Annali d'Italia, vol. 2 - 66
volendo sofferire tanta animosità, risentitamente ne scrisse più
lettere[2777] a Narsete, con pregarlo massimamente di voler far mettere
le mani addosso, non solo a Paolino, non riconosciuto da esso Pelagio
per legittimo vescovo d'Aquileia, ma anche all'arcivescovo di Milano
(senza dirci il suo nome), perchè, trascurata la approvazione della Sede
apostolica, avea consecrato vescovo il suddetto Paolino. Voleva Pelagio
che colle guardie questi due fossero inviati a Costantinopoli. Ma
Narsete, considerando non molto convenevoli alle congiunture de' tempi
sì fatte violenze, andò temporeggiando, sopra tutto per isperanza che
questi pertinaci si ridurrebbono colle buone a riconoscere il loro
dovere. Giunsero essi a scomunicare anche lo stesso Narsete. Per altro
si sa che i romani pontefici usarono per alcun tempo della tolleranza ed
indulgenza verso i ripugnanti al concilio quinto, concilio neppur da
molti uomini dotti e santi riguardato allora con quella venerazione che
ogni cattolico professava ai quattro primi concilii generali. Ma intorno
a tale scisma, e se di là avesse principio il titolo di _patriarca_, di
cui son in possesso da tanti secoli gli arcivescovi di Aquileia, è da
vedere una dissertazione e i monumenti della Chiesa aquileiense
pubblicati dal padre Bernardo de Rubeis dell'ordine de' Predicatori. Fra
coloro poi che compariscono poco favorevoli al concilio quinto suddetto,
merita specialmente d'essere annoverato _Cassiodoro_, ossia
_Cassiodorio_, già senatore, già console, ed uno de' più insigni
personaggi della corte dei re goti, finchè durò la loro potenza, ed uno
de' più riguardevoli scrittori italiani del secolo presente. Questi,
dopo la caduta del re _Vitige_, chiarito oramai della vanità delle
grandezze umane, diede un calcio al secolo, e ritiratosi nel fondo della
Calabria, quivi professò la vita monastica, seguendo, secondo tutte le
verisimiglianze, l'istituto e la regola di san Benedetto. Fondò egli il
monastero appellato Vivariense, presso di Squillaci, e quivi attese a
scrivere libri sacri, e ad istruire non meno nella pietà che nelle
lettere i suoi discepoli. Alla di lui attenzione è obbligata di molto
anche per questo l'Italia tutta. Ora egli ne' suoi scritti accetta bensì
con somma venerazione i quattro primi concilii generali, ma non già il
quinto. Erasi ingrandito a dismisura _Clotario_ re dei Franchi,
coll'aver giunto al suo dominio gli stati ben vasti del defunto
_Teodebaldo_. Ed essendosi a lui ribellati i Sassoni, gli avea sconfitti
in una battaglia, con devastare dipoi la Turingia, perchè quel popolo
s'era dichiarato in favore dei Sassoni. Tornarono nel precedente anno a
far delle novità contra di lui i medesimi Sassoni, e egli, mossosi con
un potente esercito per castigarli, li ridusse in istato di chiedergli
misericordia, e di offerire la metà de' lor beni in soddisfazione del
commesso misfatto. Clotario era tutto disposto a far loro grazia; ma i
suoi capitani ostinati quasi il violentarono a rigettare ogni esibizione
di quei popoli. Gli costò caro l'aver lasciate le vie della clemenza,
perchè, venuto ad un secondo combattimento, ebbe la peggio con grande
strage de' suoi, e gli convenne fuggire e chiedere appresso per grazia
la pace. Abbiamo queste notizie da Gregorio Turonense[2778], da
Fredegario[2779] e dal Continuatore di Marcellino conte[2780].
NOTE:
[2777] Pelag. I, ep. 3 et 5.
[2778] Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 14.
[2779] Fredegarius, in Chron.
[2780] Continuator Marcellini Comitis, in Chron.
Anno di CRISTO DLVII. Indizione V.
PELAGIO I papa 3.
GIUSTINIANO imperadore 31.
L'anno XVI dopo il consolato di Basilio.
L'antica storia ci fa pur sentire frequenti i tremuoti, e tremuoti
orribili, nella città di Costantinopoli. Due in quest'anno, per
testimonianza di Agatia[2781] e di Teofane[2782], ne succederono, l'uno
a dì 6 di ottobre, e l'altro a dì 14 di dicembre, amendue de' più
spaventosi che mai si fossero uditi. Rovinarono a terra moltissimi
palagi e case, e non poche chiese, e sotto quelle rovine perirono
assaissimi del popolo. L'imperador _Giustiniano_, cessato questo gran
flagello, attese a ristorar gli edifizii che aveano patito, e
spezialmente a proseguir la fabbrica dell'insigne tempio di santa Sofia,
che riuscì poi una maraviglia del mondo. Se ne legge la descrizione
esattamente e minutamente tessuta dal celebre Du-Cange nella sua
Costantinopoli cristiana. Circa questi tempi, e forse prima, divampò la
ribellione di _Cranno_, figliuolo di _Clotario_ re de' Franchi, contra
dello stesso suo padre[2783]. Era questo giovine principe dotato di
belle fattezze di corpo, spiritoso ed accorto; e suo padre gli avea dato
il governo dalla provincia dell'Auvergne. Ma abbandonatosi ai vizii e ad
iniqui consiglieri, cominciò ad esercitar delle violenze con grave
lamento de' popoli. Chiamato dal padre, che volea rimediare a questi
disordini, piuttosto elesse di prendere l'armi contra di lui, che di
ubbidirlo, ormai sedotto, al pari d'Assalonne, dalla voglia di regnare
prima del tempo. Ciò che maggiormente gli faceva animo ad imprendere
questa malvagia risoluzione, era l'assistenza segretamente a lui
promessa da _Childeberto_ suo zio re di Parigi, troppo disgustato perchè
Clotario di lui padre avesse assorbito tutto il regno d'Austrasia, cioè
il posseduto dal già re Teodebaldo, senza farne parte a lui, come era di
giustizia. Pertanto si venne ad una guerra scandalosa, che durò molto
tempo, essendosi veramente dichiarato in favore di Cranno il suddetto re
Childeberto. L'Italia intanto si godeva una buona pace. Narsete n'era
governatore, e a Narsete non mancava pietà, giustizia e prudenza per
governare i popoli alla sua cura commessi. Secondochè abbiamo da Andrea
Dandolo[2784], la tradizione in Venezia era ch'egli, ito colà,
fabbricasse nell'isola di Rialto due chiese, l'una in onore di san
Teodoro martire, e l'altra di san Menna e di san Geminiano vescovo di
Modena.
NOTE:
[2781] Agath., lib. 5 Histor.
[2782] Theoph., in Chronogr.
[2783] Gregor. Turonensis, lib. 4.
[2784] Andreas Dandulus, Chron. Venet., tom. 12 Rer. Italic.
Anno di CRISTO DLVIII. Indizione VI.
PELAGIO I papa 4.
GIUSTINIANO imperadore 32.
L'anno XVII dopo il consolato di Basilio.
