Annali d'Italia, vol. 2 - 63
questo inviò bensì due mila cavalli anch'egli nel Piceno per far fronte
a' nemici, ma col rimanente dell'armata tenne forte l'assedio di quel
castello. Veggendo i Rossanesi disperato il caso, mandarono due deputati
a Totila, per implorare il perdono esibendosi pronti alla resa, salve le
loro vite. Accettò egli l'offerta, ma con eccettuare dal perdono
_Calazare_ lor capitano, siccome mancator di parola. A costui in fatti
fu tolta la vita, agli altri fu permesso d'andarsene ove voleano, in
camicia, quando lor non piacesse di restare al soldo di Totila. Ottanta
andarono; gli altri si arrolarono fra i Goti. Era arrivata a
Costantinopoli _Antonina_ moglie di Belisario, e, quantunque fosse
venuto a lei meno il suo principale appoggio, cioè _Teodora_ Augusta già
morta, pure trovò facilità in Giustiniano per richiamare il marito in
Oriente, perchè stringendo forte la guerra di Persia, vi era bisogno di
un bravo generale per quella impresa. Pertanto andò Belisario a
Costantinopoli, ma senza portarvi in questo secondo viaggio splendore
alcuno di nuova gloria, giacchè in cinque anni che avea dovuto fermarsi
in Italia, per mancanza di forze, era come fuggitivo stato ora in uno,
ora in altro paese, ed inoltre senza avere operato cosa alcuna di
rilevante, lasciava l'Italia esposta alla discrezione dei Goti. Ma se
non andò seco molto onore, portò ben egli con lui molto danaro, perchè
seppe mai sempre farsi fruttare il suo generalato; e le sue grandi
ricchezze il misero talvolta in pericolo di cadere, se l'imperadore non
avesse avuta necessità della sua sperimentata perizia in comandare
armate. Nel mentre poi ch'egli era in viaggio la città di Perugia, dopo
aver sostenuto un lunghissimo assedio, venne in potere dei Goti. Il
dirsi da san Gregorio Magno[2726] che questa città per sette _anni_
continui tenuta fu assediata dai Goti, e che non per anche finito esso
anno settimo, per la fame si arrendè, par troppo difficile a credersi.
In vece d'anni avrà egli scritto _mesi_. Ad _Ercolano_, santo vescovo di
quella città, d'ordine di Totila fu barbaramente tagliato il capo.
Fece Totila anche in Dalmazia una spedizione di soldati sotto il comando
d'_Ilauso_, già una delle guardie di Belisario, che avea preso partito
fra i Goti. Costui prese in quelle parti due luoghi appellati Muicoro e
Laureata non lungi da Salona, e mise a fil di spada chiunque ivi si
trovò. A questo avviso _Claudiano_ ufficiale cesareo, che comandava in
quelle parti, imbarcate le sue soldatesche, andò a trovare a Laureata
Ilauso, e venne seco alle mani; ma restò sconfitto, e le sue navi con
altre piene di grani rimasero preda de' Goti, i quali dipoi, senza
tentar altro, se ne tornarono a Totila. Circa questi tempi, o poco prima
per attestato di Procopio[2727], Totila inviati degli ambasciatori al re
dei Franchi, cioè, secondo tutte le verisimiglianze, a _Teodeberto_, il
più potente senza paragone di quei re, gli avea fatto chiedere in moglie
una sua figliuola. La risposta fu ch'esso re non riconosceva Totila per
re d'Italia, e che tale anzi egli non sarebbe giammai, dacchè dopo aver
presa Roma non l'aveva saputa ritenere in suo dominio, ed atterrate le
mura, l'avea lasciata cadere in dominio de' suoi nemici. Ma questi erano
pretesti. Teodeberto, principe meditante tutto di nuove conquiste,
voleva pescare nei torbidi dell'Italia, veggendo sì infievolite le forze
non meno de' Goti che dell'imperadore. In fatti abbiamo assai lume da
Procopio[2728] ch'egli in quest'anno fatta calare in Italia un'armata,
s'impadronì dell'Alpi Cozie, di alcuni luoghi della Liguria, e della
maggior parte della provincia della Venezia, senza che si sappia quali
città precisamente fossero da lui occupate, giacchè fra poco vedremo che
Verona seguitò ad essere in potere dei Goti. Tutto camminava a seconda
de' suoi voti, perchè non aveano i Goti assai possanza da opporsi nello
stesso tempo ai Greci ed all'armi dei Franchi. Bisogna nondimeno
immaginare ch'eglino facessero qualche resistenza, scrivendo Mario
Aventicense[2729] sotto il presente anno, che _Lantocario_ condottiere
de' Franchi nella guerra romana, trafitto da una freccia e da una
lancia, rimase morto. Nè contento di questi progressi il re Teodeberto,
macchinava in suo cuore imprese più grandi, per quanto s'ha dallo
storico Agatia[2730]. Cioè non poteva egli sofferire che Giustiniano
Augusto, principe assai dominato dalla passione della vanità, fra i suoi
titoli mettesse quelli di _alamannico_ e _francico_, quasi lor
vincitore, quando egli in effetto non avea mai fatta pruova del valore
di queste nazioni; o pure volea significar sè stesso loro sovrano,
quando i Franchi pretendevano di non aver dipendenza alcuna da lui, e
Teodeberto aveva soggiogati e uniti al dominio suo gli Alamanni. Però
esso Teodeberto, descritto da Agatia per principe ardito, inquieto,
feroce, che andava a caccia di pericoli, e dava nome di fortezze ai
tentativi anche più disperati, determinò di muover guerra a Giustiniano,
e di andarlo a trovare fino a Costantinopoli. E perciocchè esso Augusto
si intitolava ancora _gepido_ e _longobardico_, sollecitò le nazioni de'
Gepidi e de' Longobardi ad imprendere unitamente con esso lui la guerra
contra del medesimo imperadore, per vendicare l'affronto che pretendeva
fatto a tutte le lor nazioni. Ma in questo gran bollore di pensieri
guerrieri la morte senza rispetto alcuno venne a trovar _Teodeberto_, e
mise fine alle sue grandiose imprese. Mario Aventicense riferisce la
morte sua un anno dopo la ricupera di Roma fatta da Belisario, e però
nel presente anno, il che s'accorda con quanto si dirà all'anno 554 del
re _Teodebaldo_ suo figliuolo e successore. Il padre Pagi[2731] la vuol
succeduta nell'anno precedente 547, appoggiato sopra il dirsi da
Gregorio Turonense, che dalla morte di esso re sino a quella del re
Sigeberto passarono _anni_ XXIX. Ma noi abbiamo troppi esempli d'anni
guasti dai copisti. Sigeberto storico[2732] fa giugnere la vita di
questo principe fino all'anno 550. Scrive Agatia, autore di questi
tempi, essere mancato di vita esso Teodeberto nella caccia per cagione
di un bufalo selvaggio, mentre _Narsete_ era occupato nella guerra
d'Italia. Siccome vedremo, Narsete venne in Italia solamente nell'anno
552. La scarsezza degli storici d'allora fa che non si possano schiarire
abbastanza alcuni fatti e i loro tempi precisi. Ma certo Agatia qui
prese abbaglio, chiaramente ricavandosi da Procopio che era molto prima
succeduta la morte del re Teodeberto.
NOTE:
[2723] Theoph., in Chronogr.
[2724] Cedren., in Annalib.
[2725] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 30.
[2726] Gregor. Magnus, Dialogor., lib. 3, cap. 13.
[2727] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 37.
[2728] Idem, ibid., cap. 33, et lib. 4, cap. 34.
[2729] Marius Aventicensis, in Chron.
[2730] Agath., lib. 1 de Bell. Goth.
[2731] Pagius, Crit. Baron., ad ann. 552, n. 21.
[2732] Sigebertus, in Chronico.
Anno di CRISTO DXLIX. Indizione XII.
