di san Gregorio
fatta da' padri Benedettini, la lettera sedicesima del libro nono[3019]
è ad _Serenum anconitanum episcopum_. Si ha da leggere _ad Severum_,
apparendo ciò dalla susseguente lettera ottantesima nona[3020]. Dovea
questo vescovo, addottrinato dalle disgrazie della sua città, avere
abbandonato lo scisma e meritata la grazia di san Gregorio.
NOTE:
[3011] Gregor. Magnus, lib. 2, ep. 8.
[3012] Gregor. Magnus, lib. 2, ep. 3, 29 et 30.
[3013] Idem, lib. 2, ep. 46.
[3014] Gregorius M., lib. 5, ep. 40.
[3015] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 19.
[3016] Greg. Magnus, lib. 7, epist. 13.
[3017] Baron., Annal. Eccl.
[3018] Mabill., in Annal. Bened., lib. 8, cap. 37.
[3019] Greg. M., lib. 9, ep. 16, edition. Bened.
[3020] Idem, ibid. epist. 89.
Anno di CRISTO DXCIII. Indizione XI.
GREGORIO I papa 4.
MAURIZIO imperadore 12.
AGILOLFO re 3.
L'anno X dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Ci fa sapere Paolo Diacono, che irritato forte il re Agilolfo per la
perdita di Perugia e dell'altre suddette città, si mosse immediatamente
da Pavia con un possente esercito per riacquistare quella città. E però
potrebbe essere che appartenesse al precedente anno questo suo sforzo.
Ma non parlando punto san Gregorio di Agilolfo nelle lettere scritte in
quell'anno, nè essendo molto esatto nell'ordine dei tempi lo storico
suddetto, chieggo licenza di poter riferire al presente anno
l'avvenimento suddetto. Venne dunque il bellicoso re con grandi forze
all'assedio di Perugia, e con tal vigore sollecitò quell'impresa, che
tornò alle sue mani essa città, e _Maurizio_ preso pagò colla sua testa
il tradimento fatto. Come poi e quando Perugia tornasse in poter dei
Romani, nol so. Certo è che vi tornò. Par ben credibile che Agilolfo
ricuperasse ancora l'altre città a lui tolte dall'esarco. Nè questo gli
bastò. Volle anche tentare Roma stessa: al che non fece mente Paolo
Diacono, allorchè scrisse, che dopo la presa di Perugia Agilolfo se ne
tornò a Pavia. Racconta il santo pontefice[3021] ch'egli era dietro a
spiegare al popolo il capitolo quarantesimo di Ezechiello, allorchè
s'intese _jam Agilulphum Longobardorum regem, ad obsidionem nostram
summopere festinantem, Padum transisse_. E che seguissero dipoi dei gran
travagli e danni al popolo romano, si raccoglie da quanto seguita
appresso a dire il medesimo san Gregorio[3022]: _Ubique luctus
aspicimus. Ubique gemitus audivimus; destructae urbes, eversa sunt
castra, depopulati sunt agri, in solitudinem terra redacta est. Alios in
captivitatem duci, alios detruncari, alios interfici videmus_. Aggiugne
più sotto[3023]: _Nemo autem me reprehendat, si post hanc locutionem
cessavero, quia, sicut omnes cernitis, nostrae tribulationes
excreverunt. Undique gladio circumfusi sumus, undique imminens mortis
periculum timemus. Alti detruncatis ad nos manibus redeunt; alii
captivi, alii interemti ad nos nuntiantur. Jam cogor linguam ab
expositione retinere_. E queste parole son quelle che fecero dire a
Paolo Diacono[3024], il qual sembra discorde da sè medesimo, essere
rimasto sì atterrito il beato Gregorio papa dall'arrivo del re Agilolfo,
che cessò dal proseguire la spiegazion del testo di Ezechiello. Crede il
cardinal Baronio che questi guai di Roma succedessero nell'anno 595,
quando tutte le apparenze sono che molto prima arrivasse un sì atroce
flagello addosso a quella città. Ed è fuor di dubbio che Roma, tuttochè
guernita d'un debolissimo presidio, valorosamente si difese in quelle
strettezze, di modo che il re Agilolfo, scorgendo la difficoltà
dell'impresa, fors'anche segretamente commosso dalle preghiere e dai
regali, che a tempo opportuno soleva impiegare per bene del suo popolo
il generoso papa Gregorio, si ritirò da quei contorni, e dopo tanti
danni inferiti lasciò in pace i Romani. Mancò di vita in quest'anno uno
dei re franchi, cioè _Guntranno_ re della Borgogna, principe per la
pietà e per altre virtù assai commendato. Perchè in questi tempi non si
durava gran fatica a canonizzare gli uomini, e specialmente i principi
dabbene per santi, però anche a lui toccò d'essere messo in quel ruolo.