Per relazione di Teofane[2785] e dell'autore della Miscella[2786], in
quest'anno cominciò a vedersi in Costantinopoli una nazione, che non
s'era dianzi mai veduta. Si chiamavano _Abari_ o _Avari_, e corse tutto
il popolo a contemplar quelle brutte ciere. Portavano i capelli lunghi,
raccolti con un nastro, e cadenti giù per le spalle. Nel resto degli
abiti comparivano somigliantissimi agli Unni. Ed in fatti erano
anch'essi, non men che gli Unni, Tartari di nazione. Costoro, spediti
dalla loro tribù, chiedevano all'imperador _Giustiniano_ di potersi
stabilire nella Mesia, offerendosi pronti a servirlo in tutte le
occorrenze colle lor armi. Forse nulla per allora ottennero. Torneremo a
parlarne fra poco; e lo richiede la storia d'Italia, perchè costoro
misero poi piede nella Pannonia, ossia nell'Ungheria, e si fecero pur
troppo conoscere col tempo crudelissimi arnesi anche agl'Italiani. Ai
tremuoti, che sul fine dell'anno addietro afflissero cotanto la città di
Costantinopoli, si aggiunse da lì a poco, cioè nel febbraio dell'anno
corrente, una terribil peste, che inferocì specialmente contro i
giovani, e, secondochè attesta anche Agatia[2787], portò sotterra
un'infinita moltitudine di popolo. A questo malore, il più micidiale
degli altri, è tuttavia, e sarà sempre soggetta quella città finch'essa
trascurerà quelle precauzioni, colle quali si vuol ora preservata
l'Italia. Nè qui si fermò l'infelicità di quelle contrade. Sul principio
del verno, essendo gelato il Danubio, passati di qua con facilità gli
Unni sotto il comando di _Zaberga_ lor capo, vennero saccheggiando tutto
il paese, disonorando le femmine, e menando in ischiavitù chi loro
aggradiva. Giunsero fin sotto le mura di Costantinopoli, nè trovavano
chi loro si opponesse. Osservò Agatia, che, secondo le regole
dell'imperio e giusta la misura degli aggravii, si aveano da tenere in
piedi secento quarantacinque mila combattenti. In questi tempi non ve
n'era che cento cinquanta mila; e questi divisi parte in _Italia_, parte
in _Africa_, in _Ispagna_ (perchè, oltre all'isole adiacenti alla
Spagna, tuttavia nel continente si conservava qualche città fedele al
romano imperio, come si raccoglie da sant'Isidoro), in _Egitto_, in
_Colco_ e ai confini della Persia. _Giustiniano_, invecchiato forte, non
era più quello di prima. Lasciava andare in malora i paesi; e se i
Barbari o minacciavano guerra, o la facevano, comperava da essi a forza
d'oro la pace. Il denaro, che s'aveva da impiegare in mantener dei
reggimenti di soldati, serviva ad alimentar meretrici, ragazzi, sgherri.
E in Costantinopoli, ancorchè durassero le scuole militari, alle quali
una volta erano ascritti i più valorosi e pratici dell'arte militare,
ben pagati perciò, allora queste erano composte di gente che comperava
que' posti, nè altro merito avea che di andar bene vestiti. Così
governava in questi tempi Giustiniano, di cui anche è memorabile la
cecità e stupidità in portar tanto affetto ai seguaci della fazione
prasina, che loro era permesso d'uccidere di bel mezzo giorno nella
città quei della fazione veneta loro emuli, e di entrar per forza nelle
case, e di rubare, senza che temessero della giustizia. E guai a quei
giudici che trattavano di castigargli. Se crediamo a Mario
Aventicense[2788], venne a morte in quest'anno _Childeberto_, uno dei re
franchi, giunto già ad un'avanzata vecchiaia, nel mentre ch'egli
sostenendo la ribellione di _Cranno_, figliuolo del re _Clotario_,
cercava di vendicarsi del fratello che aveva occupato tutto il regno
d'Austrasia. Portò questa morte al re Clotario il possesso anche degli
stati ch'erano goduti da esso re Childeberto, e così venne ad unirsi in
lui tutta la vasta monarchia de' Franchi, che abbracciava tutta la
Gallia (a riserva della Linguadoca dominata da Visigoti, e della
Bretagna minore governata dai suoi sovrani) e buona parte della
Germania, compresavi la Sassonia, la Turingia, l'Alemagna e la Baviera,
la qual ultima provincia circa questi tempi cominciò ad aver il suo
duca. E questi fu _Garibaldo_, a cui il re Clotario diede per moglie
_Valderada_, chiamata da altri _Valdetrada_, ossia _Valdrada_, vedova
del fu re Teodebaldo.
NOTE:
[2785] Theoph., in Chronogr.
[2786] Histor. Miscella, lib. 16.
[2787] Agat., lib. 5 Hist.
[2788] Marius Aventicensis, in Chron.
Anno di CRISTO DLIX. Indizione VII.
PELAGIO I papa 5.
GIUSTINIANO imperadore 33.
L'anno XVIII dopo il consolato di Basilio.
Per relazione di san Gregorio Magno[2789], _Sabino_ vescovo di Canosa
ragionando con _san Benedetto_, patriarca de' monaci in Occidente, dei
fatti di Totila re dei Goti, entrato già in possesso di Roma, gli palesò
il suo timore che questo re avrebbe distrutta e renduta inabitabile
Roma. Rispose san Benedetto: _Roma sarà sterminata, non già dagli
uomini, ma sì bene da fieri temporali e da orribili tremuoti._ Soggiugne
san Gregorio, scrittore di questo secolo, ch'era chiaramente verificata
la profezia del santo abate, perchè a' suoi dì si miravano in Roma le
mura della città scompaginate, case diroccate, chiese atterrate dai
turbini, e gli edifizii per la vecchiaia andar tutto di rovinando. È di
parere il padre Mabillone[2790] che nel luglio ed agosto del presente
anno tutto quasi l'Oriente e l'Occidente fosse stranamente afflitto
dalle inondazioni del mare, dalle tempeste, dai tremuoti e dalla
pestilenza; e che da tanti flagelli patisse più Roma che dalla fierezza
de' Barbari, con adempiersi allora quanto avea predetto san Benedetto.
Onde egli abbia tratta questa notizia, non l'ho potuto scoprire.
Trovavasi in gran confusione la corte e città di Costantinopoli, per
aver vicini alle porte gli Unni, i quali devastavano la campagna, e
minacciavano anche la stessa città. Per attestato di Agatia[2791] e di
Teofane[2792], altro ripiego non ebbe _Giustiniano_ Augusto, che di
ordinare a _Belisario_ patrizio di procedere contra di quegl'insolenti
Barbari. Era già venuta la vecchiaia a trovare questo eccellente
generale; tuttavia, così esigendo il bisogno, diede di mano alle sue
armi, e con quelle poche truppe che potè adunare, consistenti in alcune
sole centinaia di cavalli e di alcune altre di pedoni, uscì
coraggiosamente in campagna, e raunato un grande stuolo di contadini, si
fortificò fuori della città. Poscia più coll'industria e con gli
stratagemmi, che colla forza, tanto seppe fare, che obbligò i Barbari a
ritirarsi. Giustiniano dipoi per liberarsi da costoro, e mandarli
contenti al loro paese, valendosi dell'apparenza di riscattare gli
schiavi, votò loro in seno una buona quantità di oro, e n'ebbe la pace.
NOTE:
[2789] Gregor. Magnus, Dialogor., lib. 2, cap. 15.
[2790] Mabillonius, Annal. Benedictin., lib. 5.
[2791] Agath., lib. 5 Hist.
[2792] Theophan., in Chron.
Anno di CRISTO DLX. Indizione VIII.
GIOVANNI III papa 1.
GIUSTINIANO imperadore 34.
L'anno XIX dopo il consolato di Basilio.
Secondo i conti del cardinal Baronio, diede fine nell'anno precedente
alla vita e al pontificato papa _Pelagio_ primo di questo nome. Ma
supponendo esso Baronio che il medesimo fosse fatto papa nell'anno 555,
e riportando di poi il suo epitafio, da cui apparisce ch'egli tenne il
pontificato _anni quattro, mesi dieci e giorni dieciotto_, e che fu
seppellito _IV nonas martias_, ha ragione il padre Pagi di conchiudere
che questo papa mancò di vita nel presente anno, ma non già nel dì primo
di marzo, coll'essere stato portato nel dì seguente alla sepoltura, ma
sì bene ch'egli nel dì 3 di marzo di esso anno 560 terminò i suoi
giorni, e nel dì 4 del mese suddetto fu chiuso nell'avello, venendo le
none di quel mese nel dì settimo. Tuttavia, non sapendo noi
indubitatamente se papa _Vigilio_ suo antecessore morisse nell'anno 554,
o pure nel 555, nè in qual giorno precisamente seguisse la consacrazione
di esso papa Pelagio, però non è qui assai sicura la cronologia
pontificia. Certo è bensì che succedette a Pelagio nella cattedra di san
Pietro _Giovanni_, terzo di questo nome, dopo tre o quattro mesi di sede
vacante. Dappoichè _Childeberto_ re di Parigi passò all'altra vita,
venne a mancare il principale suo appoggio a _Cranno_ figliuolo rubello
del re _Clotario_. La necessità il consigliò ad implorare la
misericordia del padre, e, per quanto si può intendere dalle parole di
Gregorio Turonense[2793], l'ottenne. Ma questo inquieto e torbido
giovane da lì a non molto incorse di nuovo nella disgrazia del padre, in
guisa che scappò nella Bretagna minore, dove essendo stato per qualche
tempo nascoso, tanto si seppe adoperare, che _Conoboro_, ossia
_Conoberto_, conte e signore di quella provincia, imprese la sua
protezione, ed allestì una potente armata in difesa di lui. Clotario con
tutte le sue forze e con _Childerico_ suo figliuolo entrò nella
Bretagna; si venne ad un fatto d'arme, in cui restarono sconfitti i
Bretoni, ucciso il loro conte, e Cranno, colla moglie e colle figliuole,
abbruciato per ordine del padre, con lasciare una funesta memoria non
meno de' suoi misfatti che della sua morte. Mario Aventinese[2794]
riferisce all'anno presente questa brutta tragedia. In Costantinopoli
poi a dì 9 di settembre, per relazione di Teofane[2795], essendo tornato
dalla Tracia infermo _Giustiniano_ Augusto, senza lasciarsi vedere e
senza dare udienza ad alcuno, corse voce per la città ch'egli era morto.