VIGILIO papa 12.
GIUSTINIANO imperadore 23.
TOTILA re 9.
L'anno VIII dopo il consolato di Basilio.
Andavano di male in peggio gli affari dell'imperador _Giustiniano_.
Imperciocchè i _Gepidi_, che avevano occupata la Dacia Ripense e il
Sirmio[2733], e vi si erano poi stabiliti con permissione di
Giustiniano, mercè di una lega stabilita con lui, fecero in quest'anno
delle scorrerie e prede in altri circonvicini paesi. Più pesante ancora
si sentiva il flagello de' _Longobardi_, i quali, divenuti padroni del
Norico e della Pannonia, avevano impetrata da esso Augusto la licenza di
fermarsi quivi in vicinanza de' Gepidi; dimentichi de' benefizii
ricevuti, saccheggiarono la Dalmazia e l'Illirico, col menar seco una
gran quantità di schiavi. Vennero poi alle mani fra loro queste due
barbare nazioni per cagion de' confini, ed ambedue spedirono
ambasciatori a Giustiniano Augusto per averlo dalla sua. Egli prese la
difesa de' Longobardi. Finalmente gli _Sclavi_, passati di qua dal
Danubio e dall'Ebro, apportarono incredibili stragi e danni alla Tracia.
Durava poi tuttavia in Oriente la guerra coi Persiani; ed in Italia
sempre più pareva inclinata la fortuna in favore dei Goti.
L'infaticabile _Totila_, dopo la presa di Perugia, guidò nel presente
anno tutta l'armata sotto Roma, ed assediolla da varie parti. Dentro
v'era con tre mila combattenti _Diogene_ valoroso e prudente capitano,
deputato alla difesa di essa città da Belisario prima della sua
partenza, il quale con sommo vigore sostenne sempre gli assalti
frequenti dei nemici. Ma avendo i Goti occupato il castello di Porto,
Roma cominciò a penuriare di viveri. Tuttavia non perderono punto di
coraggio i difensori, e l'assedio andò in lungo; e più ancora sarebbe
andato se alcuni soldati isauri di quella guarnigione, che custodivano
la porta di san Paolo, non avessero tradita la città. Costoro dall'un
canto mal soddisfatti pel soldo loro da molti anni non mai pagato, e
dall'altro consapevoli del magnifico premio dato ai lor compagni Isauri
che dianzi aveano tradita Roma trattarono segretamente con Totila di
fare il medesimo giuoco. Venuta la notte, la porta suddetta fu
spalancata ai Goti, che tagliarono a pezzi quanti dei Greci vennero loro
incontro. Gli altri Greci chi per una porta e chi per l'altra fuggirono
alla volta di Civitavecchia; ma avendo raccolto Totila disposte prima in
quel cammino varie schiere dei suoi, pochi scamparono dalle lor mani,
fra' quali il soprammentovato Diogene, ma ferito. _Paolo di Cilicia_,
restato con quattrocento cavalli nella città, si rifugiò nella mole
d'Andriano, oggidì castello Santangelo, ed occupò quel ponte. La mattina
seguente, inutilmente e con loro strage tentarono i Goti di sloggiar
questo corpo; ma non avendo i Greci di che mangiare nè per loro, nè per
gli cavalli, determinarono di uscire addosso ai nemici, e di vendere ben
cara la vita: con che s'abbracciarono tutti, e si diedero l'ultimo
addio, come gente risoluta di morire. Intesa dal re Totila la disperata
loro risoluzione, mandò loro ad esibire che scegliessero o di depor
l'armi e lasciare i cavalli, e di obbligarsi con giuramento di non
militar più contro dei Goti, e di andarsene con Dio in libertà; o pure
tener tutte le robe loro, con arrolarsi fra i Goti. Ognuno, udita cotal
proposta, elesse la prima condizione; ma poi per vergogna di andarsene
senz'armi, e per timore di essere uccisi in cammino, si appigliarono
all'ultimo partito, a riserva di due che aveano moglie e figliuoli in
Costantinopoli. Totila a questi due fatto dar danaro pel viaggio, e
scorte, li licenziò. Quattrocento altri soldati greci che s'erano
rifugiati nelle chiese, assicurati della vita, anch'essi a lui si
renderono. Non fece già provar questa volta il re vincitore a Roma nè ai
Romani il trattamento usato nella prima conquista d'essa città[2734].
Ricordevole de' rimproveri a lui fatti da Teodeberto re de' Franchi e
dagli stessi suoi Goti, mostrò buona ciera a tutti i cittadini che ivi
si trovarono; richiamò dalla Campania tutti gli altri, e spezialmente i
senatori; diede loro il piacere de' giuochi equestri. Poscia spedì a
Costantinopoli _Stefano_ di nazione romano, suo ambasciatore, a pregar
Giustiniano di voler metter fine a tanti guai dell'Italia con una buona
pace, rappresentando la desolazione delle città e i progressi de'
Franchi, che doveano far paura anche ad esso Augusto, ed offerendo
l'armi sue in difesa da lui. Ma Giustiniano risoluto di sterminar i
Gotti, neppur volle ammettere alla sua udienza il legato. Questa durezza
dell'imperadore fece risolvere Totila a tentar anche l'impresa della
Sicilia, la quale se gli fosse felicemente riuscita, avrebbe forse
assodato il suo dominio in Italia.
Preparò dunque una flotta numerosa di navi grosse, che i Goti di tanto
in tanto aveano prese ai Greci, e ve ne aggiunse altre quattrocento
minori, con pensiero di fare uno sbarco in quell'isola. Prima nondimeno
di mettersi in viaggio a quella volta, provò se poteva sloggiare i Greci
da Civitavecchia. _Diogene_ fuggito da Roma, s'era colà ritirato, e vi
aveva un presidio sufficiente alla difesa. Fu formato l'assedio, e fatte
varie chiamate a Diogene, ed esibitegli delle vantaggiose condizioni,
finalmente si capitolò la resa, se entro il pattuito termine
l'imperadore non gli mandava soccorso; e furono dati trenta ostaggi
dall'una parte e dall'altra. Dopo di che i Goti diedero le vele al
vento, e s'incamminarono verso la Sicilia. Giunti che furono a Reggio di
Calabria, Totila intimò la resa a quel presidio di Greci, al comando de'
quali erano _Torimuto_ ed _Imerio_. Ma trovatili costanti nel loro
dovere, lasciò quivi un buon corpo di gente, con ordine di tener bene
stretto quel presidio, affinchè non v'entrassero viveri, assai informato
che quel castello, ossia quella città, ne penuriava non poco. Inviò un
altro corpo de' suoi a Taranto, che senza fatica s'impadronì di quella
terra. Nello stesso tempo i Goti da lui lasciati nel Piceno per
tradimento entrarono nella città di Rimini. Avvicinandosi poi costoro a
Ravenna, _Vero_, che allora era comandante delle armi in quella città,
uscì in campagna col nerbo maggiore delle sue truppe, e venne con loro a
battaglia; ma ebbe la sfortuna d'essere disfatto con gran perdita de'
suoi, e con lasciare egli stesso la vita sul campo. Totila intanto passò
con lo stuolo delle sue navi in Sicilia, ed accampossi intorno a
Messina, alla cui difesa bravamente s'accinse _Donnenziolo_, uffiziale
dell'imperadore, colla sua guarnigione. A riserva di quei che erano
necessarii per quell'assedio, tutte le altre masnade dei Goti si
sparsero per la Sicilia, e quasi tutta la misero a sacco, con occupare