Morì senza figliuoli, e lasciò tutti i suoi stati al re di Austrasia
_Childeberto_, la cui potenza con una sì gran giunta divenne
formidabile. E buon pei Longobardi che neppur egli sopravvivesse di
molto a questo suo zio.
NOTE:
[3021] Gregor. M., Praefat. lib. 2, in Ezechi.
[3022] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 8.
[3023] Greg. M., Homil. 6, lib. 2.
[3024] Idem, lib. 2, Homil. ultim.
Anno di CRISTO DXCIV. Indizione XII.
GREGORIO I papa 5.
MAURIZIO imperadore 13.
AGILOLFO re 4.
L'anno XI dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Credesi che nell'anno precedente san Gregorio papa prendesse a scrivere
i suoi Dialoghi; ma c'è anche motivo di giudicare che ciò succedesse
nell'anno presente, scrivendo egli[3025] che _cinque anni prima_ era
seguita la fiera innondazione del Tevere. Manteneva intanto il santo
pontefice buona corrispondenza con _Teodelinda_ regina dei Longobardi,
principessa piissima e bene attaccata alla religione cattolica: il che
giovò non poco per rendere il re Agilolfo suo consorte, benchè ariano,
ben affetto e favorevole ai Cattolici stessi, e servì in fine, siccome
diremo, ad abbracciare la stessa fede cattolica, se pur sussiste ciò che
ne lasciò scritto Paolo Diacono. Era stato eletto arcivescovo di Milano
_Costanzo_; e perchè si sparse voce ch'egli avesse condannati i tre
capitoli del concilio calcedonense, ed accettato il concilio quinto, tre
vescovi suoi suffraganei, fra' quali specialmente quello di Brescia, non
solamente si separarono dalla di lui comunione, ma eziandio indussero la
regina a fare lo stesso. Restano due lettere scritte da san
Gregorio[3026] alla medesima regina, nelle quali si duole ch'ella si sia
lasciata sedurre, quasi la dottrina del concilio calcedonense,
principalmente sostenuta dalla Chiesa romana, avesse patito alcun
detrimento per le persone condannate dipoi nel quinto concilio generale.
Da altre lettere del medesimo papa pare che si raccolga essersi
Teodelinda umilmente accomodata alle di lui esortazioni. Ma veggasi
all'anno 604. Abbiamo anche da Paolo Diacono[3027] che a questa buona
principessa san Gregorio, non si sa quando, inviò in dono i Dialoghi
suddetti. Una delle maggiori premure, che circa questi tempi nudriva
l'infaticabil pontefice, era quella di stabilir la pace coi Longobardi.
A così lodevol pensiero chi s'opponesse lo vedremo nell'anno seguente,
contuttochè io non lasci di sospettare che possa tal pace appartenere
all'anno presente, non essendo noi certi che tutte le lettere di san
Gregorio papa sieno disposte con ordine esattissimo di tempo. Comunque
sia, in una lettera scritta da esso papa sotto l'indizione duodecima,
cioè sotto quest'anno, al sopra citato Costanzo arcivescovo di Milano,
si vede che il ringrazia delle nuove dategli del re _Agone_ (così ancora
veniva chiamato, siccome già accennai, il re _Agilolfo_) e dei re de'
Franchi, e desidera d'essere informato di tutto altro che possa
accadere. Dice in fine una particolarità degna d'attenzione nelle
seguenti parole, cioè: _Se vedrete che Agone re de' Longobardi non possa
accordarsi col patrizio_ (ossia con _Romano_ esarco), _fategli sapere
che si prometta meglio di me, perchè son pronto a spendere, s'egli vorrà
consentire in qualche partito vantaggioso al romano imperio_. Desiderava
Gregorio che seguisse la pace generale, e perchè ciò venisse effettuato,
si esibiva a pagare; e quando poi non si potesse concludere questa
general pace, proponeva di farla almeno col ducato romano, per non
vedere più esposto alle miserie della guerra il popolo, ch'egli più
degli altri era tenuto ad amare. Sono di parere i padri Benedettini,
nella edizione di san Gregorio, che a quest'anno appartenga una lettera
del medesimo santo papa[3028] scritta a _Sabiniano_ suo apocrisario,
ossia nunzio alla corte di Costantinopoli, con ordinargli di dire ai
_serenissimi nostri padroni, che se Gregorio lor servo si fosse voluto
mischiare nella morte dei Longobardi, oggidì la nazione longobarda non
avrebbe nè re, nè duchi, nè conti, e si troverebbe in una somma
confusione. Ma perchè egli ha timore di Dio, teme di mischiarsi nella
morte di chicchessia._ Parole degne d'attenzione, per conoscere sempre
più la santità di Gregorio, e qual fosse il governo de' Longobardi, del
quale parleremo in altro luogo. Era imputato il santo pontefice d'aver
fatto morire in carcere _Malco_ vescovo longobardo, oppure di qualche
città suggetta ai Longobardi; e però si giustificò colle suddette
espressioni.