Ne seguì uno non lieve tumulto nel popolo, e si chiusero tutte le
botteghe. Ma guarito esso imperadore per intercessione de' santi Cosma e
Damiano, mandò l'ordine che si facesse festa ed illuminazione per tutta
la città, e ritornò la quiete primiera.
NOTE:
[2793] Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 20.
[2794] Marius Aventicensis, in Chron.
[2795] Theoph., in Chron.
Anno di CRISTO DLXI. Indizione IX.
GIOVANNI III papa 2.
GIUSTINIANO imperadore 35.
L'anno XX dopo il consolato di Basilio.
Era omai giunto _Clotario_ re de' Franchi all'auge delle sue
contentezze, perchè divenuto signore di una vasta monarchia. Era anche
quietato ogni turbine dianzi commosso, quando gli convenne sloggiare dal
mondo. Colpito da una febbre, mentre era alla caccia (famigliare
divertimento ed esercizio di quei regnanti), passò a render conto a Dio
de' suoi adulterii, della sua crudeltà e di altri suoi vizii, con dar
luogo a succedergli ai quattro suoi figliuoli. Toccò il regno di Parigi
a _Cariberto_; a _Guntranno_ quello d'Orleans colla Borgogna; Soissons a
_Chilperico_: il regno di Austria a _Sigeberto_; e però in quattro regni
fu di nuovo divisa la monarchia franzese. Restò eziandio del re Clotario
una figliuola per nome _Clodosuinda_, ossia _Clotsuinda_. Ebbe questa
per marito _Alboino_ re de' longobardi, del quale avremo troppa occasion
di parlare andando innanzi. Per ora mi sia lecito di accennare ciò che
ci han conservato i frammenti di Menandro Protettore[2796], storico di
questo secolo, rapportati fra gli squarci delle Legazioni. Racconta egli
che gli _Abari_, o _Avari_, mentovati di sopra all'anno 558, una delle
numerose tribù e schiatte degli Unni e della Tartaria, spedirono
ambasciatori a _Giustiniano_ Augusto, i quali esposero come la lor gente
era la più forte e numerosa fra le settentrionali, e si gloriava di
essere invincibile. Offerivansi di stringere lega con lui, e di esser a'
suoi servigi, purchè loro fosse dato un buon paese da abitarvi, e una
annua pensione o regalo. Giustiniano era allora assai vecchio; amava la
pace e l'ozio. Si sbrigò di costoro con inviare ed essi _Valentino_ suo
legato, il quale, portando seco catene d'oro, letti e vesti di seta ed
altri regali, fece così ben valere questi doni, che gl'indusse per
qualche tempo a far guerra agli _Ongori_, o _Ungheri_, appellati dipoi
_Ungari_, abitanti anch'essi allora nella Tartaria, e ai Sabiri.
Tornarono questi _Avari_, o _Unni_, che li vogliam dire (che appunto con
questi due nomi si trovano mentovati dagli antichi scrittori),
tornarono, dico, fra qualche tempo a dimandare all'imperadore un paese
da potervi abitare. Mentre egli consulta, costoro si avanzarono fino al
Danubio, e s'impossessarono di quel paese probabilmente della Moldavia e
Valacchia, minacciando anche di passare di qua. In tal maniera vennero
ad accostarsi ai _Gepidi_, che signoreggiavano nella Dacia ripense, nel
Sirmio e in quella che oggidì vien chiamata Servia di qua dal Danubio,
confinanti perciò ai _Longobordi_, i quali aveano la lor sede nella
Pannonia e nel Norico. Non è improbabile che circa questi tempi
succedesse un tale avanzamento degli Unni, ossia degli Avari, verso i
paesi dominati dai Gepidi e Longobardi. Paolo Diacono[2797], favellando
degli _Avari_, dice: _Qui primum Hunni, postea a rege proprie nominis
Avares appellati sunt_. Nell'ottobre ancora dell'anno presente, secondo
l'attestato di Teofane[2798], la fazione prasina, divenuta sempre più
insolente col favore dell'imperadore, nei giuochi circensi assalì sotto
i suoi occhi la fazione veneta. Seguitarono morti e incendii, e furono
messi a sacco tutti i beni de' Veneti. Scappati i delinquenti a
Calcedone nel tempio di santa Eufemia, Giustiniano non potè più
contenersi dal farne gastigare assaissimi. Nè pure mancarono a
quest'anno altre disgrazie, accennate tutte dal medesimo istorico, cioè
incendii, pestilenze e sedizioni in Oriente, che io tralascio.
NOTE:
[2796] Hist. Byz., tom. 1, pag. 99.
[2797] Paulus Diaconus, de Gestis Langob., lib. 1, cap. 27.
[2798] Theoph., in Chronogr.
Anno di CRISTO DLXII. Indizione X.
GIOVANNI III papa 3.
GIUSTINIANO imperadore 36.
L'anno XXI dopo il consolato di Basilio.
Circa questi tempi fu fatta pace tra l'imperadore _Giustiniano_ e
_Cosroe_ re di Persia, come si raccoglie da Teofane[2799] e da Menandro
Protettore[2800]. Ma, secondo la misera condizione di quei tempi,
bisognò che l'imperadore vilmente la comperasse: cioè si obbligò di
pagare ai Persiani trentamila scudi d'oro ogni anno, finchè essa pace
durasse, e di sborsare il contante per i primi sette anni avvenire.
Altrettanto si praticava bene spesso, allorchè gli Unni, Bulgari ed
altri popoli barbari facevano irruzioni nell'imperio d'Oriente. Avrebbe
fatto meglio l'imperador Giustiniano ad impiegar quel danaro, e
tant'altro oro malamente gittato dietro a persone inutili ed infami, in
mantener delle legioni e dei reggimenti di soldati, abili a far fronte a
chiunque volea turbar la quiete de' suoi popoli, come usarono i saggi
imperadori de' secoli precedenti.
NOTE:
[2799] Idem, ibid.
[2800] Tom. 1 Hist. Byz., pag. 133.
Anno di CRISTO DLXIII. Indizione XI.
GIOVANNI III papa 4.
GIUSTINIANO imperadore 37.
L'anno XXII dopo il consolato di Basilio.