ancora qualche fortezza. Contra de' Siciliani erano forte in collera i
Goti, perchè fino ne' tempi del re Teoderico supplicarono per essere
esenti da grosse guarnigioni, per ischivarne l'aggravio, promettendo
essi di ben difendere l'isola. Ma appena vi si lasciò veder _Belisario_,
che tutti si ribellarono, acclamando l'imperadore. Mentre si faceva il
brutto ballo in quelle contrade, la guarnigione di Reggio di Calabria,
dopo aver consumati tutti i viveri, finalmente venne a rendersi con
restar prigioniera di guerra. Portate a Costantinopoli sì triste nuove,
determinò Giustiniano d'inviare in Italia _Germano_ patrizio, che dal
padre Pagi[2735], forse per errore di stampa è chiamato _patruus_, cioè
_zio paterno_ d'esso imperadore, ma che in fatti era figliuolo d'un
fratello, ossia nipote del medesimo Augusto; personaggio di gran senno,
gravità e coraggio, e di non minore sperienza nell'arte militare, la cui
riputazione era in onore dappertutto, sì per esser sì strettamente
congiunto di sangue coll'imperadore, e sì perchè molto prima avea data
una famosa rotta agli Anti, popoli barbari, ed inoltre col suo valore e
colla prudenza sua avea, per così dire, riacquistata all'imperio
l'Africa, con torla dalle mani de' tiranni insorti in quelle parti dopo
la conquista fattane da Belisario. Venne in Italia l'avviso di questa
elezione, e rincorò quanti ci restavano o soldati, o ben affetti al nome
dell'imperadore. Ma non si sa il perchè Giustiniano, mutato pensiero,
diede il comando dell'armi d'Italia a _Liberio_ cittadino romano: benchè
poco appresso pentito anche della scelta da lui fatta, non lo lasciasse
venire, considerandolo per troppo avanzato in età e poco pratico del
mestier della guerra. Trovavasi allora in Costantinopoli papa _Vigilio_
con assaissimi altri Italiani de' più nobili, che continuamente faceano
premura ad esso Augusto, acciocchè un grande sforzo si facesse per
ricuperar l'Italia dalle mani de' Goti. E specialmente erano inculcate
tali istanze da _Gotico_ (così viene appellato nel testo di Procopio, ma
probabilmente è _Cetego_) patrizio, stato gran tempo fa console. Un
Cetego nell'anno 504 fu ornato di questa dignità; ma par molto indietro
un tal tempo. Giustiniano prometteva tutto, ed intanto spendeva la
maggior parte del tempo nella spinosa controversia dei tre capitoli, che
allora bolliva forte in Oriente, e fu cagione di scisma e di non pochi
ammazzamenti. Vigilio papa fece varie figure, contrariato dal clero
romano, e massimamente dai vescovi dell'Africa e dell'Illirico, siccome
può vedersi nella Storia ecclesiastica. Se Giustiniano Augusto non fosse
stato fazionario in questa lite, e non avesse usato della prepotenza
contro di esso papa, non sarebbero seguiti tanti sconcerti, che pur
troppo turbarono forte la Chiesa di Dio.
NOTE:
[2733] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 34.
[2734] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 37.
[2735] Pagius, Crit. Baron., ad ann. 551, n. 2.
Anno di CRISTO DL. Indizione XIII.
VIGILIO papa 13.
GIUSTINIANO imperadore 24.
TOTILA re 10.
L'anno IX dopo il consolato di Basilio.
Leggesi una lettera di papa _Vigilio_ scritta in Costantinopoli nel dì
29 di aprile nell'anno XXIV dell'imperio di Giustiniano, e nono dopo il
consolato di Basilio, cioè nell'anno presente, ad _Aureliano_ vescovo
d'Arles, dove il prega che, essendosi udita l'entrata dei Goti in Roma,
voglia muovere _Childeberto_ re de' Franchi a scrivere al re _Totila_,
per raccomandargli la Chiesa Romana, acciocchè niun danno o pregiudizio
venga inferito alla medesima, nè alla religion cattolica. Le istanze
degl'Italiani rifugiati in Costantinopoli, e più l'impegno della
riputazione, ebbero in fine tanta possa, che Giustiniano si applicò
daddovero agli affari d'Italia. Dichiarò dunque capitan generale il
suddetto _Giustino_ suo nipote, e gli comandò di marciare[2736]. Poche
erano le milizie a lui assegnate per l'impresa d'Italia; ma gli fu
sborsata una gran somma d'oro, con ordine di assoldare quanta gente
potesse nella Tracia e nell'Illirico, e di condur seco _Filemuto_
principe degli Eruli colle sue barbariche brigate, e _Giovanni_ suo
genero, ch'era figliuolo di una sorella di Vitaliano, e generale allora
dell'armi dell'Illirico. Era morta ad esso _Germano_ _Passara_, sua
prima moglie, che gli avea partorito due figliuoli, cioè _Giustino_
stato console nell'anno 540, e _Giustiniano_, che riuscì un valentissimo
generale di armata, ambedue preparati per venire col padre in Italia.
Passò poi, siccome altrove dicemmo, alle seconde nozze con _Matasunta_,
figliuola di _Amalasunta_, e moglie in primo luogo di _Vitige_ re dei
Goti. Questa ancora volle egli menar seco in Italia, con isperanza che i
Goti per riverenza al nome di sua madre e del re Teoderico suo avolo,
umilierebbero l'armi all'arrivo di lei. Datosi dunque a spendere
largamente non solo il danaro a lui dato dall'Augusto Giustiniano suo
zio, ma il proprio ancora, ammassò in breve un fioritissimo esercito,
concorrendo a militare sotto di lui gli uffiziali più segnalati ed
assaissima gente della Tracia e dell'Illirico e inoltre i Barbari
stessi, tirati dalla fama del suo nome, e molto più dal danaro che
puntualmente veniva sborsato. In Italia ancora, appena s'intese essere
stato scelto per generalissimo dell'armi cesaree questo principe, che
tutti i Greci ed Italiani militanti o per amore, o per forza nelle
armate de' Goti, segretamente fecero intendere a Germano, qualmente
arrivato ch'egli fosse in Italia, tutti, senza perder tempo, verrebbono
ad unirsi con lui. All'incontro cotal nuova stordì forte i Goti, con
restar anche divisi di parere, se avevano a prendere l'armi contro la
stirpe di Teoderico, cioè contro Matasunta. In questi tempi essendo
spirato il tempo che _Diogene_, uffizial greco, s'era preso per rendere
Civitavecchia, ed avendo il re _Totila_ inviato colà deputati per
l'esecuzion della promessa, egli si scusò di non poter mantenere la
parola data, perchè Germano coll'esercito suo era vicino a dargli
soccorso. Perciò l'una parte e l'altra restituì gli ostaggi, restando
Diogene alla difesa di quella città, e Totila sommamente burlato e in
collera per questo.
Ora mentre il valoroso Germano patrizio in Sardica, o Serdica, città
dell'Illirico, ossia della Mesia o della Dacia, ammassava ed esercitava
le raunate genti, disposto a passare in Italia, ecco gli Slavi, che,
valicato il Danubio, fanno una irruzione nella Mesia, arrivano fino alla
città di Naisso, con iscoprirsi il disegno loro di penetrar fino a
Salonichi. Venne subito un ordine dall'imperador a Germano di lasciar
per allora la spedizion d'Italia e di accorrere in aiuto di Salonichi.