NOTE:
[3025] Gregor. Magnus, Dialog., lib. 3, cap. 19.
[3026] Idem, lib. 4, ep. 4, et 38.
[3027] Paulus Diaconus, lib. 4, cap. 5.
[3028] Gregor. Magnus, lib. 4, ep. 47.
Anno di CRISTO DXCV. Indizione XIII.
GREGORIO I papa 6.
MAURIZIO imperadore 14.
AGILOLFO re 5.
L'anno XII dopo il consolato di MAURIZIO AUGUSTO.
Non cessava il santo pontefice _Gregorio_ di far delle premure perchè si
venisse ad una pace fra l'imperio e i Longobardi, sì perchè avea troppo
in orrore gl'infiniti disordini prodotti dalla guerra, e sì perchè
toccava con mano la debolezza dell'imperio stesso, che non poteva se non
perdere continuando la discordia. Ora egli a tal fine scrisse in questo
anno a _Severo_, scolastico (cioè consultore) dell'esarco[3029], con
fargli sapere che _Agilolfo_ re de' Longobardi non ricusava di fare una
pace generale, purchè l'esarco volesse emendare i danni a lui dati,
prima che fosse venuta l'ultima rottura, esibendosi anch'egli pronto a
fare lo stesso, se i suoi nel tempo della pace aveano danneggiato le
terre dell'imperio. Però il prega di adoperarsi, acciocchè l'esarco
acconsenta alla pace; che per altro Agilolfo si mostrava anche disposto
a stabilirla coi soli Romani. Oltre a ciò, avvertisce l'esarco che varii
luoghi ed isole erano in pericolo manifesto di perdersi; e però
s'affrettasse ad abbracciar la proposta concordia, per poter avere un
po' di quiete, e mettersi intanto in forze da poter meglio resistere. Ma
l'esarco _Romano_ era della razza di coloro che antepongono il proprio
vantaggio a quello del pubblico. Se la guerra recava immensi mali alla
misera Italia, fruttava ben di molti guadagni alla borsa sua. E perciò
non solamente abborriva la pace, ma giunse infino a caricar di calunnie
il santo pontefice alla corte, in maniera che circa il mese di giugno
_Maurizio_ Augusto scrivendo ad esso papa e ad altri delle lettere, il
trattò da uomo _semplice_ e poco accorto, quasichè si lasciasse burlare
da _Ariolfo_ duca di Spoleti con varie lusinghe di pace, ed avesse
rappresentato alla corte o all'esarco delle cose insussistenti. Chi
legge la lettera scritta in questo proposito dall'incomparabil
pontefice, non può di meno di non ammirare e benedire la singolar sua
umiltà e la destrezza, con cui seppe sostenere il suo decoro, e nello
stesso tempo non mancar di rispetto a chi era principe temporale di
Roma. Duolsi egli, fra l'altre cose, che sia stata rotta dagli uffiziali
cesarei la pace da lui stabilita coi Longobardi della Toscana, mercè
dell'occupazion di Perugia: poscia dopo la rottura, che sieno stati
levati di Roma i soldati ivi soliti a stare di presidio, per guernire
Narni e Perugia, lasciando in tal guisa abbandonata ed esposta a
pericoli di perdersi quell'augusta città. Aggiugne essere stata la piaga
maggiore l'arrivo di Agilolfo, perchè si videro tanti miseri Romani
legati con funi al collo a guisa di cani, e condotti a vendere in
Francia, dove dovea praticarsi un gran mercato di schiavi, benchè
cristiani. Tali parole fecero credere al Sigonio[3030] che l'assedio di
Roma fatto da Agilolfo s'abbia da riferire all'anno precedente 594, e
non è dispregevole la di lui conghiettura, quantunque a me sembri più
probabile che quel fatto succedesse prima. Si lagna ancora il buon papa
che dopo essere i Romani scampati da quel fiero turbine, si voglia
ancora crederli colpevoli per la scarsezza del frumento, in cui si
trovava allora la città, quando s'era già rappresentato alla corte che
non si potea lungo tempo conservare in Roma una gran provvisione di
grano. E sofferiva bene esso papa con pazienza tante contrarietà; ma non
sapeva già digerire che gli Augusti padroni fossero in collera contra di
_Gregorio_ prefetto di Roma, e di _Castorio_ generale delle milizie, che
pure aveano fatto de' miracoli nella difesa della città.
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