Degno è assai di riflessione ciò che sotto il presente anno vien
raccontato da Teofane: cioè che da Roma giunsero a Costantinopoli
laureati corrieri, portanti la lieta nuova che Narsete patrizio avea
tolto ai Goti due fortissime città, cioè, come vo io credendo, Verona e
Brescia. Presso Cedreno[2801], copiatore di Teofane, si trovano
malamente storpiati i nomi di queste due città, chiamandole egli _Viriam
et Brincas_. Mancano alla storia d'Italia lumi per dicifrar questi
fatti. Contuttociò a me sembra verisimile che al presente anno si possa
riferire quanto fu da me notato di sopra all'anno 555, cioè che, per
testimonianza di Paolo Diacono[2802], avendo voluto _Amingo_ generale
franzese prestar aiuto a _Guidino_ conte de' Goti, autore di una
ribellione contra dell'imperadore, ne pagò il fio, con restar vinto ed
ucciso in una battaglia da Narsete. Fatto prigione lo stesso Guidino, fu
inviato a Costantinopoli coi ceppi. Siccome fu detto di sopra, anche
Menandro Protettore parla della opposizione fatta da questo Amingo e
Narsete al passaggio dell'Adige, appunto allorchè si trattò della pace
coi Persiani, narrata nell'anno precedente. Quello che è certo, secondo
la testimonianza di Teofane, dovettero in quest'anno ribellarsi i Goti
che abitavano in Verona e Brescia, perchè non sembra verisimile che
Narsete avesse differito finora l'acquisto di quelle due importanti
città, nè che i Franchi possedessero paese in Italia. Narsete, adoperata
la forza, le ricuperò, a mio credere, e ne spedì la lieta nuova a
Costantinopoli. Però non sussiste, come taluno ha creduto, che Narsete
cacciasse fuor d'Italia tutti i Goti. Li soggiogò bensì, e promessa da
loro la fedeltà dovuta, seguitarono essi a vivere ne' luoghi, dove
avevano abitazioni e beni. Ciò apparisce da questo fatto, da Agatia e da
altre antiche memorie. E se Amingo Franco diede assistenza in quella
occasione ai Goti, dovette venire dalla Suevia e dagli Svizzeri, paesi
allora sottoposti ai Franchi. Molto meno può sussistere, perchè Agnello
storico ravennate scrive[2803] che _pugnaverunt contra veronenses cives,
et capta est civitas a militibus vigesima die mensis julii_, il
figurarsi che i Veronesi fino a quest'anno si fossero mantenuti in
libertà, senza essere sottoposti nè ai Goti, nè all'imperadore. Mancava
forse a Narsete forza e voglia di sottomettere dopo tante altre queste
due città? Scoppiò prima del tempo nel presente anno, a dì 25 di
novembre, in Costantinopoli una congiura contra dell'imperadore
_Giustiniano_, di cui fanno menzione Teofane[2804] e l'autore della
Miscella[2805] all'anno 35 dell'imperio d'esso Augusto. _Ablavio_ e
_Marcello_ banchieri, e _Sergio_ menavano un trattato di ucciderlo. Fu
scoperta la secreta trama. Sergio, cavato fuor di un luogo sacrato,
accusò come complice Vito, banchiere, e Paolo, curatore di Belisario
patrizio. Presi questi due, furono esortati a confessare ch'era
mischiato in essa cospirazione _Belisario_, ed infatti per tale lo
incolparono. Nel dì 5 di dicembre raunata la gran curia davanti
l'imperadore, e fattovi intervenire il patriarca _Eutichio_, colà
chiamato ancora Belisario, gli fu letto sul volto la deposizione fatta
contra di lui dai due suddetti. Se ne dolse egli forte: e tutte le
apparenze sono ch'egli negasse il fatto, e chiamasse mentitori coloro.
Contuttociò l'imperador, altamente sdegnato contra di lui, fece
incarcerare tutti i di lui domestici, e diede a lui per carcere la casa
sotto buone guardie, con restar sospese o pur tolte a lui tutte le sue
cariche e dignità. Ne' susseguenti secoli prese anche piede un racconto
popolare, cioè che Giustiniano facesse cavar gli occhi a questo gran
capitano, e lo spogliasse di tutto, dimodochè, ridotto alla mendicità,
andasse limosinando il vitto. Pietro Crinito, il Volterrano, il Pontano
ed altri hanno sostenuta questa opinione, che ha avuta origine da
Giovanni Tzetze, uno di quei greculi che fiorirono circa l'anno 1080. E
quantunque il celebre Andrea Alciato si studiasse di far comparire
questa per una solenne favola ed impostura, pure il cardinal
Baronio[2806] non solamente giudicò vero il fatto, ma ne volle anche
addurre la segreta cagione, cioè il castigo di Dio, per avere Belisario
nell'anno 537, cioè tanti anni prima, cacciato in esilio papa
_Silverio_, e sostituito in suo luogo papa _Vigilio_ a requisizione di
Teodora Augusta. Senza fallo fu sacrilega l'azione di Belisario: e pure
miglior consiglio sarebbe, se noi misere creature ci guardassimo dal
volere sì facilmente entrare nei gabinetti di Dio, per interpretare gli
alti suoi, e spesso inscrutabili, giudizii. È un gran libro quello dei
giudizii di Dio, e il leggere in esso non è facile a noi altri mortali,
chiara cosa essendo, come ho tante volte detto, che la divina
provvidenza non dispensa sempre in questa vita i beni e i mali a misura
dei meriti o demeriti dei mortali, nè paga ogni sabbato sera. Ha Iddio
un altro paese in cui uguaglierà le partite. Però il cardinal Baronio
(sia detto colla riverenza dovuta a quel grande uomo ed incomparabile
storico) più saggiamente avrebbe operato, se, a riserva da certi casi,
nei quali pare che visibilmente si vegga e senta la mano di Dio, si
fosse ritenuto dall'interporre sì sovente il suo giudizio negli
avvenimenti felici od infelici dei principi e degli altri uomini. E in
questa occasione specialmente mi sembra di poter qui applicare la
riflession suddetta, perchè, senza voler considerare che Belisario, dopo
il fatto di papa Silverio, godè tanti anni di felicità, e prosperarono
gli affari di Giustiniano Augusto, il qual pure, se non comandò, permise
quell'eccesso; nè Teodora Augusta ne patì per questo nella presente
vita; certo è, che non sussiste quel terribile abbassamento di
Belisario, che qui vien supposto dal Baronio, e per conseguente neppure
il visibile castigo e la vendetta di Dio sopra di lui. Di ciò parleremo
all'anno seguente. Circa questi tempi, come diligentemente osservò il
Pagi, fu scritta da _Nicezio_ vescovo di Treveri una lettera[2807] a
_Clotsuinda_ moglie piissima di _Alboino_ re dei Longobardi, per
esortarla a fare in maniera che il marito, abiurando l'arianismo,
abbracciasse la religione cattolica, siccome per le persuasioni di santa
_Clotilde_ avea fatto sul principio di quel secolo _Clodoveo_ re dei
Franchi, avolo di essa Clotsuinda. In qual concetto fosse allora
Alboino, si può raccogliere dalle seguenti parole: _Stupentes sumus,
quum gentes illum tremunt, quum reges venerationem impendunt, quum
potestates sine cessatione laudant, quum etiam ipse imperator ipsum
praeponit, quod animae remedium non festinus requirit. Qui sic,
quemadmodum ille, fulget fama, miror quod de regno Dei et animae suae
salute nihil investigare studet_. E deesi anche avvertire che Nicezio
chiama _Goti_, e non già _Longobardi_, il popolo soggetto ad esso re
Alboino, non per altro, per quanto si crede, se non perchè fama era che
fossero venuti i Longobardi dalla medesima Scandinavia, onde uscirono i
Goti, ed eran perciò riputati una stessa nazione, benchè di nome
lettere[2777] a Narsete, con pregarlo massimamente di voler far mettere
le mani addosso, non solo a Paolino, non riconosciuto da esso Pelagio
per legittimo vescovo d'Aquileia, ma anche all'arcivescovo di Milano
(senza dirci il suo nome), perchè, trascurata la approvazione della Sede
apostolica, avea consecrato vescovo il suddetto Paolino. Voleva Pelagio
che colle guardie questi due fossero inviati a Costantinopoli. Ma
Narsete, considerando non molto convenevoli alle congiunture de' tempi
sì fatte violenze, andò temporeggiando, sopra tutto per isperanza che
questi pertinaci si ridurrebbono colle buone a riconoscere il loro
dovere. Giunsero essi a scomunicare anche lo stesso Narsete. Per altro
si sa che i romani pontefici usarono per alcun tempo della tolleranza ed
indulgenza verso i ripugnanti al concilio quinto, concilio neppur da
molti uomini dotti e santi riguardato allora con quella venerazione che
ogni cattolico professava ai quattro primi concilii generali. Ma intorno
a tale scisma, e se di là avesse principio il titolo di _patriarca_, di
cui son in possesso da tanti secoli gli arcivescovi di Aquileia, è da
vedere una dissertazione e i monumenti della Chiesa aquileiense
pubblicati dal padre Bernardo de Rubeis dell'ordine de' Predicatori. Fra
coloro poi che compariscono poco favorevoli al concilio quinto suddetto,
merita specialmente d'essere annoverato _Cassiodoro_, ossia
_Cassiodorio_, già senatore, già console, ed uno de' più insigni
personaggi della corte dei re goti, finchè durò la loro potenza, ed uno
de' più riguardevoli scrittori italiani del secolo presente. Questi,
dopo la caduta del re _Vitige_, chiarito oramai della vanità delle
grandezze umane, diede un calcio al secolo, e ritiratosi nel fondo della
Calabria, quivi professò la vita monastica, seguendo, secondo tutte le
verisimiglianze, l'istituto e la regola di san Benedetto. Fondò egli il
monastero appellato Vivariense, presso di Squillaci, e quivi attese a
scrivere libri sacri, e ad istruire non meno nella pietà che nelle
lettere i suoi discepoli. Alla di lui attenzione è obbligata di molto
anche per questo l'Italia tutta. Ora egli ne' suoi scritti accetta bensì
con somma venerazione i quattro primi concilii generali, ma non già il
quinto. Erasi ingrandito a dismisura _Clotario_ re dei Franchi,
coll'aver giunto al suo dominio gli stati ben vasti del defunto
_Teodebaldo_. Ed essendosi a lui ribellati i Sassoni, gli avea sconfitti
in una battaglia, con devastare dipoi la Turingia, perchè quel popolo
s'era dichiarato in favore dei Sassoni. Tornarono nel precedente anno a
far delle novità contra di lui i medesimi Sassoni, e egli, mossosi con
un potente esercito per castigarli, li ridusse in istato di chiedergli
misericordia, e di offerire la metà de' lor beni in soddisfazione del
commesso misfatto. Clotario era tutto disposto a far loro grazia; ma i
suoi capitani ostinati quasi il violentarono a rigettare ogni esibizione
di quei popoli. Gli costò caro l'aver lasciate le vie della clemenza,
perchè, venuto ad un secondo combattimento, ebbe la peggio con grande
strage de' suoi, e gli convenne fuggire e chiedere appresso per grazia
la pace. Abbiamo queste notizie da Gregorio Turonense[2778], da
Fredegario[2779] e dal Continuatore di Marcellino conte[2780].