Ma avuto ch'ebbero gli Sclavi contezza, come era in quelle parti Germano
con un'armata, tal terrore li prese, che, mutato cammino, s'istradarono
altrove. Pertanto Germano, liberato dall'apprensione di que' Barbari,
era già dietro ad imbarcar la sua gente per venir in Italia, quando
all'improvviso si infermò d'una malattia che in pochi dì il condusse al
sepolcro, desiderato e compianto da tutti. N'ebbe gran dispiacere anche
l'imperador Giustiniano, che dipoi diede ordine a _Giovanni_ e a
_Giustiniano_, figliuolo di esso Germano, di passar colla flotta in
Italia. Aveva dianzi il medesimo Augusto inviato _Liberio_ con un'altra
flotta carica di buone fanterie per soccorrere la Sicilia. Poscia,
avendo egli rimesso in sua grazia _Artabane_, e creatolo generale della
Tracia, aveva spedito ancor questo con alcune navi alla volta d'essa
Sicilia, con ordine di prendere il comando delle truppe condotte da
Liberio. Il primo a giungere in quell'isola fu Liberio, il quale a
dirittura passò a Siracusa, allora assediata dai Goti, e felicemente
entrò coi suoi legni nel porto. Artabane, all'incontro, sorpreso non
lungi dalla Calabria da una fiera tempesta, vide dissipate tutte le sue
navi, alcune trasportate nella Morea, altre perite; egli colla sua, che
avea perduto l'albero maestro, fu spinto dal vento all'isola di Malta, e
quivi si salvò. Liberio, non avendo forze bastanti in Siracusa da far
sortite sopra i nemici, e trovata ivi non poca scarsezza di viveri,
giudicò meglio di continuare il viaggio fino a Palermo. Sarebbe passata
male a quella città, e forse ad altre, se essendo stato preso dai Goti
in Catania _Spino_ da Spoleti, questore di Totila, e a lui carissimo,
non avesse costui ottenuta la libertà, con promessa d'indurre i Goti a
ritirarsi dalla Sicilia. Tante cagioni in fatti egli addusse a Totila,
massimamente con fargli credere imminente l'arrivo di una poderosa
armata imperiale, pervenuta già in Dalmazia, che fu risoluto nel
consiglio de' Goti di lasciar in pace quell'isola. Poste dunque nelle
lor navi le immense ricchezze raunate con tanti saccheggi de' miseri
Siciliani, e una prodigiosa copia di grani e d'armenti rapiti, con
lasciar qui dei presidii solamente in quattro luoghi, Totila menò le sue
milizie in Italia. Non così fecero _Giovanni_ e _Giustiniano_, arrivati
in Dalmazia colla flotta e coll'esercito maggiore spedito da
Giustiniano. Perchè trovando quella provincia infestata dagli Sclavi,
con dubbio che que' Barbari fossero stati mossi da segreto maneggio del
re Totila, determinarono di svernare in quel paese, per mettersi poi in
viaggio nella seguente primavera. Ma non si fermarono quivi gli Sclavi.
Scorsero fino ad Adrianopoli, commettendo innumerabili mali, e portavano
le minaccie fino ai contorni di Costantinopoli. Contro di loro fu
spedito un esercito da Giustiniano, ch'ebbe la disavventura di essere
sbaragliato da que' Barbari, e costoro s'avanzarono dipoi fino ai Muri
Lunghi, luogo una giornata distante da Costantinopoli, dove una parte di
essi fu disfatta. Gli altri carichi di preda se ne tornarono alle lor
case. Fiorì in questi tempi _Vittore_ vescovo di Capoa, dotto non meno
nelle latine che nelle greche lettere. Fabbricò un ciclo pasquale, e
compose altri libri, de' quali parla la storia letteraria.
NOTE:
[2736] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 3.
Anno di CRISTO DLI. Indizione XIV.
VIGILIO papa 14.
GIUSTINIANO imperadore 25.
TOTILA re 11.
L'anno X dopo il consolato di Basilio.
Circa questi tempi, durando tuttavia la guerra tra _Giustiniano_ Augusto
e i Persiani, venne in pensiero all'imperadore di proibire a' suoi che
non comperassero da lì innanzi le sete dai Persiani; perchè una tal
merce era allora al maggior segno cara, e portava fuori degli stati
dell'imperio delle grandi somme d'oro con profitto de' Persiani, i quali
soli la traevano dall'India, e la vendevano poscia agli Europei con
eccessivo guadagno. Questo editto fu cagione che alcuni monaci tornati
dall'India si esibissero d'introdurre in Europa la fabbrica della seta,
e ne descrissero la maniera all'imperadore, che molto se ne maravigliò,
e gl'incoraggì, con promessa di gran premio, ad eseguire l'impresa. Per
tanto quei monaci ritornarono nell'India, e di colà portarono a
Costantinopoli molte uova di vermi da seta, che fatti poi nascere, e
nutriti colle foglie di gelsi mori, cominciarono a dar seta, e ne
introdussero l'arte o fabbrica nel romano imperio, dove poi si propagò
ed è giunta a quel segno che ora si vede. Giù si preparava _Giovanni_,
nipote di Vitaliano, alla partenza da Salona coll'armata navale cesarea
destinata contra i Goti, quando arrivò ordine dell'imperadore che non si
movesse, ed aspettasse l'arrivo di _Narsete_ eunuco, già destinato
capitan generale dell'armi di Cesare in Italia. Si partì da
Costantinopoli esso Narsete con un bell'accompagnamento di truppe, e
colla cassa di guerra ben provveduta di danaro. Gli convenne fermarsi
per qualche tempo in Filippopoli, perchè gli Unni, cioè i Tartari,
aveano fatto una irruzion nella Tracia, saccheggiando il paese
(disgrazia famigliare in que' tempi a tutti i confini settentrionali
dell'imperio d'Oriente), ed impedivano i cammini. Finalmente, sbrigato
da quella canaglia, proseguì il suo viaggio. Intanto il re _Totila_,
presentita la venuta di Narsete, richiamò in Roma alcuni de' senatori,
ed ordinò loro di aver cura della città, con lasciar gli altri nella
Campania. Ma li teneva come schiavi, nè essi poterono riavere porzione
alcuna de' beni sì del pubblico che dei privati. Poscia, allestite circa
trecento navi lunghe, e caricatele di Goti, le spinse verso le spiagge
della Grecia. Fecero costoro uno sbarco in Corfù, e devastarono
quell'isola colle altre appresso; passarono in terra ferma, e diedero il
sacco a varie terre; e costeggiando per quelle riviere, presero varii
legni che conducevano vettovaglie per servigio dell'armata di Narsete.
Era già gran tempo che i Goti tenevano assediata per terra e per mare la
città d'Ancona; laonde quel presidio si trovava ridotto a gravi angustie
per la penuria di viveri. _Valeriano_, che comandava in Ravenna per
l'imperadore, non avendo altro ripiego per soccorrerli, scrisse lettera
a Salona, pregando Giovanni, giacchè tante milizie avea condotte colà,
di accorrere a salvar quella città dall'imminente pericolo di rendersi.
Giovanni, benchè avesse ordini in contrario dalla corte, pure credendo
meglio fatto di non ubbidire in circostanze tali, con trecento navi
lunghe, piene di sue milizie, venne a trovar Valeriano, che seco unì
altre dodici navi, ed amendue passarono a Sinigaglia. Ciò saputo dai
Goti, vennero loro incontro con quarantasette navi cariche del fiore
della lor gente, ed attaccarono la zuffa. Ma non erano da mettere in
confronto dei Greci, bene addottrinati nelle battaglie navali, i Goti
affatto novizii in quel mestiere. Perciò rimasero facilmente disfatti,
con salvarsi appena undici dei loro legni. Il resto venne in poter dei
Greci. Portata dai fuggitivi la nuova di questa disavventura agli altri
ch'erano all'assedio di Ancona, fu cagione che sgombrassero in fretta il
paese, e scappassero ad Osimo, lasciando in preda de' Greci le loro
tende e bagagli. Questa percossa indebolì non poco le forze e il
coraggio de' Goti. Tornò dipoi Valeriano a Ravenna, e Giovanni a Salona.
In questo medesimo tempo _Artabane_ giunto in Sicilia[2737], e preso il
comando dell'armi cesaree, costrinse alla resa que' pochi presidii che
Totila avea quivi lasciati ne' luoghi forti: cose tutte che accrebbero
la costernazione de' Goti. Nè già restava speranza alcuna d'indurre
Giustiniano Augusto a qualche ragionevol accomodamento. S'erano ben essi
più volte esibiti di cedergli ogni lor pretensione sopra la Sicilia e
Dalmazia, e di pagargli un annuo tributo, e di unir seco l'armi loro ad
a' nemici, ma col rimanente dell'armata tenne forte l'assedio di quel
castello. Veggendo i Rossanesi disperato il caso, mandarono due deputati
a Totila, per implorare il perdono esibendosi pronti alla resa, salve le
loro vite. Accettò egli l'offerta, ma con eccettuare dal perdono
_Calazare_ lor capitano, siccome mancator di parola. A costui in fatti
fu tolta la vita, agli altri fu permesso d'andarsene ove voleano, in
camicia, quando lor non piacesse di restare al soldo di Totila. Ottanta
andarono; gli altri si arrolarono fra i Goti. Era arrivata a
Costantinopoli _Antonina_ moglie di Belisario, e, quantunque fosse
venuto a lei meno il suo principale appoggio, cioè _Teodora_ Augusta già
morta, pure trovò facilità in Giustiniano per richiamare il marito in
Oriente, perchè stringendo forte la guerra di Persia, vi era bisogno di
un bravo generale per quella impresa. Pertanto andò Belisario a
Costantinopoli, ma senza portarvi in questo secondo viaggio splendore
alcuno di nuova gloria, giacchè in cinque anni che avea dovuto fermarsi
in Italia, per mancanza di forze, era come fuggitivo stato ora in uno,
ora in altro paese, ed inoltre senza avere operato cosa alcuna di
rilevante, lasciava l'Italia esposta alla discrezione dei Goti. Ma se
non andò seco molto onore, portò ben egli con lui molto danaro, perchè
seppe mai sempre farsi fruttare il suo generalato; e le sue grandi
ricchezze il misero talvolta in pericolo di cadere, se l'imperadore non
avesse avuta necessità della sua sperimentata perizia in comandare
armate. Nel mentre poi ch'egli era in viaggio la città di Perugia, dopo
aver sostenuto un lunghissimo assedio, venne in potere dei Goti. Il
dirsi da san Gregorio Magno[2726] che questa città per sette _anni_
continui tenuta fu assediata dai Goti, e che non per anche finito esso
anno settimo, per la fame si arrendè, par troppo difficile a credersi.
In vece d'anni avrà egli scritto _mesi_. Ad _Ercolano_, santo vescovo di
quella città, d'ordine di Totila fu barbaramente tagliato il capo.
Fece Totila anche in Dalmazia una spedizione di soldati sotto il comando
d'_Ilauso_, già una delle guardie di Belisario, che avea preso partito
fra i Goti. Costui prese in quelle parti due luoghi appellati Muicoro e
Laureata non lungi da Salona, e mise a fil di spada chiunque ivi si
trovò. A questo avviso _Claudiano_ ufficiale cesareo, che comandava in
quelle parti, imbarcate le sue soldatesche, andò a trovare a Laureata
Ilauso, e venne seco alle mani; ma restò sconfitto, e le sue navi con
altre piene di grani rimasero preda de' Goti, i quali dipoi, senza
tentar altro, se ne tornarono a Totila. Circa questi tempi, o poco prima
per attestato di Procopio[2727], Totila inviati degli ambasciatori al re
dei Franchi, cioè, secondo tutte le verisimiglianze, a _Teodeberto_, il
più potente senza paragone di quei re, gli avea fatto chiedere in moglie
una sua figliuola. La risposta fu ch'esso re non riconosceva Totila per
re d'Italia, e che tale anzi egli non sarebbe giammai, dacchè dopo aver
presa Roma non l'aveva saputa ritenere in suo dominio, ed atterrate le
mura, l'avea lasciata cadere in dominio de' suoi nemici. Ma questi erano
pretesti. Teodeberto, principe meditante tutto di nuove conquiste,
voleva pescare nei torbidi dell'Italia, veggendo sì infievolite le forze
non meno de' Goti che dell'imperadore. In fatti abbiamo assai lume da
Procopio[2728] ch'egli in quest'anno fatta calare in Italia un'armata,
s'impadronì dell'Alpi Cozie, di alcuni luoghi della Liguria, e della
maggior parte della provincia della Venezia, senza che si sappia quali
città precisamente fossero da lui occupate, giacchè fra poco vedremo che
Verona seguitò ad essere in potere dei Goti. Tutto camminava a seconda
de' suoi voti, perchè non aveano i Goti assai possanza da opporsi nello
stesso tempo ai Greci ed all'armi dei Franchi. Bisogna nondimeno
immaginare ch'eglino facessero qualche resistenza, scrivendo Mario
Aventicense[2729] sotto il presente anno, che _Lantocario_ condottiere
de' Franchi nella guerra romana, trafitto da una freccia e da una
lancia, rimase morto. Nè contento di questi progressi il re Teodeberto,
macchinava in suo cuore imprese più grandi, per quanto s'ha dallo
storico Agatia[2730]. Cioè non poteva egli sofferire che Giustiniano
Augusto, principe assai dominato dalla passione della vanità, fra i suoi
titoli mettesse quelli di _alamannico_ e _francico_, quasi lor
vincitore, quando egli in effetto non avea mai fatta pruova del valore
di queste nazioni; o pure volea significar sè stesso loro sovrano,
quando i Franchi pretendevano di non aver dipendenza alcuna da lui, e
Teodeberto aveva soggiogati e uniti al dominio suo gli Alamanni. Però
esso Teodeberto, descritto da Agatia per principe ardito, inquieto,
feroce, che andava a caccia di pericoli, e dava nome di fortezze ai
tentativi anche più disperati, determinò di muover guerra a Giustiniano,
e di andarlo a trovare fino a Costantinopoli. E perciocchè esso Augusto
si intitolava ancora _gepido_ e _longobardico_, sollecitò le nazioni de'
Gepidi e de' Longobardi ad imprendere unitamente con esso lui la guerra
contra del medesimo imperadore, per vendicare l'affronto che pretendeva
fatto a tutte le lor nazioni. Ma in questo gran bollore di pensieri
guerrieri la morte senza rispetto alcuno venne a trovar _Teodeberto_, e
mise fine alle sue grandiose imprese. Mario Aventicense riferisce la
morte sua un anno dopo la ricupera di Roma fatta da Belisario, e però
nel presente anno, il che s'accorda con quanto si dirà all'anno 554 del
re _Teodebaldo_ suo figliuolo e successore. Il padre Pagi[2731] la vuol
succeduta nell'anno precedente 547, appoggiato sopra il dirsi da
Gregorio Turonense, che dalla morte di esso re sino a quella del re
Sigeberto passarono _anni_ XXIX. Ma noi abbiamo troppi esempli d'anni
guasti dai copisti. Sigeberto storico[2732] fa giugnere la vita di
questo principe fino all'anno 550. Scrive Agatia, autore di questi
tempi, essere mancato di vita esso Teodeberto nella caccia per cagione
di un bufalo selvaggio, mentre _Narsete_ era occupato nella guerra
d'Italia. Siccome vedremo, Narsete venne in Italia solamente nell'anno
552. La scarsezza degli storici d'allora fa che non si possano schiarire
abbastanza alcuni fatti e i loro tempi precisi. Ma certo Agatia qui
prese abbaglio, chiaramente ricavandosi da Procopio che era molto prima
succeduta la morte del re Teodeberto.
NOTE:
[2723] Theoph., in Chronogr.
[2724] Cedren., in Annalib.
[2725] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 30.
[2726] Gregor. Magnus, Dialogor., lib. 3, cap. 13.
[2727] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 37.
[2728] Idem, ibid., cap. 33, et lib. 4, cap. 34.
[2729] Marius Aventicensis, in Chron.
[2730] Agath., lib. 1 de Bell. Goth.
[2731] Pagius, Crit. Baron., ad ann. 552, n. 21.
[2732] Sigebertus, in Chronico.
Anno di CRISTO DXLIX. Indizione XII.
VIGILIO papa 12.
GIUSTINIANO imperadore 23.
TOTILA re 9.