NOTE:
[2777] Pelag. I, ep. 3 et 5.
[2778] Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 14.
[2779] Fredegarius, in Chron.
[2780] Continuator Marcellini Comitis, in Chron.
Anno di CRISTO DLVII. Indizione V.
PELAGIO I papa 3.
GIUSTINIANO imperadore 31.
L'anno XVI dopo il consolato di Basilio.
L'antica storia ci fa pur sentire frequenti i tremuoti, e tremuoti
orribili, nella città di Costantinopoli. Due in quest'anno, per
testimonianza di Agatia[2781] e di Teofane[2782], ne succederono, l'uno
a dì 6 di ottobre, e l'altro a dì 14 di dicembre, amendue de' più
spaventosi che mai si fossero uditi. Rovinarono a terra moltissimi
palagi e case, e non poche chiese, e sotto quelle rovine perirono
assaissimi del popolo. L'imperador _Giustiniano_, cessato questo gran
flagello, attese a ristorar gli edifizii che aveano patito, e
spezialmente a proseguir la fabbrica dell'insigne tempio di santa Sofia,
che riuscì poi una maraviglia del mondo. Se ne legge la descrizione
esattamente e minutamente tessuta dal celebre Du-Cange nella sua
Costantinopoli cristiana. Circa questi tempi, e forse prima, divampò la
ribellione di _Cranno_, figliuolo di _Clotario_ re de' Franchi, contra
dello stesso suo padre[2783]. Era questo giovine principe dotato di
belle fattezze di corpo, spiritoso ed accorto; e suo padre gli avea dato
il governo dalla provincia dell'Auvergne. Ma abbandonatosi ai vizii e ad
iniqui consiglieri, cominciò ad esercitar delle violenze con grave
lamento de' popoli. Chiamato dal padre, che volea rimediare a questi
disordini, piuttosto elesse di prendere l'armi contra di lui, che di
ubbidirlo, ormai sedotto, al pari d'Assalonne, dalla voglia di regnare
prima del tempo. Ciò che maggiormente gli faceva animo ad imprendere
questa malvagia risoluzione, era l'assistenza segretamente a lui
promessa da _Childeberto_ suo zio re di Parigi, troppo disgustato perchè
Clotario di lui padre avesse assorbito tutto il regno d'Austrasia, cioè
il posseduto dal già re Teodebaldo, senza farne parte a lui, come era di
giustizia. Pertanto si venne ad una guerra scandalosa, che durò molto
tempo, essendosi veramente dichiarato in favore di Cranno il suddetto re
Childeberto. L'Italia intanto si godeva una buona pace. Narsete n'era
governatore, e a Narsete non mancava pietà, giustizia e prudenza per
governare i popoli alla sua cura commessi. Secondochè abbiamo da Andrea
Dandolo[2784], la tradizione in Venezia era ch'egli, ito colà,
fabbricasse nell'isola di Rialto due chiese, l'una in onore di san
Teodoro martire, e l'altra di san Menna e di san Geminiano vescovo di
Modena.
NOTE:
[2781] Agath., lib. 5 Histor.
[2782] Theoph., in Chronogr.
[2783] Gregor. Turonensis, lib. 4.
[2784] Andreas Dandulus, Chron. Venet., tom. 12 Rer. Italic.
Anno di CRISTO DLVIII. Indizione VI.
PELAGIO I papa 4.
GIUSTINIANO imperadore 32.
L'anno XVII dopo il consolato di Basilio.
Per relazione di Teofane[2785] e dell'autore della Miscella[2786], in
quest'anno cominciò a vedersi in Costantinopoli una nazione, che non
s'era dianzi mai veduta. Si chiamavano _Abari_ o _Avari_, e corse tutto
il popolo a contemplar quelle brutte ciere. Portavano i capelli lunghi,
raccolti con un nastro, e cadenti giù per le spalle. Nel resto degli
abiti comparivano somigliantissimi agli Unni. Ed in fatti erano
anch'essi, non men che gli Unni, Tartari di nazione. Costoro, spediti
dalla loro tribù, chiedevano all'imperador _Giustiniano_ di potersi
stabilire nella Mesia, offerendosi pronti a servirlo in tutte le
occorrenze colle lor armi. Forse nulla per allora ottennero. Torneremo a
parlarne fra poco; e lo richiede la storia d'Italia, perchè costoro
misero poi piede nella Pannonia, ossia nell'Ungheria, e si fecero pur
troppo conoscere col tempo crudelissimi arnesi anche agl'Italiani. Ai
tremuoti, che sul fine dell'anno addietro afflissero cotanto la città di
Costantinopoli, si aggiunse da lì a poco, cioè nel febbraio dell'anno
corrente, una terribil peste, che inferocì specialmente contro i
giovani, e, secondochè attesta anche Agatia[2787], portò sotterra
un'infinita moltitudine di popolo. A questo malore, il più micidiale
degli altri, è tuttavia, e sarà sempre soggetta quella città finch'essa
trascurerà quelle precauzioni, colle quali si vuol ora preservata
l'Italia. Nè qui si fermò l'infelicità di quelle contrade. Sul principio
del verno, essendo gelato il Danubio, passati di qua con facilità gli
Unni sotto il comando di _Zaberga_ lor capo, vennero saccheggiando tutto
il paese, disonorando le femmine, e menando in ischiavitù chi loro
aggradiva. Giunsero fin sotto le mura di Costantinopoli, nè trovavano
chi loro si opponesse. Osservò Agatia, che, secondo le regole
dell'imperio e giusta la misura degli aggravii, si aveano da tenere in
piedi secento quarantacinque mila combattenti. In questi tempi non ve
n'era che cento cinquanta mila; e questi divisi parte in _Italia_, parte
in _Africa_, in _Ispagna_ (perchè, oltre all'isole adiacenti alla
Spagna, tuttavia nel continente si conservava qualche città fedele al
romano imperio, come si raccoglie da sant'Isidoro), in _Egitto_, in
_Colco_ e ai confini della Persia. _Giustiniano_, invecchiato forte, non
era più quello di prima. Lasciava andare in malora i paesi; e se i
Barbari o minacciavano guerra, o la facevano, comperava da essi a forza
d'oro la pace. Il denaro, che s'aveva da impiegare in mantener dei
reggimenti di soldati, serviva ad alimentar meretrici, ragazzi, sgherri.
E in Costantinopoli, ancorchè durassero le scuole militari, alle quali
una volta erano ascritti i più valorosi e pratici dell'arte militare,
ben pagati perciò, allora queste erano composte di gente che comperava
que' posti, nè altro merito avea che di andar bene vestiti. Così
governava in questi tempi Giustiniano, di cui anche è memorabile la
cecità e stupidità in portar tanto affetto ai seguaci della fazione
prasina, che loro era permesso d'uccidere di bel mezzo giorno nella
città quei della fazione veneta loro emuli, e di entrar per forza nelle
case, e di rubare, senza che temessero della giustizia. E guai a quei
giudici che trattavano di castigargli. Se crediamo a Mario
Aventicense[2788], venne a morte in quest'anno _Childeberto_, uno dei re
franchi, giunto già ad un'avanzata vecchiaia, nel mentre ch'egli
sostenendo la ribellione di _Cranno_, figliuolo del re _Clotario_,
cercava di vendicarsi del fratello che aveva occupato tutto il regno
d'Austrasia. Portò questa morte al re Clotario il possesso anche degli
stati ch'erano goduti da esso re Childeberto, e così venne ad unirsi in
lui tutta la vasta monarchia de' Franchi, che abbracciava tutta la
Gallia (a riserva della Linguadoca dominata da Visigoti, e della
Bretagna minore governata dai suoi sovrani) e buona parte della
Germania, compresavi la Sassonia, la Turingia, l'Alemagna e la Baviera,
la qual ultima provincia circa questi tempi cominciò ad aver il suo
duca. E questi fu _Garibaldo_, a cui il re Clotario diede per moglie
_Valderada_, chiamata da altri _Valdetrada_, ossia _Valdrada_, vedova
del fu re Teodebaldo.
NOTE:
[2785] Theoph., in Chronogr.
[2786] Histor. Miscella, lib. 16.
[2787] Agat., lib. 5 Hist.
[2788] Marius Aventicensis, in Chron.
Anno di CRISTO DLIX. Indizione VII.
PELAGIO I papa 5.
GIUSTINIANO imperadore 33.
L'anno XVIII dopo il consolato di Basilio.
Per relazione di san Gregorio Magno[2789], _Sabino_ vescovo di Canosa
ragionando con _san Benedetto_, patriarca de' monaci in Occidente, dei
fatti di Totila re dei Goti, entrato già in possesso di Roma, gli palesò
il suo timore che questo re avrebbe distrutta e renduta inabitabile
Roma. Rispose san Benedetto: _Roma sarà sterminata, non già dagli
uomini, ma sì bene da fieri temporali e da orribili tremuoti._ Soggiugne
san Gregorio, scrittore di questo secolo, ch'era chiaramente verificata
la profezia del santo abate, perchè a' suoi dì si miravano in Roma le
mura della città scompaginate, case diroccate, chiese atterrate dai
turbini, e gli edifizii per la vecchiaia andar tutto di rovinando. È di
parere il padre Mabillone[2790] che nel luglio ed agosto del presente
anno tutto quasi l'Oriente e l'Occidente fosse stranamente afflitto
dalle inondazioni del mare, dalle tempeste, dai tremuoti e dalla
pestilenza; e che da tanti flagelli patisse più Roma che dalla fierezza
de' Barbari, con adempiersi allora quanto avea predetto san Benedetto.
Onde egli abbia tratta questa notizia, non l'ho potuto scoprire.
Trovavasi in gran confusione la corte e città di Costantinopoli, per
aver vicini alle porte gli Unni, i quali devastavano la campagna, e
minacciavano anche la stessa città. Per attestato di Agatia[2791] e di
Teofane[2792], altro ripiego non ebbe _Giustiniano_ Augusto, che di
ordinare a _Belisario_ patrizio di procedere contra di quegl'insolenti
Barbari. Era già venuta la vecchiaia a trovare questo eccellente
generale; tuttavia, così esigendo il bisogno, diede di mano alle sue
armi, e con quelle poche truppe che potè adunare, consistenti in alcune
sole centinaia di cavalli e di alcune altre di pedoni, uscì
coraggiosamente in campagna, e raunato un grande stuolo di contadini, si
fortificò fuori della città. Poscia più coll'industria e con gli
stratagemmi, che colla forza, tanto seppe fare, che obbligò i Barbari a
ritirarsi. Giustiniano dipoi per liberarsi da costoro, e mandarli
contenti al loro paese, valendosi dell'apparenza di riscattare gli
schiavi, votò loro in seno una buona quantità di oro, e n'ebbe la pace.
NOTE:
[2789] Gregor. Magnus, Dialogor., lib. 2, cap. 15.
[2790] Mabillonius, Annal. Benedictin., lib. 5.
[2791] Agath., lib. 5 Hist.
[2792] Theophan., in Chron.
Anno di CRISTO DLX. Indizione VIII.
GIOVANNI III papa 1.
GIUSTINIANO imperadore 34.
L'anno XIX dopo il consolato di Basilio.
Secondo i conti del cardinal Baronio, diede fine nell'anno precedente
alla vita e al pontificato papa _Pelagio_ primo di questo nome. Ma
supponendo esso Baronio che il medesimo fosse fatto papa nell'anno 555,
e riportando di poi il suo epitafio, da cui apparisce ch'egli tenne il
pontificato _anni quattro, mesi dieci e giorni dieciotto_, e che fu
seppellito _IV nonas martias_, ha ragione il padre Pagi di conchiudere
che questo papa mancò di vita nel presente anno, ma non già nel dì primo
di marzo, coll'essere stato portato nel dì seguente alla sepoltura, ma
sì bene ch'egli nel dì 3 di marzo di esso anno 560 terminò i suoi
giorni, e nel dì 4 del mese suddetto fu chiuso nell'avello, venendo le
none di quel mese nel dì settimo. Tuttavia, non sapendo noi
indubitatamente se papa _Vigilio_ suo antecessore morisse nell'anno 554,
o pure nel 555, nè in qual giorno precisamente seguisse la consacrazione
di esso papa Pelagio, però non è qui assai sicura la cronologia
pontificia. Certo è bensì che succedette a Pelagio nella cattedra di san
Pietro _Giovanni_, terzo di questo nome, dopo tre o quattro mesi di sede
vacante. Dappoichè _Childeberto_ re di Parigi passò all'altra vita,
venne a mancare il principale suo appoggio a _Cranno_ figliuolo rubello
del re _Clotario_. La necessità il consigliò ad implorare la
misericordia del padre, e, per quanto si può intendere dalle parole di
Gregorio Turonense[2793], l'ottenne. Ma questo inquieto e torbido
giovane da lì a non molto incorse di nuovo nella disgrazia del padre, in
guisa che scappò nella Bretagna minore, dove essendo stato per qualche
tempo nascoso, tanto si seppe adoperare, che _Conoboro_, ossia
_Conoberto_, conte e signore di quella provincia, imprese la sua
protezione, ed allestì una potente armata in difesa di lui. Clotario con
tutte le sue forze e con _Childerico_ suo figliuolo entrò nella
Bretagna; si venne ad un fatto d'arme, in cui restarono sconfitti i
Bretoni, ucciso il loro conte, e Cranno, colla moglie e colle figliuole,
abbruciato per ordine del padre, con lasciare una funesta memoria non
meno de' suoi misfatti che della sua morte. Mario Aventinese[2794]
riferisce all'anno presente questa brutta tragedia. In Costantinopoli
poi a dì 9 di settembre, per relazione di Teofane[2795], essendo tornato
dalla Tracia infermo _Giustiniano_ Augusto, senza lasciarsi vedere e
senza dare udienza ad alcuno, corse voce per la città ch'egli era morto.
Ne seguì uno non lieve tumulto nel popolo, e si chiusero tutte le
botteghe. Ma guarito esso imperadore per intercessione de' santi Cosma e
Damiano, mandò l'ordine che si facesse festa ed illuminazione per tutta
la città, e ritornò la quiete primiera.
NOTE:
[2793] Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 20.
[2794] Marius Aventicensis, in Chron.
[2795] Theoph., in Chron.
Anno di CRISTO DLXI. Indizione IX.
GIOVANNI III papa 2.
GIUSTINIANO imperadore 35.
L'anno XX dopo il consolato di Basilio.