L'anno VIII dopo il consolato di Basilio.
Andavano di male in peggio gli affari dell'imperador _Giustiniano_.
Imperciocchè i _Gepidi_, che avevano occupata la Dacia Ripense e il
Sirmio[2733], e vi si erano poi stabiliti con permissione di
Giustiniano, mercè di una lega stabilita con lui, fecero in quest'anno
delle scorrerie e prede in altri circonvicini paesi. Più pesante ancora
si sentiva il flagello de' _Longobardi_, i quali, divenuti padroni del
Norico e della Pannonia, avevano impetrata da esso Augusto la licenza di
fermarsi quivi in vicinanza de' Gepidi; dimentichi de' benefizii
ricevuti, saccheggiarono la Dalmazia e l'Illirico, col menar seco una
gran quantità di schiavi. Vennero poi alle mani fra loro queste due
barbare nazioni per cagion de' confini, ed ambedue spedirono
ambasciatori a Giustiniano Augusto per averlo dalla sua. Egli prese la
difesa de' Longobardi. Finalmente gli _Sclavi_, passati di qua dal
Danubio e dall'Ebro, apportarono incredibili stragi e danni alla Tracia.
Durava poi tuttavia in Oriente la guerra coi Persiani; ed in Italia
sempre più pareva inclinata la fortuna in favore dei Goti.
L'infaticabile _Totila_, dopo la presa di Perugia, guidò nel presente
anno tutta l'armata sotto Roma, ed assediolla da varie parti. Dentro
v'era con tre mila combattenti _Diogene_ valoroso e prudente capitano,
deputato alla difesa di essa città da Belisario prima della sua
partenza, il quale con sommo vigore sostenne sempre gli assalti
frequenti dei nemici. Ma avendo i Goti occupato il castello di Porto,
Roma cominciò a penuriare di viveri. Tuttavia non perderono punto di
coraggio i difensori, e l'assedio andò in lungo; e più ancora sarebbe
andato se alcuni soldati isauri di quella guarnigione, che custodivano
la porta di san Paolo, non avessero tradita la città. Costoro dall'un
canto mal soddisfatti pel soldo loro da molti anni non mai pagato, e
dall'altro consapevoli del magnifico premio dato ai lor compagni Isauri
che dianzi aveano tradita Roma trattarono segretamente con Totila di
fare il medesimo giuoco. Venuta la notte, la porta suddetta fu
spalancata ai Goti, che tagliarono a pezzi quanti dei Greci vennero loro
incontro. Gli altri Greci chi per una porta e chi per l'altra fuggirono
alla volta di Civitavecchia; ma avendo raccolto Totila disposte prima in
quel cammino varie schiere dei suoi, pochi scamparono dalle lor mani,
fra' quali il soprammentovato Diogene, ma ferito. _Paolo di Cilicia_,
restato con quattrocento cavalli nella città, si rifugiò nella mole
d'Andriano, oggidì castello Santangelo, ed occupò quel ponte. La mattina
seguente, inutilmente e con loro strage tentarono i Goti di sloggiar
questo corpo; ma non avendo i Greci di che mangiare nè per loro, nè per
gli cavalli, determinarono di uscire addosso ai nemici, e di vendere ben
cara la vita: con che s'abbracciarono tutti, e si diedero l'ultimo
addio, come gente risoluta di morire. Intesa dal re Totila la disperata
loro risoluzione, mandò loro ad esibire che scegliessero o di depor
l'armi e lasciare i cavalli, e di obbligarsi con giuramento di non
militar più contro dei Goti, e di andarsene con Dio in libertà; o pure
tener tutte le robe loro, con arrolarsi fra i Goti. Ognuno, udita cotal
proposta, elesse la prima condizione; ma poi per vergogna di andarsene
senz'armi, e per timore di essere uccisi in cammino, si appigliarono
all'ultimo partito, a riserva di due che aveano moglie e figliuoli in
Costantinopoli. Totila a questi due fatto dar danaro pel viaggio, e
scorte, li licenziò. Quattrocento altri soldati greci che s'erano
rifugiati nelle chiese, assicurati della vita, anch'essi a lui si
renderono. Non fece già provar questa volta il re vincitore a Roma nè ai
Romani il trattamento usato nella prima conquista d'essa città[2734].
Ricordevole de' rimproveri a lui fatti da Teodeberto re de' Franchi e
dagli stessi suoi Goti, mostrò buona ciera a tutti i cittadini che ivi
si trovarono; richiamò dalla Campania tutti gli altri, e spezialmente i
senatori; diede loro il piacere de' giuochi equestri. Poscia spedì a
Costantinopoli _Stefano_ di nazione romano, suo ambasciatore, a pregar
Giustiniano di voler metter fine a tanti guai dell'Italia con una buona
pace, rappresentando la desolazione delle città e i progressi de'
Franchi, che doveano far paura anche ad esso Augusto, ed offerendo
l'armi sue in difesa da lui. Ma Giustiniano risoluto di sterminar i
Gotti, neppur volle ammettere alla sua udienza il legato. Questa durezza
dell'imperadore fece risolvere Totila a tentar anche l'impresa della
Sicilia, la quale se gli fosse felicemente riuscita, avrebbe forse
assodato il suo dominio in Italia.
Preparò dunque una flotta numerosa di navi grosse, che i Goti di tanto
in tanto aveano prese ai Greci, e ve ne aggiunse altre quattrocento
minori, con pensiero di fare uno sbarco in quell'isola. Prima nondimeno
di mettersi in viaggio a quella volta, provò se poteva sloggiare i Greci
da Civitavecchia. _Diogene_ fuggito da Roma, s'era colà ritirato, e vi
aveva un presidio sufficiente alla difesa. Fu formato l'assedio, e fatte
varie chiamate a Diogene, ed esibitegli delle vantaggiose condizioni,
finalmente si capitolò la resa, se entro il pattuito termine
l'imperadore non gli mandava soccorso; e furono dati trenta ostaggi
dall'una parte e dall'altra. Dopo di che i Goti diedero le vele al
vento, e s'incamminarono verso la Sicilia. Giunti che furono a Reggio di
Calabria, Totila intimò la resa a quel presidio di Greci, al comando de'
quali erano _Torimuto_ ed _Imerio_. Ma trovatili costanti nel loro
dovere, lasciò quivi un buon corpo di gente, con ordine di tener bene
stretto quel presidio, affinchè non v'entrassero viveri, assai informato
che quel castello, ossia quella città, ne penuriava non poco. Inviò un
altro corpo de' suoi a Taranto, che senza fatica s'impadronì di quella
terra. Nello stesso tempo i Goti da lui lasciati nel Piceno per
tradimento entrarono nella città di Rimini. Avvicinandosi poi costoro a
Ravenna, _Vero_, che allora era comandante delle armi in quella città,
uscì in campagna col nerbo maggiore delle sue truppe, e venne con loro a
battaglia; ma ebbe la sfortuna d'essere disfatto con gran perdita de'
suoi, e con lasciare egli stesso la vita sul campo. Totila intanto passò
con lo stuolo delle sue navi in Sicilia, ed accampossi intorno a
Messina, alla cui difesa bravamente s'accinse _Donnenziolo_, uffiziale
dell'imperadore, colla sua guarnigione. A riserva di quei che erano
necessarii per quell'assedio, tutte le altre masnade dei Goti si
sparsero per la Sicilia, e quasi tutta la misero a sacco, con occupare
ancora qualche fortezza. Contra de' Siciliani erano forte in collera i
Goti, perchè fino ne' tempi del re Teoderico supplicarono per essere
esenti da grosse guarnigioni, per ischivarne l'aggravio, promettendo
essi di ben difendere l'isola. Ma appena vi si lasciò veder _Belisario_,
che tutti si ribellarono, acclamando l'imperadore. Mentre si faceva il
brutto ballo in quelle contrade, la guarnigione di Reggio di Calabria,
dopo aver consumati tutti i viveri, finalmente venne a rendersi con
restar prigioniera di guerra. Portate a Costantinopoli sì triste nuove,
determinò Giustiniano d'inviare in Italia _Germano_ patrizio, che dal
padre Pagi[2735], forse per errore di stampa è chiamato _patruus_, cioè
_zio paterno_ d'esso imperadore, ma che in fatti era figliuolo d'un
fratello, ossia nipote del medesimo Augusto; personaggio di gran senno,
gravità e coraggio, e di non minore sperienza nell'arte militare, la cui
riputazione era in onore dappertutto, sì per esser sì strettamente
congiunto di sangue coll'imperadore, e sì perchè molto prima avea data
una famosa rotta agli Anti, popoli barbari, ed inoltre col suo valore e
colla prudenza sua avea, per così dire, riacquistata all'imperio
l'Africa, con torla dalle mani de' tiranni insorti in quelle parti dopo
la conquista fattane da Belisario. Venne in Italia l'avviso di questa
elezione, e rincorò quanti ci restavano o soldati, o ben affetti al nome
dell'imperadore. Ma non si sa il perchè Giustiniano, mutato pensiero,
diede il comando dell'armi d'Italia a _Liberio_ cittadino romano: benchè
poco appresso pentito anche della scelta da lui fatta, non lo lasciasse
venire, considerandolo per troppo avanzato in età e poco pratico del
mestier della guerra. Trovavasi allora in Costantinopoli papa _Vigilio_
con assaissimi altri Italiani de' più nobili, che continuamente faceano
premura ad esso Augusto, acciocchè un grande sforzo si facesse per
ricuperar l'Italia dalle mani de' Goti. E specialmente erano inculcate
tali istanze da _Gotico_ (così viene appellato nel testo di Procopio, ma
probabilmente è _Cetego_) patrizio, stato gran tempo fa console. Un
Cetego nell'anno 504 fu ornato di questa dignità; ma par molto indietro
un tal tempo. Giustiniano prometteva tutto, ed intanto spendeva la
maggior parte del tempo nella spinosa controversia dei tre capitoli, che
allora bolliva forte in Oriente, e fu cagione di scisma e di non pochi
ammazzamenti. Vigilio papa fece varie figure, contrariato dal clero
romano, e massimamente dai vescovi dell'Africa e dell'Illirico, siccome
può vedersi nella Storia ecclesiastica. Se Giustiniano Augusto non fosse
stato fazionario in questa lite, e non avesse usato della prepotenza
contro di esso papa, non sarebbero seguiti tanti sconcerti, che pur
troppo turbarono forte la Chiesa di Dio.
NOTE:
[2733] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 34.
[2734] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 37.
[2735] Pagius, Crit. Baron., ad ann. 551, n. 2.
Anno di CRISTO DL. Indizione XIII.
VIGILIO papa 13.
GIUSTINIANO imperadore 24.
TOTILA re 10.
L'anno IX dopo il consolato di Basilio.
Leggesi una lettera di papa _Vigilio_ scritta in Costantinopoli nel dì
29 di aprile nell'anno XXIV dell'imperio di Giustiniano, e nono dopo il
consolato di Basilio, cioè nell'anno presente, ad _Aureliano_ vescovo
d'Arles, dove il prega che, essendosi udita l'entrata dei Goti in Roma,
voglia muovere _Childeberto_ re de' Franchi a scrivere al re _Totila_,
per raccomandargli la Chiesa Romana, acciocchè niun danno o pregiudizio
venga inferito alla medesima, nè alla religion cattolica. Le istanze
degl'Italiani rifugiati in Costantinopoli, e più l'impegno della
riputazione, ebbero in fine tanta possa, che Giustiniano si applicò
daddovero agli affari d'Italia. Dichiarò dunque capitan generale il
suddetto _Giustino_ suo nipote, e gli comandò di marciare[2736]. Poche
erano le milizie a lui assegnate per l'impresa d'Italia; ma gli fu
sborsata una gran somma d'oro, con ordine di assoldare quanta gente
potesse nella Tracia e nell'Illirico, e di condur seco _Filemuto_
principe degli Eruli colle sue barbariche brigate, e _Giovanni_ suo
genero, ch'era figliuolo di una sorella di Vitaliano, e generale allora
dell'armi dell'Illirico. Era morta ad esso _Germano_ _Passara_, sua
prima moglie, che gli avea partorito due figliuoli, cioè _Giustino_
stato console nell'anno 540, e _Giustiniano_, che riuscì un valentissimo
generale di armata, ambedue preparati per venire col padre in Italia.
Passò poi, siccome altrove dicemmo, alle seconde nozze con _Matasunta_,
figliuola di _Amalasunta_, e moglie in primo luogo di _Vitige_ re dei
Goti. Questa ancora volle egli menar seco in Italia, con isperanza che i
Goti per riverenza al nome di sua madre e del re Teoderico suo avolo,
umilierebbero l'armi all'arrivo di lei. Datosi dunque a spendere
largamente non solo il danaro a lui dato dall'Augusto Giustiniano suo
zio, ma il proprio ancora, ammassò in breve un fioritissimo esercito,
concorrendo a militare sotto di lui gli uffiziali più segnalati ed
assaissima gente della Tracia e dell'Illirico e inoltre i Barbari
stessi, tirati dalla fama del suo nome, e molto più dal danaro che
puntualmente veniva sborsato. In Italia ancora, appena s'intese essere
stato scelto per generalissimo dell'armi cesaree questo principe, che
tutti i Greci ed Italiani militanti o per amore, o per forza nelle
armate de' Goti, segretamente fecero intendere a Germano, qualmente
arrivato ch'egli fosse in Italia, tutti, senza perder tempo, verrebbono
ad unirsi con lui. All'incontro cotal nuova stordì forte i Goti, con
restar anche divisi di parere, se avevano a prendere l'armi contro la
stirpe di Teoderico, cioè contro Matasunta. In questi tempi essendo
spirato il tempo che _Diogene_, uffizial greco, s'era preso per rendere
Civitavecchia, ed avendo il re _Totila_ inviato colà deputati per
l'esecuzion della promessa, egli si scusò di non poter mantenere la
parola data, perchè Germano coll'esercito suo era vicino a dargli
soccorso. Perciò l'una parte e l'altra restituì gli ostaggi, restando
Diogene alla difesa di quella città, e Totila sommamente burlato e in
collera per questo.
Ora mentre il valoroso Germano patrizio in Sardica, o Serdica, città
dell'Illirico, ossia della Mesia o della Dacia, ammassava ed esercitava
le raunate genti, disposto a passare in Italia, ecco gli Slavi, che,
valicato il Danubio, fanno una irruzione nella Mesia, arrivano fino alla
città di Naisso, con iscoprirsi il disegno loro di penetrar fino a
Salonichi. Venne subito un ordine dall'imperador a Germano di lasciar
per allora la spedizion d'Italia e di accorrere in aiuto di Salonichi.