Era omai giunto _Clotario_ re de' Franchi all'auge delle sue
contentezze, perchè divenuto signore di una vasta monarchia. Era anche
quietato ogni turbine dianzi commosso, quando gli convenne sloggiare dal
mondo. Colpito da una febbre, mentre era alla caccia (famigliare
divertimento ed esercizio di quei regnanti), passò a render conto a Dio
de' suoi adulterii, della sua crudeltà e di altri suoi vizii, con dar
luogo a succedergli ai quattro suoi figliuoli. Toccò il regno di Parigi
a _Cariberto_; a _Guntranno_ quello d'Orleans colla Borgogna; Soissons a
_Chilperico_: il regno di Austria a _Sigeberto_; e però in quattro regni
fu di nuovo divisa la monarchia franzese. Restò eziandio del re Clotario
una figliuola per nome _Clodosuinda_, ossia _Clotsuinda_. Ebbe questa
per marito _Alboino_ re de' longobardi, del quale avremo troppa occasion
di parlare andando innanzi. Per ora mi sia lecito di accennare ciò che
ci han conservato i frammenti di Menandro Protettore[2796], storico di
questo secolo, rapportati fra gli squarci delle Legazioni. Racconta egli
che gli _Abari_, o _Avari_, mentovati di sopra all'anno 558, una delle
numerose tribù e schiatte degli Unni e della Tartaria, spedirono
ambasciatori a _Giustiniano_ Augusto, i quali esposero come la lor gente
era la più forte e numerosa fra le settentrionali, e si gloriava di
essere invincibile. Offerivansi di stringere lega con lui, e di esser a'
suoi servigi, purchè loro fosse dato un buon paese da abitarvi, e una
annua pensione o regalo. Giustiniano era allora assai vecchio; amava la
pace e l'ozio. Si sbrigò di costoro con inviare ed essi _Valentino_ suo
legato, il quale, portando seco catene d'oro, letti e vesti di seta ed
altri regali, fece così ben valere questi doni, che gl'indusse per
qualche tempo a far guerra agli _Ongori_, o _Ungheri_, appellati dipoi
_Ungari_, abitanti anch'essi allora nella Tartaria, e ai Sabiri.
Tornarono questi _Avari_, o _Unni_, che li vogliam dire (che appunto con
questi due nomi si trovano mentovati dagli antichi scrittori),
tornarono, dico, fra qualche tempo a dimandare all'imperadore un paese
da potervi abitare. Mentre egli consulta, costoro si avanzarono fino al
Danubio, e s'impossessarono di quel paese probabilmente della Moldavia e
Valacchia, minacciando anche di passare di qua. In tal maniera vennero
ad accostarsi ai _Gepidi_, che signoreggiavano nella Dacia ripense, nel
Sirmio e in quella che oggidì vien chiamata Servia di qua dal Danubio,
confinanti perciò ai _Longobordi_, i quali aveano la lor sede nella
Pannonia e nel Norico. Non è improbabile che circa questi tempi
succedesse un tale avanzamento degli Unni, ossia degli Avari, verso i
paesi dominati dai Gepidi e Longobardi. Paolo Diacono[2797], favellando
degli _Avari_, dice: _Qui primum Hunni, postea a rege proprie nominis
Avares appellati sunt_. Nell'ottobre ancora dell'anno presente, secondo
l'attestato di Teofane[2798], la fazione prasina, divenuta sempre più
insolente col favore dell'imperadore, nei giuochi circensi assalì sotto
i suoi occhi la fazione veneta. Seguitarono morti e incendii, e furono
messi a sacco tutti i beni de' Veneti. Scappati i delinquenti a
Calcedone nel tempio di santa Eufemia, Giustiniano non potè più
contenersi dal farne gastigare assaissimi. Nè pure mancarono a
quest'anno altre disgrazie, accennate tutte dal medesimo istorico, cioè
incendii, pestilenze e sedizioni in Oriente, che io tralascio.
NOTE:
[2796] Hist. Byz., tom. 1, pag. 99.
[2797] Paulus Diaconus, de Gestis Langob., lib. 1, cap. 27.
[2798] Theoph., in Chronogr.
Anno di CRISTO DLXII. Indizione X.
GIOVANNI III papa 3.
GIUSTINIANO imperadore 36.
L'anno XXI dopo il consolato di Basilio.
Circa questi tempi fu fatta pace tra l'imperadore _Giustiniano_ e
_Cosroe_ re di Persia, come si raccoglie da Teofane[2799] e da Menandro
Protettore[2800]. Ma, secondo la misera condizione di quei tempi,
bisognò che l'imperadore vilmente la comperasse: cioè si obbligò di
pagare ai Persiani trentamila scudi d'oro ogni anno, finchè essa pace
durasse, e di sborsare il contante per i primi sette anni avvenire.
Altrettanto si praticava bene spesso, allorchè gli Unni, Bulgari ed
altri popoli barbari facevano irruzioni nell'imperio d'Oriente. Avrebbe
fatto meglio l'imperador Giustiniano ad impiegar quel danaro, e
tant'altro oro malamente gittato dietro a persone inutili ed infami, in
mantener delle legioni e dei reggimenti di soldati, abili a far fronte a
chiunque volea turbar la quiete de' suoi popoli, come usarono i saggi
imperadori de' secoli precedenti.
NOTE:
[2799] Idem, ibid.
[2800] Tom. 1 Hist. Byz., pag. 133.
Anno di CRISTO DLXIII. Indizione XI.
GIOVANNI III papa 4.
GIUSTINIANO imperadore 37.
L'anno XXII dopo il consolato di Basilio.
Degno è assai di riflessione ciò che sotto il presente anno vien
raccontato da Teofane: cioè che da Roma giunsero a Costantinopoli
laureati corrieri, portanti la lieta nuova che Narsete patrizio avea
tolto ai Goti due fortissime città, cioè, come vo io credendo, Verona e
Brescia. Presso Cedreno[2801], copiatore di Teofane, si trovano
malamente storpiati i nomi di queste due città, chiamandole egli _Viriam
et Brincas_. Mancano alla storia d'Italia lumi per dicifrar questi
fatti. Contuttociò a me sembra verisimile che al presente anno si possa
riferire quanto fu da me notato di sopra all'anno 555, cioè che, per
testimonianza di Paolo Diacono[2802], avendo voluto _Amingo_ generale
franzese prestar aiuto a _Guidino_ conte de' Goti, autore di una
ribellione contra dell'imperadore, ne pagò il fio, con restar vinto ed
ucciso in una battaglia da Narsete. Fatto prigione lo stesso Guidino, fu
inviato a Costantinopoli coi ceppi. Siccome fu detto di sopra, anche
Menandro Protettore parla della opposizione fatta da questo Amingo e
Narsete al passaggio dell'Adige, appunto allorchè si trattò della pace
coi Persiani, narrata nell'anno precedente. Quello che è certo, secondo
la testimonianza di Teofane, dovettero in quest'anno ribellarsi i Goti
che abitavano in Verona e Brescia, perchè non sembra verisimile che
Narsete avesse differito finora l'acquisto di quelle due importanti
città, nè che i Franchi possedessero paese in Italia. Narsete, adoperata
la forza, le ricuperò, a mio credere, e ne spedì la lieta nuova a
Costantinopoli. Però non sussiste, come taluno ha creduto, che Narsete
cacciasse fuor d'Italia tutti i Goti. Li soggiogò bensì, e promessa da
loro la fedeltà dovuta, seguitarono essi a vivere ne' luoghi, dove
avevano abitazioni e beni. Ciò apparisce da questo fatto, da Agatia e da
altre antiche memorie. E se Amingo Franco diede assistenza in quella
occasione ai Goti, dovette venire dalla Suevia e dagli Svizzeri, paesi
allora sottoposti ai Franchi. Molto meno può sussistere, perchè Agnello
storico ravennate scrive[2803] che _pugnaverunt contra veronenses cives,
et capta est civitas a militibus vigesima die mensis julii_, il
figurarsi che i Veronesi fino a quest'anno si fossero mantenuti in
libertà, senza essere sottoposti nè ai Goti, nè all'imperadore. Mancava
forse a Narsete forza e voglia di sottomettere dopo tante altre queste
due città? Scoppiò prima del tempo nel presente anno, a dì 25 di
novembre, in Costantinopoli una congiura contra dell'imperadore
_Giustiniano_, di cui fanno menzione Teofane[2804] e l'autore della
Miscella[2805] all'anno 35 dell'imperio d'esso Augusto. _Ablavio_ e
_Marcello_ banchieri, e _Sergio_ menavano un trattato di ucciderlo. Fu
scoperta la secreta trama. Sergio, cavato fuor di un luogo sacrato,
accusò come complice Vito, banchiere, e Paolo, curatore di Belisario
patrizio. Presi questi due, furono esortati a confessare ch'era
mischiato in essa cospirazione _Belisario_, ed infatti per tale lo
incolparono. Nel dì 5 di dicembre raunata la gran curia davanti
l'imperadore, e fattovi intervenire il patriarca _Eutichio_, colà
chiamato ancora Belisario, gli fu letto sul volto la deposizione fatta
contra di lui dai due suddetti. Se ne dolse egli forte: e tutte le
apparenze sono ch'egli negasse il fatto, e chiamasse mentitori coloro.