Ma avuto ch'ebbero gli Sclavi contezza, come era in quelle parti Germano
con un'armata, tal terrore li prese, che, mutato cammino, s'istradarono
altrove. Pertanto Germano, liberato dall'apprensione di que' Barbari,
era già dietro ad imbarcar la sua gente per venir in Italia, quando
all'improvviso si infermò d'una malattia che in pochi dì il condusse al
sepolcro, desiderato e compianto da tutti. N'ebbe gran dispiacere anche
l'imperador Giustiniano, che dipoi diede ordine a _Giovanni_ e a
_Giustiniano_, figliuolo di esso Germano, di passar colla flotta in
Italia. Aveva dianzi il medesimo Augusto inviato _Liberio_ con un'altra
flotta carica di buone fanterie per soccorrere la Sicilia. Poscia,
avendo egli rimesso in sua grazia _Artabane_, e creatolo generale della
Tracia, aveva spedito ancor questo con alcune navi alla volta d'essa
Sicilia, con ordine di prendere il comando delle truppe condotte da
Liberio. Il primo a giungere in quell'isola fu Liberio, il quale a
dirittura passò a Siracusa, allora assediata dai Goti, e felicemente
entrò coi suoi legni nel porto. Artabane, all'incontro, sorpreso non
lungi dalla Calabria da una fiera tempesta, vide dissipate tutte le sue
navi, alcune trasportate nella Morea, altre perite; egli colla sua, che
avea perduto l'albero maestro, fu spinto dal vento all'isola di Malta, e
quivi si salvò. Liberio, non avendo forze bastanti in Siracusa da far
sortite sopra i nemici, e trovata ivi non poca scarsezza di viveri,
giudicò meglio di continuare il viaggio fino a Palermo. Sarebbe passata
male a quella città, e forse ad altre, se essendo stato preso dai Goti
in Catania _Spino_ da Spoleti, questore di Totila, e a lui carissimo,
non avesse costui ottenuta la libertà, con promessa d'indurre i Goti a
ritirarsi dalla Sicilia. Tante cagioni in fatti egli addusse a Totila,
massimamente con fargli credere imminente l'arrivo di una poderosa
armata imperiale, pervenuta già in Dalmazia, che fu risoluto nel
consiglio de' Goti di lasciar in pace quell'isola. Poste dunque nelle
lor navi le immense ricchezze raunate con tanti saccheggi de' miseri
Siciliani, e una prodigiosa copia di grani e d'armenti rapiti, con
lasciar qui dei presidii solamente in quattro luoghi, Totila menò le sue
milizie in Italia. Non così fecero _Giovanni_ e _Giustiniano_, arrivati
in Dalmazia colla flotta e coll'esercito maggiore spedito da
Giustiniano. Perchè trovando quella provincia infestata dagli Sclavi,
con dubbio che que' Barbari fossero stati mossi da segreto maneggio del
re Totila, determinarono di svernare in quel paese, per mettersi poi in
viaggio nella seguente primavera. Ma non si fermarono quivi gli Sclavi.
Scorsero fino ad Adrianopoli, commettendo innumerabili mali, e portavano
le minaccie fino ai contorni di Costantinopoli. Contro di loro fu
spedito un esercito da Giustiniano, ch'ebbe la disavventura di essere
sbaragliato da que' Barbari, e costoro s'avanzarono dipoi fino ai Muri
Lunghi, luogo una giornata distante da Costantinopoli, dove una parte di
essi fu disfatta. Gli altri carichi di preda se ne tornarono alle lor
case. Fiorì in questi tempi _Vittore_ vescovo di Capoa, dotto non meno
nelle latine che nelle greche lettere. Fabbricò un ciclo pasquale, e
compose altri libri, de' quali parla la storia letteraria.
NOTE:
[2736] Procop., de Bell. Goth., lib. 3, cap. 3.
Anno di CRISTO DLI. Indizione XIV.
VIGILIO papa 14.
GIUSTINIANO imperadore 25.
TOTILA re 11.
L'anno X dopo il consolato di Basilio.
Circa questi tempi, durando tuttavia la guerra tra _Giustiniano_ Augusto
e i Persiani, venne in pensiero all'imperadore di proibire a' suoi che
non comperassero da lì innanzi le sete dai Persiani; perchè una tal
merce era allora al maggior segno cara, e portava fuori degli stati
dell'imperio delle grandi somme d'oro con profitto de' Persiani, i quali
soli la traevano dall'India, e la vendevano poscia agli Europei con
eccessivo guadagno. Questo editto fu cagione che alcuni monaci tornati
dall'India si esibissero d'introdurre in Europa la fabbrica della seta,
e ne descrissero la maniera all'imperadore, che molto se ne maravigliò,
e gl'incoraggì, con promessa di gran premio, ad eseguire l'impresa. Per
tanto quei monaci ritornarono nell'India, e di colà portarono a
Costantinopoli molte uova di vermi da seta, che fatti poi nascere, e
nutriti colle foglie di gelsi mori, cominciarono a dar seta, e ne
introdussero l'arte o fabbrica nel romano imperio, dove poi si propagò
ed è giunta a quel segno che ora si vede. Giù si preparava _Giovanni_,
nipote di Vitaliano, alla partenza da Salona coll'armata navale cesarea
destinata contra i Goti, quando arrivò ordine dell'imperadore che non si
movesse, ed aspettasse l'arrivo di _Narsete_ eunuco, già destinato
capitan generale dell'armi di Cesare in Italia. Si partì da
Costantinopoli esso Narsete con un bell'accompagnamento di truppe, e
colla cassa di guerra ben provveduta di danaro. Gli convenne fermarsi
per qualche tempo in Filippopoli, perchè gli Unni, cioè i Tartari,
aveano fatto una irruzion nella Tracia, saccheggiando il paese
(disgrazia famigliare in que' tempi a tutti i confini settentrionali
dell'imperio d'Oriente), ed impedivano i cammini. Finalmente, sbrigato
da quella canaglia, proseguì il suo viaggio. Intanto il re _Totila_,
presentita la venuta di Narsete, richiamò in Roma alcuni de' senatori,
ed ordinò loro di aver cura della città, con lasciar gli altri nella
Campania. Ma li teneva come schiavi, nè essi poterono riavere porzione
alcuna de' beni sì del pubblico che dei privati. Poscia, allestite circa
trecento navi lunghe, e caricatele di Goti, le spinse verso le spiagge
della Grecia. Fecero costoro uno sbarco in Corfù, e devastarono
quell'isola colle altre appresso; passarono in terra ferma, e diedero il
sacco a varie terre; e costeggiando per quelle riviere, presero varii
legni che conducevano vettovaglie per servigio dell'armata di Narsete.
Era già gran tempo che i Goti tenevano assediata per terra e per mare la
città d'Ancona; laonde quel presidio si trovava ridotto a gravi angustie
per la penuria di viveri. _Valeriano_, che comandava in Ravenna per
l'imperadore, non avendo altro ripiego per soccorrerli, scrisse lettera
a Salona, pregando Giovanni, giacchè tante milizie avea condotte colà,
di accorrere a salvar quella città dall'imminente pericolo di rendersi.
Giovanni, benchè avesse ordini in contrario dalla corte, pure credendo
meglio fatto di non ubbidire in circostanze tali, con trecento navi
lunghe, piene di sue milizie, venne a trovar Valeriano, che seco unì
altre dodici navi, ed amendue passarono a Sinigaglia. Ciò saputo dai
Goti, vennero loro incontro con quarantasette navi cariche del fiore
della lor gente, ed attaccarono la zuffa. Ma non erano da mettere in
confronto dei Greci, bene addottrinati nelle battaglie navali, i Goti
affatto novizii in quel mestiere. Perciò rimasero facilmente disfatti,
con salvarsi appena undici dei loro legni. Il resto venne in poter dei
Greci. Portata dai fuggitivi la nuova di questa disavventura agli altri
ch'erano all'assedio di Ancona, fu cagione che sgombrassero in fretta il
paese, e scappassero ad Osimo, lasciando in preda de' Greci le loro
tende e bagagli. Questa percossa indebolì non poco le forze e il
coraggio de' Goti. Tornò dipoi Valeriano a Ravenna, e Giovanni a Salona.
In questo medesimo tempo _Artabane_ giunto in Sicilia[2737], e preso il
comando dell'armi cesaree, costrinse alla resa que' pochi presidii che
Totila avea quivi lasciati ne' luoghi forti: cose tutte che accrebbero
la costernazione de' Goti. Nè già restava speranza alcuna d'indurre
Giustiniano Augusto a qualche ragionevol accomodamento. S'erano ben essi
più volte esibiti di cedergli ogni lor pretensione sopra la Sicilia e
Dalmazia, e di pagargli un annuo tributo, e di unir seco l'armi loro ad
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