Contuttociò l'imperador, altamente sdegnato contra di lui, fece
incarcerare tutti i di lui domestici, e diede a lui per carcere la casa
sotto buone guardie, con restar sospese o pur tolte a lui tutte le sue
cariche e dignità. Ne' susseguenti secoli prese anche piede un racconto
popolare, cioè che Giustiniano facesse cavar gli occhi a questo gran
capitano, e lo spogliasse di tutto, dimodochè, ridotto alla mendicità,
andasse limosinando il vitto. Pietro Crinito, il Volterrano, il Pontano
ed altri hanno sostenuta questa opinione, che ha avuta origine da
Giovanni Tzetze, uno di quei greculi che fiorirono circa l'anno 1080. E
quantunque il celebre Andrea Alciato si studiasse di far comparire
questa per una solenne favola ed impostura, pure il cardinal
Baronio[2806] non solamente giudicò vero il fatto, ma ne volle anche
addurre la segreta cagione, cioè il castigo di Dio, per avere Belisario
nell'anno 537, cioè tanti anni prima, cacciato in esilio papa
_Silverio_, e sostituito in suo luogo papa _Vigilio_ a requisizione di
Teodora Augusta. Senza fallo fu sacrilega l'azione di Belisario: e pure
miglior consiglio sarebbe, se noi misere creature ci guardassimo dal
volere sì facilmente entrare nei gabinetti di Dio, per interpretare gli
alti suoi, e spesso inscrutabili, giudizii. È un gran libro quello dei
giudizii di Dio, e il leggere in esso non è facile a noi altri mortali,
chiara cosa essendo, come ho tante volte detto, che la divina
provvidenza non dispensa sempre in questa vita i beni e i mali a misura
dei meriti o demeriti dei mortali, nè paga ogni sabbato sera. Ha Iddio
un altro paese in cui uguaglierà le partite. Però il cardinal Baronio
(sia detto colla riverenza dovuta a quel grande uomo ed incomparabile
storico) più saggiamente avrebbe operato, se, a riserva da certi casi,
nei quali pare che visibilmente si vegga e senta la mano di Dio, si
fosse ritenuto dall'interporre sì sovente il suo giudizio negli
avvenimenti felici od infelici dei principi e degli altri uomini. E in
questa occasione specialmente mi sembra di poter qui applicare la
riflession suddetta, perchè, senza voler considerare che Belisario, dopo
il fatto di papa Silverio, godè tanti anni di felicità, e prosperarono
gli affari di Giustiniano Augusto, il qual pure, se non comandò, permise
quell'eccesso; nè Teodora Augusta ne patì per questo nella presente
vita; certo è, che non sussiste quel terribile abbassamento di
Belisario, che qui vien supposto dal Baronio, e per conseguente neppure
il visibile castigo e la vendetta di Dio sopra di lui. Di ciò parleremo
all'anno seguente. Circa questi tempi, come diligentemente osservò il
Pagi, fu scritta da _Nicezio_ vescovo di Treveri una lettera[2807] a
_Clotsuinda_ moglie piissima di _Alboino_ re dei Longobardi, per
esortarla a fare in maniera che il marito, abiurando l'arianismo,
abbracciasse la religione cattolica, siccome per le persuasioni di santa
_Clotilde_ avea fatto sul principio di quel secolo _Clodoveo_ re dei
Franchi, avolo di essa Clotsuinda. In qual concetto fosse allora
Alboino, si può raccogliere dalle seguenti parole: _Stupentes sumus,
quum gentes illum tremunt, quum reges venerationem impendunt, quum
potestates sine cessatione laudant, quum etiam ipse imperator ipsum
praeponit, quod animae remedium non festinus requirit. Qui sic,
quemadmodum ille, fulget fama, miror quod de regno Dei et animae suae
salute nihil investigare studet_. E deesi anche avvertire che Nicezio
chiama _Goti_, e non già _Longobardi_, il popolo soggetto ad esso re
Alboino, non per altro, per quanto si crede, se non perchè fama era che
fossero venuti i Longobardi dalla medesima Scandinavia, onde uscirono i
Goti, ed eran perciò riputati una stessa nazione, benchè di nome
- Parts
- Annali d'Italia, vol. 2 - 01
- Annali d'Italia, vol. 2 - 02
- Annali d'Italia, vol. 2 - 03
- Annali d'Italia, vol. 2 - 04
- Annali d'Italia, vol. 2 - 05
- Annali d'Italia, vol. 2 - 06
- Annali d'Italia, vol. 2 - 07
- Annali d'Italia, vol. 2 - 08
- Annali d'Italia, vol. 2 - 09
- Annali d'Italia, vol. 2 - 10
- Annali d'Italia, vol. 2 - 11
- Annali d'Italia, vol. 2 - 12
- Annali d'Italia, vol. 2 - 13
- Annali d'Italia, vol. 2 - 14
- Annali d'Italia, vol. 2 - 15
- Annali d'Italia, vol. 2 - 16
- Annali d'Italia, vol. 2 - 17
- Annali d'Italia, vol. 2 - 18
- Annali d'Italia, vol. 2 - 19
- Annali d'Italia, vol. 2 - 20
- Annali d'Italia, vol. 2 - 21
- Annali d'Italia, vol. 2 - 22
- Annali d'Italia, vol. 2 - 23
- Annali d'Italia, vol. 2 - 24
- Annali d'Italia, vol. 2 - 25
- Annali d'Italia, vol. 2 - 26
- Annali d'Italia, vol. 2 - 27
- Annali d'Italia, vol. 2 - 28
- Annali d'Italia, vol. 2 - 29
- Annali d'Italia, vol. 2 - 30
- Annali d'Italia, vol. 2 - 31
- Annali d'Italia, vol. 2 - 32
- Annali d'Italia, vol. 2 - 33
- Annali d'Italia, vol. 2 - 34
- Annali d'Italia, vol. 2 - 35
- Annali d'Italia, vol. 2 - 36
- Annali d'Italia, vol. 2 - 37
- Annali d'Italia, vol. 2 - 38
- Annali d'Italia, vol. 2 - 39
- Annali d'Italia, vol. 2 - 40
- Annali d'Italia, vol. 2 - 41
- Annali d'Italia, vol. 2 - 42
- Annali d'Italia, vol. 2 - 43
- Annali d'Italia, vol. 2 - 44
- Annali d'Italia, vol. 2 - 45
- Annali d'Italia, vol. 2 - 46
- Annali d'Italia, vol. 2 - 47
- Annali d'Italia, vol. 2 - 48
- Annali d'Italia, vol. 2 - 49
- Annali d'Italia, vol. 2 - 50
- Annali d'Italia, vol. 2 - 51
- Annali d'Italia, vol. 2 - 52
- Annali d'Italia, vol. 2 - 53
- Annali d'Italia, vol. 2 - 54
- Annali d'Italia, vol. 2 - 55
- Annali d'Italia, vol. 2 - 56
- Annali d'Italia, vol. 2 - 57
- Annali d'Italia, vol. 2 - 58
- Annali d'Italia, vol. 2 - 59
- Annali d'Italia, vol. 2 - 60
- Annali d'Italia, vol. 2 - 61
- Annali d'Italia, vol. 2 - 62
- Annali d'Italia, vol. 2 - 63
- Annali d'Italia, vol. 2 - 64
- Annali d'Italia, vol. 2 - 65
- Annali d'Italia, vol. 2 - 66
- Annali d'Italia, vol. 2 - 67
- Annali d'Italia, vol. 2 - 68
- Annali d'Italia, vol. 2 - 69
- Annali d'Italia, vol. 2 - 70
- Annali d'Italia, vol. 2 - 71
- Annali d'Italia, vol. 2 - 72
- Annali d'Italia, vol. 2 - 73
- Annali d'Italia, vol. 2 - 74
- Annali d'Italia, vol. 2 - 75
- Annali d'Italia, vol. 2 - 76
- Annali d'Italia, vol. 2 - 77
- Annali d'Italia, vol. 2 - 78
- Annali d'Italia, vol. 2 - 79
- Annali d'Italia, vol. 2 - 80
- Annali d'Italia, vol. 2 - 81
- Annali d'Italia, vol. 2 - 82
- Annali d'Italia, vol. 2 - 83
- Annali d'Italia, vol. 2 - 84
- Annali d'Italia, vol. 2 - 85
- Annali d'Italia, vol. 2 - 86
- Annali d'Italia, vol. 2 - 87